Il fascino del Greuvetta
Ugo Manera ripercorre la storia delle prime salite alla Parete Est
Ottimizzazione e grafica A. Rampini
Domenica 14 luglio 2024, sulla parete Est del Mont Greuvetta nel massiccio del Monte Bianco, una caduta di pietre ha travolto Marco Bagliani e Luca Giribone strappandoli da una sosta nella parte alta della parete e facendoli precipitare fino sul ghiacciaio. Della cordata faceva parte anche Luciano Peirano che al momento dell’incidente stava arrampicando. Non è stato trascinato nella caduta solo perché le pietre hanno tranciato la corda che lo legava ai due sfortunati compagni. Peirano è stato soccorso e portato in salvo dall’intervento dell’elicottero del Soccorso Alpino.
Tutti e tre erano soci del Club Alpino Accademico Italiano. Il più giovane, Luca Giribone, era appena entrato nel Club ed io lo avevo conosciuto alla presentazione dei nuovi soci. Scorrendo la sua cospicua attività alpinistica avevo scoperto il suo interesse per le selvagge pareti del Massif des Ecrins, passione che, in passato, aveva tanto spinto anche me verso quelle severe pareti. Conoscevo invece Marco Bagliani da molti anni, era anch’egli istruttore alla scuola di alpinismo Giusto Gervasutti ed avevo presentato io la sua proposta di ammissione all’ Accademico.
Mont Greuvetta Parete EstLuciano Peirano mi aveva chiesto un anno prima notizie sulle vie che avevo aperto sulla parete Est del Greuvetta manifestando il suo interesse per quell’angolo affascinante ed un po’ misterioso del Monte Bianco. Io, che conservo ancora le relazioni tecniche scritte a mano di quasi tutte le vie che ho aperto, le avevo scansionate e gliele avevo spedite.
La tragedia del 14 luglio è avvenuta sulla prima delle vie aperte sulla parete Est, quella tracciata da me e da Claudio Sant’Unione nel lontano 1974. Ciò accresce ancora, se possibile, il mio rammarico per quanto è successo.
Il vallone di Greuvetta è tributario della val Ferret ed è incastrato tra i più lunghi valloni di Freboudze e del Triolet. È relativamente corto ma selvaggio ed impervio e racchiude un ghiacciaio non ampio ma molto tormentato. È dominato dalla parete Est che, dopo l’appicco sottostante la cima principale, si prolunga verso Sud fino al Piccolo Greuvetta.
Feci la scoperta del Greuvetta scorrendo il secondo volume, appena uscito, della guida del Monte Bianco edizione 1968. Allora ero già contagiato dalla mania della scoperta e la pubblicazione di ogni guida alpinistica era l’occasione per scoprire qualche parete non ancora salita. A pagina 229 il pregevole schizzo di Renato Chabod della Est del Greuvetta attirò la mia attenzione. Su tutta l’ampia parete non vi erano indicate vie di scalata. L’unica via a raggiungere la cima principale era quella tracciata sullo spigolo meridionale da una forte cordata di militari di stanza ad Aosta nel 1942.
Iniziò così la mia infatuazione per il Greuvetta. Già nell’estate del 1969 convinsi tre amici, Ezio Comba, Ennio Cristiano e Pierin Danusso, ad effettuare un tentativo. Dopo aver rischiato di essere travolti dalle acque nell’attraversamento del torrente della Val Ferret, salimmo direttamente nel vallone del Greuvetta. Non vi erano tracce di sentiero ma ovunque erano visibili segni di pietre cadute dall’alto, era evidente che eventuali pietre provenienti dalle pareti sovrastanti, non trovando interruzioni lungo il ripido pendio, giungevano fino in fondo. Fu con un bel po’ di apprensione che salimmo fino alla morena del ghiacciaio, intanto il tempo era cambiato e cominciò a piovere.
In tutto l’alto vallone non vi sono anfratti dove trovare riparo, sulla morena vi era un solo grande masso contro il quale trovammo alcune pietre accatastate a forma di riparo, tracce di qualche nostro predecessore, forse i salitori dello spigolo nel 1942. Cercammo di migliorare il riparo con scarso successo e lì trascorremmo due notti ed un giorno nella vana speranza di un miglioramento che non giunse. Non riuscimmo neanche a vedere la parete oggetto dei nostri desideri, sempre avvolta dalle nebbie. Delusi scendemmo a valle con la preoccupazione di vederci arrivare alle spalle qualche pietra proveniente dall’alto.
Il Greuvetta restò nei miei pensieri ma vi feci ritorno solo nel 1974; il complicato approccio, la convinzione che non vi fossero molti concorrenti per quella parete e tanti altri obiettivi che avevo in testa contribuirono a tenermi lontano. Un giorno però, in occasione di una camminata in val Ferret con Claudia, la mia bambina, mi portai appresso un potente binocolo proprio per osservare la Est del Greuvetta. Quel giorno, grazie allo strumento, feci due scoperte: sulla parete mi parve di scorgere il possibile tracciato di una via e, relativamente all’approccio, vidi che nell’alto vallone di Greuvetta si poteva accedere passando dal Triolet, evitando così i rischi della salita diretta della prima parte del vallone. In quel momento avevo anche un socio pronto ad accogliere la mia proposta: Claudio Sant’Unione.
Claudio Sant'Unione sulla prima lunghezza della Via del 1974
Sulla via del 1974
Il 12 agosto 1974 ci avventurammo lungo il vallone del Triolet cercando sui fianchi del massiccio del Greuvetta un passaggio che ci consentisse di salire sufficientemente in alto da poter raggiungere, con traversata orizzontale, la morena del ghiacciaio di Greuvetta. Trovammo il passaggio e, sebbene non ci fossero tracce, salimmo abbastanza agevolmente lungo ripidi prati e qualche zona detritica. Fascino su fascino: trovare ancora, diretti verso un angolo del Monte Bianco bello e selvaggio, un accesso senza alcuna traccia di passaggio umano. Da allora quel percorso è diventato l’accesso al Greuvetta e recentemente è stata posta una passerella per attraversare l’impetuoso torrente che scende dal Triolet.
Dalla mia precedente esperienza sapevo di non trovare ripari per la notte per cui ci portammo una tendina che contavamo di ricuperare dopo la salita della parete Est e la discesa dalla “normale” sul versante Ovest, con una lunga traversata orizzontale dal vallone del Freboudze che, secondo Renato Chabod, era fattibile; compimmo effettivamente quella traversata per ricuperare la tendina, ma fu una vera avventura che ci richiese ben 5 ore.
A parte una fresca doccia dovuta ad una cascatella che pioveva sulla fessura di attacco, fu una magnifica scalata lungo un percorso logico ed impegnativo, arrampicata che scatenò il nostro entusiasmo. Giungemmo in vetta al tramonto e quella bella giornata si concluse con un comodo bivacco in vetta al Greuvetta. Avevamo anche visto da vicino che in quel vallone vi erano altri tesori da scoprire per cui bisognava farci ritorno.
Scarica qui la relazione originale della Via della Parete Est 1974 Manera/Sant'Unione.
Furono degli scalatori francesi di Lione a precedere un nostro ritorno. Jean Bernard e Frédéric Favre ripeterono la nostra via e, successivamente, ne aprirono un’altra con attacco in comune e con successivo sviluppo sulla sinistra della via del 1974: la via Domino.
Mont Greuvetta Parete Est
Isidoro Meneghin sul Mont Rouge de Greuvetta
L’incursione francese sul Greuvetta Est non attenuò il mio interesse per il selvaggio vallone, ma esso momentaneamente si orientò verso la parete che sottende la lunga cresta che dalla cima principale si protende verso Sud. Con quell’obiettivo due volte risalii il percorso che avevamo scoperto Claudio ed io. Una volta erano con noi Andrea Castellero e Pietro Giglio ma fummo ricacciati dal peggioramento del tempo. Una seconda volta, sempre con Claudio, risalimmo nel pomeriggio un lungo e facile sperone che portava alla base della lunga parete più o meno nel suo tratto centrale. Quivi giunti notammo, proprio sopra il punto che avevamo scelto per porre il nostro bivacco, uno spezzone di corda e due staffe appese a dei vecchi chiodi, residui di un tentativo molto antico perché corda e cordini erano ancora di canapa. Neanche quella volta fummo fortunati, nella notte cadde una spanna di neve ed al comparire del giorno dovemmo ridiscendere lo sperone facendo molta attenzione a non scivolare sulle facili placche bagnate.
Parete Est del Greuvetta e Mont Rouge di Greuvetta
Mont Greuvetta Parete Est
Quel giro poco fortunato non fu del tutto inutile: salendo il facile sperone avevo notato che dal lato opposto del vallone il Mont Rouge de Greuvetta presentava un pilastro rivolto a Sud Ovest dall’aspetto molto interessante. Divenne un nuovo obiettivo e con Isidoro Meneghin decidemmo una nuova visita. Il 4 agosto 1981 eravamo nuovamente lì a salire per l’ormai, per me, familiare percorso verso il ghiacciaio di Greuvetta. La nuova via ci riservò una arrampicata di soddisfazione su ottimo granito. Mentre ero fermo alle soste ebbi modo di osservare e fotografare l’imponente parete Est della cima principale e di tracciare con la fantasia nuovi itinerari molto promettenti, soprattutto mi colpì un evidente pilastro posto a sinistra delle due vie allora esistenti. Scarica qui la relazione originale della Via del Pilastro Sud Ovest del Mont Rouge de Greuvetta.
La mia curiosità per quel luogo non era rivolta esclusivamente verso il nuovo, mi interessava anche porre le mani sulla via del 1942 lungo lo spigolo che delimita a sud la parete, così, in compagnia di Antonio Cotta, Mario Ogliengo e Dante Vota, vi feci un tentativo in una bella giornata di agosto. Un tragicomico incidente, che non sto a descrivere, successe alla seconda cordata composta da Ogliengo e Cotta e a causa di esso Antonio si rifiutò di proseguire. Io, che non mi fidavo troppo del mio secondo, decisi a mia volta di interrompere la scalata.
Proprio nel periodo in cui elaboravo nuovi progetti sul Greuvetta mi cercò Gian Carlo Grassi chiedendomi se avevo da suggerire qualche luogo degno nel massiccio del Monte Bianco ove porre un bivacco fisso a ricordo del monregalese Gianni Comino. La sezione CAI di Mondovì aveva infatti intenzione di costruire un bivacco dedicato al forte ghiacciatore caduto sui seracchi della Poire della parete della Brenva il 28 febbraio 1980. Senza esitazioni suggerii il vallone di Greuvetta indicando, come luogo idoneo, la spalla che si affaccia verso il Triolet. Successivamente non ebbi occasione di seguire l’evoluzione di tale iniziativa.
Laura Ferrero sulla morena del Ghiacciaio di GreuvettaIl 1982 fu un anno ricco di belle realizzazioni alpinistiche ma verso la metà di agosto, mentre ero in vacanza con la famiglia in valle d’Aosta, mi trovai momentaneamente senza compagni per combinare qualche salita impegnativa. Avevo in mente di tentare il pilastro che avevo notato l’anno prima sulla Est del Greuvetta ed allora iniziai a girare per i campeggi della val Ferret alla ricerca di un compagno di cordata. Al campeggio Grandes Jorasses incontrai Laura Ferrero, anche lei era lì da sola con il medesimo mio problema. Circa un mese prima, insieme a Franco Ribetti e Giovanni Bosio avevamo realizzato una gran bella salita: il primo percorso integrale della cresta di Tronchey alle Grandes Jorasses. Laura, in cordata con Bosio, si era sobbarcata egregiamente il gravoso compito di recuperare i chiodi infissi dalla prima cordata.
La mia proposta destò entusiasmo in Laura così decidemmo di partire al più presto, destinazione Greuvetta. Contavamo di bivaccare sotto le stelle negli ultimi ripiani prativi prima della morena ma ancora una volta il tempo si dimostrò inclemente, quando eravamo già molto in alto cominciò a piovere. Sapevo benissimo che su quei pendii non esistevano ripari atti a proteggerci dalla pioggia ma comunque feci scorrere lo sguardo verso l’alto alla ricerca di qualche anfratto tra le rocce. Ad un tratto il mio sguardo si fermò su una costruzione nuova di zecca: era il bivacco Comino, appena eretto dalla Sezione di Mondovì del CAI; iniziativa della quale non avevo più seguito lo sviluppo. Fu per noi una gran bella sorpresa. Anche se ancora sprovvista di ogni arredo, la nuova costruzione ci consentiva di trascorrere la notte al riparo dalla pioggia. Piovve tutta la notte ma al mattino seguente il tempo diede qualche segno di miglioramento, decidemmo così di trascorrere la giornata al nuovo bivacco e di tentare la salita il giorno successivo.
Laura Ferrero sul Pilastro del Sorriso
Ugo Manera sul Pilastro del Sorriso
In discesa dal Pilastro del SorrisoPartimmo che era ancora notte fonda e la prima luce del nuovo giorno ci raggiunse quando eravamo già sul tormentato ghiacciaio. Non ebbi difficoltà ad individuare un possibile attacco del pilastro nostro obiettivo. Superata la crepaccia tra ghiaccio e roccia lasciammo appesi ad un chiodo scarponi, picozze e ramponi ed indossammo le scarpette d’arrampicata. Una sorpresa ci attendeva sui primi metri di scalata su roccia: trovai alcuni chiodi infissi nelle prime fessure, qualcuno era passato prima di noi proprio in quel punto. La mia preoccupazione di essere stati preceduti ebbe però fine pochi metri più in alto quando trovai due chiodi con cordino: chiaramente una sosta da corda doppia. Il tentativo precedente al nostro era terminato lì. Il pilastro ci riservò una arrampicata superlativa su un granito perfetto: placche, fessure, strapiombi, ci impegnarono seriamente ma destarono in noi un grande entusiasmo per la scalata. La mia compagna, sempre sorridente, recuperava con perizia e decisione i chiodi che io infiggevo.
Al tramonto non eravamo ancora fuori dalle difficoltà e ci toccò approntare un bivacco su un esile terrazzino ancorati ai chiodi. Per la mia compagna di cordata, che già aveva provato un bivacco ad alta quota in vetta alle Grandes Jorasses, dopo l’integrale alla Tronchey, era il primo bivacco veramente in parete.
Il mattino seguente, sempre con tempo splendido, superammo le ultime difficoltà fino al termine della via, poi una lunga serie di calate in corda doppia ci riportò alla base della parete ove avevamo lasciato l’attrezzatura non necessaria per la scalata. Scendendo soddisfatti per i due giorni trascorsi in parete mi parve doveroso dedicare la nuova via alla mia compagna che, sempre con il sorriso sulle labbra, si era comportata così bene. Avevamo tracciato la via del “Pilastro del Sorriso.” Scaria qui la relazione originale della Via del Pilastro del Sorriso al Mont Greuvetta.
La Parete Est del Greuvetta presenta, a circa un terzo della sua altezza, una serie di strapiombi molto problematici da superare. Due punti deboli li avevo individuati con la via del 1974 e con il Pilastro del Sorriso. Proprio alla destra del Pilastro, ove gli strapiombi nerastri appaiono più pronunciati, mi incuriosiva trovare un altro passaggio per superarli. Scendendo dopo il Pilastro del Sorriso e successivamente esaminando le fotografie che avevo scattato, mi era parso di scorgere un diedro/conca di roccia più grigia che sembrava offrire qualche possibilità. Ancora preso dall’entusiasmo per quella parete non ebbi difficoltà a trovare l’appoggio per un nuovo tentativo da parte di due compagni di tante scalate, Isidoro Meneghin e Franco Ribetti.
Il 30 luglio 1983 con Franco ed Isidoro ero nuovamente lì a salire l’ormai arcinoto percorso di accesso al vallone di Greuvetta, ma conscio di trovare ottimo riparo nel bivacco Comino. Nel bivacco, ormai equipaggiato con tutto il necessario per ospitare gli scalatori, trovammo anche un libro del rifugio con sopra dei commenti entusiastici da parte di ripetitori del Pilastro del Sorriso.
Franco Ribetti sulla Via della Conca Grigia
Il ghiacciaio del Greuvetta, non esteso ma piuttosto “cattivo” già allora (non ho idea di come si presenti oggi a causa del riscaldamento globale) ci riservava una sorpresa: dove eravamo passati agevolmente un anno prima, un crepaccio insuperabile ci costrinse a complicate manovre per raggiungere la base della parete. Lì giunti potei costatare che quella che avevo individuato come conca grigia esisteva veramente e si insinuava tra gli strapiombi. Attaccammo in direzione della conca e, con arrampicata molto impegnativa, con passi in artificiale dalla difficile e precaria chiodatura, superammo gli strapiombi raggiungendo le cenge sovrastanti. Al di sopra delle cenge dovemmo superare un tratto difficile con roccia non perfetta, poi una sequenza di placche e muri di ottimo granito. Il tramonto giunse quando ci trovavamo in una zona poco favorevole per un bivacco. Quasi appesi ai chiodi trascorremmo una notte tutto sommato tranquilla e con temperature accettabili. Riprendemmo la scalata alle prime luci dell’alba e portammo a termine la via in un punto poco discosto da dove finiva il Pilastro del Sorriso. Senza difficoltà raggiungemmo la linea di calate in corda doppia che avevo attrezzato un anno prima e lungo tale via di discesa ci calammo fino al ghiacciaio. Ancora una volta il Greuvetta ci aveva offerto la possibilità di vivere una bella avventura. Scarica qui la relazione originale della Via della Conca Grigia al Mont Greuvetta.
Bastionata Est della catena del Greuvetta
Negli anni a seguire mi capitò più volte di volgere i miei pensieri alla parete del Greuvetta, avevo immaginato anche un nuovo tracciato che appariva come sicuramente interessante ma poi, passati anni ad inseguire altri obiettivi, quando ci ripensai seriamente era ormai troppo tardi e l’ipotetica nuova via rimase confinata nei desideri non realizzati.
Con l’emozione ancora viva per la tragedia dell’estate 2024, sulla via del 1974, voglio dedicare questi miei ricordi a Luca Giribone che non ho avuto il tempo di conoscere bene ed a Marco Bagliani, amico di antica data.
PS: Relazioni tecniche. Ho conservato le relazioni tecniche scritte a mano di quasi tutte le vie che ho aperto. Sono relazioni datate non più attuali, ora gran parte dei passaggi dati in artificiale sarebbero superabili in libera. Uno stimolo in più per andare a riscoprire molte antiche vie.