Non starò a ripetervi il resoconto degli attacchi alla libertà (di accesso e di rischiare) che si sono verificati (e nel futuro si moltiplicheranno) da parte dei professionisti della sicurezza, delle autorità locali miopi e allergiche a qualsiasi fastidio, di qualche politicante desideroso di far parlare di sé, di giornalisti in cerca di visibilità.
Vi ricordo soltanto che il problema è mondiale, e non riguarda solo l’alpinismo; l’ossessione della sicurezza è endemica nelle società avanzate, sicché probabilmente l’Osservatorio di cui vi parlo dovrà nel futuro estendere la sua attività ad altri campi.
Se non si reagisce ci troveremo ad andare in giro per città in bicicletta col casco, a sciare col casco, a nuotare fuori del bagnasciuga solo se accompagnati da sorveglianti e cosi via. Voglio insistere sul punto che si tratta di un problema etico fondamentale, dell’ esistenza di forme di libertà che non debbono essere conculcate, a meno che non arrechino serî danni al nostro prossimo, come fin dall’Ottocento hanno dichiarato i padri della società liberale, per esempio John Stuart Mill. Sicché dobbiamo reagire duramente nei confronti di chi ci accusa di essere persone dissennate o ingenue se ci battiamo per le libertà in alpinismo, il primo campo in cui le minacce per la libertà si fanno facendo particolarmente sentire. Se li lasciamo fare ci troveremo a potere accedere alle montagne solo se avremo un tesserino che attesti le nostre capacità, come accade in Russia ed in Azerbaijan.
Per questo alcuni alpinisti, fra cui con me Claudio Picco e più recentemente Alessandro Gogna ed altri che per il momento non cito, sostengono che c’è bisogno di un OSSERVATORIO PER LE LIBERTÀ, un reticolo di persone che stanno all’erta e si preparano a combattere le minacce alle libertà. Ad essi mi riferisco quando dico NOI, non è un pluralis maiestatis. Altri si sono mossi prima di noi: sono qui presenti, Carlo Bonardi, Maurizio dalla Libera, Giacomo Stefani e il nostro past President Prof. Salsa.
Però noi ora diciamo: non basta scriverne sulle nostre riviste. Bisogna agire. Se in questo crediamo, dobbiamo soprattutto preoccuparci di due cose: CAPIRE e FAR CAPIRE: CAPIRE come la pensa l’uomo della strada, ed anche purtroppo tanti frequentatori della montagna (e persino alcuni che si dicono alpinisti) e FAR CAPIRE perché ci muoviamo, FAR RIFLETTERE i nostri concittadini.
E siccome il problema è mondiale, ha senso cercare di estendere l’OSSERVATORIO agli altri paesi, cominciando da quelli in cui più diffusa è l’attività alpinistica. Intendo riferirmi alla UIAA (….) che sto cercando di convincere a sostenere autorevolmente questo progetto, anche se la sua struttura non le consente di agire in proprio, ma soltanto attraverso le sua Associazioni (come il nostro CAI). Questo progetto è considerato con benevolenza dal Past. Pres. Prof. Salsa e dal Pres. Martini; si ispira a ciò che è già stato deciso, a livello nazionale, in Francia. Prima di entrare in qualche dettaglio vorrei insistere sui due suddetti passi necessarî: capire e far capire.
Capire. Capire che cosa pensa la gente. L’intelligente iniziativa di Alessandro Gogna, con la inchiesta attraverso lo Scarpone, è un primo scandaglio dell’opinione pubblica. Fatto attraverso la nostra stampa, ha ottenuto praticamente il 100% di consensi entusiastici; però non dobbiamo fermarci qui, forse solo gli alpinisti favorevoli hanno risposto. A questo proposito debbo confessare che da alcuni alpinisti ho avuto stupefacenti reazioni:
Mi sembrano più comprensibili le obiezioni dell’uomo della strada, che conosciamo. Su questo punto bisogna ancora sforzarsi di analizzare le varie critiche, e qui sta il primo compito dell’Osservatorio. Poi viene il secondo punto fondamentale:
Far capire. Cioè convincere la gente dei nostri argomenti. Qui senza l’OSSERVATORIOnon si fa niente. Un’azione diretta e pervasiva è necessaria. Far sì che la gente si chieda, per esempio: come fanno certi giornali a criticare chi affronta il rischio e nel contempo esaltare le imprese di Messner o di – visto che siamo a Bergamo – Simone Moro? E tutta la retorica che pervade molte esternazioni del CAI, a cominciare dalla “lotta con l’Alpe” (esaltata un tempo nelle nostre tessere), avrebbe senso se l’alpinismo si limitasse alle scampagnate? È vero che i costi per il Servizio Sanitario dovuti ad incidenti alpinistici sono una parte non trascurabile del totale? E quelli del soccorso alpino, se sono veramente alpinisti che operano volontariamente per spirito di solidarietà, perché non parlano quando sorgono le polemiche? L’OSSERVATORIO dovrà rendere note le statistiche degli incidenti ed il loro costo – ben maggiore – per tante altre attività che giustamente la libertà consente e battersi per una valutazione più corretta dei rischi in alpinismo da parte delle assicurazioni.
Bisogna reagire attraverso l’attività pervasiva di un Osservatorio. Limitarsi ad articoli, che poi diventano noiosi, sulle nostre riviste non basta. Non basterà neppure cercare di agire direttamente sulle Associazioni della UIAA, cioè per intenderci sui varî Club Alpini. Faccio un riassunto della lettera che l’allora Presidente della UIAA, Ian McNaught Davis, inviò ai Presidenti delle Associazioni nel 1995 (si parlava, allora, di vincoli all’accesso, cosa ben più giustificabile delle attuali tendenze a ridurre la libertà di rischiare):
<< Il Consiglio d’Europe 1995, sotto la pressione dei ministri per l’ambiente, ha emesso il seguente appello ai Governi: proibire l’arrampicata e il deltaplano al di fuori di zone limitate e l’arrampicata in zone importanti dal punto di vista biologico e ambientale. Noi della UIAA riteniamo, per esperienza, che l’arrampicata e il rispetto per l’ambiente siano perfettamente compatibili. Molte delle nostre federazioni danno un contributo alla conoscenza e al rispetto dell’ambiente. Sollecito i Presidenti delle nostre Federazioni ad agire, presso i Ministeri competenti, affinché il documento del Consiglio sia rivisto, nel senso di richiedere soltanto un ragionevole e giustificato intervento protettivo dell’ambiente in casi particolari. >>
Questa lettera è sparita nel vuoto, non solo non ha avuto seguito, ma neppure si trova negli archivi delle Associazioni (e nemmeno in quello della UIAA).
Ci vuole altro, ecco il perché dell’Osservatorio. Pensate che si tratti di un progetto utopistico? A me sembra di no:
Come concepire questo OSSERVATORIO ?
Dico subito che non siamo così ingenui da pensare che, dopo l’iniziativa di poche persone per non tergiversare troppo, il CAI non non debba avere un ruolo determinate, anzi lo desideriamo come essenziale. Quello che sto per dire è dunque soltanto la visione che Gogna, Picco ed io e pochi altri abbiamo per ora. Però se il CAI non si muoverà cercheremo di andare avanti per convincerlo. Le amministrazioni locali e regionali stanno lavorando a schemi di confinamento e “normalizzazione”.
Pensiamo ad un Comitato Provvisorio di Gestione. Il Comitato terrebbe i rapporti con molti membri dell’Osservatorio distribuiti sul territorio. Ne dovrebbero far parte alcuni giuristi e giornalisti di vaglia, e forse un esperto in comunicazioni. Naturalmente non abbiamo dormito, abbiamo già dei nomi. Pensiamo addirittura ad un Gruppo di Saggi, costituito dal CAI, che potrebbe avere funzione di controllo dell’Osservatorio ed anche aiutarlo col rendere la sua azione più efficace nei confronti del pubblico. La cosa più difficile sarà creare la rete distribuita sul territorio, ma anche qui abbiano la nostra proposta, che però richiede il supporto del CAI: speriamo che alcune Sezioni aderiscano al nostro progetto; in questo caso esse potrebbero designare una loro persona di collegamento con l’Osservatorio.
Speriamo infine che un rappresentante del Soccorso Alpino faccia parte del Comitato, per dimostrare che gli uomini del soccorso operano spinti dalla loro solidarietà di alpinisti nei confronti di alpinisti. Altrettanto dicasi dell’ Associazione Guide, perché il pubblico comprenda che la loro professionalità non comporta una mancanza di rispetto per la libertà.
Compiti dell’Osservatorio
Dopo quanto ho detto, sono abbastanza ovvî. Non insisto su dettagli, se ne potrà parlare durante le discussioni. Sarà importante insistere sulle STATISTICHE e agire sulle ASSICURAZIONI. È ingenuo sperare in una pressione del CAI dei confronti dello Stato su questo punto ?
Faccio infine notare una inevitabile conseguenza di eventuali vincoli alle libertà: la spittatura delle vie classiche e il graduale confinamento delle attività a zone addomesticate.
Collegamenti internazionali.
Come ho detto, sono essenziali perché il problema è mondiale. Siamo già in sintonia con la Francia, ma speriamo che l’estensione dell’OSSERVATORIO avvenga attraverso la UIAA. Non dimentichiamo, però, che per chi crede nel principio etico della libertà è naturale pensare che l’attività dell’Osservatorio si estenda gradualmente anche al di fuori dell’alpinismo. Avete già sentito che il Consiglio d’ Europa menzionò il deltaplano.
Nel campo della UIAA ho già fatto numerosi passi e ottenuto consensi, ma è ancora presto per parlare di successo. Fra l’altro le recenti turbolenze, che hanno portato alle dimissioni il presidente e alcuni suoi stretti collaboratori, vanificano un parte dei miei sforzi. Ma ho in quell’ambiente numerosi consensi, e sono ottimista. Certo, l’ideale sarebbe che il CAI agisse ufficialmente, assieme alle associazioni francesi, nei confronti della UIAA. Qui le perplessità sono giustificate. Spero che il rientro probabile della Germania e dell’Austria nella UIAA accresca l’efficacia della nostra azione.