Convegno nazionale del Club Alpino Accademico Italiano Feltre 21 ottobre 2023
IL RISCALDAMENTO GLOBALE E I SUOI EFFETTI SULLA MONTAGNA A LA SUA FREQUENTAZIONE
Estratto dai contributi scientifici del convegno a cura di Silvia Stefanelli C.A.A.I. Gruppo Orientale
Cover: Ghiacciaio Perito Moreno - ph Roberto Valenti
Portare all’attenzione del convegno nazionale del C.A.A.I. la crisi climatica, i suoi impatti sulla montagna e chi la frequenta, è un’idea nata da eventi che hanno lasciato il segno negli ultimi anni sulle Alpi, in particolare il tragico evento del crollo del ghiacciaio della Marmolada.
Il Presidente del C.A.A.I. gruppo Orientale, Francesco Leardi, ha raccolto una necessità e un sentire comune di confrontarsi, con alpinisti e non, intorno a questo complesso fenomeno, per migliorarne la conoscenza, grazie alla disponibilità di esperti tra gli accademici e della comunità di scrittori e scienziati.
Il convegno in esame si pone all’interno di un percorso di sensibilizzazione che il Presidente ha iniziato invitando alla responsabilità individuale e collettiva ad agire di fronte a un ambiente montano e i suoi ecosistemi sempre più vulnerabili e fragilizzati.
Audiovisivo di Roberto Valenti - Produzione Club Alpino Accademico Italiano Gruppo Orientale visualizzalo qui full screen
Di seguito la successione dei contributi che sono stati presentati nel nostro convegno:
Valenti - Global Warming: quale futuro per il nostro pianeta (audiovisivo)
Fermeglia - Le cause del riscaldamento globale: produzione di energia oggi e domani
Barbante - Gli effetti del riscaldamento globale: fusione dei ghiacciai e del permafrost
Favero - Gli effetti del riscaldamento globale su boschi e foreste
Stefanelli - Azioni dal mondo e locali per contrastare la crisi climatica
Barbolini - Criticità dei bivacchi legate al riscaldamento globale
Inselvini - Come cambia l’alpinismo con il riscaldamento globale in atto
Favaro - È prevista una conferenza stampa al campo base
Il tema del convegno è stato presentato con un audiovisivo in anteprima realizzato per il convegno da Roberto Valenti, socio CAAI e fotografo naturalista, dal titolo:
Global Warming: non restiamo a guardare!
Se sulla Terra, governata da dinamiche inarrestabili che coinvolgono da sempre i suoi organismi viventi, il cambiamento è ineludibile, dalla rivoluzione industriale ad oggi, con comunità umane sempre più numerose ed energivore, ora il cambiamento ha subito una forte accelerazione, con la progressiva alterazione del delicato equilibrio energetico del pianeta.
Gli effetti del riscaldamento sono evidenti: fusione dei ghiacciai montani e del permafrost, contrazione delle calotte polari, fenomeni meteorologici estremi, crisi idriche e carestie, migrazioni umane, alterazione degli habitat e riduzione della biodiversità, distruzione delle foreste primarie.
Oramai tutti lo percepiamo, attorno a noi qualcosa sta cambiando e sta cambiando in fretta! Il nostro “optimum climatico”, a cui ci eravamo egoisticamente affezionati, si sta sgretolando e noi uomini e alpinisti non possiamo restare a guardare!
L'audiovisivo di Roberto Valenti - Produzione Club Alpino Accademico Italiano Gruppo Orientale - inserito all'inizio dell'articolo, può essere visionato anche a questo link: Visualizza il filmato
Il riscaldamento globale e le sue cause: produzione di energia oggi e domani (Filippo Giorgi ICTP Trieste, Maurizio Fermeglia Università di Trieste)
Il prof.Giorgi all’ultimo momento non ha potuto presenziare per importanti problemi lavorativi che lo hanno richiamato all’estero, delegando al Professor Fermeglia il suo intervento.
Maurizio Fermeglia si è collegato al video introduttivo, riportando gli ultimi dati rilevati dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che, a partire dall’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, collega quest’ultima all’aumento di temperatura rilevata a livello globale. Ne conseguono tutti i fenomeni da essa causati: eventi climatici estremi, fusione dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, perdita di biodiversità, solo per citare i più rilevanti.
Fermeglia ha riportato le previsioni future dell’IPCC, sia in termini di concentrazione di CO2 che di innalzamento della temperatura, a seconda dei vari scenari di mitigazione che saremo in grado di attuare. Inoltre, è stato mostrato come il riscaldamento globale sia legato, attraverso le emissioni di CO2 e l’effetto serra, alla produzione e consumo di energia. Il punto di partenza dei ragionamenti è che ogni mole di carbonio che è usata per produrre energia, genera inevitabilmente una mole di CO2 e quindi, la conclusione a cui si arriva, è che per evitare il disastro climatico è necessario produrre energia evitando di bruciare carbonio.
In altre parole, bisogna decarbonizzare la produzione di energia utilizzando fonti non fossili. Vengono quindi descritti diversi scenari possibili per la produzione di energia, considerando che essa certamente non può calare in quanto la popolazione mondiale è in forte aumento. Quello che deve cambiare sono le abitudini e le fonti di energia: le fonti rinnovabili devono al più presto soppiantare le fonti fossili per cercare, se possibile, di evitare i disastri climatici ed ambientali previsti nei prossimi anni.
Visualizza l'intervento completo Giorgi_Fermeglia
Gli effetti del riscaldamento globale: fusione dei ghiacciai e del permafrost - Carlo Barbante scienziato
Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha sottolineato come la criosfera alpina, comprendendo ghiacciai e permafrost, sia fortemente influenzata dal riscaldamento globale. I ghiacciai, che costituiscono una risorsa idrica cruciale per molte comunità alpine, si stanno restringendo a un ritmo allarmante. Negli ultimi due anni hanno perso circa il 10% della massa totale. Questo processo di fusione ha conseguenze dirette sulla disponibilità di acqua dolce e sull’equilibrio degli ecosistemi montani.
Simultaneamente il permafrost, terreno permanentemente congelato, sta fondendo velocemente, aumentando il rischio di frane e danneggiando le infrastrutture. Questi cambiamenti rivelano chiaramente l’impatto del cambiamento climatico in corso sulle Alpi, richiedendo azioni urgenti per mitigare gli effetti negativi e promuovere la conservazione di questa preziosa risorsa alpina.
Visualizza l'intervento completo di Carlo Barbante
Gli effetti del riscaldamento globale su boschi e foreste - Paola Favero forestale e scrittrice
Paola Favero ha ricordato, con delle immagini molto suggestive, come la tempesta Vaia sia stato un evento davvero unico per i nostri popolamenti forestali, che ha messo improvvisamente in luce la loro fragilità di fronte alla crisi climatica ed ecologica che la Terra sta attraversando. Questo eccezionale evento ha dato conferma degli impatti della crisi climatica, ma anziché spingerci verso una gestione più attenta alle esigenze del bosco e le indicazioni della natura, ha aperto le porte ad una politica forestale improntata ad una selvicoltura produttivistica e a una gestione del bosco dove l'albero diventa un prodotto come tanti altri.
Mentre grazie alla tecnologia siamo in grado di produrre energia, non saremo mai capaci di produrre biomassa e tantomeno biodiversità, che è alla base dell'esistenza e dell'equilibrio degli ecosistemi e garantisce la nostra stessa vita sulla Terra. Per questo abbiamo il dovere di proteggere in ogni modo le nostre foreste, perché oltre a fornire importantissimi servizi ecosistemici contribuiscono in modo sostanziale a mantenere la biodiversità presente sul pianeta.
Azioni dal mondo e locali per far fronte alla crisi climatica - Silvia Stefanelli - C.A.A.I. Gruppo Orientale
Silvia Stefanelli, esperta di crisi climatica e foreste e fondatrice di Gaialab, ha introdotto il tema delle soluzioni basate sulla natura nella crisi climatica nel mondo e in Italia. In particolare la conservazione forestale e l’evitata deforestazione svolgono un ruolo determinante per far fronte alla crisi climatica. Attraverso le sue esperienze su progetti in Chiapas (Messico) e in Tanzania, ha evidenziato il ruolo dei crediti di carbonio per la tutela delle foreste e delle comunità che ci vivono.
Sulle Alpi è stato presentato il programma di riqualificazione fluviale della Provincia di Bolzano come esempio di adattamento ad eventi alluvionali estremi.
Infine è stato richiamato il ruolo cruciale dei trasporti nella decarbonizzazione delle aree alpine e il cambio di paradigma necessario per uscire dalla monocultura dell’auto, attraverso un nuovo approccio alla montagna come bene comune e non solo come spazio di libertà individuale.
Le conclusioni sono state un invito ai presenti a riflettere su come la crisi climatica possa stimolare in noi un cambio di riferimenti, di valori, un attivismo che scatena piccoli e grandi cambiamenti.
Visualizza l'intervento completo di Silvia Stefanelli
Criticità dei bivacchi legate al riscaldamento globale - Carlo Barbolini - C.A.A.I. Gruppo Orientale
Il mio intervento riguarda più l’aspetto pratico che quello teorico. Mi occupo da 15 anni della manutenzione di alcuni Bivacchi del C.A.A.I. soprattutto nella parte occidentale delle Alpi e non solo. La prima riflessione che mi viene in mente è che fino al 2019 il mio lavoro è stato di sistemare e svolgere manutenzione a queste strutture, alcune delle quali si avvicinano ai cento anni di vita. Dal 2020, quasi sempre, mi sono trovato a smantellare, delocalizzare o recuperare residui finiti a valle di strutture che sono state rese pericolanti dal ritiro dei ghiacciai, dallo scioglimento del permafrost e dai conseguenti eventi franosi.
Il mio parere è che ormai strutture come rifugi e bivacchi, sopra o intorno ai 3000 m di quota, siano destinate al loro declino e infine alla distruzione. Sono pezzi di storia che se ne vanno, strutture che hanno visto e vissuto la storia dell’alpinismo sulle nostre Alpi.
Visualizza l'intervento completo di Carlo Barbolini
Riflessioni sul mondo dell’alpinismo nell’era del cambiamento climatico - Claudio Inselvini C.A.A.I. Gruppo Centrale
La crisi climatica, potrà, se sapremo cogliere l’occasione, portare a un cambio di clima anche all’interno del mondo alpinistico.
Le accresciute difficoltà a cui ci pone di fronte creano forti disagi, innestano grandi rischi, ma ci danno anche la grande opportunità di recuperare un’unità d’intenti nel condividere il sentire davvero profondo della scalata. Le montagne che cambiano ci invitano a recuperare un pensiero legato alla tradizione, basato sulla conoscenza graduale dell’ambiente e non dal desiderio di ottenere tutto subito.
Un nuovo approccio alla montagna che si opponga al turismo ed all’alpinismo stile mordi e fuggi, può rinascere. Una frequentazione ispirata a un’idea di viaggio nella sua interezza, un viaggio che è composto di conoscenza dei luoghi e delle persone, di avvicinamento, preparazione, scalata, discesa, e anche di rinuncia.
Le accresciute e mutate difficoltà nella scalata ci stanno mettendo di fronte alla possibilità di iniziare una nuova era, dove il raccontare e l’ascoltare non sono basati solo sulle prestazioni, magari finalizzate ad immagini spettacolari, ma siano il motore di una nuova conoscenza e cultura, che serva ad affrontare tempi nuovi e più complessi.
Adriano Favaro – giornalista
Una delle ultime storie legate ai cambiamenti climatici riguarda la Marmolada e il crollo del ghiacciato nel 2022 quando morirono 11 persone. Qualche giornale auspicava che ci fosse un prima e un dopo quella data. Credo che l’invocazione sia stata inutile. L’ homo sapiens continua a pensare attorno a certi argomenti con un cervello progettato centinaia di miglia di anni fa, cervello antico ed emotivo. Non razionale quindi. Forse il sapiens di montagna non ha ancora letto e capito a fondo il libro di René Daumal “Il monte analogo”, del 1954.
Daumal dice una cosa affascinante: “La porta dell’invisibile deve essere visibile”. Ecco, forse per questo nessuno ha mai fatto una conferenza stampa al campo base: perché non è riuscito ancora davvero a fare vedere (alpinista o giornalista) il visibile di una porta che molti di voi, invece, conoscono.
Francesco Leardi presenta Bernard Amy e il contributo ricevuto per il convegno nazionale di Feltre
Quando mi capitò tra le mani negli anni 70 “il più grande arrampicatore del mondo” cominciai a dubitare della concretezza delle montagne, dei ghiacciai e credere nell’espressione del gesto, dimensione reale del nostro io.
Quando poi a Torino in occasione della sua proclamazione a socio ad honorem del C.A.A.I. nell’ambito del nostro convegno mi ritrovai accanto a lui a tavola mi sembrò di vivere in quella dimensione così eterea che Tronc Feuillu il suo personaggio più amato, emanava.
“se potessi raggiungere la pietra senza spostare una sola goccia di rugiada, la pietra non esisterebbe più.Ed io sarei sulla sua cima”.
Ebbene nel contributo che Bernard mi ha mandato, parla del cambiamento climatico facendoci immergere in un racconto, in una fiaba nella quale la realtà ci appare così tristemente vera.
Ma non basta essere consapevoli solo per un istante perché alla fine del suo racconto ci ammonisce: “Dopo la lotta per raggiungere la cima, quella per la sopravvivenza umana vi aspetta sotto”
Alpinista a tutto campo, dopo aver iniziato l’attività sulle Alpi, Bernard Amy ha presto dimostrato il suo gusto per le spedizioni e le montagne lontane. Ingegnere e ricercatore in scienze cognitive, Bernard Amy è anche scrittore di letteratura di montagna e giornalista. È cofondatore della rivista Passage ed è stato membro del comitato di pubblicazione della rivista del club alpino francese La montagne & alpinisme. Bernard Amy è uno dei membri fondatori di Mountain Wilderness France, di cui è stato presidente prima di diventarne presidente onorario. È membro del GHM ed è stato nominato socio ad honorem del Club Alpino Accademico Italiano.
Visualizza qui l'intervento di Bernard Amy
Si ringraziano relatori e collaboratori accademici e non per la positiva riuscita dell’evento con grande afflusso di giornalisti e pubblico.
Pubblicazione, ottimizzazione e grafica a cura di Alberto Rampini
Domenica 12 Novembre 2023 si svolgerà a Pieve Tesino (TN) il convegno-assemblea autunnale del Gruppo Orientale del C.A.A.I.
Alle ore 15 presso l’edificio polifunzionale, con il patrocinio del Comune di Pieve Tesino, si terrà la proiezione del film “L’ultima via di Riccardo Bee” diretto dal regista e I.N.A. Emanuele Confortin che parteciperà all’evento e presenterà direttamente il suo lavoro. Seguirà dibattito.
Il film consegna alla storia una figura di alpinista e Accademico tanto forte quanto modesto e poco conosciuto. Un ritratto capace di far sorridere, di sorprendere e di commuovere.
Ricordiamo che l’opera di Confortin ha vinto il Premio del pubblico al Filmfestival di Trento 2023.
L’ingresso è libero
A cura di F. Leardi
Pubblicazione, ottimizzazione e grafica a cura di Alberto Rampini
Il Club Alpino Italiano e il Club Alpino Accademico Italiano si sono resi promotori del progetto EAGLE CAI.
Nei giorni 6/7/8 ottobre 2023 si è svolto l’evento Eagle Meet e Eagle team, a cui hanno partecipato giovani tra i 18 e 30 anni. Per l’Eagle Meet il numero di partecipanti è stato di 23 giovani (5 ragazze e 18 ragazzi) provenienti da varie regioni e 6 tutor Accademici. Il gruppo Eagle team invece era composto da 13 giovani e 5 tutor tra Accademici e Guide Alpine. Il programma prevedeva uscite in ambiente su vie della Val di Mello e dintorni a libera scelta dei partecipanti. Da programma si sono inoltre svolte due serate evento. La sera del 6 abbiamo ospitato l’alpinista esploratore, guida alpina, nonché uno dei fondatori del gruppo sassisti della Valle, Giuseppe Miotti, noto più comunemente come "Popi". La seconda serata è stata caratterizzata dalla partecipazione di un giovane e forte alpinista Accademico del C.A.I. facente parte del gruppo storico dei Ragni di Lecco, Matteo De Zaiacomo. Nei giorni 7/8 ottobre abbiamo avuto la visita dei Presidenti Generali del C.A.I. e del C.A.A.I. Colgo l’occasione per ringraziarli per la loro presenza.
Sabato e domenica i ragazzi hanno svolto due intense giornate arrampicatorie con varie salite che riporto qui sotto:
- SCOGLIO DELLE METAMORFOSI LUNA NASCENTE 280 MT Diff .6A+
- DIMORA DEGLI DEI IL RISVEGLIO DI KUNDALINI 400MT Diff 6A
- DIMORA DEGLI DEI IL PILASTRO DEL BASTOGENO 220 Diff. 7b
- BRONTOSAURO – PIPISTRELLI AL SOLE 140MT Diff. 6b+
- QUALIDO - IMPRESSIONI DI SETTEMBRE 500MT Diff. 6C+
- QUALIDO - GRAN DIEDRO DELLA MAROCCA 320MT Diff. 6B
- PRECIPIZIO DEGLI ASTEROIDI - LAVORARE CON LENTEZZA 230MT Diff. 7b
- MONTE PIEZZA - UN VIANDANTE ALLE ISOLE PALEARI 250MT Diff 6a+
- MONTE PIEZZA - FENOMENO NERO 400MT Diff 6c
Ringrazio tutti i ragazzi e i tutor che hanno partecipato a questo meeting.
Il Coordinatore del Meeting Domenico Chindamo C.A.A.I.
Pubblicazione, ottimizzazione e grafica a cura di Alberto Rampini
VAL GRANDE IN VERTICALE 2023
RESOCONTO a cura di Luca Enrico
L’edizione 2023 è stata quella che ha visto in assoluto più partecipanti, sicuramente grazie al meteo propizio ma anche alla vasta scelta di attività proposte.
Le presenze si sono attestate almeno su 400 persone, di cui 322 ufficialmente iscritte al raduno (ritiro pacco raduno contenente la maglietta 2023).
Come sempre grande affluenza da parte dei bambini alle due giornate di “prova scalata”; gli adulti neofiti che hanno aderito alla medesima iniziativa nella giornata di domenica sono stati 15, così come quelli che hanno partecipato alla lezione di manovre tenuta dalle guide alpine di X3 Mountain. L’escursione a cura delle sezioni CAI ha contato 27 camminatori e il “corso trad” della Scuola Nazionale di Alpinismo Gervasutti 15 allievi. Ottimo riscontro anche alla pre-serata tenutasi a Chialamberto sulla fisioterapia legata agli sport di montagna, alla cena da “Cesarin” di Breno e alla serata con l’atleta disabile Andrea Lanfri, a Cantoira, dove si è contato un centinaio di spettatori.
L’evento si è poi concluso con la classica estrazione dei premi messi in palio dai tanti sponsor, sia tecnici che legati all’economia locale. Come sempre una festa nel giardino dell’Albergo Savoia di Forno Alpi Graie, fulcro della manifestazione.
L’EAGLE TEAM ALLA TORRE DI PADOVA
di Francesco Leardi Presidente C.A.A.I. Orientale
Giovedì 31 Agosto! Anche se con un giorno di anticipo, preludio al futuro trasferimento a Malga Ciapela, calzerebbe a pennello la canzone “Impressioni di Settembre” per il ritrovo di 11 dei 15 ragazzi dell’Eagle Team alla Torre di Padova situata presso il Centro Sportivo F. Raciti al parco Brentella di Padova; il progetto pensato e ideato dall’Accademico e Ragno di Lecco Matteo Della Bordella, sponsorizzato dal Club Alpino Italiano e dal Club Alpino Accademico Italiano, sta prendendo forma e dopo una breve pausa sulle Grigne avversata da condizioni meteo non proprio favorevoli sta spostando il baricentro ad Oriente.
11 ragazzi sui 15 prescelti erano presenti alle dimostrazioni assistiti dall’inossidabile Giuliano Bressan, dal professionale Andrea Lazzaro e con l’ausilio della puntigliosa preparazione tecnica dell’Accademico e Guida Alpina Alessandro Baù.
Al sottoscritto, presente in veste istituzionale come presidente del C.A.A.I. Gruppo Orientale, competeva un semplice compito di sintesi fotografica e relazione per il sito del sodalizio; sinceramente molto emozionato al cospetto di questi giovani che “osavano” darmi del Lei, giovani tecnicamente e alpinisticamente molto preparati e motivati mi sono domandato dove si stanno spingendo arrampicata e alpinismo.
Dopo una veloce esposizione con cartellonistica da parte di Giuliano e Andrea per l’acquisizione di nozioni tecniche si è iniziato con le prove sulla tenuta delle corde registrando i valori espressi dalla caduta del peso ad altezze variabili.
Diverse prove si sono succedute effettuate anche sulla tenuta dei moschettoni con leva aperta che puntualmente si sono strappati in monconi che hanno suscitato l’interesse dei ragazzi.
Poi si è passati, a turno, alle prove di tenuta di simulazione di caduta, indossando il salvifico guanto da lavoro per evitare spiacevoli ustioni.
Uno dopo l’altro, con esiti diversi a seconda della fisicità e forza, hanno potuto rendersi conto di quanto sia impegnativo sopportare il volo di un compagno, pur tenendo presente che la prova era effettuata in condizioni assai peggiorative rispetto al normale.
Poi si è passati alle prove di tenuta dei collegamenti delle soste in diverse modalità abilmente create da Alessandro Baù.
Trefoli, calze, Kevlar, Dyneema tutto scorreva sotto le abili mani di Giuliano e Andrea che mi sono apparsi come due ragazzi intenti in un gioco che conoscevano benissimo, pronosticando su ogni prova l’esito finale che puntualmente era quello anticipato verbalmente.
Dopo una breve pausa conviviale, che ci ha visto tutti insieme al tavolo davanti ad uno spuntino, abbiamo ripreso le prove avvicinandoci maggiormente alla realtà e cioè la tenuta del volo utilizzando mezzi diversi e vincolati alla sosta.
Alessandro Baù ha illustrato come si sarebbero svolte le prove, tecnicamente e praticamente, prima che i ragazzi a turno le effettuassero.
Al pomeriggio trasferimento per l’Eagle Team a Malga Ciapela, la meteo promette condizioni ottimali e certamente i ragazzi affronteranno le pareti con maggiore consapevolezza, quella consapevolezza acquisita grazie ad un Centro Studi che ha tecnicamente formato centinaia di alpinisti e professionisti.
Ragazzi dell'Eagle Team presenti alla Torre di Padova
Dopo la proficua giornata in Torre i ragazzi dell'Eagle Team si sono trasferiti a Malga Ciapela, dove hanno incontrato il folto gruppo dell'Eagle Meet per scalare assieme.
Ecco qui da "Lo Scarpone" on line un breve resoconto dell'evento.
Il 9 e 10 settembre la sesta edizione di questo importante appuntamento.
Sul sito Valli di Lanzo in Verticale gli aggiornamenti del programma e le tante novità su vie nuove e sistemazioni di itinerari classici nelle Valli di Lanzo.
Scarica la locandina in formato PDF
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IL RADUNO
PROGRAMMA VAL GRANDE IN VERTICALE 2023 scarica il programma in formato PDF
Sabato 09 Settembre:
Domenica 10 Settembre:
Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Dall'1 al 3 settembre il Club Alpino Accademico Italiano organizza a Malga Ciapela (Marmolada) un meeting di arrampicata aperto a 35 giovani dai 18 ai 30 anni provenienti dalle Scuole Cai e di altre realtà. La tre giorni è organizzata nell'ambito della seconda settimana formativa del Cai Eagle Team
Il meeting è aperto ai più promettenti giovani alpinisti del Nord-Est, del Centro e del Sud Italia, provenienti dalle Scuole del Cai e di altre realtà e si colloca nell'ambito della seconda tornata di formazione del Cai Eagle Team.
L'Eagle Meet è aperto a 35 giovani tra 18 e i 30 anni, che devono avere l'assenso del direttore della scuola di provenienza e la normale dotazione alpinistica (roccia) completa.
L'obiettivo è quello di creare un momento di contatto e di scambio di esperienze con i giovani alpinisti di punta selezionati per l’Eagle Team. Il meeting verrà curato dal Gruppo Orientale del Caai, che metterà a disposizione i propri tutor.
Sarà una bella occasione per scalare assieme e ricercare spunti di confronto e di crescita.
I posti sono limitati e gli interessati saranno ammessi secondo l'ordine di arrivo dell’iscrizione da inviare a Carlo Barbolini (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), che può essere contattato anche per avere maggiori dettagli.
Samuele Mazzolini ci propone tre itinerari di buon ingaggio e di sicura soddisfazione, corredati degli schizzi e delle relazioni aggiornate.
Molte altre relazioni, redatte sempre con la sua solita precisione e competenza, sul sito personale di Samuele Mazzolini.
Via MENHIR al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc
Il pilastro di Mezzo al Sass dla Crusc è un simbolo, il luogo dove si è compiuto un passo avanti nella scalata libera. La via di Nicola Tondini e Ingo Irsara segue la tradizione di questa parete, arrampicata libera psicologicamente e tecnicamente impegnativa con protezioni tradizionali. Un altro piccolo gioiello che si va a sommare agli altri di questa fantastica parete, dove non mi stanco mai di tornare.
Scarica qui lo schizzo di MENHIR
Via ISO2000 alla Cima Grande di Lavaredo
Se la “Comici” è affollata questa via è sicuramente una bellissima alternativa. Gli apritori (Kurt Astner e Kurt Brugger) poi non sono certo due sconosciuti e la roccia è bella. Una bella scalata di resistenza e di sicura soddisfazione, che porta in cima ad una montagna simbolo delle Dolomiti e non solo. Gioia e bellezza, questo il ricordo di una delle tante giornate passate a scalare con Francesco Piacenza.
Scarica qui lo schizzo di ISO2000
Via ALL’OCCHIO BACCHINI alle Torri di Monzone (Alpi Apuane)
Sono fermamente convinto che per fare alpinismo non siano obbligatori i friends, e per fare arrampicata sportiva i fix. Chiunque salga questa bellissima via di Vigiani può fare suo questo concetto: l’esposizione non dipende dal mezzo ma da come si usa. Insomma, un piccolo capolavoro che merita di essere conosciuto e imitato, e che permette di scoprire un angolo incantato delle Apuane.
Scarica qui lo schizzo di ALL'OCCHIO BACCHINI
ARRAMPICATE CLASSICHE NELLA CONCA DEL RIFUGIO F.LLI CALVI - Val Brembana
di Michele Cisana – INA-IAEE - Le foto, salva diversa indicazione, sono dell'autore
In occasione del 60° anniversario della nascita della Scuola di alpinismo “Leone Pellicioli” del CAI Bergamo, nella quale svolgo la mia attività di istruttore da oltre trent’anni, con alcuni amici istruttori ho deciso di ripercorrere parte della storia della Scuola stessa ritornando sulle “orme” degli alpinisti che a suo tempo ne facevano parte. Quale occasione migliore per salire, sistemare e divulgare alcune linee su roccia da loro tracciate e ormai cadute in disuso? La scelta è caduta senza dubbio sulla conca del Rifugio Calvi, forse dopo la Presolana la zona con più storia alpinistica su roccia delle intere Orobie. Se il merito iniziale va individuato in Antonio Baroni - la grande Guida Alpina di San Pellegrino Terme che alla fine del XIX secolo salì, tra le altre cose, il Pizzo del Diavolo di Tenda lungo la sua cresta sud-sud-ovest (a lui ora intitolata) – non bisogna poi dimenticare altri grandi nomi dell’alpinismo bergamasco quali Giulio Cesareni, Enrico Luchsinger, Giuseppe e Innocente Longo, ma soprattutto Santino e Nino Calegari, Andrea Farina, Nino Poloni, Andrea Cattaneo e Dario Rota.
Questi ultimi, accompagnati in varie occasioni da diversi compagni di cordata di taratura non meno inferiore, hanno aperto negli anni compresi tra il 1955 e il 1988 diversi itinerari alcuni dei quali poi diventati classici e ritenuti ai tempi tra i più impegnativi delle Alpi Orobie! Non per nulla Santino e Andrea sono stati i precursori in Italia - e forse anche in Europa - nella creazione della prima imbracatura per alpinismo, esemplare tuttora visibile nella sede del Cai Bergamo, oltre che alpinisti di calibro internazionale, guidando spedizioni su pareti Andine ed Himalayane che, ancora oggi, sono riservate all’elite dell’alpinismo. Con questi presupposti, dopo molti anni che non ripercorrevo alcune di queste salite, non potevo che riavvicinarmi ai loro itinerari in punta di piedi e vedere che cosa mi avrebbero ancora riservato. In più occasioni ho avuto la possibilità di “rigustare” i bellissimi e facili diedri della via Calegari-Farina alla Punta Esposito, la verticalità e l’esposizione della via Longo al Pizzo Poris, la difficoltà del Gran Diedro al Monte Cabianca, la logicità della via Cesareni-Luchsinger-Zaretti al Monte Cabianca e, non ultimo, le rocce del Monte Grabiasca. Senza ombra di dubbio posso affermare che, ancora oggi, ci sono zone vicino a casa dove si può respirare l’isolamento quasi totale, scalando belle e logiche linee classiche su roccia buona, a volte ottima, a differenza di quanto molti pensino. Da qui è nata in me la voglia di creare una brochure che riportasse le relazioni aggiornate ad oggi, con fotografie e tracciati, delle salite ritenute più meritevoli di questa zona. Per “rispolverare” queste salite - indicate ad un pubblico alpinistico - si è ritenuto utile operare un restyling delle stesse che conservasse il più possibile le caratteristiche originarie, con un occhio particolare alle soste; abbiamo provveduto pertanto a sostituire tutte le soste con materiale moderno (spit fix inox ad anello) e sistemare/integrare la chiodatura originale senza snaturare l’itinerario così come creato. Altre a questo, ho colto l’occasione per salire altre tre nuove linee trad su una parete fino ad oggi arrampicatoriamente sconosciuta; sono nati così altri tre bellissimi itinerari dedicati ad alcuni amici che ci hanno lasciato. Con grande determinazione e passione, abbiamo passato ore e ore appesi in parete a ricercare gli itinerari, gettare sassi, pulire erba, ribattere vecchi chiodi originari e riscrivere relazioni, nella speranza che - chi vorrà seguire le nostre orme - lo faccia per sè stesso, per cogliere come capitato a me la bellezza di questi luoghi. Buone scalate a tutti!
Scarica qui la BROCHURE DELLE VIE
Punta Osvaldo Esposito
La Punta Esposito è stata, ed è tuttora, uno dei banchi di prova di generazioni di alpinisti che salivano il suo diedro nord est per cominciare a prendere confidenza con le vie di montagna. Facilità di accesso e di discesa (per i canoni Orobici…) e roccia molto buona la rendono una delle vie più frequentate della zona, anche se è difficile trovarci la coda. Una bella giornata arrampicatoria è assicurata!
Le vie:
Monte Valrossa
Di recente scoperta alpinistica, la solare parete nord est del monte Valrossa riserva un’arrampicata verticale su roccia bellissima, molto rugosa e più simile al granito che allo gneiss della zona! Le sue linee fessurate, lasciate volontariamente sprotette, permettono all’arrampicatore di divertirsi con l’utilizzo delle protezioni veloci. Unico neo è la limitata lunghezza delle salite, compensata però dalla possibilità di veloci concatenamenti. Le vie sono dedicate ad alcuni amici scomparsi.
Le vie:
Monte Cabianca
Insieme al Pizzo del Diavolo e al Monte Madonnino, il Monte Cabianca è la cima più frequentata nella conca del Rifugio F.lli Calvi. La sua frequentazione è maggiore in inverno, quando gli scialpinisti si concentrano sui suoi pendii per approfittare della bella discesa a nord su neve spesso polverosa o lungo il canale nord per provare l’ebrezza delle prime discese ripide. Riserva bellissime vie di arrampicata su roccia che sono state molto frequentate fino alla fine degli anni ’80, cadendo poi, ingiustamente, nell’oblio. La roccia, sugli itinerari presentati è molto buona e l’arrampicata in genere un poco atletica; la mancanza di sole e l’aria sempre frizzante ricordano che siamo in ambiente e tengono lontano le folle chiassose. Chi apprezza queste qualità, si troverà catapultato indietro di cinquant’anni…
Le vie:
PDF via Gran Diedro (Richiodatura: M. Cisana, G. Allevi, M. Pezzoli)
Monte Grabiasca
Rispetto alle altre montagne della zona, il Monte Grabiasca alpinisticamente è sempre stato un poco più defilato. Ciò è dovuto al fatto che, generalmente, la roccia sulle sue pareti è discreta con presenza di molto detrito. La frequentazione è più elevata in inverno, lungo i canali presenti sulla sua parete nord. Nonostante tutto, la vecchia via Longo e la nuova linea da noi salita meritano una visita, se non altro per prendere confidenza con la “vera” roccia Orobica.
Le vie:
Pizzo Poris
Il suo spigolo nord per anni è stato il banco di prova di molti alpinisti bergamaschi che volevano confrontarsi, anche in inverno, con la verticalità della linea aperta dai fratelli Longo nel 1931. Negli anni successivi sono nate molte altre vie, tra cui la stupenda Agazzi – Arrigoni che, se fosse lunga qualche tiro in più, non avrebbe nulla da invidiare ad alcune grandi classiche delle Alpi! Il lungo avvicinamento tiene lontani i “climber”.
Le vie:
Falesia del Rifugio F.lli Calvi
In occasione della sistemazione delle vie di roccia sulle pareti circostanti, è stata chiodata da Michele Cisana una piccola falesia a 5 minuti dal rifugio, con itinerari facili e ben protetti, che permettono di passare qualche ora pomeridiana a divertirsi o provare manovre di autosoccorso (altezza parete circa 15m).
Le vie:
Il CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO
ed il GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna)
invitano alla proiezione del filmato
PIK LENIN, LA SPEDIZIONE DELLA RINASCITA
Giovedì 6 luglio 2023 ore 21
presso il Centro Polifunzionale “Nuovo Cinema Palmaro”
Via Prà 164 - Genova Prà Palmaro
Organizzazione a cura del CAI ULE Sottosezione di Sestri Ponente
e Associazione Nuovo Cinema Teatro Palmaro
Patrocinio Regione Liguria Assessorato al Tempo libero
In rappresentanza del CAAI e del GISM sarà presente l’accademico Serafino Ripamonti, alpinista, giornalista e scrittore.
Il film è presentato da Francesco Cassardo, medico e alpinista, che ci racconterà questa sua spedizione, realizzata dopo l’incidente (da qui la “rinascita” del titolo) che lo aveva coinvolto sul Gasherbrum VII e che viene raccontato nel libro “Sdraiato in cima al mondo” di Cala Cimenti.
La serata è finalizzata alla realizzazione di un Progetto di promozione sanitaria in Karamoja (Uganda) che sarà presentato da Cassardo e che si pone come obiettivi la fornitura di attrezzature (acquisto di 2 ecografi) e competenze, con un corso di formazione da parte di volontari, tra cui lo stesso Cassardo, per il personale sanitario locale.
A supporto del progetto sanitario, parallelamente ad esso e peraltro mirato alla ricerca di sponsor, Cassardo lancia anche un progetto alpinistico, una volta tanto non alla ricerca di prestazioni sportive estreme, denominato AFRICAN LION che prevede la salita dei 5.000 del continente africano (Kilimanjaro, Kenya e Ruvenzori).
Così scrive Francesco:
“Nel corso delle mie spedizioni in Pakistan, su Gasherbrum II nel 2018 e su Gasherbrum VII nel 2019, è maturata l'idea di sfruttare le mie competenze mediche per portare anche un aiuto alle popolazioni incontrate lungo il mio cammino verso le grandi montagne. Nel 2019 però, mentre ero in discesa con gli sci dall'inviolato Gasherbrum VII, ho purtroppo avuto un incidente che mi ha visto precipitare per la parete e che ha richiesto una complicata operazione di soccorso. Ovviamente, dopo, ho dovuto affrontare un lungo percorso riabilitativo ma l'anno scorso sono riuscito finalmente a prendere parte ad una nuova spedizione, sempre con gli sci, sul Pik Lenin in Kyrgyzstan e ora sono pronto per nuove sfide.
Questa estate andrò in Africa per un nuovo progetto alpinistico/medico.
Con due associazioni abbiamo scritto un progetto di cooperazione che, come medico, mi porterà in Uganda per promuovere ed insegnare l'utilizzo dell'ecografia clinica. L'ecografo è infatti uno strumento estremamente utile ed economico per ottenere informazioni per inquadrare al meglio un caso clinico, soprattutto in un territorio con pochi mezzi come quello africano.
Già che andrò sul territorio africano però, conto di dare vita ad un progetto alpinistico che avevo ideato con il mio compagno di cordata Cala Cimenti, ossia la scalata delle montagne africane che superano i 5000 metri di quota (Kilimanjaro, Monte Kenya e Ruwenzori), una dietro l'altra in circa un mese, ad agosto.
Come esiste lo Snow Leopard (titolo conferito a coloro che riescono a scalare le 5 montagne di 7000 metri del territorio ex-URSS – l’ unico italiano ad averlo ottenuto è stato proprio Cala), questo progetto prenderà il nome African Lion."
Il CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO
da' il proprio patrocinio alla
Serata dedicata all’alpinista ITALO MUZIO
a cura della Sezione Ligure Genova del CAI
Giovedì 6 luglio ore 21 presso la sede del CAI Sezione Ligure in Galleria Mazzini 7-3 Genova
con il patrocinio di REGIONE LIGURIA Assessorato Tempo Libero
Nel corso della serata sarà proiettato il filmato “La Cresta del Leone”.
Italo Muzio (1906-1982), l’alpino del mare, è la storia di un sestrino che, “in anni ormai remoti e non facili come sono quelli che vanno dagli Anni Venti al secondo dopoguerra, scopre la sua passione per la montagna. Diventerà Guida del Cervino (1954) e qui, insieme a un mito come Luigi Carrel, effettuerà una lunga serie di scalate e di prime ascensioni sia sul Cervino che nel gruppo del Monte Rosa.
Proprio sul Cervino, Italo Muzio il 3 settembre 1953 realizzò, con Luigi Carrel e Don Louis Maquignaz, la prima salita della q. 4191 sul versante sud che proprio a lui venne intitolata: il Picco Muzio per l’appunto.
In alcune ascensioni gli sarà compagno di cordata il savonese Carlo Taddei, anche lui autore di una via nuova al Cervino sulla repulsiva parete ovest con L. Carrel (Carrelino) dal 19 al 22 agosto 1947, con due bivacchi in parete fra bufere di neve, scariche di sassi, gelo e vetrato per novanta ore complessive di salita, alpinismo d’altri tempi…
Durante la serata verrà presentato il libro “Italo Muzio, l’alpino del mare” scritto da Silvio Rezzano che sarà presente in sala. Partecipano il giornalista e scrittore Enrico Martinet e Fulvio Scotto Presidente del CAAI Gruppo Occidentale.
Silvio Rezzano nasce a Sestri Levante il 28 Febbraio 1958, diplomato al Liceo Classico Federico Delpino di Chiavari e laureato in Storia presso l’Università di Genova. Ha praticato per anni l’alpinismo partecipando nel 1984 ad una spedizione in Pamir e raggiungendo la vetta del Pik Lenin (m 7.134) in solitaria.
Ingresso libero anche ai non soci CAI
Si ringrazia gognablog.sherpa-gate per le foto
IL NUOVO MATTINO APPENNINICO
Dalla seconda metà degli anni 70 ad oggi
di Massimo Marcheggiani
Le foto, salvo diversa indicazione, sono dell’autore
Le realizzazioni degli anni passati hanno lasciato il segno nella comunità alpinistica che orbita sulla montagna più intrigante dell'intero Appennino Centrale. Il Gran Sasso, a differenza di qualsiasi altro massiccio appenninico, si dimostra montagna dalle mille sfaccettature e potenzialità. La qualità della roccia, soprattutto al Corno Piccolo, non trova alcuna concorrenza in nessuna altra montagna o parete al di sotto del Po. La prima metà degli anni 70, al di là dell'apertura dei nuovi itinerari, vede una intraprendenza generale nei più giovani che si avvicinano all'alpinismo e che si confrontano con le salite più all'avanguardia del momento compiendo prime ripetizioni e un maggiore interesse verso la pratica invernale messa in atto non più sui tradizionali canali o poco più, ma rivolta ad affrontare la verticalità e la difficoltà tecnica delle salite, segno evidente e chiarissimo di una crescita a tutto tondo della maturità alpinistica in centro Italia.
A Roma il CAI e la SUCAI stanno vivendo un periodo molto intenso sotto la vivace presidenza dell'Accademico Franco Alletto. La scuola di alpinismo intitolata a Paolo Consiglio, prematuramente morto di malattia in Himalaya, tiene costantemente corsi di roccia da cui escono più o meno bravi scalatori. Intorno al CAI intanto orbitano anche “cani sciolti” a volte irriverenti verso il sodalizio nel quale non si riconoscono.
Chi scrive, tutt'altro che irriverente, non sapeva neanche dell'esistenza del Club Alpino e fu testimone oculare della ventata straordinaria che aleggiava nell'aria.
Nel 1976 ero vestito rigorosamente da “alpinista” con pantaloni alla zuava e maglione rosso, tutto fatto da mia madre (che se avesse saputo cosa andavo a fare tutte le sante domeniche mattina uscendo all'alba, col cavolo me li avrebbe fatti...) e per la prima volta mi approcciai alla palestra di roccia del Monte Morra con il mio amico Massimo Risi. Cielo grigio e minaccioso ma attaccammo lo stesso la via “Marino” di 3° grado e da bravi autodidatti, passamontagna calato sulla testa, con i piedi in grossi scarponi rimediati e la nostra corda bianca da ferramenta, scalammo per una trentina di metri impiegando molto tempo. Iniziò una leggerissima pioggerellina e ci spaventò. Non conoscendo la tecnica della corda doppia riscendemmo in arrampicata, prima l'altro Massimo e poi io che ero un po’ più bravo. Impiegammo tempi biblici e nel frattempo oltre ad essersi aperto un po’ di cielo, erano arrivate frotte intere di romani. Risate e tanto vociare ci crearono un po’ di imbarazzo e vergogna, ma quando uno dei tanti ci passò accanto, arrampicando in tuta da ginnastica, scarpe Superga ai piedi e per di più slegato, ci saremmo sotterrati perché ci chiese se eravamo degli speleologi. Ce ne andammo con diversi interrogativi, guardando decine di cordate arrampicare con scioltezza, velocità e allegria e vestiti tutt'altro che da “alpinisti”.
Si! Qualcosa di grosso stava succedendo e noi ci sentimmo medioevali.
Possiamo anche usare il termine Nuovo Mattino, ma in realtà era l'inizio di una vera e propria Nuova Era.
In centro Italia il fulcro del rinnovamento veniva senza dubbio da Roma. Il numeroso ambiente giovanile soprattutto universitario e in parte di provenienza sinistro/borghese faceva riferimento alla SUCAI della sezione capitolina. All'interno del nutrito gruppo dove cominciava a comparire qualche rara presenza femminile, diversi scalatori si facevano già notare ma al Monte Morra, che era il riferimento primario per chiunque scalava a Roma e provincia, viaggiava come una meteora un ragazzino di 17 anni: era normale restare basiti e a volte sgomenti nel vedere “sto tipo” che con scarpe da tennis Superga ai piedi e tuta ginnica saliva e scendeva, saliva e scendeva, saliva e scendeva in velocità ed eleganza fuori da ogni canonico schema tecnico. Quasi sempre rigorosamente slegato riusciva a coprire anche 2000 metri di dislivello in una manciata di ore. Si chiamava e si chiama Pierluigi Bini, e la sua straordinaria attività, pure concentrata in soli 4/5 anni, rivoluzionò però e rese moderno l'alpinismo anche in centro Italia quando già in Dolomiti si vedevano realizzazioni e personaggi assolutamente all'avanguardia. Uno per tutti Enzo Cozzolino (a cui Bini fu paragonato) il fuoriclasse triestino che sbalordiva con le sue ancora oggi memorabili scalate.
Bini era un fuoco d'artificio; in Dolomiti ripete in velocità moltissimi itinerari, realizza prime ripetizioni e prime solitarie (Gogna in Marmolada, Fachiri alla Scotoni e tante altre) molto spesso in gran parte slegato.
Al Gran Sasso mette in ombra chiunque con le sue ripetizioni in tempi sbalorditivi e i numerosi concatenamenti sulla magnifica roccia del Corno Piccolo, ma quello che lo distingue è la sua visione “oltre”. Riesce a vedere quello che non era mai stato visto e così è il primo ad avventurarsi su placche mai percorse prima e con protezioni rarissime. Non possedeva friends, dotato di qualche nuts, martello e una manciata di chiodi si avventurava su terreni ritenuti allora “impossibili” e nel frattempo realizzava anche molte prime solitarie. Bini era quasi sempre in compagnia di un personaggio a dir poco “caratteristico”. Un uomo piccolo e magro di quasi sessanta anni, vestito in modo vetusto e sdrucito con dei baffi un pò ingialliti e capelli lunghi impomatati. Indossava un vecchio casco da motociclista e ai piedi anche lui calza le scarpe da tennis Superga. Vito Plumari, questo è il suo nome ed è un bidello ormai in pensione. Possiede due moto BMW e una Opel Manta con cui scorrazza il suo amico Bini e qualche altro raro amico senza automobile (compreso chi scrive) verso le pareti. Un leggero morbo di Parkinson gli muove costantemente la testa e parla, parla, parla ininterrottamente in un siculo-italiano a volte incomprensibile. Scala quasi sempre da secondo con Bini spesso richiamando l'attenzione altrui urlando esclamazioni divertenti e goliardiche.
E' l'estate del 1977 quando Bini in compagnia dell'inseparabile bidello e di chi scrive, alle primissime armi, apre la sua prima via al Gran Sasso introducendo per la prima volta il 7° grado in Centro Italia: pochi metri sull'ultimo improteggibile tiro di corda, con difficoltà però mai viste fino ad allora. La via, chiamata il giorno stesso “via del Vecchiaccio” in onore dell'improbabile compagno di avventure Vito, diventerà la via più ripetuta dell'intera montagna. Il difficile tiro (quasi sempre evitato dai più) con il suo tratto estremo a 10 metri dalla sosta sarà il “test” di coraggio per anni per numerosi scalatori. Oggi, l'abuso degli spit ha snaturato questo e diverse altre sezioni di parete relegandolo a un normale tiro come tanti altri.
Dopo il “Vecchiaccio” Bini apre soltanto altre quattro/cinque vie che per qualche anno resteranno lo spauracchio per molti scalatori. Nel '79 mette piede per la prima e unica volta sul Paretone del Gran Sasso mentre la sua attività è concentrata principalmente al Corno Piccolo. Apre (in parte) uno degli itinerari più difficili del momento: è il “Diedro di Mefisto”, che supera l'angusto antro tra il quarto e il terzo Pilastro del Paretone. La paternità di questa salita, che ancora oggi è una via temuta, in realtà dovrebbe essere attribuita agli ascolani Antonio Mari e suo fratello Dario. Durante la prima ascensione, infatti, Bini e Gianpaolo Picone dovettero rinunciare poco oltre metà via a causa di una caduta di Picone che riportò la frattura di una caviglia e dovettero rinunciare scendendo in corda doppia fino alla base. I fratelli Mari ripeterono sì la parte più difficile già percorsa, ma furono loro in pratica i primi salitori, visto che la parte superiore di oltre duecento metri è una sezione ancora difficile e con una uscita piuttosto friabile.
Se Bini avesse continuato ad arrampicare sicuramente avrebbe potuto firmare altre notevoli aperture ma così non è stato; ciò non toglie però che aveva messo un marcato punto al tradizionale alpinismo e spalancato ulteriori porte a nuovi orizzonti. Era quindi nell'aria un testimone da raccogliere! Non sarebbero stati i romani della SUCAI o gli istruttori della ormai consolidata scuola di alpinismo che era stata intitolata al grande Paolo Consiglio a raccogliere l'ipotetico testimone, fu invece uno sparuto gruppetto di ragazzini romani, bravissimi, disinibiti che sulle orme di Bini cominciarono a ripetere le sue vie e ad aprirne numerose altre di elevata difficoltà. Luca Grazzini, Maurizio Tacchi, Marco Forcatura, Giuseppe e Roberto Barberi, Luca Bucciarelli sono solo alcuni dei nomi di una generazione di intraprendenti scalatori che aprono decine e decine di importantissimi itinerari oltre a ripetizioni di alto livello non solo sulla montagna di casa ma anche in Dolomiti. Il Gran Sasso si rivelava una miniera aperta ma ancora da scoprire! La mentalità acquisita e dimostrata attecchiva ormai in tutti gli ambienti orbitanti intorno a questa grande montagna.
Contemporaneamente a Bini compare sulla scena un altro importante protagonista: Giampiero Di Federico, abruzzese di Chieti e un pò meno giovane di Bini, praticava un alpinismo più tradizionale ma alzava anche lui la sua asticella delle difficoltà. Giampiero diventa Guida Alpina ed esce alla ribalta per alcune sue prime invernali di cui parleremo in altro capitolo, ma contemporaneamente ripete e apre itinerari di grande classe. E' il primo a ripetere in solitaria la via “Mario-Caruso”del '59 al 4° Pilastro del Paretone, poi apre con Giustino Zuccarini la “via Rossana” sulla parete Est del Corno Piccolo superando difficoltà molto elevate su fessure aggettanti. Successivamente apre la strapiombante “via del Trapezio” con Pasquale Iannetti superando difficili sezioni in artificiale dove fanno uso di enormi cunei di legno appositamente preparati. Gli Aquilotti del Gran Sasso non stanno certamente con le mani in mano sulla loro montagna: aprono a ritmo quasi annuale vie nuove, cominciando dal “Gran Diedro” e la “Aquilotti 79” al quarto Pilastro del Paretone e lo “Spigolo delle Guide” alla prima spalla del Corno Piccolo con la costante presenza di Lino D'Angelo ed Enrico De Luca, ambedue Guide Alpine e indiscussi leader nel gruppo degli Aquilotti.
I DIECI ANNI CHE CAMBIANO L'ALPINISMO AL GRAN SASSO
E' in atto un'accelerazione quasi spasmodica nella ricerca e apertura di nuove vie, anche se il bello deve ancora venire. Iniziano gli anni 80, e sulla grande montagna appenninica c'è un fermento che non si era mai visto prima. Fabio Delisi, Massimo Marcheggiani e Giampaolo Picone compiono la probabile prima ripetizione del primo Pilastro al Paretone che è il più facile dei quattro ma il più lontano da raggiungere; Fabio Delisi e suo fratello Cristiano, ambedue Guide Alpine, mettono piede per la prima volta dopo oltre 20 anni sulla repulsiva parete Est dell'Anticima Nord della Vetta Orientale ed aprono una misteriosa seconda via sulla parete, la via “Paola Banissoni” che non risulta quasi mai ripetuta se non dallo stesso Fabio Delisi in solitaria.
Di Federico ed Enrico De Luca nel frattempo compongono una cordata forte ed affiatata. Aprono una intelligente e bellissima via sul “monolitico” Monolito completamente in libera; Massimo Marcheggiani compie la prima solitaria e forse prima ripetizione della via “Aquilotti 79” al quarto Pilastro del Paretone e pochi giorni dopo apre una via nuova (Naudanda) completamente senza corda nè altro sulla parete Est del Corno Piccolo. Sul quasi dimenticato Torrione Cambi i giovanissimi fratelli Barberi con Stefano Finocchi aprono “Asterix” con un bellissimo ed esposto traverso dichiarato di 7° grado con protezioni classiche.
Qualcuno si accorge finalmente che esiste, nella vicina e bellissima valle Maone, la parete Est del Pizzo Intermesoli. Questa montagna presenta una grande bastionata di roccia eccellente, con l'unico neo che questa si interrompe su dei prati ripidissimi, quindi senza una vetta vera e propria e dalla quale scendere su ripidissimi prati non proprio con le mani in tasca. Dopo le sporadiche sortite degli ascolani Bachetti, Fanesi e pochi altri ora è il romano Donatello Amore a ri-scoprire e aprire diversi itinerari molto logici, eleganti e difficili come la “via Simona” al terzo Pilastro, la “Direttissima” al secondo Pilastro che è il più maestoso e inoltre la “Torre Nascosta” al quarto Pilastro. E' proprio sul secondo Pilastro di Intermesoli che Gianpiero Di Federico con Enrico De Luca apre una delle salite ancora oggi più impegnative dell'intero massiccio usando solo protezioni tradizionali: dichiarano per la prima volta nella storia del Gran sasso l'8° grado nella sezione più complessa. Di Federico dopo un primo tentativo fallito si allenò specificatamente a secco per risolvere il passaggio chiave. Siamo ormai nella proficua estate del 1982: Maurizio Tacchi e Paolo Abbate, fattisi le ossa sulle difficili placche aperte da Bini, aprono due magnifici itinerari: la “via Zarathustra” e la “via Ichosaedro” sulle perfette placche e fessure della prima e seconda Spalla del Corno Piccolo. Nel mese di Luglio il clou viene però raggiunto da Paolo Caruso e Massimo Marcheggiani con l'apertura in due tempi di “Cavalcare la Tigre”: modernissima e all'avanguardia questa via supera in arrampicata mista artificiale e libera estrema un enorme pancione monolitico in piena parete Est del Corno Piccolo, prosegue poi su un lungo ed espostissimo traverso protetto da un unico spit e un paio di chiodi.
Con le corde degli anni 80 era pressoché impossibile una eventuale ritirata dopo superata la volta strapiombante. Cavalcare la Tigre insieme a poche altre sarà e ancora oggi è un banco di prova assoluto. Due mesi dopo Fabio Delisi con Giovanni Bassanini e Simone Gozzano apre la “Via dei Poeti”, probabilmente più difficile della vicina Tigre, superando tetti e strapiombi ma chissà perché quasi mai ripetuta, forse perché la spettacolarità di Cavalcare la tigre è assolutamente unica.
Sulla parete Est della vetta Occidentale del Corno Grande momentaneamente dimenticata, Giuseppe e Roberto Barberi (soprannominati “i vermi”) con Stefano Finocchi e Paolo Abbate aprono la strapiombante ed atletica via “Beppe Aldinio”.
Nell'estate del 1983 sulle lontane propaggini est del Gran Sasso, Massimo Marcheggiani e l'ascolano Marco Florio aprono una friabilissima via sulla parete nord ovest del Dente del Lupo (pericolosa; da non ripetere) e solo un mese dopo lo stesso Marcheggiani apre con Paola Ade una seconda via di 500 metri nel settore alto/sinistro della grande parete del Camicia dove la friabile roccia della parte bassa lascia poi, con meraviglia, spazio a roccia levigata e compattissima. Nella stessa estate anche due alpinisti del piccolo paese di Castelli, situato ai piedi del Monte Camicia si cimentano con le friabili rocce della montagna: Enrico Faiani e Francesco Di Simone aprono due distinte vie; una sul Dente del Lupo e una seconda nella parte più alta della grande parete Nord. La caratteristica che accomuna quasi tutte le vie del Camicia non è altro che la pessima qualità della roccia: da friabile a molto friabile ad esclusione della parte molto in alto, ma nonostante ciò ogni tanto avvengono rare ripetizioni.
Sul Gran Sasso intanto comincia a farsi vivo Tiziano Cantalamessa, autentico fuoriclasse di cui si parlerà molto più avanti nel capitolo “alpinismo invernale”. Cantalamessa è persona da raccontare: nasce ad Ascoli Piceno da una famiglia poco abbiente, smette gli studi per necessità economiche e fa l'operaio metalmeccanico portando soldi in famiglia. Si fa notare subito per la sua intraprendenza quando a 17 anni con Stefano Pagnini e poco dopo essere usciti dal corso di roccia del CAI di Ascoli Piceno, compiono la terza o quarta ripetizione della via “Marsili Panza” al Monte Camicia uscendo in vetta tra pioggia e fulmini. A soli 21 anni una brutta caduta lo inchioda a letto per mesi per una compressione toracica, lesioni alle vertebre e la frattura del polso, ma grazie a una volontà d'acciaio e una grande determinazione torna ad arrampicare con il polso ancora ingessato. Tiziano ha aspettative dalla vita che vanno al di là di uno stipendio più o meno garantito. Si licenzia, si sposa con Renata e facendo salti mortali acquistano insieme un terreno con casolare e si improvvisano allevatori. Diverse mucche da latte diventano l'impegno quotidiano, con pioggia, neve o sole le mucche sono da mungere sempre, tutti i santi giorni. Tiziano è strafelice, non smette un momento di scalare nonostante l'impegno con le bestie e il terreno da coltivare. Diventa sempre più bravo e negli anni matura la convinzione di poter vivere di montagna; si allena moltissimo, diventa Guida Alpina e in centro Italia non c'è stato professionista che abbia lavorato quanto lui, soprattutto su grandi itinerari, invernali e spedizioni. Ha lavoro in grande quantità al punto che torna a vivere ad Ascoli Piceno chiudendo l'attività di allevatore. E' persona affascinante, allegro, coinvolgente e amato. Muore prematuramente a 43 anni sconvolgendo l'intera comunità alpinistica.
Torniamo indietro, agli inizi anni 80. Ristabilitosi dal grave incidente Cantalamessa apre due lunghissimi itinerari sul Paretone, non sui Pilastri ma sul remoto e isolatissimo fianco sinistro: la prima con Bruno Tosti superando sezioni di parete non particolarmente difficili ma con uno sviluppo di oltre 1500 metri dal forte carattere esplorativo. Nel 1983 apre con Alberico Alesi una seconda via, la “Martina” dedicata alla figlia morta prematuramente a pochissimi mesi dalla nascita. La via supera grandi e compatte placconate, strapiombi e diedri a sinistra della Farfalla, con difficoltà di 6° superiore e con uno sviluppo di 1600 metri in un ambiente che più isolato e ostile non può essere. Cantalamessa sarà indiscutibilmente il grande protagonista degli anni 80 e 90 sopratutto nelle sue performance invernali.
La stessa estate Massimo Marcheggiani e Fabio Delisi aprono una spettacolare via sulla repulsiva parete Est dell'anticima Orientale. La grande parete è percorsa soltanto da due vie che tendono a svicolare rispetto alla linea di vetta: è il 14 Maggio quando i due tracciano “Orient Express” raggiungendo la vetta per via diretta con grande intuito e logica, superando alte difficoltà con solo uso di chiodi. Una via di 650 metri che vede l'ultimo tiro di 40 metri (oggi dato di 6A) senza nessuna possibile protezione e con una esposizione inquietante. Cantalamessa ne compirà la prima ripetizione pochi giorni dopo l'apertura con il fratello Roberto e Riccardo Bessio e per circa 20 anni la via non verrà mai più ripetuta. Neanche un mese dopo Cantalamessa con Marcello Ceci apre sulla stessa parete “La riforma agraria”, una via non facile da seguire e dalla chiodatura difficile di cui Marcheggiani fa la prima ripetizione e prima solitaria due anni dopo, non avendo però certezza di aver seguito fedelmente la via nella sua seconda metà, piuttosto complessa da decifrare. Sul Torrione Cambi ancora Fabio Delisi e Marcheggiani aprono “Les freak sont chic” con un passo in placca molto duro e protetto da uno strano chiodo a pressione.
Cantalamessa e Marcheggiani di nuovo sull'Anticima del Paretone aprono “Le nebbie del Paretone”. Questa sezione della montagna, per le sue caratteristiche di grande complessità generale, vedrà praticamente sempre gli stessi, pochi protagonisti che negli anni seguenti si distingueranno anche per eccellenti realizzazioni extraeuropee (Caruso sale in invernale il Cerro Torre; Marcheggiani e Cantalamessa salgono il Fitz Roy in 26 ore no-stop, la inviolata vetta del Baghirati Karak (6702m) nel Garwal e fanno un tentativo alla via polacca alla parete Rupal del Nanga Parbat; Di Federico in Pakistan sale l'inviolato Sia Sish e apre una via nuova in solitaria sull'Hidden Peak; lo stesso Marcheggiani salirà in seguito 7 difficili vette inviolate in Himalaya).
Il dimenticato Pizzo Intermesoli viene scoperto come una ulteriore miniera di possibilità per i fortissimi ormai ex ragazzini romani: Maurizio Tacchi, i fratelli Barberi, Luca Grazzini, Paolo Abbate, Angelo Monti e altri ancora aprono itinerari sempre più difficili dimostrando grandi doti tecniche e intuito. “Ombromanto”, “Silmarillon” “Cosi è se vi Pare” sono solo alcune delle belle e difficili vie inventate sulla eccellente roccia dell'Intermesoli. Va detto che il comodissimo accesso a queste pareti e la relativa facilità di rientro sono elementi molto invitanti per gli Alpinisti/Climber.
Nelle strutture secondarie e più basse di Intermesoli in seguito numerose vie vengono aperte in chiave sportiva, quindi sistematicità di spit e relative doppie attrezzate.
Tornando sulla spettacolare roccia delle Spalle del Corno Piccolo, Cristiano Delisi e Luca Bucciarelli (Guide Alpine) aprono “Aficionados”, itinerario di grande difficoltà, facendo un uso molto parsimonioso di spit. Questa difficile via vedrà la prima ripetizione da parte di Germana Maiolatesi, fortissima alpinista e sci alpinista umbra, che compirà da capo cordata numerose grandi ascensioni (il Pilone Centrale tra le tante altre).
Sulle Alpi in quegli stessi anni vediamo diventare quasi una gara il concatenamento di grandi itinerari. Christophe Profit ne è stato la massima espressione, compiendo memorabili imprese di velocità. E' il 1985 quando anche sul “piccolo” Gran Sasso una vera e propria performance viene messa in atto: Luca Grazzini e Alessandro Jolly Lamberti in mezza giornata superano di fila le vie Alletto-Cravino sulla Ovest della vetta Orientale, dalla vetta scendono circa 500 metri della via Jannetta e poi scalano la via Mario-Caruso al 4° Pilastro: usciti in vetta scendono di nuovo la Jannetta e di gran carriera salgono la diretta Alessandri al 3° Pilastro, anticipando di un anno l'ancora più spettacolare concatenamento di G. Di Federico che in giornata scalerà tutti e quattro i pilastri del Paretone pur avendo scalato il giorno prima una isolata parete nella vicina Majella.
Cantalamessa e Marcheggiani successivamente salgono in 6 ore quattro differenti vie su altrettante pareti del Corno Piccolo.
I fratelli Barberi con Paolo Abbate aprono “Star Trek” a sinistra del pancione di Cavalcare la tigre, via molto logica, superando strapiombi esclusivamente in arrampicata libera e senza spit. E' un periodo davvero esaltante; non passa week end che al Gran Sasso non si parli di vie nuove, di cui ovviamente la stragrande maggioranza sul Corno Piccolo. La vecchia e nuova guardia della SUCAI di Roma è sempre meno presente mentre i giovani romani sopra citati, oltre a Germana Maiolatesi, Roberto Ciato, Romolo Vallesi, Guglielmo Fornari e non molti altri, si “sfidano” in aperture e prime ripetizioni cercando spazi tra le vie già esistenti. Nascono così “M.G. Mondanelli”, “Incontro con Camelia”, “Il filo di Arianna” e la difficile “Narciso e Placcad'oro” di Roberto Rosica che sono solo alcune tra le tante e più moderne. Ovviamente le difficoltà salgono, come sale le quantità di spit utilizzati.
Sul Paretone nel 1987 M. Marcheggiani con Lorenzo Brunelli apre “Fulmini e Saette” sulla parete Est dell'Anticima non intersecando, come sua etica, nessuna altra via preesistente, cosa che ormai quasi sistematicamente succedeva. La via supera i 650 metri di parete con difficoltà di 7° (oggi data 6B+) con solo uso di chiodi e nuts. (Il nome della via rimanda alle condizioni meteo in cui venne superata la parte alta della via).
Tiziano Cantalamessa intanto infila numerose prime ripetizioni di vie principalmente sul Paretone, dove negli anni a seguire supererà le cento ascensioni compiute anche per lavoro come professionista. P. Caruso, dopo l'apertura a spit di quattro difficili vie molto simili tra loro sullo scudo del Monolito, fa la sua ultima comparsa al Gran Sasso con l'apertura della via “Il Nagual e la farfalla”: questa supera nel punto di minor resistenza gli strapiombi de “La Farfalla” posta al di sotto dei quattro Pilastri del Paretone. Caruso, con G. Baciocco e A. Sarchi, risolve i 270 metri della via impiegando 8 (otto) giorni non consecutivi. L'impegnativa salita, risolta in arrampicata mista, ha fatto uso di spit, ancorette, copperhead e tratti in libera ed ovviamente corde fisse. Una via senz'altro impegnativa ma curiosa, che si interrompe infatti al termine degli strapiombi della Farfalla quando per logica sarebbe potuta continuare fino in vetta. Invece, da qui, i primi salitori attrezzate le doppie, ridiscesero. Una performance di ben altro spessore fu invece la prima ripetizione della via da parte del discreto e fortissimo Luca Grazzini che con Alfredo Massini superarò la via in giornata e senza la presenza di corde fisse.
A passo neanche tanto lento la “cultura” dello spit si fa largo nelle nuove realizzazioni, il che è chiaramente logico quando non c'è alternativa alcuna, ma evidentemente per alcuni apritori mettere uno o più spit equivale a marcare un territorio. La dimostrazione palese è davanti agli occhi di chiunque frequenta le pareti del Corno Piccolo: dozzine di spit a fianco di perfette, e dico “perfette”, fessure ben proteggibili diversamente e soste con catene Raumer, riducendo sezioni di montagna a mera falesia. Per cronaca va detto che diverse di queste catene negli anni sono magicamente sparite, segno evidente di un palese dissenso all'addomesticamento indiscriminato dell'alpinismo a cui mi associo senza nessuna remora. E' un discorso che chiaramente non vale per tutti: Roberto Ciato con Paolo Rocca infatti apre due notevoli itinerari sul grande Secondo Pilastro di Intermesoli con molta parsimonia di spit; “Blu Rondò a la turche” e successivamente “Blu tramonto” sono scalate molto difficili e Ciato dimostra grande capacità tecnica, mente salda ed etica indiscutibile. Sullo stesso pilastro non manca certo spazio per nuovi e intraprendenti assalti: la tendenza è ormai la ricerca delle difficoltà pure e Maurizio Tacchi, i fratelli Barberi e P. Abbate aprono dopo diversi tentativi “Terminesoli” con un solo spit nel tratto chiave. Cristiano Delisi e Luca Bucciarelli aprono invece “Forza 17” spettacolare e molto dura con misto spit e tradizionali, mentre ancora sullo stesso pilastro i due fratelli Barberi aprono “Ungoliant” in stile più che pulito. Parliamo di itinerari con difficoltà costanti, spesso di settimo grado e qualcosa di più, a conferma di un livello tecnico raggiunto e consolidato. Sulla parete Sud della Prima Spalla del Corno piccolo Roberto Rosica con F. Gianpietro e M. D'Armenio alza ancora di più l'asticella delle difficoltà con un ottavo grado su placche formidabili e spit molto lontani, dimostrando un sangue freddo non indifferente. A onor del vero però non dobbiamo dimenticare l'ottavo grado di Di Federico e De Luca aperto quasi 10 anni prima e con solo protezioni tradizionali.
Gli anni ottanta erano stati entusiasmanti, ricchi di novità e soprattutto avevano portato alla luce sempre nuovi talenti!
GLI ANNI NOVANTA
ovvero “aperture a tutti i costi”
Se qualcuno aveva vagamente pensato che ormai al Gran Sasso “tutto era stato fatto” beh, doveva ricredersi e di parecchio. Uno di questi qualcuno ero proprio io, che nella mia limitata immaginazione pensavo proprio che i giochi più importanti erano ormai agli sgoccioli.
Una difficilissima via viene aperta sul secondo Pilastro di Intermesoli ad opera dei forti fuoriclasse romani Sebastiano Labozzetta e Luca Grazzini: “Di notte la luna”, questo il nome della via, che presenta passaggi fino al 7b, rarissimi spit e un’ arrampicata molto sostenuta.
Gli infaticabili ex ragazzini (il tempo passa per tutti!) Giuseppe e Roberto Barberi continuano la loro ricerca di spazi vergini dove inventare ancora nuove vie così come Grazzini, Abbate, Maurizio Tacchi e svariati loro compagni. Inventano “In vino Veritas”, “King Cong's crak” sui pilastri di Intermesoli, oppure “Kaisentlaia”, “Gargamella” sulle Spalle del Corno Piccolo sempre con difficoltà elevate e con spit praticamente assenti.
Già sul finire degli anni 80 era comparso al Gran Sasso Roberto Iannilli che aveva posato occhi curiosi sulla assolata parete Est della vetta Occidentale trovando spazi ancora liberi e aprendo “Tempi postmoderni” e “Far finta di essere sani”. Iannilli vive sul mare, a Ladispoli e sembra scatenato. Trova spazi vuoti in maniera quasi spasmodica. Apre ancora “Intifada” poi “L'isola non trovata” e ancora “Il vento dell'Est”, “Demetrio Stratos”, “Senza orario e senza bandiera”, tutte sulla relativamente grande stessa parete Est, infilandosi tra una via preesistente e l'altra ma intersecandone per forza di cose diverse altre. Sul vicino Torrione Cambi non sfuggono a Iannilli altri potenziali spazi liberi; sulla assolata parete Sud apre in due giorni diversi e con Andrea Imbrosciano “Musica nova”, protetta a spit con passaggi dichiarati di 8° grado. Sempre in due giorni diversi apre “Farabundo Martì”, con Imbrosciano e Patrizia Perilli, ricorrendo anche qui a protezioni anche a spit. Sulla estrema destra della stessa parete i sempre presenti fratelli Barberi con Paolo Abbate aprono con solo chiodi e friends la bellissima e difficile “Thorin scudo di quercia”.
Agli inizi degli anni 90 la presenza femminile sui grandi itinerari era ancora una rarità, soprattutto nella conduzione delle cordate. Le rare ragazze in parete erano spesso mogli o fidanzate, che al seguito di “bravi” maschi salivano svariati itinerari ma rigorosamente da gregarie. Non era così per la già citata Germana Maiolatesi che compie un'infinità di ripetizioni importanti come Orient Express, Star Trek, Demetrio Stratos, Fulmini e saette, Il Vento dell'est rigorosamente da capocordata o a comando alternato. Germana compirà anche diverse salite invernali e difficili discese estreme con gli sci e ad oggi la sua attività al femminile non ha confronti.
Lo scatenato Roberto Iannilli, con compagni diversi apre vie su vie su qualsiasi parete della grande montagna. Sulla Est del Corno Piccolo, sulle tre Spalle, alle Fiamme di Pietra, al Pizzo Intermesoli, sulla vetta Occidentale, al Torrione Cambi, sulla vetta Centrale... ovunque Iannilli si infila tra una via e l'altra, spesso intersecandone più di una e ricorrendo con relativa parsimonia agli spit e alla scalata artificiale. In una forma quasi antagonista anche Fabio Lattavo, spesso con la compagna Luana Villani, va alla ricerca di spazi tra una via e l'altra usando anche egli spit senza tanti scrupoli. Va detto che l'avvento dell'arrampicata sportiva induce all'ingaggio sulla ottima roccia del Gran Sasso, dove ormai il concetto esplorativo è praticamente messo da parte o addirittura dimenticato.
Una meteora di nome Marco Sordini compare aprendo in uno stile encomiabile due bellissime vie; “Viaggiatore incantato” e “La forza dell'amore” sono le sue due uniche firme sulla montagna. nella seconda, con difficoltà fino al 6b+, non fa assolutamente uso di spit. Marco Sordini ci sgomenta quando, giovanissimo, si toglie la vita.
Mi rendo conto che a questo punto della relativa storia del Gran Sasso rischierei di fare un fac-simile di un elenco telefonico se mi mettessi a riportare la enorme quantità di vie aperte. Cercherò di filtrare a mio giudizio le salite che possano aver avuto una certa importanza sia per la ricerca esplorativa che per la difficoltà. Molte delle vie aperte, incastrate tra una via e l'altra e spesso poco o per niente d'avventura, dal punto di vista storico-evolutivo non hanno grande storia. L'ormai diffuso uso di spit e le relative doppie attrezzate che evitano astutamente il prosieguo verso un fine parete con relativa discesa, rendono queste scalate simili alle multi-pitch di falesia, sempre meno identificabili nel termine “alpinismo”.
Cerchiamo ora delle eccezioni.
Luca Grazzini e Alfredo Massini concatenano velocemente quattro vie tra le più difficili del Monolito impiegando appena mezza giornata. Come già accennato poco sopra, gli stessi avevano compiuto la prima ripetizione del “Nagual e la farfalla” in giornata (Caruso e C. avevano impiegato 8 giorni non consecutivi e corde fisse)
Roberto Iannilli nel frattempo sembra non trovare pace: scala con un ritmo serrato cercando continuamente spazi vuoti da riempire (un capitolo di un suo libro non a caso è : “Sindrome dell'apritore di vie”!) ma non trascura nel frattempo di compiere anche diverse salite in solitaria. Sulla grande parete Nord del monte Camicia Roberto sale inizialmente un pilastro situato nella parte alta della parete calandosi dall'alto e aprendo la via “Nirvana” ma quella che invece è una bella realizzazione da grande alpinismo è l'apertura di “Vacanze romane”. Insieme a Ezio Bartolomei sale dal basso la grande, friabile e a tratti erbosa parete in due giorni. Ancora Roberto, sempre con Ezio Bartolomei, ripete la via di Caruso sulla Farfalla, ma a differenza di altri ripetitori non scende in corda doppia bensì trova una continuità verso l'alto. Con difficoltà decisamente più facili dà finalmente un senso compiuto alla salita di Caruso. Roberto apre ancora vie su vie; diversi anni dopo (nel 2016) nella sua continua esasperata ricerca di spazi torna sulla parete del Camicia con Luca D'Andrea. Purtroppo vengono trovati ambedue ai piedi della parete dopo una fatale caduta. Sul monte Camicia la possibilità di alzare l'asticella delle difficoltà è un azzardo decisamente troppo elevato.
Sempre nella seconda metà degli anni 90 Massimo Marcheggiani apre due vie sul versante Sud del Paretone, a sinistra della via di Consiglio e Alletto del '57. Un accesso molto complicato e totalmente isolato porta ad uno scudo di roccia di 350 metri ancora mai salito: Marcheggiani con Gino Martorelli apre inizialmente “Capo Horn”, ripetuta una sola volta da Leone Di Vincenzo e Marco Sprecacenere, successivamente con Alberto Miele apre “I muscoli del Capitano” con difficoltà massime fino al 6° grado, protezioni veloci e senza intersecare nessun altro itinerario. La via al momento non risulta ripetuta.
Il giovanissimo teramano Lorenzo Angelozzi compie la prima solitaria di “Orient Express.
Due non proprio ragazzini, Luciano Mastracci e Marco Marziale, si dedicano quasi esclusivamente a ripetizioni estive ed invernali di alto livello e in pochi anni arricchiscono come pochi il proprio carnet. Tiziano Cantalamessa si dedica intanto esclusivamente alla professione di Guida Alpina, oltre a realizzare grandi scalate invernali per il proprio diletto. Lavora in tutte le stagioni e non solo nei fine settimana. Io stesso, frequentando il Gran Sasso in qualsiasi giorno della settimana, lo incontravo spessissimo, in parete o al piazzale di Prati di Tivo con clienti. Non c'è stata Guida che abbia lavorato con un ritmo equiparabile al suo; la peculiarità di Cantalamessa era non solo “portare” clienti, ma spesso “insegnare” ai clienti come fare alpinismo. Formava cordate che scalavano, con la sua supervisione, ma in autonomia. Bastava la sua presenza per dare imput positivi a chi cresceva alpinisticamente. Dopo oltre dieci anni di professione ad alti livelli, con salite anche in Himalaya, in Africa o in Cile, una drammatica casualità interrompe tutto. Durante la salita del Canale Jannetta a fine aprile del 1998, una imprevedibile slavina uccide tre componenti del corso che Tiziano stava tenendo. La magistratura così come i periti di parte non trovano colpe di nessun genere verso il suo operato ma è lo stesso Cantalamessa però a non assolversi e a “condannarsi”. Abbandona immediatamente la professione e l'alpinismo. Trova lavoro con il fratello Roberto nella ditta di consolidamento di pareti rocciose e qui, per un banale errore, Tiziano trova la morte e noi perdiamo un grande grande uomo e alpinista.
Come non ricordare poi il bravissimo Stefano Zavka con il suo stile elegante e veloce? Stefano, prima guida alpina umbra, in silenzio meraviglia tutti noi quando compie la prima solitaria del “Nagual e la farfalla” il giorno del suo compleanno. Compie altre belle ripetizioni ma un tragico destino lo vede scomparire tragicamente mentre scende dalla vetta del K2.
Il Gran Sasso, ma principalmente il Corno Piccolo, nelle assolate domeniche estive di questi ultimi anni brulica di decine e decine di scalatori intenti a ripetere le ormai centinaia di vie. La maggiore frequentazione la si ha ovviamente sulle vie più garantite. Molte vie “plaisir” sono state aperte sulle pareti più comode da diversi scalatori. La presenza degli spit è chiaramente un incentivo per chi non si sente “avventuriero” e per questo a volte sulle vie più gettonate si creano ingorghi umani ma scalare al Gran Sasso è sempre fortemente appagante.
Nel frattempo nuove generazioni ogni tanto sfornano grandi scalatori che amano mettersi in gioco: uno in particolare (ma che tanto giovane non è) è il francese Bertrand Lemaire. Vero talento importato nella capitale, Bertrand nel 2008 apre con Roberto Rosica l'itinerario più duro dell'intero Appennino Centrale. “L'erba del diavolo” sul secondo Pilastro di Intermesoli aperta con pochissimi spit, chiodi e friends. Non è stata gradata. Lemaire e Rosica raccomandano a eventuali ripetitori di sapersi muovere con fermezza e a vista sul 7b, soprattutto nel tiro chiave dove una caduta potrebbe avere gravi conseguenze. La via è stata ripetuta da tre autentici e giovanissimi portenti che stanno silenziosamente portando avanti un alpinismo di grande qualità: anche Lorenzo Angelozzi, Daniele De Patre ed Emanuele Pontecorvo dopo la prima ripetizione, quasi esclusivamente in libera dell' ”Erba del Diavolo” non hanno voluto dare un grado di difficoltà.
Pontecorvo, in grande forma, nell'estate 2014 apre una nuova via sulla parete Est dell'anticima Orientale: insieme con Marco Cristell si insinua con grande astuzia tra “Fulmini e Saette” e la “Paola Banissoni” con un tracciato diretto, autonomo e molto difficile intersecando, forse, la Banissoni soltanto nei pressi della vetta. La via viene chiamata “Generazione P” (P sta per precari...?) ed è, tra la valanga di vie spesso scontate aperte sul Corno Piccolo o Intermesoli, una scossa alla staticità della ricerca e avventura ormai sopita. Soltanto Pontecorvo e una manciata di altri ragazzi oggi hanno queste qualità. Infatti, tra i pochissimi, ci sono guarda caso Lemaire e Cristell che aprono sul fianco destro della Farfalla un itinerario difficilissimo nello stile “Lemaire” che richiede loro due puntate di due giorni ciascuna per venire a capo di “Little wing”. Tra i pochissimi ritroviamo anche, e sempre non a caso, Lorenzo Angelozzi, Daniele De Patre e l'ormai veterano Andrea di Pascasio che rispondono alla chiamata aprendo, a quasi cento anni dalla prima salita del Paretone (1922), la loro via “Stesso identico umore” senza l'ombra di uno spit nonostante la elevata difficoltà della nuova via.
Dove? Sul Paretone della Vetta Orientale del Corno Grande, ovviamente!
Termino con queste pagine la parziale storia alpinistica della montagna più intrigante dell'intero Appennino Centrale.
Colgo l'occasione per invitare i cari colleghi accademici a visitare il Gran Sasso, sono certo che non ne resteranno assolutamente delusi.
Il mio prossimo e ultimo articolo sarà quello sull'alpinismo invernale, che ha una intrigante storia tutta sua.
Massimo Marcheggiani