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Club Alpino Accademico Italiano
Mercoledì, 17 Maggio 2023 17:09

Splendide vie storiche risvegliate dall’oblio e vie nuove di sicura soddisfazione: sei anni di meeting di arrampicata nelle Valli di Lanzo non potevano non portare una ventata di novità e rinnovamento nel panorama delle possibilità offerte da questo angolo primordiale del Piemonte.

Luca e Matteo Enrico, animatori della manifestazione, oltre che da anni appassionati frequentatori delle Valli, si sono fatti promotori di un progetto di sistemazione di vie storiche, da tempo poco o nulla frequentate a causa della vetustà del materiale presente. Sistemazione non significa banalizzazione: gli interventi sono sempre misurati e ridotti al minimo necessario per permettere una frequentazione ragionevolmente sicura. Assieme a Luca e Matteo alcuni appassionati con il supporto del Gruppi Valli di Lanzo in Verticale e del Club Alpino Accademico Italiano.

Riportiamo di seguito il loro report: un bel panorama di vie sistemate da mettere in programma per i prossimi mesi.

A cura di A.R. 

37 Trono Osiride foto E.SibilleTrono Osiride - foto E. Sibille

 

IL RIPRISTINO E L’APERTURA DI VIE IN VAL DI LANZO NEL CORSO DEL 2022

Di Luca e Matteo Enrico - CAAI Gruppo Occidentale

Il sesto raduno “Val Grande in Verticale” (3-4 settembre 2022) ha visto il diretto coinvolgimento del C.A.A.I. divenuto capofila del “Gruppo Valli di Lanzo in Verticale”, organizzatore dell’evento. Un particolare grazie va quindi al nostro presidente Fulvio Scotto, al presidente generale Mauro Penasa e al past president Alberto Rampini che hanno creduto in questo progetto che negli anni ha consentito di ridare vita alle vie nel Vallone di Sea e nelle Valli di Lanzo.

Ci siamo ormai lasciati la manifestazione alle spalle da diversi mesi ma ciò che rimane sono gli itinerari e le falesie che anche nel corso del 2022 sono state rivalorizzate sul territorio delle Valli di Lanzo. Se il raduno si svolge tradizionalmente in Val Grande, la più settentrionale delle tre valli che si diramano da Lanzo, l’intento del Gruppo è, fin dalla fondazione, quello di incentivare la scoperta e riscoperta dell’arrampicata e dell’alpinismo in tutte e tre le vallate, coinvolgendo non solo chi direttamente si interessa alla buona riuscita del raduno ma anche tutti gli storici arrampicatori ed apritori che, con un progetto serio e ben definito, vogliano partecipare alle richiodature.

Il 2022, complice il clima secco e caldo dei mesi invernali, è stato un anno molto proficuo per quanto riguarda i lavori sulle pareti e nelle falesie. Fin dal giorno di Capodanno è stato possibile arrampicare e l’attività di chiodatura è proseguita fino al tardo autunno, a ridosso delle prime precipitazioni invernali.

Di seguito vengono elencati i lavori effettuati:  

PIRAMIDE DEL MONTE PLU

Il comprensorio del Monte Plù, sito in Val d’Ala, almeno nell’epoca “moderna” è stato noto soprattutto per l’elegante ed affusolato pilastro denominato “Sperone Grigio” e, in parte, per la “Cresta della Scuola”. Della “Cresta Botto” pochi sapevano, ed ancor meno della cosiddetta “Piramide”. Questa venne salita nel 1935 dalla cordata accademica Boccalatte, Castelli, Ronco e poi ripercorsa, con altri tre itinerari degli anni ‘50, da un altro grande accademico torinese: Pino Dionisi. Per far riscoprire questa bellissima struttura di ottimo serpentino grigio si è pensato di piazzare le soste, raddrizzare dove possibile i tiri utilizzando qualche spit-fix e, soprattutto, realizzare il prolungamento fino in cresta, oltre la cuspide della Piramide vera e propria. Le visite non si sono fatte attendere e i commenti al lavoro sono stati tutti molto positivi, vista la bellezza del luogo e della scalata.

in apertura oltre la Piramide foto L.DroettoIn apertura oltre la Piramide - foto L. Droetto

 

Le vie riprese:

via Boccalatte, Castelli, Ronco (26/05/1935)

pdfMONTE_PLÙ__LA_PIRAMIDE__VIA_BOCCALATTE.pdf

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/monte-plu-la-piramide/

via Dionisi di sinistra (G. Dionisi, M. Dionisi, 1955)

pdfMONTE_PLÙ__LA_PIRAMIDE__VIA_DIONISI-DIRETTA_DI_SINISTRA.pdf

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/monte-plu-la-piramide-quota-cresta-1990m-via-dionisi-diretta-di-sinistra/

Richiodatori:

Luca e Matteo Enrico con diversi amici, tra gennaio e maggio 2022.

Interventi realizzati e note:

Piazzate le soste, spit-fix in via dove necessario e per raddrizzare alcuni tiri rendendoli più omogenei. Linea di calata in corda doppia dalla cresta sommitale fino alla base della Piramide. In progetto la rivisitazione delle altre vie presenti su questa solare struttura, che prima della richiodatura era completamente dimenticata.

La PiramideLa Piramide

 

bel serpentino sulla PiramideBel serpentino sulla Piramide

 

Boccalatte 1935Boccalatte 1935

il torrione superiore della Dionisi di sx alla PiramideIl torrione superiore della Dionisi di sx alla Piramide

muri compatti sulla nuova Dionisi di sx PiramideMuri compatti sulla nuova Dionisi di sx alla Piramide

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

scalando nel sole alla PiramideScalando nel sole alla Piramide

TORRE INFERIORE D’ARNAS

Al cospetto dell’imponente parete della Lera, il Vallone di Arnas racchiude alcune interessanti strutture rocciose su cui, alla fine degli anni ’90, si cimentò in diverse aperture l’alpinista di Mathi Andrea Bosticco. Cadute poi nell’oblio per il progressivo deteriorarsi dell’attrezzatura, sono tornate recentemente in auge grazie agli interventi realizzati dal Gruppo Valli di Lanzo in Verticale per mano dello stesso Bosticco. Temporaneamente interrotti i lavori sulla Losa d’Alais, si è dedicato nel 2022 in particolare alla Torre Inferiore d’Arnas.    

La via ripresa:

via Sole che nasce sole che muore (A. Bosticco, F. Molino; 13/06/1998)

pdfTORRE_INFERIORE_DARNAS_Via_Sole_che_nasce_Sole_che_muore.pdf

pdfTORRE_INFERIORE_DARNAS_Via_Sole_che_nasce_Sole_che_muore_2.pdf

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/torre-inferiore-darnas-1700m/

Richiodatori:

Andrea Bosticco, luglio 2022.

Interventi realizzati e note:

Richiodata completamente, rivedendo anche la posizione dei punti di assicurazione ed incrementandoli. L’itinerario rappresenta una bella alternativa alla Losa d’Alais, già parzialmente richiodata sempre grazie al Gruppo VLV. Sulla parete sono possibili altre vie.

SPECCHIO DI ISIDE/PARETE DEI TITANI (VALLONE DI SEA)

Il Vallone di Sea (Val Grande di Lanzo) è ricco di molti itinerari di arrampicata, eppure tra le pieghe delle sue pareti è ancora possibile individuare linee nuove molto belle, che sapranno regalare scalate su gneiss di ottima qualità. In quest’ottica Luca e Matteo Enrico, aiutati nell’ultima fase da Simone Olivetti, riescono ad individuare ed aprire completamente dal basso una nuova via di 350m.

 il diedro centrale di Allucinazioni Uditive 2Il diedro centrale di Allucinazioni Uditive

La nuova via:

via Allucinazioni Uditive (L. Enrico, M. Enrico, aiutati nell’ultima fase da S. Olivetti, in quattro giorni tra luglio ed agosto 2022) 

pdfVia_Allucinazioni_uditive.pdf

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/vallone-di-sea-specchio-di-iside-cuspide-dei-titani-via-allucinazioni-uditive/

Note:

La via ha come direttrice il grande diedro strapiombante a sinistra delle placche di “Vento dell’Ovest”. Parte sullo Specchio per finire sulla soprastante parete triangolare dei Titani, in quel punto ancora inviolata. Itinerario atletico e di grande suggestione.

la fessura ad incastro di Allucinazioni UditiveLa fessura ad incastro di Allucinazioni Uditive

Matteo Enrico in apertura su Allucinazioni UditiveMatteo Enrico in apertura su Allucinazioni Uditive

PARETE DEI TITANI (VALLONE DI SEA)

La Parete dei Titani rappresenta la struttura più alta del Vallone di Sea (Val Grande di Lanzo). Convivono itinerari classici e moderni. Due di questi, la Via dell’Addio e Titanic ne sono l’emblema. La prima venne aperta nel 1983 da Manera, Meneghin, Ribetti e Ribotto in ricordo di Gian Piero Motti, a pochi giorni dalla sua prematura scomparsa. Tra il 2004 e il 2011 fu oggetto di un restyling parziale che tuttavia si arrestò alla fine del primo salto, all’altezza dell’uscita dello “Spigolo dell’Incomunicabilità”. La seconda è da sempre una delle vie maggiormente ripetute del Vallone, grazie alla bellezza dei passaggi e all’attrezzatura a spit.

Luca Brunati sulla via dellAddioLuca Brunati sulla via dell'Addio

 

Le vie riprese:

via dell’addio (U. Manera, I. Meneghin, F. Ribetti, G. Ribotto ; 26/06/1983)

pdfParete_dei_Titani_-_Via_delladdio.pdf

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/vallone-di-sea-parete-dei-titani-via-delladdio-vs-2022/

Si veda anche  https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/restaurata-la-via-dell-addio-sulla-parete-dei-titani-vallone-di-sea.html

via Titanic (E. Bonfanti, P. Stroppiana; luglio 1998)         

Richiodatori:

Via dell’Addio: Luca e Matteo Enrico con Luca Brunati, Vanessa Cimolin, Simone Olivetti, in tre giorni dell’agosto 2022.

Via Titanic: Andrea Berardo e Simone Olivetti, agosto 2022

Interventi realizzati e note:

Via dell’Addio: piazzate le soste e realizzate alcune varianti per conferire maggiore omogeneità e continuità all’itinerario. Dove necessario piazzato qualche spit-fix sui tiri. La via presenta uno sviluppo di 350m e grazie alla grande bellezza ed omogeneità delle difficoltà è diventata fin da subito una classica molto apprezzata dai ripetitori. Una delle più belle e lunghe vie di Sea.

Via Titanic: rifatte le soste per facilitare il recupero delle doppie

pdfVia_Titanic.pdf

 

 

Luca Enrico apre la variante sulla via dellAddioLuca Enrico apre la variante sulla via dell'Addio

Matteo Enrico sulla via dellAddioMatteo Enrico sulla via dell'Addio

 

Matteo Enrico su un nuovo tiro della via dellAddioNuovo tiro della via dell'Addio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARETE DELLE GEMME (VALLONE DI SEA)

La Parete delle Gemme, sul lato idrografico sinistro del Vallone di Sea (Val Grande di Lanzo), è situata sopra la Parete della Bestia Nera da cui è divisa da una cengia erbosa inclinata. Luogo ameno e solare con diversi itinerari, alcuni dei quali possono essere oggetto di prolungamento verso l’alto. Vi si può scalare anche in autunno.

La via ripresa:

Via Di tutti i colori (G.C. Grassi, S. Stohr; novembre 1988)

Richiodatori:

Luca e Matteo Enrico - agosto 2022

Interventi realizzati e note:

Piazzate le soste e sostituiti tutti i vecchi spit-roc di passaggio. Viene iniziato anche il prolungamento della via sulla soprastante porzione di parete inviolata. Finito questo prolungamento in progetto c’è il ripristino degli altri itinerari.

DROIDE (VALLONE DI SEA)

Il Droide, situato sul lato idrografico sinistro del Vallone di Sea (Val Grande di Lanzo), presenta vie brevi ma molto interessanti, tra loro abbinabili o da concatenare con qualche via sulla vicina Torre di Gandalf.

35 su Tempi BambiniSu Tempi Bambini

 

 

La via ripresa:

Via Tempi bambini (F. Girodo, G.C. Grassi, N. Margaira ; 20/07/1986)

pdfDROIDE_-_Via_Tempi_Bambini.pdf

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/vallone-di-sea-droide-arto-destro/

Richiodatori:

Luca Brunati, Luca Enrico, Matteo Enrico; 23 agosto 2022

Interventi realizzati e note:

Rifatte le soste e aggiunto un nuovo tiro in uscita. La via presenta tiri molto particolari in puro stile granitico.

 

 

 

 

 

 

 

 

PARETE DELL’ELEFANTE

La Parete dell’Elefante, così chiamata per la sua forma che ricorda per l’appunto la testa di un elefante, si trova sopra l’abitato di Chialamberto (Val Grande di Lanzo). E’ una struttura imponente di gneiss granitoide a grana grossa e su di essa sono state tracciate sia vie lunghe che monotiri. In posizione elevata gode di un buon soleggiamento anche nei mesi più freddi. L’attrezzatura ormai datata richiede una sostituzione per rendere di nuovo frequentata questa bella struttura. Si è iniziato con la via Cocco, di difficoltà medio bassa ma mai banale e su roccia stupenda. La prima esplorazione della parete si deve ad Alberto Rampini.

in azione su CoccoAl lavoro su Cocco

 

 

La via ripresa:

Via Cocco (L. Berta, M. Costa, G. Giacomelli ; 1996)

Richiodatori:

Luca e Matteo Enrico con Andrea Berardo, Simone Olivetti, Emilio Sibille; 16/10 e 18/11/2022

Interventi realizzati e note:

Rifatte le soste e sostituiti tutti gli spit di passaggio ormai arrugginiti. In progetto il ripristino degli altri itinerari, sia vie lunghe che monotiri.

Vedi qui la relazione originale: https://www.gulliver.it/itinerari/elefante-parete-dell-cocco/

27 primo tiro di CoccoSul primo tiro di Cocco

ROCCA DI LITIES

La Rocca di Lities è una delle strutture più note e frequentate della Val Grande di Lanzo. Grazie alla favorevole esposizione è frequentabile in pieno inverno e regala delle bellissime scalate su serpentino su vie lunghe anche dieci tiri. Alberto Ala e Gianni Ribotto, prolifico chiodatore di questo settore, iniziano il ripristino di una vecchia via abbandonata sulla Parete Sud situata tra “America America” ed “Alba Chiara”. Il Gruppo Valli di Lanzo in Verticale ha appoggiato il progetto fornendo il materiale. Lavori in corso.

A questo link la relazione di una delle tante vie delle parete:

https://www.gulliver.it/itinerari/lities-rocca-di-il-mago-di-oz/

 

BIOLLE’

La Parete del Biollè è tra le strutture più storiche della Val Grande di Lanzo. Negli anni ’60 Gian Piero Motti salì due itinerari, divenuti poi storici e molto conosciuti: la Via del Camino e la Via della Fessura. La parete è però solcata da molti altri itinerari. Marco Blatto, già autore di alcuni di essi, riceve il materiale da parte del Gruppo Valli di Lanzo in Verticale per iniziare il ripristino delle vie della struttura. Lavori in corso.

https://www.vallidilanzoinverticale.it/itinerari/arrampicata/torrioni-del-biolle-1485m/

https://www.vallidilanzoinverticale.it/articoli-e-racconti/i-torrioni-del-biolle-2019/

FALESIE VAL GRANDE

La Val Grande di Lanzo, oltre alle vie lunghe, possiede molte strutture rocciose più basse. Su queste si trovano delle belle “falesie” in alcuni casi cadute nell’oblio. Nel progetto di ripristino delle falesie di Cantoira si è provveduto a lavorare in particolare sulla falesia detta “Cimitero delle Felci” riportandola in vita.

Falesia Cimitero delle Felci (Roc Carà)

https://www.vallidilanzoinverticale.it/itinerari/arrampicata/falesia-cimitero-delle-felci-roc-cara-cantoira/

Fabio Cappellini sul muro centrale del Cimitero delle FelciFabio Cappellini sul muro centrale del Cimitero delle FelciLuca e Matteo Enrico, aiutati in particolare da Stefano Merlatti, riprendono completamente questa interessante struttura con tiri atletici di difficoltà medio-alta. Vengono ripristinati i tiri già presenti con chiodatura ormai obsoleta e pericolosa, rivedendola con i nuovi standard di sicurezza circa la lunghezza delle protezioni. Vengono aperti anche diversi itinerari nuovi e di nuovi ancora ne nasceranno.

Marco Blatto sulla stessa parete richioda le vie lunghe presenti ed ormai abbandonate à

https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/roc-cara-cimitero-delle-felci-900m-vie-lunghe/

Si segnala che sempre nel comune di Cantoira Alberto Ala ha iniziato i lavori di ripristino della falesia detta “Parete di Villa”, tiri lunghi su gradi facili e medi. Lavori in corso

Nel corso dell’agosto 2022 vengono eseguiti anche lavori di manutenzione nella falesia “Parete delle Gare Campo Pietra”, una delle falesie più belle e frequentate della Val Grande.

https://www.gulliver.it/itinerari/parete-delle-gare/

Ezio Rinaudo prova gli strapiombi del Cimitero delle FelciEzio Rinaudo prova gli strapiombi del Cimitero delle Felci

Venerdì, 05 Maggio 2023 08:57

Serata di grande alpinismo al Trentofilmfestival il 30 aprile in prima assoluta e il 3 maggio in replica con la proiezione del film L’ULTIMA VIA DI RICCARDO BEE diretto da Emanuele Confortin.

L'opera è risutata vincitrice del Premio del pubblico per "miglior film di alpinismo".

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LOCANDINA

 

 Premio del pubblico

Parlare di film di alpinismo è però riduttivo. L’alpinismo, la montagna, le scalate sulle immense e impervie pareti dell’Agner, del Burel o dello Spiz di Lagunaz sono una presenza costante, dall’inizio alla fine del film. Ma l’osservatore attento le percepisce senza fatica nel significato che l’Autore ha loro attribuito. Uno scenario importante ma finalizzato a dare risalto ad una vicenda umana affascinante nella sua profondità e nell’interazione con il mondo circostante, dalla famiglia agli amici.

Riccardo Bee, alpinista Accademico, era sognatore, sempre pronto a spendersi senza compromessi per i progetti da realizzare. Se ne è andato proprio nel tentativo di realizzare l’irrealizzabile, l'apertura di una nuova via in solitaria invernale sulla grande parete dei suoi sogni.

Il Regista Emanuele Confortin, giornalista, documentarista e alpinista, corona con questo bel successo un lavoro impegnativo, durato oltre due anni e ancorato su solide base di ricerca e condivisione, le uniche in grado di offrire un’immagine autentica della personalità di Bee, al riparo da qualsiasi deviazione celebrativa o retorica. Lo stesso, oltre che la Regia, ha curato il soggetto, la sceneggiatura e le riprese del film.

Un film quindi da non perdere, impreziosito da riprese sul campo di non comune spettacolarità.

 

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INTERVISTA A EMANUELE CONFORTIN

a cura di Alberto Rampini

Abbiamo posto alcune domande al Regista:

1 - Come è nata l’idea di questo film? Ho letto che sei rimasto estasiato dal versante Nord dell’Agner. Ma perché alla fine hai deciso di raccontare la storia proprio di Riccardo Bee?

Vero, l’Agner è il punto di partenza. Ne ho sentito parlare per la prima volta nel 2001 e da allora la miapassione per la Valle di San Lucano e per le sue pareti è cresciuta, alimentata anche da una sana curiosità che mi ha portato a studiarne la storia alpinistica. È dai libri quindi che ho iniziato a conoscere quelle pareti, prima ancora di scalarle, apprezzando nomi quali Cozzolino, Castiglioni, Detassis, Jori, Massarotto, Ferrari, Aste e tanti altri. Tra questi personaggi c’era anche Riccardo Bee, ma all’epoca più cercavo informazioni su di lui, più percepivo un’aura di mistero.

 

Foto Bee Cartella Stampa272 – Ricerca e analisi documentale sono state lunghe e approfondite. Come potresti sintetizzare la figura di Riccardo? E in due pennellate l’ambiente alpinistico nel quale si trovò ad operare?

Per sintetizzare la figura di Riccardo credo sia giusto ricorrere in primis ad alcune citazioni tratte dal documentario. Secondo Ettore De Biasio “è stato un visionario più di quanto si possa credere”, la figlia Federica Bee spiega che “ovunque andava lasciava una scintilla”, infine la moglie Carla De Bernard ricorda che “nessuno sarebbe riuscito a fargli cambiare idea”. Nel corso di questo lungo lavoro è emersa una personalità forte, carismatica, gioviale e aperta agli altri, affascinata dalle grandi pareti, dai luoghi selvaggi, dedita alla conoscenza di sé attraverso un’esposizione crescente negli ambienti più severi. Non è un caso se Riccardo ha scelto di cimentarsi con i colossi bellunesi. Parlo in particolare del Burel e delle altre pareti della Schiara, poi ancora i camini del Piz Serauta in Marmolada, le Pale di San Lucano e non da ultimo l’Agner, il vero gigante delle Dolomiti che con la sua parete Nord di 1500 metri è anche una delle pareti rocciose più grandi delle Alpi. Sono luoghi remoti, che impongono avvicinamenti molto lunghi e spesso un bivacco in parete. Appena ci si alza dal fondovalle verso i Boral (in San Lucano) o i Van (sull’Agner) il turismo scompare e si entra in un ambiente selvaggio, quasi ovattato, lo stesso che a volte si va a cercare in Himalaya o in Sudamerica… ma che Bee e altri “visionari” come lui hanno trovato a due passi da casa. 

 

Riccardo Bee Mood6

 

3 – L’immagine di Riccardo che esce dal film è in linea con quanto finora proposto dalla storiografia ufficiale o si presenta diversa? E se sì, in che cosa differisce?

Se escludiamo l’elenco delle sue realizzazioni alpinistiche, credo non esista altra storiografia ufficiale. Bee è stato trattato in un libro, da qualche articolo di giornale e da un precedente video-racconto ma non è certo una figura analizzata nel profondo come lo sono stati altri alpinisti del passato. È anche per questo che il progetto mi ha affascinato, c’era ancora qualcosa da scoprire e così è stato, in particolare dedicando tempo e ascolto alle figlie Federica e Valentina e alla moglie Carla. Grazie a loro sono riuscito a scorgere l’uomo e a smarcare almeno in parte l’alpinista, evitando di inciampare nel gioco dei “gradi” o di limitarmi a delineare un ritratto (l’ennesimo) di eroe senza macchia che spesso viene attribuito a un grande scalatore caduto in parete.

 

4 – Nella realizzazione del film quali sono stati i passaggi più impegnativi?

Andando in ordine cronologico, l’assenza di uno screen-play iniziale. Scelta dettata dalla volontà di non ancorarmi ai documenti citati poco fa, ma di “fingere” di non sapere. Ho avviato il lavoro come fosse una prima ricerca, partendo da zero - seppur conoscendo bene le salite e il lascito alpinistico di Riccardo - puntando fin dal principio sulle testimonianze di moglie, figlie e fratelli. L’altro passaggio impegnativo è stato convincere la moglie, Carla De Bernard, a raccontare Riccardo e a raccontarsi. Per quanto mi riguarda la sua testimonianza è il cuore pulsante del documentario, una testimonianza umana e preziosa che trasmette il polso di Riccardo, l’uomo, e ci aiuta a cogliere la caratura dell’alpinista. Per fortuna, dopo esserci conosciuti Carla mi ha dato fiducia e il mio progetto ha iniziato ad acquisire l’umanità che cercavo. L’ultimo passaggio è stata la ripetizione del Pilastro Bee sull’Agner, assieme a Luca Vallata e Samuel Zeni. A causa del meteo e dei rispettivi impegni l’estate era ormai trascorsa … Siamo finalmente riusciti a  ripetere la via il 12 e 13 settembre 2022, cogliendo l’ultima finestra utile seguita da una perturbazione che ha poi reso la parete impraticabile, almeno per le riprese. 

 

5 - Il risultato finale ti soddisfa come regista e produttore? E come alpinista ritieni di avere assolto ad una sorta di “obbligo” morale nei confronti della storia o semplicemente di aver approfondito un personaggio che ti affascinava?

Mesi fa, durante il pre-montaggio avevo scritto un messaggio a Luca Vallata “il lavoro su Riccardo profuma di bono”. Questa sensazione era emersa passando in rassegna più di 20 ore di girato. Avevo visto e sentito qualcosa di valido, restava “solo” montare le varie parti e dare un senso al tutto. Quattro mesi dopo la trama narrativa era delineata e mi sembrava valida, anche se ho lasciato l’ultima parola alla famiglia che prima della première a Trento non aveva ancora visto nulla. Il 30 aprile (giorno della prima) tutto è andato nel migliore dei modi e ora mi posso ritenere felice! In quanto agli “obblighi” nulla di tutto ciò. Non sono uno storico e non mi sono mai posto in tal senso, ho semplicemente raccontato a modo mio un essere umano e un grande interprete di un alpinismo che ci sta scivolando tra le dita e che rischiamo di dimenticare. Penso a questo lavoro come a una testimonianza, un messaggio che vorrei chiudere in una bottiglia da lasciare alla deriva del tempo

 

6 – Per finire, che cosa ti ha dato questa esperienza?

Un senso di rispetto profondo e sincero per l’Alpinismo, la certezza dell’esistenza di una cordata sottile che ci lega a chi a casa attende il nostro rientro… non da ultimo un crescente amore per la Valle dei Sogni. In chiusura ci tengo a ringraziare il CAAI per aver creduto in questo progetto e per averlo sostenuto. Grazie di cuore!

Foto Bee Cartella Stampa12

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Riccardo Bee Mood12 Riccardo Bee Mood15

 

 

 

 

Chi era Riccardo Bee?

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Riccardo Bee (Lamon 1947 – Monte Agner 1982) è stato uno dei più forti rocciatori dell’epoca in cui è vissuto, ma parte della sua eredità alpinistica rimane avvolta nel mistero. Attivo soprattutto nelle amate Dolomiti, ha realizzato ripetizioni e vie nuove di elevatissimo impegno. Si è unito in cordata con diversi compagni, a partire da Franco Miotto, ma è in solitaria che Bee ha trovato la sua dimensione, compiendo imprese capaci di ispirare generazioni di alpinisti e ancora oggi temute e rispettate.

Il 26 dicembre 1982 Riccardo tentò di realizzare, in solitaria ed in inverno, una nuova via sull'Agnèr a destra della via dei Sudtirolesi, ma precipitò in circostanze non chiarite e il suo corpo fu ritrovato alla base della parete.

Riccardo Bee è considerato uno degli alpinisti più forti della sua epoca, eppure dei suoi itinerari e delle sue imprese si conosce molto poco. Egli infatti non divulgò mai le sue imprese al grande pubblico e solo una ristretta cerchia di amici ed i parenti erano a conoscenza del suo operato

 

 

 

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Emanuele Confortin

Giornalista e documentarista, tratta di aree di crisi, migrazioni e minoranze ai margini della società moderna, in Europa, Medio Oriente e Asia. Tra i suoi progetti i documentari KINNAUR HIMALAYA (Trento Film Festival 2020) e CORONAVENICE. Alpinista, è cofondatore e direttore della rivista Alpinismi.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedì, 01 Maggio 2023 20:52

Raduno di giovani scalatori organizzato dal CAAI Gruppo Centrale

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In Val di Mello tra il 7 e il 13 maggio si svolgerà la prima delle settimane formative previste dal Progetto EAGLE TEAM, partito ad aprile e destinato a formare un gruppo di alpinisti di eccellenza, giovani e motivati, in grado di far evolvere l’alpinismo esplorativo e di avventura nel nostro Paese e mettere a fattor comune questa loro straordinaria esperienza per far crescere l’alpinismo con la A maiuscola tra i giovani.

Sugli oltre 200 iscritti tra i 18 e i 28 anni, sono stati selezionati 11 ragazzi e 4 ragazze, quelli risultati migliori nel complesso delle prove sostenute ad inizio aprile in Val d’Ossola (arrampicata, cramponnage, corsa ecc).

Questi 15 ragazzi effettueranno un percorso formativo di 6 settimane distribuite tra il 2023 e il 2024 sotto la guida dei più forti specialisti del momento per poi partecipare ad una spedizione finale in Patagonia nel 2025. Il Progetto EAGLE TEAM, patrocinato e finanziato dal Club Alpino Italiano e dal Club Alpino Accademico Italiano, è guidato operativamente da MATTEO DELLA BORDELLA, membro dei Ragni di Lecco e socio dell’Accademico.

  

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Le due settimane formative in calendario per il 2023 sono:

7-13 maggio VAL DI MELLO

27 agosto – 2 settembre DOLOMITI

In entrambe queste occasioni, nel fine settimana conclusivo degli eventi, a fianco dell’EAGLE TEAM il Club Alpino Accademico organizza un meeting di arrampicata (denominato EAGLE MEET) aperto ai più promettenti giovani alpinisti delle zone di riferimento, provenienti dalle Scuole del CAI e da altre realtà. Si stabilirà così un momento di contatto e scambio di esperienze tra i giovani di punta selezionati per l’EAGLE TEAM e i giovani partecipanti all’EAGLE MEET.

In Val di Mello il 12-13-14 maggio saranno 32 i giovani che, sotto la guida dei tutor messi a disposizione dal CAAI Gruppo Centrale, parteciperanno all’EAGLE MEET. Una bella occasione per scalare assieme e ricercare spunti di confronto e di crescita.

a cura di Alberto Rampini

Giovedì, 27 Aprile 2023 17:54

Giovedì 4 maggio alle 21,15, presso la sala Quadrivium di Piazza Santa Marta, 

il CAAI Club Alpino Accademico Italiano e il CAI Sezione Ligure - Genova

propongono l'incontro con uno dei più forti alpinisti italiani contemporanei.

Matteo della Bordella racconterà le sue avventure dalla Groenlandia alla Patagonia,

inseguendo la via meno battuta...

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Matteo Della Bordella, Accademico del CAI e membro del celebre gruppo dei Ragni di Lecco, è unanimemente considerato uno dei più forti alpinisti italiani contemporanei.

È infatti uno dei massimi esperti mondiali delle selvagge montagne della Patagonia, dove ha realizzato salite che hanno fatto storia, come la prima ascensione assoluta della parete ovest della Torre Egger e la prima salita in stile alpino della parete est del Cerro Torre.

La sua passione per la scalata lo ha però portato a viaggiare in tutti i continenti: dalla Terra di Baffin al Karakorum, dalla Groenlandia all'Himalaya indiano, dalla mitica valle californiana di Yosemite, al massiccio svizzero del Wenden, sempre alla ricerca delle "big wall", le più grandi pareti di roccia del mondo, che ha affrontato spingendo l'arrampicata libera ai massimi livelli di difficoltà.

 

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"L'alpinismo che mi piace - dice Matteo - è quello essenziale, concreto, leggero, che mette l’alpinista in un confronto ad armi pari con la montagna".

È una scelta di stile la sua, ma anche di etica e di rispetto della natura.

Spiega infatti: "Ho scelto di realizzare le mie ascensioni sulle pareti più remote cercando di limitare al massimo l'utilizzo dei chiodi a pressione, anche per consentire a chi verrà dopo di me di vivere la stessa scoperta e avventura totale che io ho potuto sperimentare. Inoltre, visto che molte di queste pareti si trovano in ambienti meravigliosi ma molto fragili, spesso ho scelto di avvicinarmi ad esse nel modo più leggero e meno impattante, rinunciando all'uso dei mezzi motorizzati. Sono nate così esperienze fantastiche come quelle della Groenlandia e della Terra di Baffin, dove l'avventura non si è svolta solo in parete, ma è cominciata ben prima, con le traversate in kayak attraverso i fiordi e l'Oceano artico".

 Regione Liguria Assessorato al Tempo Libero

 

 

 

 

 

 

 

 

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Matteo Della Bordella si presenta

Ho 38 anni e sono nato e cresciuto a Varese. La mia passione per l’alpinismo e la montagna è nata a 12 anni, quando ho iniziato a muovere i primi passi in verticale in compagnia di mio papà, sulle pareti vicino a casa e sulle vie classiche di difficoltà moderata nelle Alpi. Nel 2008 mi sono laureato in Ingegneria Gestionale all’università LIUC di Castellanza, tuttavia pochi anni dopo, ho deciso di provare a dedicarmi completamente alla mia più grande passione, cioè l’alpinismo.
Nel 2006 sono entrato a far parte del gruppo dei Ragni di Lecco e ho avuto l’occasione di crescere come alpinista e come persona, ed iniziare a girare il mondo alla ricerca di nuove sfide su pareti vergini da scalare.
Pochi anni più tardi sono entrato a far parte anche del Club Alpino Accademico Italiano.
Ho avuto la possibilità di scalare in territori remoti e su pareti fantastiche, come quelle della Patagonia - terra a cui sono particolarmente legato - della Groenlandia, del Pakistan, dell’India o dell’Isola di Baffin.
Mi piace praticare un tipo di alpinismo che definisco “by fair means”, dove limitando al massimo l’utilizzo della tecnologia e degli aiuti esterni, lo scalatore è chiamato ad una sfida ad armi pari con la montagna.
Per questo motivo nella mia carriera di alpinista ci sono stati parecchi successi, ma anche tanti fallimenti i quali mi hanno messo di fronte ai miei limiti di uomo nei confronti della natura, e spesso queste rinunce mi hanno insegnato ancora di più rispetto alle volte in cui sono arrivato in cima.
Amo le grandi pareti verticali di roccia, quelle dove la sfida è riuscire a salire, possibilmente in arrampicata libera, con poco materiale e su difficoltà elevate, che mi mettono a dura prova. Tuttavia, oltre all’aspetto più tecnico della verticale, posso definirmi un amante dell’avventura a 360 gradi e per questo motivo, mi piace cercare nelle mie spedizioni di unire diverse discipline e diversi tipi di sfide; oltre alla parte alpinistica, in molti dei miei viaggi, una grande sfida è stata già quella di raggiungere la parete e ritornare indietro.

 vetta cerro torreSulla vetta del Cerro Torre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venerdì, 24 Marzo 2023 21:47

MONTE PUBEL O CROCE DI SAN FRANCESCO m.1122

PILASTRO DEL “GENERALE”

In nero il tracciato della via Il gioco degli equilibriIn nero il tracciato della via Il gioco degli equilibri

 

Solare pilastro ben visibile percorrendo la statale della Valsugana SP47 da Bassano a Trento già in prossimità dell’abitato di Solagna e ben distinguibile salendo per la strada che sale da Valstagna a Foza.

Il pilastro è posizionato sulla destra della Parete del Sole Nascente diviso da questa, sulla sinistra, da una rampa-canale percorsa dall’accesso alle vie della suddetta bastionata.

Sulla destra del pilastro si snoda invece il sentiero attrezzato PDZ (Pierino della Zuanna) che dal fondo della valle parte dal tornante 2 della strada Valstagna-Foza in località Lebo e sale alla sommità del Pubel.

Il pilastro è denominato “del Generale” in riferimento alla panchina posta sulla sommità (dove arrivano la via ed anche il sentiero PDZ) denominata appunto “Panchina del Generale”, posto panoramico superbo e ideale per sosta relax alla fine della via.

Accesso: dalla Strada Statale della Valsugana portarsi a Valstagna e prendere la strada a tornanti che la collega con Foza. Al tornante numero 20 parcheggiare e prendere una traccia (bollini rossi) che in leggera salita e vari saliscendi incrocia alla galleria di QUOTA 812 il sentiero attrezzato PDZ. In quel punto seguire la traccia che, rasentando la parete e passando a fianco di due caverne di guerra e di una struttura di ricovero diroccata, conduce alla targa del punto di partenza della via. Dal 20° tornante 35 minuti circa.

 

 

Via  “Il gioco degli equilibri”

Aperta in più riprese e dal basso nell’autunno 2022

Francesco Leardi         C.A.A.I. Gruppo Orientale

Fausto Maragno           C.A.I.    Camposampiero

Jimmy Rizzo                 C.A.I.    Marostica

Prima libera: Mauro Florit  C.A.A.I. Gruppo Orientale il 7/12/2022

L’itinerario segue il bellissimo pilastro che si sviluppa a destra della via “Uomini senza tempo” e a sinistra di “Signorino pensionato”.

Converge sul sesto tiro di “Uomini senza tempo” che poi si segue fino alla sommità.

Via totalmente attrezzata a spit da 10 e qualche chiodo normale. L’itinerario è stato ripulito ma comunque richiede una certa capacità alpinistica.

Roccia nel complesso buona e nei primi tiri ottima.

Il gioco degli equilibri Prima libera Quarto tiroIl gioco degli equilibri Prima libera Quarto tiroIl gioco degli equilibri Prima libera Sul secondo tiroIl gioco degli equilibri Prima libera Sul secondo tiro 

Difficoltà: 6a obbligatorio (in libera difficoltà fino al 6c). Nella relazione si indica il grado massimo del tiro.

Sviluppo: circa 285 m.

1) Salire la rampetta e il verticale muretto successivo (6a).S1. 20 m.

2) A sinistra della sosta poi verticalmente prima una lama poi paretina verticale(6b/c).S2. 30 m.

3) A sinistra strapiombetto poi ulteriori strapiombi e placchette di equilibrio e astuzia (6b/c). S3. 35 m.

4) Diedro slabbrato con spostamenti complessi poi traverso a sinistra quindi diretti e poi ad un ballatoio a sinistra (6c).S4. 35 m.

5) Verticalmente per placchettine e diedrini alla sosta (5c/6a). S5. 20 m.

6) Tiro di trasferimento.Traversare a destra seguendo la linea degli spit e cordoni su zona roccioso-erbosa e dopo una cengetta pervenire alla sosta sotto una verticale paretina. S6. 35 m. Facile ma con erba ora anche attrezzato con una corda fissa.

7) Diritti per una serie di saltini continui intervallati da cengette con arrampicata verticale e ben protetta. A sinistra per una ulteriore bianca paretina e pervenire alla sosta alla base del pilastro terminale (6a/b sostenuto). S7. 35 m.

8) A destra per un breve saltino poi lungamente in verticale con arrampicata delicata (6a passi di 6a+ con spittatura distanziata). S8. 35 m.

9) Diritti fino sotto allo strapiombo che si supera uscendo a sinistra e poi verticalmente per saltini all’inizio ancora non facili e via via più semplici giungendo alla fine della via (6b). S9. 40 m.

Discesa (anzi risalita): Dall’ultima sosta risalire verticalmente il facile boschetto (corda fissa) e salire una rampetta a sinistra al cui termine si è poco distanti dal libro di via della “Misura del tempo”. Per tracce e saltini rocciosi alla panchina del Generale dalla quale si affronta il ritorno all’auto seguendo il sentiero attrezzato PDZ (prestare attenzione).

 

CANALE DEL BRENTA

Monte Cornone (m.1065)

Parete Sud

Tracciato Il fantasma della menteTracciato Il fantasma della mente

 

 

Solare parete ben visibile percorrendo la statale della Valsugana SP47 da Bassano a Trento già in prossimità dell’abitato di Solagna che rimane però nascosta alla vista salendo per la strada che collega Valstagna a Foza.

La parete presenta una compatta sezione iniziale per svilupparsi verso alto in un ardito pilastro che porta al culmine del promontorio roccioso che scende dalla cima del Monte Cornone.

L’accesso è assai semplice e breve, in un ambiente aspro e molto suggestivo.

Posteggiata l’auto al diciassettesimo tornante della strada Valstagna-Foza si imbocca il segnalato sentiero per la galleria del generale Graziani. Al bivio che conduce alla galleria ed anche alla falesia omonima, imboccare a destra l’evidente sentiero che scende verso il fondo valle seguendolo brevemente fino a quando si incrocia il segnavia 781 che porta al monte Cornone. A destra in basso si nota la casara dei Tambiei (m 589). Risalire ora il fondo della Val Smira con ampie svolte individuando vecchie postazioni militari della grande guerra. Pervenire ad una zona pianeggiante in prossimità di una ulteriore postazione in grotta prima dell’impennata del sentiero in una profonda forra.

Risalire 10 metri a destra della grotta e si è alla partenza (20/30 minuti da Piangrande).

 

 

 

Via “Il fantasma della mente”

Aperta in più riprese e dal basso nel Gennaio 2023 da:

Francesco Leardi         C.A.A.I. Gruppo Orientale

Mauro Florit                 C.A.A.I. Gruppo Orientale

Jimmy Rizzo                C.A.I.    Marostica

Fausto Maragno          C.A.I.    Camposampiero

Difficoltà: 6a+ obbligatorio e A0 (in libera difficoltà fino al 7a). Nella relazione si indica il grado massimo del tiro.

Sviluppo: circa 240 m.

Cornone primo tiroCornone primo tiroCornone terzo tiro in aperturaCornone terzo tiro in apertura

Stupenda salita che sfrutta una serie di placche e fessure iniziali che si insinuano nella fascia rocciosa iniziale. Quindi massima esposizione sul pilastro con l’ultimo regalo della placca finale.

1) Salire facilmente in direzione della sosta sulla verticale della partenza per saltini erbosi. S1. 20m.

2) Innalzarsi per un breve diedrino e una successiva placca delicata verso sinistra (6b). S2. 25m.

3) Orizzontalmente a sinistra per imboccare una fessura via via sempre più strapiombante (6a+ e A0 oppure 7a). S3. 30m.

4) A destra per una bella placca compatta con una difficile sequenza, poi più facile. Una breve rampetta erbosa (corda fissa) porta al bel terrazzo (6b+). S4. 30m.

5) A sinistra lungo la fessura e dall’ultimo spit traversare a destra per superare un breve saltino. Alcuni metri in ascesa conducono alla sosta alla base del pilastro (6a+). S5. 25m.

6) A sinistra e poi verticalmente per la bella parete a striature orizzontali. Al suo termine traversare orizzontalmente a sinistra aggirando un pilastro (6c). S6. 35m.

7) Innalzarsi sopra la sosta e quindi verticalmente per alcuni metri.Traversare a destra e quindi di nuovo in verticale in sosta (6b). S7. 20m.

8) A destra in leggera ascesa e salire poi verticalmente ancora salti tra fasce rocciose. Dall’ultimo ristabilimento proseguire in verticale alla sosta più facilmente (6b). S8. 35m. In questa sosta si è al culmine del pilastro.

9) Breve e facile trasferimento verso destra ad una sosta alla base della placconata finale. S9. 10m.

10) Salire in obliquo verso destra quindi un breve tettino e poi per placchette verso destra sul filo di spigolo giungere alla sommità della parete su un magnifico ballatoio (6c+). S10. 35m.

Cornone secondo tiro in aperturaCornone secondo tiro in apertura

 

Discesa opzione A

Risalire in direzione della vetta del monte Cornone per antiche tracce militari. Si incontra una postazione che altri non era che “la civetta” e cioè la stazione di arrivo di una teleferica.

Incontrare il sentiero (segnavia 781) che porta alla cima. Da tale punto è possibile in pochi minuti arrivare alla croce di vetta del monte Cornone, salita che raccomando vivamente per la bellezza dell’ambiente.

Dalla cima ritornare al punto di incontro del sentiero con l’uscita dell’itinerario alpinistico e percorrere orizzontalmente e lungamente lo stupendo sentiero che fiancheggia la falesia Ori-Biasia in ambiente idilliaco tra ampie vedute sulle vallate circostanti. Alla fine della falesia prestare attenzione perché il sentiero prosegue verso la contrada Biasia e non va seguito. Scendere invece alcuni gradini rocciosi verso la valle e quindi riprendere ora verso sinistra (di marcia) una ulteriore traccia (sempre segnavia 781) prima orizzontale quindi in discesa che si snoda sotto e parallelamente alla falesia. Pervenire alla sommità della profonda forra che si notava dall’attacco della via.

Scenderla (prestare attenzione, è sentiero ma piuttosto esposto) ammirando le geniali strutture militari della grande guerra.

Pervenire nuovamente alla base della parete e a ritroso al parcheggio a Piangrande (1 h. circa dalla vetta del monte Cornone).

 

 

Discesa opzione B

E’ una possibilità che riduce notevolmente il tempo di discesa. Scoperta valorizzando una antica traccia della guerra 15/18 che abbrevia di circa 20’ la discesa evitando però la remunerativa ascesa alla cima del Cornone. Dalla postazione “la civetta” imboccare verso sin. (faccia a monte) una evidente traccia militare che porta ad un ulteriore baraccamento della guerra e quindi al sentiero 781 poco sopra alla forra di discesa (40’ circa dalla sommità della via).

Sabato, 04 Marzo 2023 22:41
Il giorno 25 Marzo 2023 presso la sala Consiliare in Villa Rina Cittadella (Padova) si terrà il Convegno primaverile del Gruppo Orientale del C.A.A.I
Il programma prevede:
• ore 9,30 registrazione partecipanti;
• ore 10.00 inizio assemblea 
• ore 12.45 pranzo sociale
• ore 15,00 Evento aperto al pubblico: “Una montagna di salute” con relatori di alto profilo. Moderatore sarà il Nostro collega dr. Alessandro Angelini.
       In apertura l’INA Emanuele Confortin presenterà il trailer del documentario sull’accademico Riccardo Bee, patrocinato dal C.A.A.I.
 
LOCANDINA CONVEGNO ACCADEMICO CITTADELLA 1
 
 
 
Venerdì, 03 Marzo 2023 16:49

APPELLO PER APPASSIONATI DI TREKKING DI AVVENTURA

Il Club Alpino Accademico Italiano anche quest’anno collaborerà con Mountain Wilderness International, con l’ISMEO (Istituto internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) e con Mountain Partnership per proseguire e portare a termine l’esplorazione delle potenzialità escursionistiche e alpinistiche delle montagne dell’alto Swat, in Pakistan.

6 Risalendo i valloniRisalendo i valloni verso il Manali Pass – archivio MW

1 Uno dei meravigliosiUno dei meravigliosi specchi d’acqua dell’Alto Swat – Jaba Lake, a sud del Falak Sar – foto K. Night

 

La zona montuosa dell’alto Swat può essere considerata una via di mezzo tra gli ambienti alpini, così come si presentavano ai visitatori agli inizi dell’800, e quelli più propriamente himalayani. Si tratta di valli, valichi, vette e ghiacciai ricchi di un particolare fascino spettacolare, dovuto non solo all’eleganza delle elevazioni maggiori, tra i 5000 e i 6000 metri, ma anche alle dense foreste di conifere, ai numerosissimi laghi che si incontrano lungo ogni percorso, ai torrenti limpidissimi, ai pascoli di quota, abitati da piccoli gruppi di pastori nomadi.

Lo scopo che gli enti organizzatori si prefiggono, attraverso il pluriennale Progetto Swat, ideato da Mountain Wilderness, è quello di raccogliere le descrizioni dettagliate di tutti i possibili itinerari di trekking e anche delle vie alpinistiche di ascensione alle vette più interessanti, per giungere alla pubblicazione di una attendibile guida alpinistico/ escursionistica dell’alto Swat. Questa guida cartacea in inglese sarà propedeutica all’elaborazione di un progetto di parco nazionale da sottoporre alle autorità pakistane. Lo Swat è infatti facilmente raggiungibile dalle grandi città della pianura ed è pertanto sempre più esposto al rischio di una crescita disordinata della frequentazione turistica locale, tendenzialmente aggressiva e ineducata. L’unica via per preservare la preziosa integrità di quelle vallate di magica bellezza risiede nella concreta proposta di una fruizione alternativa fondata sul rispetto e orientata verso l’istituzione di un parco nazionale.

2 PortatoriPortatori in Alto Swat – foto M. Penasa

L’iniziativa ha anche un evidente carattere umanitario, volto ad offrire alle comunità montanare la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita senza rincorrere i miti fallaci della banalizzazione consumistica, ma grazie al flusso di un turismo naturalistico e responsabile.

Da quando, quattro anni fa, il progetto Swat ha visto la luce, molti degli itinerari, alcuni dei quali superano ghiacciai e valichi di oltre 4000 metri, sono stati percorsi e dettagliatamente descritti. Per tutti i partecipanti si è trattato di un’esperienza entusiasmante e radicalmente diversa da un tipico trekking commerciale. Affrontare le sorprese di itinerari che non sono mai stati completamente percorsi aggiunge il deciso sapore dell’avventura e della scoperta.

4 In discesa dal Manali PassIn discesa dal Manali Pass, verso le valli del Chitral – archivio MWGli organizzatori anche quest’anno propongono ai soci dei Club Alpini europei, ai soci di Mountain Wilderness e delle associazioni ambientaliste consorelle, al corpo insegnante delle scuole di Alpinismo e a tutti gli appassionati di trekking in ambienti montani incontaminati di partecipare a questa avventura come “collaboratori contribuenti”. Si tratta di un’esperienza unica nel suo genere, priva dei rischi derivanti da instabilità politiche o da rigurgiti fondamentalistici. Alcuni degli itinerari potrebbero richiedere l’attraversamento di facili ghiacciai e il conseguente utilizzo di ramponi, piccozza e corda. Chi aderirà al progetto dovrà specificare la sua disponibilità a affrontare quel tipo di impegno. Sono a disposizione anche percorsi privi di difficoltà tecniche e tuttavia di grande suggestione. Restano comunque indispensabili: capacità di adattamento, spirito d’avventura, consapevolezza del significato del progetto e della sua valenza etico/ambientalistica.

L’invito è esteso altresì ad alpinisti interessati a partecipare al progetto e che vogliano mettere in piedi leggere spedizioni orientate all’ascensione di alcune delle più interessanti montagne della zona lungo itinerari mai percorsi finora. Ovvero a unire a un trekking “spartano” una parentesi alpinistica.

Gli organizzatori si augurano così di poter concludere durante il 2023 la fase esplorativa per passare all’edizione della guida.

5 La bella parete nordestLa bella parete nordest del Falak Sar – archivio MW

 

Tenendo conto dell’esperienza fin qui maturata i percorsi a piedi dureranno tra sette ed otto giorni consecutivi. E’ anche possibile dedicare un giorno in più alla visita dei ruderi degli antichi monumenti buddhisti che dominano le colline della parte meridionale dello Swat.

La data di partenza non è stata ancora decisa nel dettaglio e dipende dai desideri e disponibilità di coloro che saranno interessati a partecipare, ma in linea di massima avverrà negli ultimi giorni di agosto. La vicinanza dell’alto Swat con la pianura e con i maggiori aeroporti facilita il raggiungimento di risultati soddisfacenti anche per chi può contare su un limitato periodo di ferie.

 

 

 

 

 

Gli organizzatori hanno delegato la responsabilità dell’organizzazione pratica dei trekking a un’agenzia pakistana di provata esperienza, in grado di assumersi tutte le responsabilità civili e penali.

Per maggiori dettagli pdfclicca qui o scrivi direttamente all’indirizzo e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

3 Campo duranteCampo durante il trekking del Falak Sar – archivio MW

Domenica, 19 Febbraio 2023 18:55

ALPINISMO IN APPENNINO CENTRALE – IL GRAN SASSO

Parte seconda – Il RISVEGLIO ALPINISTICO - Dal '40 ai primi anni '70

Di Massimo Marcheggiani

Massimo Marcheggiani, classe 1952, Accademico e profondo conoscitore delle vicende e dell’ambiente del Gran Sasso, sulle cui pareti ha tracciato e ripetuto innumerevoli itinerari, fissa in queste pagine la storia alpinistica di questo importante Gruppo montuoso nel periodo dal 1940 ai primi anni '70. Il periodo precedente, dagli albori al 1940, è stato già pubblicato. Leggi qui.

La guerra, anche se in maniera marginale, tocca anche il Gran Sasso. La storia riporta un’azione tedesca finalizzata alla liberazione del Duce Benito Mussolini tenuto prigioniero in un albergo costruito appena pochi anni prima a quota 2100 m e con esso una funivia, esattamente nel 1934. Senza la guerra l'alpinismo avrebbe continuato il suo decorso anche più agevolmente vista la funivia e la strada sterrata che ormai univa il versante aquilano a Campo imperatore e che avrebbero risparmiato agli alpinisti o escursionisti 1200 metri di dislivello e una grande fatica supplementare. Lo stesso non si può dire però del versante opposto, dove una semplice seggiovia sarebbe stata costruita soltanto nel 1966.

1 Alba sul Corno Grande da Sud foto M. MarcheggiaAlba sul Corno Grande da Sud foto M. Marcheggiani
E' un aquilano uno dei primissimi a rimettere le mani sulla ruvida roccia del Gran Sasso: a guerra ancora in atto, nel 1943, quando viene pubblicata la prima guida del Gran Sasso a cura di CAI e TCI, Andrea Bafile con Domenico Antonelli apre una via sullo Sperone Centrale della Vetta Occidentale. Questa via, molto logica e tutt'altro che banale, è una delle più significative salite compiute da Bafile. Benché non molto lunga (circa 250 m) presenta il penultimo tiro su una bellissima e compattissima placca. A mio avviso con un passo di 6° grado pieno. Con un unico chiodo messo su 25 metri Bafile superò sè stesso (oggi è comparso l'immancabile spit a sminuire un capolavoro). Andrea Bafile ha avuto un immenso ruolo nello sviluppo della sicurezza degli alpinisti e non solo: ingegnere meccanico, nei primissimi anni 80 ha studiato, inventato e realizzato l'odierno dissipatore. Questo nasce come una semplice piastrina in lega leggera dotata di 8 fori entro i quali far scorrere una corda per dissipare energia in caso di caduta. Con le successive modifiche commerciali oggi il dissipatore è d'obbligo sulle ferrate. Fa piacere pensare che l'intero mondo degli scalatori, e non solo, oggi usufruisce di una maggiore sicurezza grazie all'inventiva e onoscenza tecnica di quest'uomo intelligente e poliedrico. Insieme al coetaneo Bruno Marsili, medico di Pietracamela, apre in seguito delle bellissime vie sulle Fiamme di Pietra e su pareti minori ancora oggi molto ripetute, sia sul versante aquilano che su quello teramano.

2 Andrea Bafile alle Fiamme di Pietra Arch. CAIAndrea Bafile alle Fiamme di Pietra Arch. CAI l'Aquila

 

 

Andrea Bafile, personaggio affascinante e vulcanico, durante le sue incursioni sulla montagna si rende conto della grande difficoltà logistica per realizzare ascensioni senza un valido punto di appoggio. Se dal versante aquilano sono ormai presenti i rifugi Garibaldi (sempre meno utilizzato), il Duca Degli Abruzzi e non ultimo l'albergo di Campo Imperatore, sul versante opposto è tutto molto più complicato. Bafile si ingegna e costruisce con le sue mani, portando a spalla malta e attrezzi vari, un ricovero di pietre cementate tra loro sotto un enorme masso sulla morena del ghiacciaio del Calderone. Ben riparato da pioggia e vento, dotato anche di una rudimentale porta in legno e finestrella, il “rifugio Bafile” sarà il ricovero notturno di numerosi alpinisti fino al 1959, quando il CAI di Roma si fa carico della costruzione del Rifugio Carlo Franchetti. Questo, edificato in posizione logica e panoramica su una spalla del Vallone delle Cornacchie, è ubicato poche centinaia di metri al di sotto dal vecchio ricovero ed è oggi il rifugio per antonomasia per scalatori ed escursionisti. Quasi nessuno ormai sa dell’esistenza del vecchio “Rifugio Bafile”, ma un occhio attento e curioso lo può ancora individuare, e non può non suscitare meraviglia e stupore l'idea ingegnosa ed altruistica dell'Ingegnere Andrea.

3 Il bivacco costruito da A. Bafile foto M. MaIl bivacco costruito da A. Bafile foto M. Marcheggiani

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono quindi gli abruzzesi a dare nuovo impulso alle scalate, ma quasi contemporaneamente anche i romani cominciano a rivedersi sulla grande montagna. Chiaramente la fine della disgraziata guerra ha portato di nuovo serenità d'animo nonostante la diffusa crisi economica e giovani studenti o lavoratori tornano alle scalate. La ormai consolidata SUCAI romana anima un alpinismo più all'avanguardia. All'interno del gruppo c'è spirito di appartenenza, confronti costruttivi e probabilmente un agio sociale maggiore che facilita incursioni sulle grandi montagne dell'arco alpino e non ultimo conoscenze, frequentazione e confronti con “nomi” illustri dell'alpinismo.

5 Proporzione tra luomo e il Paretone foto M. MaProporzione tra l'uomo e il Paretone foto M. Marcheggiani

6 Proporzione tra luomo e il Paretone foto M. MaIl Paretone - foto M. Marcheggiani

 

Diversi tra gli alpinisti che sto per citare faranno ascensioni principalmente sulle Dolomiti, aprendo anche itinerari diventati poi classici, un esempio per tutti è la bella via “ Consiglio -Dall'Oglio” alla Cima Del Lago nel gruppo di Fanis. Consiglio è forse l'alpinista più innovativo e intraprendente, ma nella SUCAI Franco Alletto (burbero veneto dal cuore immenso trapiantato a Roma e per anni Presidente della sezione CAI, Accademico e in seguito anche vice presidente generale del CAI), Bruno Morandi (che per anni sarà un vero e proprio leader carismatico) Franco Cravino, Marino Dall'Oglio, Luigi Mario, Silvio Jovane sono solo alcuni dei giovani talenti che si cimentano e risolvono un'infinità di problemi. Il Gran Sasso offre ancora moltissime opportunità, ma per quanto l'ambiente alpinistico sia cresciuto, le realizzazioni sono pur sempre relative. Il rapporto uomini e quantità di pareti è ancora fortemente, ed ovviamente, sbilanciato e gli abruzzesi con i romani risultano essere quasi gli esclusivi apritori e ripetitori di nuovi itinerari. Non va dimenticato che il Gran Sasso, in quanto montagna appenninica, era considerato assolutamente secondario a qualsiasi altra cima del Nord, anche se, logicamente e storia alla mano, negli ultimi anni del '900 la ribalta alpinistica ha colmato in gran parte questo gap tecnico/culturale.

Quindi rari romani e credo pochissimi altri in centro Italia dedicavano le loro maggiori energie fisiche ed economiche alle scalate alpine mentre i ritagli di tempo fuori stagione erano per il Gran Sasso.

Tempo. Era solo questione di tempo. Lentamente si scopriva che anche in Appennino si potevano trovare ingaggi di tutto rispetto. Bastava guardare le montagne con occhi diversi. Il Gran Sasso non era affatto una “palestra” preparatoria alle Alpi. Aveva ed ha una sua propria indubbia validità.

8 Paolo Consiglio a sinistra e Franco Alletto arcPaolo Consiglio a sinistra e Franco Alletto - arch. CAI RomaLa bella, assolata ed inviolata parete Est della vetta Occidentale vede la sua prima salita nel 1948 da parte di Paolo Consiglio, Dall'Oglio, L. Sbarigia e R. Beghè. In realtà sembra che questa prima salita sia stata un ripiego ad un progetto più ambizioso... I quattro dopo lo studio del progetto iniziale scoprirono a giorno già avanzato una seconda possibilità. Non si scoraggiarono visto l'orario un pò avanzato. Attaccarono decisi dal lato destro la parete, poi un lungo traverso, con tratti verticali e altri traversi ancora e vista la bassa difficoltà e la bravura sia di Consiglio che di Dall'Oglio sbucarono in vetta compiendo quindi la prima salita della intera parete. I giovani sucaini vollero dare il nome del loro gruppo alla nuova e prima via; la via SUCAI è oggi uno dei banchi di prova di numerose cordate esordienti. Principalmente Consiglio, il più agguerrito tra i romani, non diede poi tregua alla sua idea iniziale. Dopo tre tentativi, nell'estate del '54 riuscì nel suo intento: accompagnato da un giovanissimo Luigi Mario (di cui più avanti ci sarà di che raccontare) e da Giorgio Schanzer aprì la più bella via della parete.

 

 

7 Paolo Consiglio in bivacco dolomitico arch. CAIPaolo Consiglio in bivacco dolomitico - arch. CAI Roma

La “diretta Consiglio” per molti anni fu la più dura via del Gran Sasso, con un 6° grado assoluto e tratti di artificiale per la prima volta messo in pratica sulla montagna abruzzese. Scoperta la potenzialità, l'anno seguente anche Franco Cravino e Silvio Jovane si diedero da fare superando lo spigolo Nord all'estrema destra della parete mentre Bruno Morandi con Emanuela Pivetta aprivano un'altra via sul lato sinistro. Sul versante opposto, quello teramano, fu preso quasi d'assalto il Corno Piccolo, dove diverse pareti pressoché inviolate e roccia di ottima qualità aspettavano le prime salite, ovviamente sempre di un discreto impegno tecnico. Nel '56 sempre Consiglio, Morandi e De Ritis superarono la super classica (oggi) della seconda spalla; Franco Cravino e Silvio Jovane aprirono la via “A destra della crepa” sulla verticale parete Est. Successivamente con l'abruzzese Lino D'Angelo (degli Aquilotti del Gran Sasso e prima guida alpina abruzzese) firmarono un capolavoro: la prima salita del Monolito, un ripidissimo scudo di roccia fantastica culminante nei 2655 m del Corno Piccolo. I romani si erano scatenati! Alletto e Cravino per primi superano l'ancora inviolata parete Ovest della Vetta Orientale (per essere precisi la vetta dell'Anticima). Franco Cravino comincia a distinguersi per una nutrita serie di prime solitarie, pratica ancora molto rara in Appennino. Va da sé che il fermento e le notevoli realizzazioni compiute sono fortemente stimolanti e gli attori sono ancora e principalmente i soliti nomi. Gli occhi attenti e curiosi di Consiglio e Alletto cominciano a scrutare con maggiore attenzione la grande montagna. Al di là delle pareti già enunciate e salite ce n’è una ancora più impegnativa, più grande, più selvaggia, più... più! La Vetta Orientale, ormai nota come “il Paretone” è ancora lo spauracchio di tutti. Oltre la via di Jannetta del '22 e un percorso su ripidi pendii erbosi di Sivitilli, Giancola e Panza del 1930 che non ha grande storia, c'è ancora un terreno assolutamente vergine.

 

 

9 F. Alletto e P. Consiglio primi due a sin. inF. Alletto e P. Consiglio (primi due a sin.) in Himalaya nel 1961 (arch. CAI Roma)

10 Spedizione SUCAI di Roma in Niger arch. CAI RomaSpedizione SUCAI di Roma in Niger - arch. CAI RomaI selvaggi versanti Sud ed Est sono da grandi imprese.

Se il versante Est volendo è faticosamente ma facilmente raggiungibile dal paese di San Nicola (fermo restando che la parete vera e propria non fa sconti a nessuno), il versante Sud è invece molto ostico da raggiungere. C'è una cresta che nel 1957 attira l'attenzione di Alletto e Consiglio. Molto complicata e lunga da raggiungere su un terreno molto articolato ed infido, da una certa quota in poi diventa una bella e impegnativa scalata che i due affrontano sfidando un ambiente davvero remoto e selvaggio; da lì si è invisibili a chiunque e nessuna richiesta di aiuto è minimamente ascoltabile. Non dimentichiamo altresì abbigliamento e attrezzatura di quei tempi. Armati di coraggio e determinazione scalano i 500 metri della via con difficoltà fino al 6° grado e tratti in artificiale che Consiglio aveva già dimostrato di saper fronteggiare nella sua diretta alla vetta Occidentale. Alletto, per parte sua, si era già messo in mostra per una delle prime ripetizioni della via Solleder in Civetta. Con questa salita spalancano le porte verso un alpinismo di alto livello, e non solo tecnico. A distanza di pochi anni, infatti, Consiglio e Alletto e pochi altri romani scopriranno anche le grandi montagne in Himalaya, Groenlandia, Caucaso, Africa dove saliranno importanti vette inviolate e apriranno notevoli vie di roccia, come per esempio in Hoggar.

11 Il rifugio Garibaldi foto M. MarcheggianiIl rifugio Garibaldi - foto M. Marcheggiani

Al Torrione Cambi, sulla assolata parete Sud, Consiglio, Jovane e G. Macola aprono la via della Gran Placca, inventandosi per l'occasione un pendolo (Ah! gli americani...) per risolvere il passaggio chiave. Ancora lo stesso anno abbiamo una vera e propria performance di Franco Cravino che da solo sale la lunga cresta Nord all'Orientale; una volta in vetta compie la lunga traversata delle tre vette, scende alla lontana Sella dei due Corni e da qui sale la cresta Sud del Corno Piccolo. In vetta immagino si sia riposato un po'! Da qui supera in discesa la cresta Nord: complessivamente un’arrampicata di 2600 metri fino al 5° grado. Cravino, piccolo e compatto (e molto simpatico) era senza dubbio uno dei più intraprendenti e innovativi scalatori di quegli anni. Ma non era finita: non c'era ancora la seggiovia per scendere ai Prati di Tivo e vanno aggiunti perciò altri 700 metri di dislivello (io feci lo stesso identico percorso 30 anni dopo e tornai in ginocchio alla macchina).

Nel '58 si superano altri tabù ed il livello tecnico fa un notevole balzo avanti.

12 Bruno Marsili seduto e Lino DAngelo arch.L. DBruno Marsili seduto e Lino D'Angelo (arch.L. D'Angelo)

19 Luigi Gigi Mario con la figlia al Gran Sasso aLuigi Gigi Mario con la figlia al Gran Sasso (arch. Vecchie glorie del Gran Sasso)

Prima dicevamo che di Luigi Mario ne avremmo riparlato: eccome se ne riparliamo! Luigi, detto Gigi, è romano, smilzo, grandi occhiali da miope, una folta capigliatura rossa. Si fa le ossa da ragazzetto seguendo i vari Consiglio, Alletto e altri bravi sucaini. Trova lavoro in banca, dove la norma era essere molto eleganti, formali e rinchiusi per 6/7 ore tra quattro mura illuminate a neon. Non può essere! A “Gigi” una vita così sta stretta da subito, molto più stretta degli abiti gessati che deve per forza indossare. La sostanziale peculiarità di “Gigi” è stata quella di uscire dai canoni tradizionali della vita e del lavoro. Negli anni '60 licenziarsi dal lavoro fisso in banca, che era il sogno di un italiano su due, equivaleva a una bestemmia gridata forte nella basilica di San Pietro, ma Gigi lo fa. Fa diversi altri lavori precari per vivere, non ha le spalle protette provenendo da una famiglia proletaria ma diventa sempre più un bravissimo scalatore mentre scopre essere questo l'indirizzo da dare alla sua vita. Interminabili viaggi a bordo di Fiat 600 o motociclette carichi di tutto lo portano dall'Appennino alle Dolomiti e sulle Alpi in genere dove scala principalmente con Alletto, Jovane e pochi altri. Prende in gestione l'appena costruito rifugio Carlo Franchetti eretto nel '59 nello spettacolare Vallone delle Cornacchie. Nel 1967, dopo aver conosciuto una donna giapponese che lo avvicina al mondo buddista, si trasferisce in Giappone, in un monastero Zen dove a distanza di pochi anni viene nominato a tutti gli effetti monaco buddista Zen, con il nome di Engaku Taino. Torna in Italia, diventa guida alpina e nel frattempo compra un casolare che trasforma in monastero dove passerà il resto della sua vita ad insegnare buddismo e arrampicata ai suoi numerosi allievi fino alla sua prematura morte nel Novembre del 2021.

1 avvicinamento pilastri

13 Clorindo Narducci e Lino DAngelo al Gran Sasso Clorindo Narducci e Lino D'Angelo al Gran Sasso (arch. L. D'Angelo)

 

14 Silvio Jovane sin e Lino Dangelo dopo 1 salitSilvio Jovane a sin e Lino Dangelo dopo la prima salita del Monolito (foto F. Cravino)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torniamo indietro, a “Gigi Mario detto il Bonzo” e alle sue importanti scalate. Eravamo rimasti alla fine degli anni '50. Luigi Mario è cresciuto, diventa sempre più bravo e intraprendente. Il Gran Sasso non è più montagna di ripiego ma ha una sua precisa validità. Tutte le pareti ormai sono state salite su itinerari di cui alcuni molto difficili: una sola di queste ancora presenta incognite di livello tecnico, è il Paretone della Vetta Orientale. La via di Jannetta del '22 la attraversa con la sua lunga diagonale, evitando a destra quelli che Silvio Jovane, curioso e attento, aveva definito i quattro Pilastri. Questi sorreggono la vetta massima dell'Orientale e due di questi si ergono slanciati sopra i grandi strapiombi della Farfalla. Sono questi Pilastri ormai i veri problemi da risolvere insieme alla inviolata parete Est dell'Anticima Nord. Uno spazio enorme, ricco di grandissime potenzialità. Sono proprio Mario e Jovane ad aprire le danze, Salendo da Casale San Nicola, superando quindi un enorme dislivello, lungo la via Jannetta giungono sul bordo destro dei grandi strapiombi della Farfalla. Qui attaccano la direttrice più logica e scalano fino ad intersecare la evidente cengia obliqua, la seguono verso sinistra con facile arrampicata e successivamente superano interamente l'evidente pilastro con una esposizione a volte inquietante: sotto il loro sedere ci sono oltre mille metri di vuoto. E' il secondo dei quattro Pilastri. Era il 2 giugno del 1958.

Gli abruzzesi si sentono toccati nell'orgoglio! Pur avendo assoluta amicizia con i romani, è chiaro che la “loro” montagna non può essere appannaggio esclusivo dei capitolini. E' il piccolo e bravissimo Lino D'Angelo a raccogliere il guanto della sfida quando l'11 agosto insieme a Clorindo Narducci affronta il terzo dei Pilastri. Questo è senza dubbio il più evidente e slanciato di tutti. D'Angelo è capocordata, supera quasi con disinvoltura gli oltre 500 metri della parete, ma portato a seguire ovviamente i punti di minore resistenza, obliqua troppo a sinistra dalla linea ideale del pilastro. Supera comunque un terreno molto articolato e a volte insidioso fino in vetta, firmando a nome degli Aquilotti del Gran Sasso una bellissima realizzazione. Competizione o no, il 14 settembre Mario, Alletto ed Emilio Caruso puntano all'ultima parete ancora inviolata. La parete Est dell'Anticima Nord della Vetta Orientale è molto diversa dai vicini Pilastri da cui è divisa dalla lunga linea obliqua della via Jannetta. Questa parete è molto più complessa da raggiungere, ed inoltre ha una forma quasi a conchiglia, con una più difficile individuazione di una logica via di salita. La consolidata esperienza e bravura di Mario e Alletto però hanno ragione della parete scalando un lungo sperone obliquo fino in centro parete, da dove poi in parete aperta raggiungono la vetta dell'ultima parete ancora mai salita. Con questa “conquista” non si conclude nessun capitolo, anzi! Gli anni 50 sono solo il preludio a un alpinismo fortemente in crescita che a breve non sarà più appannaggio dei romani.

15 SS. Jovane e la sua moto verso le Dolomiti (arch. CAI Roma)

“Gigi il bonzo” è rapito dall'alpinismo, che è diventata la linea guida della sua vita. In cordata con Emilio Caruso nel '59 affronta e supera il ripidissimo spigolo a destra della “crepa”: Questa definizione sarà poi il nome della difficile via aperta sulla parete Est del Corno Piccolo. Due mesi dopo un altro capolavoro prende vita a firma Mario / Caruso. Il quarto Pilastro del Paretone capitola alla consolidata bravura di Mario, che con tecnica e fantasia usa rudimentali ganci per superare sezioni artificiali (Ah! Sapessero gli americani...). Comunque le difficoltà in libera sono veramente alte e si tratta di una scalata davvero all'avanguardia, che verrà ripetuta soltanto a quasi 20 anni di distanza. Le vie di Gigi Mario erano severi banchi di prova e per 15 anni resteranno le più difficili in assoluto.

Viene costruito il rifugio Carlo Franchetti che diverrà il più importante e logico dell'intero massiccio montuoso. Luigi Mario, come detto, ne diviene, per quanto mi risulta, il primo gestore in linea con le sue sempre più precise e coraggiose scelte di vita.

Nello stesso anno escono alla ribalta due alpinisti di Ascoli Piceno: Marco Florio e Maurizio Calibani. Sono i primi ad uscire da un contesto di alpinismo provinciale quando con coraggio si avventurano nella prima ripetizione della via al 3° Pilastro. Riescono parzialmente a seguire la via aperta da D'Angelo e Narducci quando superata da poco la cengia obliqua, si discostano da questo e puntano decisamente a sinistra, più di quanto non abbiano fatto i due Aquilotti del Gran Sasso l'anno prima.

17 F. Cravino sin. e BF. Cravino (sin.) e B. Morandi in Dolomiti (arch. CAI Roma)

18 Bruno Morandi in arrampicata arch. CAI RomaBruno Morandi in arrampicata arch. CAI Roma

Se la via di D'Angelo poi in alto piega verso la vetta del 3° Pilastro, la lunga variante degli ascolani sale più sul 2° che non sul 3° dei Pilastri. Va detto che da quell'anno anche gli alpinisti di Ascoli Piceno saranno una costante e proficua presenza sulla montagna. Essi, in evidente polemica rottura con la loro sezione del CAI, costituiscono in alternativa il GAP, Gruppo Alpinisti Piceni, di cui i maggiori esponenti, oltre Florio e Calibani, saranno anche Francesco Saladini, Francesco Bachetti, Giuseppe “Peppe” Fanesi che con pochi altri ancora apriranno molte vie negli anni '60. Soprattutto la parete Nord del Corno Piccolo vede l'apertura di numerosi itinerari a loro firma, di cui alcuni molto difficili. Tra i tanti si distingueranno principalmente Bachetti e Fanesi che da lì a pochi anni saranno i primi a ripetere (nel 1967) la parete Nord del Monte Camicia, salita nel 1934. Saranno praticamente anche i primi a valorizzare le grandi e assolate pareti del Pizzo Intermesoli, fino ad allora ben poco considerate. Nei primi anni '60 Luigi Mario, durante la gestione del rifugio Franchetti, fa ancora parlare di se quando con Fernando Di Filippo apre nello stesso giorno due vie particolarmente difficili. Attacca prima la parete Nord della Seconda Spalla nel suo punto più basso lungo diedri e fessure di roccia pressoché magnifica uscendone in vetta dopo aver superato alte difficoltà; da qui, invece che ritenersi soddisfatto, si sposta più in alto tramite una comoda cengia che porta alla base della grande e assolata parete Ovest della Prima Spalla. Attacca lungo una fessura in comune con la via Federici-Antonelli del'39 da cui si distacca subito dopo. Il tiro successivo vede una grande fessura molto svasata e quasi improteggibile da superare con incastri e brutalità. I tiri superiori rientrano nella norma ma sono ricchi di esposizione e bellezza. Ancora oggi questa via, nonostante sia data di V+, non va assolutamente sottovalutata data l'anomalia del secondo tiro davvero difficile da gestire.

 A sin. Calibani a dx FlorioA sin. Calibani a dx Florio

Da sin Calibani W. Bonatti e FDa sin Calibani W. Bonatti e Florio

Florio in Lambretta verso le moFlorio in Lambretta verso le montagne

 

 

 

21 Parete Est della Vetta Occidentale del Corno GranParete Est della Vetta Occidentale del Corno Grande - foto M. Marcheggiani

22 Parete Est del Corno Piccolo foto M. MarcheggianParete Est del Corno Piccolo foto M. Marcheggiani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Parete Est del Corno Piccolo (foto M. Marcheggiani)

24 Parete Est del Corno Piccolo foto M. MarcheggiaParete Est del Corno Piccolo foto M. Marcheggiani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Primo Pilastro al Paretone, che è il più lontano da raggiungere ma anche il più facile e corto nonché l'unico ancora non salito, trova nei sucaini Carlo Alberto Pinelli, Paolo Gradi e Mario Lopriore i risolutori nell'estate del 1962.

25 Inaugurazione rifugio Carlo Franchetti nel 1960 Inaugurazione rifugio Carlo Franchetti nel 1960 (arch. CAI Roma)Ancora l'anno dopo, siamo quindi nel 1963, L. Mario si supera di nuovo. Chi di voi lettori ha visitato il Gran Sasso, avrà notato come la vetta del Corno Piccolo ad Est è costituita da un enorme scudo di compattissimo e lucente calcare; questo è conosciuto come “Il Monolito” e mai denominazione fu più azzeccata. Nel '56 era stato superato da Cravino, Jovane e D'Angelo tramite il grande diedro fessurato posto sul lato sinistro, mentre il grande spazio a destra di questo è solo e soltanto placca, compattissima, verticale e pure strapiombante. Bene, Mario insieme a Giancarlo Adinolfi supera il grande scudo con elevate difficoltà. La compattezza della roccia spesso inchiodabile induce “Gigi” a fare dei buchi, piantare corti tondini di ferro da cantiere su cui strozza dei cordini e così progredisce in libera o artificiale molto precaria. In alto li attende il grande strapiombo, fortunatamente percorso da una lunga obliqua fessura aggettante. Con obbligata e difficile tecnica artificiale Mario supera il marcato strapiombo mentre supera di nuovo se stesso. La via Rosy sarà l'ultimo capolavoro di “Gigi il Bonzo” al Gran Sasso. Poi chiude con il rifugio, si dedica alla religione buddista Zen, diventa Monaco, diventa guida alpina e vive felice e contento insegnando, meditando e arrampicando oltre il moderno 7A fino ai suoi ultimi giorni di vita. In soli 5 anni Luigi Mario aveva indiscutibilmente rivoluzionato lo standard alpinistico del centro Italia.

Primitive scalate di ragazzi asPrimitive scalate di ragazzi ascolani

26 Il rifugio Franchetti oggi e il Monolito foto MjpgIl rifugio Franchetti oggi e il Monolito (foto M. Marcheggiani)Ancora gli anni '60 vedono belle realizzazioni, anche se nessuna di queste raggiunge il livello tecnico di Luigi Mario. Gli Ascolani già nominati sono la nuova generazione rivolta più verso la ricerca che non il superamento delle attuali difficoltà. Sono quindi gli stessi di cui sopra ad aprire numerosi itinerari ancora oggi molto ripetuti. Il maggiore livello tecnico ascolano in quegli anni è appannaggio di Francesco Bachetti, ma non sarà solo la bravura che lo farà diventare personaggio, ma tutta una serie di vicissitudini alpinistiche e non, saranno la traccia spesso amara della sua travagliata vita. Esce dal corso di roccia tenuto dal GAP nel '65 e praticamente è già un talento. Un talento naturale che non avrebbe avuto bisogno di nessun corso se non per imparare due nodi e poco altro. Con “Peppe” Fanesi (altro talento) dopo appena due anni di scalate ripete la mai ripetuta via Marsili / Panza alla selvaggia e friabile parete Nord del monte Camicia aprendo una lunga variante di 5°. Apre con compagni diversi altre numerose vie, quasi tutte fortemente sottogradate data la semplicità con cui risolveva i problemi. Una per tutte la via Umberto Cattani, gradata da Bachetti 4°+ e data oggi 5°+ / 6°. Francesco è passionale e istintivo, molto preso da scalate e politica con idee di sinistra, molto a sinistra (come quasi tutti nel gruppo GAP) e tendenzialmente anarchico.

32Mimì Alessandri in primo piano dopo una salita di 6° grado a 83 anni e con gli scarponi - Ph Leandro GenangeliNel 1972 viene arrestato a soli 24 anni per turbativa ad un comizio del MSI e fa mesi di galera. Ne esce fortemente provato, amareggiato e forse depresso. Uscito dal carcere non ha più lavoro, perde quasi un braccio in un incidente d'auto. Non scala più, in parte ormai isolato o dimenticato da molti ex compagni, perde il senno per diverso tempo poi si riprende intagliando legno ma non esce più da casa se non per l'osteria. Muore nel 2004 a soli 56 anni di cui 30 passati in un amaro oblio. Sul comodino di fianco al suo letto di morte una pila di libri: tutte le guide del Gran Sasso, compresa l'ultima. Il suo compagno preferito, “Peppe” Fanesi, è stato l'altro capo fila dell'alpinismo ascolano. Un ragazzo nato nel '42 particolarmente intelligente, ironico, istintivo e con una carica umana incredibile. E' un pò il riferimento principale delle giovani leve, con le quali Fanesi si lega ben volentieri, svezzando l'iniziale grossolanità dei suoi “allievi”. Apre numerose vie belle, eleganti e molto logiche e credo sia l'unico (oltre i primi salitori) ad aver superato per due volte la parete Nord del Camicia (perché salirla una volta basta ed avanza). Fanesi ha l'indole dell'istruttore, ma con finalità assolutamente amichevoli, e sarà lui a far crescere i migliori della generazione successiva, tra cui si distinguerà su tutti Tiziano Cantalamessa, il più grande in assoluto. Fanesi, come quasi tutto l'ambiente alpinistico ascolano è fortemente impegnato nel sociale militando senza tentennamenti nel Partito Comunista in cui si distingue per le sue idee innovative e per esserne lo sprone principale, tanto che il Partito intitolerà a suo nome la locale sezione.

Il Gran Sasso si trova ad essere il principale riferimento alpinistico del centro Italia. Vero che si scala anche altrove tra Sibillini, i Monti Reatini, il Monte Sirente e quanto altro ma chi vuole il vero “ingaggio” non può non confrontarsi con la montagna più alta dell'Appennino centrale e con la sua superba roccia e le sue selvagge e smisurate pareti.

31Giuseppe "Peppe" Fanesi a sinistra con Francesco Bacchetti al Rifugio FranchettiLa fine degli anni 60 e la prima metà degli anni 70 sono un pò la linea di demarcazione tra l'alpinismo tradizionale, fatto, senza sarcasmi, da scarponi rigidi e pantaloni alla zuava, e un alpinismo ben più moderno. Cresce proprio in quegli anni il numero di alpinisti provenienti dall'Abruzzo, dalle Marche, dal Lazio, poi Umbri, rari toscani e addirittura compaiono rari campani e pugliesi. Mentre i romani della SUCAI vanno man mano scomparendo, sono soprattutto gli abruzzesi e i marchigiani a fare la parte del leone. Domenico “Mimì” Alessandri è forse quello che si distingue più di altri. Arriva già adulto all'alpinismo e dimostra talento istintivo come certi ascolani sopra citati. Apre la Diretta Alessandri con C. Leone sulla parete Est della Vetta Occidentale, via mista artificiale e libera. Successivamente con Roberto Furi e Carlo Leone apre la via più logica e bella dell'intero Paretone superando il terzo Pilastro con una via che sarà (ed è) la più ambita per chi si avventura sul Paretone. L'intraprendenza di “Mimì” lo porta poi sulla friabile parete Nord del monte Camicia dove apre una via diretta durante la terza ripetizione della via classica del 34. Sulla stessa parete Alessandri vivrà poi una terribile e drammatica esperienza durante la prima salita invernale della stessa, ma che vedremo in un apposito capitolo sull'alpinismo invernale. Degli ascolani abbiamo già detto, mentre gli “Aquilotti del Gran Sasso” vivono una nuova primavera con l'inossidabile Lino D'Angelo che quasi sempre con il giovane Enrico De Luca, anch'egli Guida Alpina, apre itinerari ancora oggi molto ripetuti, valorizzando ulteriormente le Spalle del Corno Piccolo, vera miniera di opportunità per futuri e disinibiti scalatori.

E. De Luca con D. Nibid e Diego D'Angelo (tutti Aquilotti) si avventurano sulla sezione più verticale, strapiombante ed impegnativa della parete Est del Corno Piccolo, aprendo la via del Cinquantenario in arrampicata mista libera ed artificiale, la quale coinciderà in parte con la via dei Tetti aperta immediatamente dopo, in chiaro antagonismo con gli Aquilotti, da Pasquale Jannetti, Guida Alpina e gestore del rifugio Franchetti, in più riprese e compagni diversi. Tutto si concentra ancora nella soluzione di itinerari da aprire via via sempre più impegnativi ma con logica tradizionale. Come avrete notato gli attori sono ancora pochi, e spesso sempre gli stessi. L'alpinismo di “massa” doveva ancora vedere la sua nascita, che avverrà inevitabilmente dopo la metà degli anni 70, con l'avvento di una generazione ormai senza più scarponi nè zavorre culturali, priva di inibizioni e sudditanze, mentre la vicina ma ancora in gran parte ignorata grande parete Est del Pizzo Intermesoli aspetta sorniona il suo tempo dopo le sporadiche incursioni degli Ascolani.

Lunedì, 13 Febbraio 2023 22:13

 

Il CAI e il CAAI selezionano un gruppo di giovani alpinisti molto dotati, già forti e fortemente motivati a diventare i numeri primi dell’alpinismo di avventura a livello internazionale, per un percorso formativo di eccellenza sotto la guida di Matteo della Bordella e di altri specialisti del settore.

Dare la possibilità a dei giovani di concentrarsi davvero sull’alpinismo di alto livello è il nocciolo di questa avventura” sostiene Mauro Penasa, presidente generale dell’Accademico. “Da tempo ci lamentiamo della crisi di vocazione alpinistica, senza riuscire a mutare la tendenza che sposta l’interesse degli appassionati verso attività più vicine allo sport… così, chi arriva alla montagna, perché prima o poi ci si arriva, è in media ben preparato dal punto di vista tecnico, ma spesso è ormai tutt’altro che giovane. Come conseguenza il nostro Club, l’Accademico, sta invecchiando inesorabilmente. Il CAI Eagle Team è quindi un’occasione da non perdere per portare su terreni di avventura ragazzi di buon livello sotto i 28 anni. Il suo atto finale, la spedizione, sarà per i partecipanti occasione di prendere confidenza con la realtà extraeuropea, di difficile approccio per un giovane, e verificare così la solidità delle consapevolezze acquisite durante il percorso di crescita”.

Di seguito il comunicato ufficiale condiviso sul sito CAI Home » Andare in Montagna » Alpinismo » Progetto CAI Eagle Team

Trasmettere ai giovani le conoscenze tecniche e il patrimonio culturale fondamentali per chiunque ambisca a diventare interprete dell’alpinismo moderno. Promuovere lo sviluppo della pratica alpinistica tra i più giovani, offrendo a un selezionato gruppo di talenti l’opportunità di potersi esprimere al massimo, sulle difficoltà più elevate e sulle montagne più belle al mondo.

cai eagle

 

 

 

Dodici alpinisti tra i 18 e i 28 anni

Questi gli obiettivi del “EAGLE TEAM”, progetto ideato dall’alpinista Matteo Della Bordella insieme al Club Alpino Italiano e al Club Alpino Accademico Italiano (Sezione nazionale che riunisce i soci Cai che hanno svolto attività alpinistica non professionistica di particolare rilievo e intensità), che intende selezionare dodici giovani (ragazze e ragazzi) tra i 18 e i 28 anni, offrendo loro l’opportunità di sviluppare il talento alpinistico grazie a un programma pensato per una crescita di alto livello, con tutor selezionati tra i migliori alpinisti italiani e internazionali.

Lo scopo finale? Diventare degli ottimi alpinisti, ma anche guadagnarsi il proprio posto nel gruppo che parteciperà alla spedizione alpinistica internazionale 2025 finanziata dal Club alpino italiano in Patagonia, insieme a Matteo Della Bordella e altri due esperti alpinisti.

 

 

 

 

Cai eagle team2

 

 

Sei settimane di formazione, poi la Patagonia

Finanziato dal Club Alpino Italiano e gestito da Matteo Della Bordella (appartenente ai Ragni di Lecco e Accademico del Cai), il progetto “Cai Eagle Team” prevede, tra aprile 2023 e dicembre 2024, sei settimane di attività in varie zone delle Alpi (dalla Grigna alle Dolomiti, dal Monte Bianco alla Valle Orco, fino ad arrivare all’Oberland bernese), incentrate sull’arrampicata (su roccia, su ghiaccio e misto, in fessura), sull’alpinismo e sull’eventuale apertura di una via. Il tutto per trasmettere ai partecipanti le conoscenze tecniche e il patrimonio culturale fondamentali per ogni interprete dell’alpinismo moderno.

 

 

 

Al termine delle settimane, verranno selezionati, sulla base della valutazione delle capacità tecnico/alpinistiche, caratteriali e logistiche, i componenti della spedizione extraeuropea. Sei i giovani (ragazze e ragazzi) che potranno accedervi, con l’obiettivo di compiere salite di prestigio in Patagonia nel febbraio 2025.

Ciascuna delle sei settimane prevede incontri teorici da affiancare alla pratica della specifica attività prevista, oltre a momenti di approfondimento di natura storico/culturale e su temi di ampio respiro come la gestione del rischio e della sicurezza, e a un focus sul legame tra alpinismo e comunicazione, elemento sempre più importante per chi oggi vuole svolgere attività di alto livello.

Le sei settimane vedranno l’intervento, oltre che di Matteo Della Bordella, di alcuni dei migliori alpinisti italiani e internazionali, mentre i momenti sulla storia e sulla cultura saranno affidati a giornalisti, scrittori, storici e a personaggi di spicco dell’alpinismo.

I dodici partecipanti saranno selezionati su base curricolare e mediante un test delle capacità alpinistiche della durata di due giorni, in programma a fine marzo in Piemonte, in Val D’Ossola.

Gli interessati possono trovare tutte le informazioni per inviare la candidatura nel file scaricabile qui sotto.

Per iscriversi c’è tempo fino al 15 marzo 2023.

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Costi

Il progetto è finanziato per la sua interezza dal Club Alpino Italiano che, insieme al Club alpino accademico, crede fortemente nell’importanza di offrire un’opportunità alle nuove generazioni, perché possano avere i mezzi attraverso cui mostrare e sviluppare il proprio talento.

Il percorso formativo non prevede costi vivi per i partecipanti, salvo quelli relativi al viaggio per raggiungere le diverse località di svolgimento delle settimane. Allo stesso modo, anche per la spedizione non vi saranno costi fissi a carico degli stessi.

I dodici partecipanti alle settimane, come i sei ammessi alla spedizione, saranno però tenuti al tesseramento Cai e alla stipula del’assicurazione in attività personale che il Cai mette a disposizione dei soci, nonché all’assicurazione per attività extra europea per il periodo della spedizione.

Il progetto “Cai Eagle Team” rappresenta quindi un’esperienza e un’opportunità unica nel suo genere.

Per approfondire

pdfI criteri di selezione

pdfIl programma

Per informazioni e adesioni

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il form di iscrizione è disponibile al seguente indirizzo: https://www.cai.it/andare-in-montagna/alpinismo/progetto-cai-eagle-team/

Se ne parla anche qui:

https://www.sportmediaset.mediaset.it/altrisport/missione-patagonia-2025-della-bordella-special-tutor-del-progetto-cai-eagle-team_60928178-202302k.shtml

https://www.lastampa.it/montagna/2023/02/11/news/eagle_team_il_cai_lancia_laccademia_dellalpinismo_per_giovani_talenti_con_spedizione_finale_in_patagonia-12637655/

https://www.ansa.it/canale_legalita_scuola/notizie/tavoli_legalita/regione/lombardia/2023/02/10/al-via-progetto-cai-eagle-team-per-formare-giovani-alpinisti_2bdbe877-85da-485b-bf8e-3beb739346d6.html

https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/cai-eagle-team-12-giovani-alpinisti-progetto-formativo-alpinismo-alto-livello.html

 

Le motivazioni che supportano l'adesione del CAAI al Progetto EAGLE TEAM nelle parole del Presidente Generale Mauro Penasa

Nel progetto CAI Eagle Team ci sono due concetti chiave, per l’alpinismo italiano e per il CAAI

I giovani

L’inizio dell’esperienza di tanti accademici risale a molti anni fa, per molti al momento in cui c’è stata una rivoluzione nei materiali e nella mentalità della scalata su roccia. Per quanto poco si facesse sembrava di essere sulla cresta dell’onda, con grande riflesso sulla nostra autostima. Ma allora c’era una sola disciplina, l’alpinismo, tutti più o meno arrivavamo dalla montagna, tutto ruotava intorno ad essa.

Lo sviluppo successivo dell’arrampicata sportiva ha avuto diversi effetti: ha aumentato considerevolmente il livello, ed il numero di praticanti. Oggi i giovani sanno scalare molto bene, ma spesso non hanno alcuna esperienza dei terreni meno addomesticati, ed ovviamente preferiscono pareti tecniche di alta difficoltà ma con ingaggio tendenzialmente limitato.

L’avventura

C’è un aspetto di consapevolezza che viene dalla frequentazione di terreni di avventura in montagna. La consapevolezza non elimina il rischio ma aumenta le capacità di gestirlo e di ridurne le potenzialità limitanti, con l’effetto di poter arrivare a risultati notevoli. Una delle ragioni per cui si riesce a salire una parete è il sentirsi in confidenza con la montagna, e questo arriva non solo dall’esperienza della scalata, ma anche dall’esperienza della confidenza.

Personaggi come Matteo Della Bordella sono allora indispensabili a trainare un gruppo di giovani ed a spingerlo verso il top dell’alpinismo. Ricordiamoci che l’alpinismo è un fenomeno sociale, e il muoversi in un gruppo di élite è prezioso e motivante. Ovviamente questa operazione va gestita in ambito alpino, ma viene automatica l’idea di verificarne il livello in una spedizione extraeuropea, difficile da organizzare per dei giovani e soprattutto dispendiosa in termini di risorse economiche e di tempo (le prime fisiologicamente scarse per un giovane, il secondo sempre prezioso per chi è davvero preso dalla scalata).

 

Sabato, 21 Gennaio 2023 14:52

MOUNT KENYA - DIAMOND COULOIR

Un grandioso itinerario che ci racconta l’evoluzione dell’alpinismo e le trasformazioni dell’ambiente

Testo e foto di Alberto Rampini e Silvia Mazzani (GISM)

Il Monte Kenya è uno stratovulcano spento che sorge all'interno del Parco Nazionale del Monte Kenya ed è divenuto Patrimonio dell'Umanità Unesco dal 1997. Il parco si trova a circa 150 km a nord-nord-est di Nairobi, la capitale del Kenya.

34 Monte Kenya annotated

E’ la seconda cima dell’Africa per altezza ma è sicuramente la prima per interesse alpinistico. In realtà non si tratta di un'unica cima ma di un complesso gruppo montuoso formato da diverse cime, la più alta delle quali è la Punta Batian (5.199 m), circondata da altre tre cime principali, la Punta Nelion (5.188 m), la Punta John (4.883 m) e la Punta Lenana (4.985 m).

32 KENYA001Monte Kenya versante Sud con al centro il Diamond Couloir. Foto del 1989

37 Punta John e Punta Lenana sulla destraPunta John e Punta Lenana sulla destra

 

33 Mount KeniaA proposito della Punta Lenana ci tengo a ricordare un episodio che ha avuto una amplissima rilevanza mediatica a livello mondiale e che interessa  l’alpinista italiano Felice Benuzzi, scomparso nel 1988.

Prigioniero degli Inglesi in Kenya nel 1943 fugge dal campo di detenzione assieme a due compagni al solo scopo di salire il Monte Kenya. In quindici giorni di “latitanza” tentano la salita alla Punta Batian, ma la mancanza di informazioni e di attrezzatura adeguata li costringe a desistere. Riescono però a salire la Punta Lenana, tecnicamente facile, ma comunque a livello personale un’impresa straordinaria per le modalità in cui viene effettuata. Compiuta l’ascensione tornano al campo di prigionia, come avevano promesso!

Leggi qui questa incredibile avventura

Ma torniamo alla cima più alta (la Punta Batian 5.199 m) sulla quale si concentra il maggiore interesse degli scalatori. La via normale si svolge sulla parete Nord ed è una salita su ottima roccia con difficoltà sul quarto grado. Anche altri itinerari sono stati aperti sulla montagna, ma vengono raramente ripetuti. La cosa più notevole, tuttavia, è la presenza al centro della parete Sud di un couloir di ghiaccio lungo oltre 600 metri, divenuto negli anni settanta del secolo scorso una delle mete più ambite per i ghiacciatori di tutto il mondo. Ed è straordinario il fatto che questo nastro di ghiaccio si trovi su una parete posta a meno di 20 km dall’Equatore.

41 KENYA009

La prima salita del Diamond Couloir venne realizzata da Pete Snyder e Thumbi Mathenge nel 1973, evitando la parte alta più ripida per mezzo di una rampa sulla sinistra; questa imponente sezione superiore, denominata “Headwall”, fu salita per la prima volta nel 1975 da Yvon Chouinard e Michael Covington, che resero famoso il Diamond Couloir come una delle più grandi vie di ghiaccio del mondo per il tempo. pdfAAJ_1976.pdf

Una immensa cascata di ghiaccio proprio al centro dell’Africa. Una cosa da non credere!

Tutto questo era reso possibile dal clima particolare di questa regione, caratterizzato da due stagioni belle e secche (da dicembre a marzo e da luglio a ottobre) inframmezzate da alcuni mesi piovosi e quindi abbastanza nevosi in quota. L’alternarsi di queste diverse fasi permetteva il formarsi di abbondanti cascate di ghiaccio lungo tutto il couloir, sfruttabili al meglio in alcuni periodi delle due stagioni di bel tempo.

Il Monte Kenya ha un tipico clima montano equatoriale e anche nella bella stagione si possono verificare dei cambiamenti improvvisi: al mattino il tempo è in genere buono, mentre nel pomeriggio e in serata si alzano le nebbie e spesso si verificano piovaschi e anche nevicate.

Purtroppo negli ultimi anni un'importante variazione strettamente legata al riscaldamento globale ha cambiato i giochi: il clima attuale sul Monte Kenya è ancora piuttosto umido, ma notevolmente meno che nel secolo scorso e questo ha determinato un calo drastico della copertura glaciale rendendo inscalabile il Diamond Couloir.

La mia esperienza nel gennaio 1989, quando il Diamond Couloir era ancora una lunga striscia bianca

Nei primissimi giorni di gennaio 1989, quando subito dopo le vacanze di Natale volai in Kenya con i miei amici Angelo Pozzi, Massimo Boni, Daniele Pioli e Silvia Mazzani per salire il Diamond Couloir, avevo ben poche notizie: sapevo della mitica prima scalata della Headwall (Yvon Chouinard e Michael Covington nel 1975) e della prima ripetizione italiana ad opera degli Accademici Fausto De Stefani e Italo Bazzani nel 1979. Sapevo anche che il mese di gennaio era un periodo con buone condizioni “meteo”, anche se probabilmente non era il migliore per l'arrampicata su ghiaccio sulla parete sud del Monte Kenya, ma era il periodo che avevamo tutti a disposizione per cui decidemmo di tentare comunque questa magnifica linea. L’idea di piolet traction all’equatore era veramente stimolante.

3 Diamond Couloir attacco su roccia Genn 1989Diamond Couloir attacco su roccia Genn 1989

 

8 Diamond Couloir Attacco su roccia Anno 1989Diamond Couloir Attacco su roccia Anno 1989

2 The Headwall comera nel 1989The Headwall come era nel 1989 al momento della nostra salita

 

Anche se un po' ridotta rispetto alle sue condizioni negli anni '70, trovammo ancora questa via come una striscia di ghiaccio bianco, che solcava meravigliosamente la parete sud-ovest del Monte Kenya. Fu per tutti un'esperienza soddisfacente, sia per la bellissima arrampicata su ghiaccio che per il bel tempo e l'ambiente superbo. Le condizioni eccellenti della montagna ci permisero di fare la salita agevolmente in giornata, nonostante le difficoltà incontrate per riuscire a prendere la colata di ghiaccio al suo inizio, sopra la crepaccia terminale.

Un duro tiro in dry-tooling (anche se allora non si chiamava così) ci fece capire che la situazione era ben cambiata nei 14 anni passati dalla data della prima salita, avvenuta lungo uno scivolo ghiacciato fin dal suo inizio.

 

 

 

 

 

9 Il primo tratto su ghiaccio sottile Anno 1989Il primo tratto su ghiaccio sottile Anno 1989

11 Verso la Head WallVerso la Head Wall

 

19 La sezione centrale del DiamondLa sezione centrale del Diamond

22 Luscita dal Diamond verso il Gate of the MistsUscita dal Diamond verso il Gate of the Mists

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

3a Il minuscolo bivacco sulla vetta della Punta NelionIl minuscolo bivacco sulla vetta della Punta Nelion 40 La Two Tarns HutLa Two Tarns Hut

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrampicata su ghiaccio, alpinismo e riscaldamento globale.

Il riscaldamento globale sta sciogliendo tutte le superfici ghiacciate della terra, dalla calotta artica ai ghiacciai alpini ai più grandi ghiacciai himalayani a quelli andini e a quelli equatoriali, ovviamente! Purtroppo il riscaldamento globale, al di là delle gravi problematiche che provoca a livello planetario,  sta minacciando non solo l'arrampicata su ghiaccio, ma tutte le attività alpinistiche di media e alta montagna. Anche le costruzioni rocciose possono essere danneggiate; infatti negli ultimi decenni, e sempre più frequentemente negli ultimi anni, nelle Alpi si stanno verificando innumerevoli frane, principalmente nelle Alpi Occidentali, ma talvolta anche nelle Dolomiti e nelle Alpi Orientali, causate dal degrado delle zone interne di permafrost, che dovrebbero rimanere permanentemente ghiacciate. Queste invisibili zone di permafrost vengono danneggiate dal susseguirsi di scioglimenti e gelate, dando origine ad una generale instabilità dell'intero edificio roccioso.

5 Austrian Hut 4790 mAustrian Hut 4790 m

Negli ultimi anni, lentamente ma inesorabilmente, anche la bellissima linea di ghiaccio del Diamond Couloir ha iniziato a diventare una delle innumerevoli vittime del riscaldamento globale, fino a quando all'inizio degli anni 2000 è stata ritenuta inscalabile, per l'assenza di ghiaccio nella parte inferiore della via.

Eppure nell'agosto 2005 quattro alpinisti statunitensi riuscirono ancora a salire l'intero Diamond Couloir e dando la notizia sul web affermarono che il Diamond brillava ancora: prima Kitty Calhoun e Jay Smith e il giorno dopo Jim Donini e Brac McMillon. Riferirono che la via si era trasformata in una moderna via di ghiaccio molto difficile con la parte iniziale da percorrere in dry tooling. Notevole anche il pericolo di scariche dall’alto.

 pdfAAJ_2006.pdf

Lo stesso anno, in ottobre, anche la guida svizzera Fred Salamin salì il canalone e trovò buone condizioni di ghiaccio su tutta la via. Una possibile spiegazione è che la stagione delle piogge autunnali, fino a quel momento evitata dagli scalatori a causa del maltempo, sia diventata forse la stagione migliore per scalare il Diamond Couloir, avendo fortuna con il meteo. Un'altra possibile spiegazione è che l'anno 2005 sia stato un anno eccezionale per quanto riguarda le condizioni del ghiaccio.

Una successiva salita del Diamond Couloir venne effettuata nel 2006, il 17 gennaio, da Julian Mathias (USA).

Da allora, per 12 anni, non si è avuta notizia di ulteriori ripetizioni. In effetti il Diamond Glacier, situato all'uscita del Diamond Couloir e che lo alimenta, purtroppo ormai non è altro che una macchia di neve: confrontando l'attuale copertura di ghiaccio con quella degli anni '80 la differenza è davvero drammatica. 

Qualcuno pensa quindi che il Diamond Couloir sia sulla via di un tramonto definitivo.

Come un imprevedibile colpo di scena, tuttavia, nell’ottobre 2018 il keniota Julian Wright e il sudafricano Trystan Firman in due giorni di dura lotta riescono a salire il Diamond approfittando di condizioni meteorologiche straordinarie e di una stagione insolitamente umida e piovosa.

Leggi qui la loro relazione e lo schema tecnico delle difficoltà incontrate.

E’ chiaro che il Diamond Couloir, se in futuro qualcuno accetterà il rischio di percorrerlo, non sarà più una difficile via di ghiaccio ma una difficilissima via di sottile ghiaccio fantasma e dry tooling, esposta a frequenti cadute di pietre per il generale disgelo.

Anche la salita alla Punta Lenana, effettuata da Silvia Mazzani durante la nostra spedizione del 1989 interamente su ghiaccio, è oggi ridotta ad un pendio di roccette e la salita avviene su tracce nella parte bassa e poi lungo una ferratina nella parte sommitale, dove il ritiro del ghiaccio ha lasciato scoperte rocce più impegnative.

Una ulteriore prova inconfutabile dei cambiamenti climatici che interessano l’intero pianeta.

42 Punta Lenana nel 1989Punta Lenana nel 1989

 

Punta Lenana e i resti del suo ghiacciaio in una recente immaginePunta Lenana e i resti del suo ghiacciaio in una recente immagine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggi qui un interessante articolo sul Diamond Couloir, dal sito americano Summitpost.org

1 Punta John e sullo sfondo lattacco del Diamond Couloir Genn 1989Punta John e sullo sfondo attacco del Diamond Couloir Genn 1989

15 Il Campo alla Two Tarn HutIl Campo alla Two Tarn Hut

 

 

 

 

Lunedì, 16 Gennaio 2023 10:58

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Martedì, 27 Dicembre 2022 20:52

Ancesieu è il nome della montagna che incombe con alti e direi quasi oppressivi dirupi sui villaggi posti sul fondo del breve Vallone di Forzo, tributario della Val Soana. E’roccioso il versante che si protende a Sud Ovest con balze impressionanti che da sempre hanno attirato gli sguardi degli alpinisti (pochi) che sono transitati lungo quel solitario solco vallivo.

Ora i dirupi dell’Ancesieu sono solcati da numerosi itinerari di arrampicata. Sono note le eccezionali vie di scalata sportiva tracciate da Manlio Motto all’inizio degli anni ’90 sulla grande parete dell’Anticima. E’ rinata l’antica “Strategia del Ragno” sulla parete della cima principale grazie all’opera di pulizia e sistemazione da parte del compianto Adriano Trombetta. Infine ha contribuito alla celebrità del luogo la difficilissima via “La Cruna dell’Ago” sulla parete dell’Anticima, tracciata da Rolando Larcher con Andrea Giorda e Maurizio Oviglia.

Insomma il nome di Ancesieu è ormai molto noto tra gli scalatori anche se la frequentazione non è quella di altri luoghi delle alpi Torinesi come Caporal, Sergent, Sea. Ma questa cima complessa ha una storia che inizia negli anni ’70 quando il suo toponimo non diceva niente a nessuno. Su Monti e Valli, notiziario della Sezione di Torino del CAI, ho raccontato, nel numero 19 – 1982, l’inizio della storia dell’Ancesieu. Rileggendola a 40 anni di distanza mi è venuto voglia di riproporla.

Ugo Manera 

L’alpinismo ha una sua storia densa di avvenimenti avventurosi, a volte drammatici, che lo rendono avvincente anche per chi non lo pratica assiduamente. Anche in alpinismo il soggetto delle storie, come in altre attività, è sempre e solamente l’uomo. La montagna più alta o la parete più difficile non sono che dei riferimenti che assumono importanza determinante solo se l’uomo vi proietta sopra il proprio interesse. Non appena l’inesauribile sete di novità dell’alpinista inventa un altro problema quella montagna o quella parete perdono di attualità ed il loro nome non rimane che a significare un riferimento storico del passato

La quota di una cima o l’altezza di una parete solo occasionalmente rappresentano dei fattori primari come selezione di importanza dell’evento alpinistico. Il superamento di un passaggio su una paretina breve può diventare un fatto evolutivo più importante della scalata di una cima himalayana. Tutto dipende dagli interessi di attualità tra gli scalatori di punta.

La storia alpinistica genera letteratura, sarà una letteratura in tono minore ma è innegabile che poche altre attività di evasione dell’uomo moderno spingono i protagonisti a scrivere come l’alpinismo. Non sempre gli scritti più avvincenti hanno per oggetto il racconto di imprese su montagne celebri; spesso si scoprono motivi interessanti ed evolutivi nel racconto di vie aperte su pareti nascoste sui fianchi delle valli, ai piedi delle grandi montagne.

Restando in ambito alpinistico piemontese, e scorrendo le numerose pubblicazioni che di tale attività trattano, troviamo spesso delle pagine avvincenti che raccontano la conquista di pareti a bassa quota. Sono degli avvenimenti alpinistici che, nel contesto storico dell’arrampicata su roccia, rappresentano dei punti di riferimento importanti, e non solo per l’alpinismo locale. Basta ricordare i vari scritti che raccontano della Parete dei Militi in Valle Stretta, ed ancora il bel racconto di Gian Piero Motti dedicato al Caporal, pubblicato su Scandere 1974.

I fianchi delle valli Canavesane offrono un campo inesauribile per l’arrampicata ad alto livello. Dopo la scoperta dello Scoglio di Mroz e del Caporal da parte di Motti e mia, fu anche lo scozzese Mike Kosterliz a valutare la dimensione di queste possibilità. Il forte scalatore, che per qualche stagione arrampicò con noi, ci diede un bell’aiuto nell’ampliare i nostri orizzonti arrampicatori che, a dire il vero, erano allora abbastanza limitati.

12 Ancesieu pareti SO e SSOAncesieu pareti SO e SSODopo la vasta esplorazione delle possibilità del Caporal e delle limitrofe pareti dei dirupi di “Balma Fiorant”, ci voleva qualche cosa che andasse oltre, che rappresentasse un impegno più completo e totale delle pur complesse vie tracciate sulle bastionate della Valle dell’Orco. Una parete che richiedesse più giorni di impegno, l’uso delle tecniche più moderne ma con l’esclusione del perforatore e dei chiodi a “pressione”.

Quella parete esisteva ed era già stata scoperta quasi contemporaneamente al Caporal. Solo che i numerosi tentativi venivano condotti in gran segreto: era la parete SO dell’Ancesieu.

L’Ancesieu è una vera cima, la sua quota è 1885 m. Posto nel Vallone di Forzo, tributario della Val Soana, presenta un grandioso versante sud-ovest con impressionanti e complesse pareti granitiche che incombono sulle borgate che circondano Molino di Forzo.

Per innumerevoli anni l’Ancesieu non fu che un insormontabile ostacolo ai montanari che per vivere dovevano strappare all’impervio terreno ogni manciata di erba possibile ed ogni tronco d’albero che riuscivano a raggiungere. I montanari dei tempi andati sui fianchi dell’Ancesieu si sono spinti superando i combetti più ripidi per strappare ben magre risorse. Ancora oggi si trovano tracce di opere ardite che consentivano il passaggio tra lisce placche di roccia compatta.

15 Ancesieu parete SO sullaAncesieu parete SO sulla sinistra la Guglia del Frate

E’ con un senso di tristezza che si osservano queste opere scomparire inghiottite dal tempo, sono il frutto di un duro lavoro e la testimonianza di un periodo importante della storia della dura vita in quelle vallate alpine. A ricordare quei tempi rimangono suggestivi toponimi come quello del Combetto degli Embornei che rappresenta il migliore accesso alle grandi pareti dell’Ancesieu.

1 Risalita cordeRisalita corde fisse all'Ancesieu

2 Prima ascensione paretePrima ascensione parete SSO

 

3 IsidoroIsidoro Meneghin in aperturaQuelle pareti di gneiss, verticali, a volte strapiombanti, non potevano sfuggire agli occhi degli scalatori. Certamente all’inizio non si trattò che di un interesse spettacolare, lo stesso che ogni alpinista, seppur modesto scalatore, prova al cospetto di una parete che appare di elevata difficoltà. Io stesso, nel lontano 1958, alle prime armi come alpinista, sostai a lungo sotto quelle pareti tracciando, con la fantasia, vie impossibili per il futuro da me immaginato per il mio alpinismo.

Nel 1962, sui fianchi dell’Ancesieu, avviene il primo fatto di rilevanza alpinistica: Enrico Frachey con F. Vallesa raggiunge l’ardita “Guglia del Frate” salendo lungo lo spigolo S. E’ questo un ardito e curioso monolito a cuspide strapiombante, ben visibile dal fondo valle. La via tracciata per raggiungere la suggestiva guglia offre una interessante arrampicata, mista libera ed artificiale. Conosce alcune ripetizioni ma l’accesso lungo e complicato non attira gli scalatori.

La storia delle imponenti pareti del versante SO inizia poco dopo la scoperta del Caporal della valle dell’Orco quando Antonio Cotta e Giulio Saviane danno il via ad una lunga serie di tentativi che si concluderanno solo nel 1980. Scelgono la parete della cima principale il cui accesso è lungo e difficile e si svolge lungo il ripidissimo canale che scende fino in fondo valle. Il più agevole accesso attraverso il Combetto degli Enbornei, già percorso dai montanari, verrà riscoperto solo dopo il felice esito dell’impresa.

I primi tentativi di Cotta e Saviane vengono portati a destra di quella che sarà poi la via di salita, lungo un percorso che assumerà il nome di: “variante del Preambolo”. Almeno quattro tentativi non portano gli intraprendenti scalatori oltre la grande cengia erbosa posta ad un terzo della parete. Un grande tetto sembra impedire ogni possibilità di salita.

Dopo questa fase iniziale dei tentativi si ha notizia di approcci da parte di altri scalatori, probabilmente locali, dai quali viene tentato un attacco diretto. Infatti più tardi verrà reperito un ancoraggio da doppia lungo quello che sarà il percorso della via diretta.

 

7 Anticima AncesieuAnticima Ancesieu

 

8 Anticima Ancesieu pareteIn apertura all'Anticima dell'Ancesieu

14 Ancesieu parete SO ManeraManera in apertura all'Ancesieu parete SO

 

11 Ancesieu SSO alleAncesieu SSO alle prese con il tetto

Fin dai primi tentativi risultano evidenti le caratteristiche dell’arrampicata sull’Ancesieu: la roccia è compatta, avara di fessure, quelle arrampicabili sono spesso intasate da ciuffi d’erba tenace; nei tratti ove occorre ricorrere all’arrampicata artificiale la chiodatura è molto tecnica e laboriosa. Malgrado queste problematiche l’ambiente esercita un fascino particolare che spinge i volonterosi protagonisti a ritornare con accanimento sul difficile problema.

Antonio Cotta è un “liberista” di grande qualità, molte volte ci ha lasciati di stucco superando con eleganza dei passaggi da masso sui quali noi ci spelavamo inutilmente le dita. Quando però l’arrampicata diventa una dura lotta ed è necessario ricorrere all’arte più raffinata nella posa di ancoraggi precari, non è più affar suo; per questo i vari tentativi condotti non andarono oltre la cengia erbosa.

Le operazioni Cotta-Saviane vennero sempre condotte in grande segreto, nessuno o quasi, nell’ambiente torinese, ne era al corrente. Giunti però al punto morto della cengia sotto al grande tetto, e per il fatto che Saviane si ritirava dalla competizione, ad Antonio non rimase che chiedere aiuto. La scelta non poteva cadere meglio: Isidoro Meneghin! Isidoro è un grande specialista nell’arte della chiodatura sofisticata e nell’aprire vie sulla roccia più ostica. Era solo una questione di tempo ma con l’apporto di Meneghin il successo era assicurato.

All’inizio del 1980 riprendono le operazioni sulla grande parete dell’Ancesieu: Cotta, Meneghin e Biagio Merlo salgono lungo la variante del Preambolo ed esplorano, scendendo in corda doppia, l’attacco diretto che viene superato in un secondo tentativo da Cotta e Meneghin che lasciano due corde fisse. I due ritornano e, salendo per il vallone del rio Arcando, raggiungono la vetta dell’Ancesieu. Scendono in corda doppia fino alla base della parete, risalgono fino alla cengia ed aggiungono, al di sopra, un’altra corda fissa.

8 Anticima Ancesieu pareteAnticima Ancesieu parete SSO in aperturaFinalmente il 31 maggio 1980 la parete è vinta. L’ascensione è portata a termine in giornata grazie alle corde fisse lasciate in precedenza. A concluderla sono: Cotta e Meneghin ai quali si è aggiunto il talentuoso Giovanni Bosio. In considerazione delle tante e pazienti operazioni Isidoro denomina la via: “La Strategia del Ragno”.

Un cruccio rimane però a Meneghin: da metà parete, per evitare un bivacco, è stata scelta una soluzione di ripiego: i tre sono saliti lungo dei diedri che, in obliquo, portano a sinistra della cima mentre la soluzione ideale sarebbe passata lungo una serie di formidabili diedri chiari che conducono direttamente in cima.

Anche l’ultima fase dell’”operazione Ancesieu” venne condotta in grande riserbo ed il segreto rimase anche dopo la felice conclusione dell’impresa. Isidoro, tornato con Cotta per ricuperare del materiale lasciato, si rese conto che la parete che cade dall’Anticima Sud sul Combetto degli Emburnei, era ancora più maestosa di quella della cima principale, vinta tracciando la Strategia del Ragno. Decise perciò di prepararsi ad affrontare il nuovo straordinario problema mantenendo il segreto onde evitare di essere preceduto da possibili concorrenti.

Scoprì in solitaria l’accesso attraverso il Combetto degli Eburnei e portò, e nascose, alla base della sconosciuta parete delle corde e del materiale.

A questo punto avviene il mio ingresso nella storia di questa straordinaria struttura rocciosa. Già ne conoscevo l’imponenza per averla osservata transitando per il Vallone di Forzo verso altri obiettivi; poi successivamente, con Claudio Sant’Unione, ignari dei tentativi in corso, avevamo condotto una esplorazione raggiungendo la cima dell’Ancesieu. Ingannati però dall’erba che sembrava ingombrare le fessure percorribili, avevamo avuto un’impressione negativa e desistemmo da mire di conquista.

All’inizio dell’estate 1980 avevo scoperto che nell’alto Vallone di Lasinetto esistevano delle pareti che risultavano mai scalate. Mi accordai con Meneghin per andarle a tentare e, un sabato, ci avviammo lungo quel dimenticato vallone. Ad una svolta del sentiero ci fermammo per una breve sosta: di fronte a noi si ergeva maestosa la parete SSO dell’anticima dell’Ancesieu. Manifestai la mia ammirazione per quell’appicco ed Isidoro sorpreso mi chiese:

Ancesieu la parete SO della Strategia del RagnoAncesieu la parete SO della Strategia del Ragno

<<Ti interesserebbe tentarne la scalata?>>

<< Certo>> Risposi.

<<Credevo non ti interessasse>> riprese, ed iniziò allora a raccontarmi la lunga storia della Strategia del Ragno che io, come tutti, ignoravo. Mi disse anche del materiale che aveva nascosto alla base della parete e mi propose di tentarla insieme nell’autunno a seguire.

Quella parete rappresentava con evidenza qualche cosa che andava oltre ciò che avevamo realizzato fino ad allora nelle valli torinesi: la sua ascensione, ammesso che fosse possibile, avrebbe richiesto più giorni ed un impegno totale.

Rimaneva in me un po’ di perplessità nel pensare di affrontare le fessure con erba ed i numerosi strapiombi ma nello stesso tempo andavo ricercando problemi di difficile soluzione onde allenare la mia determinazione in previsione di un grande obiettivo himalayano in progetto per l’anno dopo.

Nell’inverno che seguì la scarsità di precipitazioni ci consentì di arrampicare in continuità e così venne il momento della SSO dell’Anticima dell’Ancesieu. La prima ascensione di quella parete ci richiese tre giorni di scalata più uno dedicato da Isidoro in solitaria ad attrezzare la discesa lungo quello che egli chiamava: il “Pilastro d’Angolo” che delimita le pareti SO e SSO.

Ogni volta si saliva un tratto di parete, si fissavano vecchie corde lungo le quali si scendeva a fine giornata e si risaliva nei tentativi seguenti, quando le condizioni meteorologiche ritornavano favorevoli.

Ricordo le salite e discese notturne lungo il Combetto degli Emburnei che il gelo invernale ornava di gobbe e cascate di ghiaccio; le lunghe soste al freddo mentre il compagno saliva, nella spasmodica attesa di un raggio di sole. Le risalite lungo le corde fisse ruotando nel vuoto staccati dalla parete e l’emozione di una corda quasi tranciata dallo sfregare su uno spigolo di roccia a seguito di alcuni giorni di vento forte. Infine il ricordo più bello: l’uscita dalla via al termine del terzo tentativo, nella luce sfolgorante del sole di un tramonto invernale, lungo la splendida fessura che incide lo strapiombo terminale.

Per superare quella parete siamo ricorsi a tutte le risorse della nostra tecnica: passaggi su “cliff-hanger” quando scomparivano le fessure, sottili “rurp” quando le fessure si riducevano a microscopiche screpolature della roccia, pulizia dai ciuffi d’erba lungo le fessure arrampicabili. Anche però entusiasmanti lunghezze di arrampicata libera e spettacolari visioni create dai raggi del sole nelle sottostanti orride gole, in un gioco fantasioso di luci ed ombre.

10 Ancesieu SSO discesaAncesieu SSO discesaLa SSO dell’Anticima dell’Ancesieu ci ha costretti ad una dura lotta che però, ha suscitato un grande entusiasmo che è durato in noi per molto tempo, quasi avessimo risolto un problema importante. Come è nostra abitudine non abbiamo lasciato chiodi sulla via salvo qualche ancoraggio rotto non utilizzabile. Il tracciato è nelle condizioni in cui lo abbiamo trovato noi, salvo qualche fessura liberata dall’erba e la certezza che si può uscire.

Il nostro interesse per l’Ancesieu non si era esaurito con la salita della parete dell’Anticima. Isidoro non era soddisfatto della conclusione della “Strategia del Ragno”, la metà superiore della via gli appariva come un ripiego e restava irrisolto il problema della linea diretta lungo i diedri che conducono alla cima.

Il primo maggio del 1981 siamo nuovamente nel vallone di Forzo, è nevicato recentemente, le rocce verticali son pulite ma sui pendii c’è della neve fresca. Dalla borgata Tressi, salendo a sinistra delle pareti, a prezzo di una enorme fatica e pestando molta neve fresca, raggiungiamo la vetta dell’Ancesieu. Da qui ci caliamo a corde doppie fin a portarci sulla cengia ove il percorso della Strategia del Ragno sfugge verso sinistra. Attacchiamo la serie di diedri che conducono direttamente alla cima e li superiamo con arrampicata mista di grande impegno. Sarà la via della “Sveglia”.

A conclusione della nostra scalata, sul finire del giorno, ci avviamo per l’interminabile discesa lungo il vallone del rio Arcando. L’Ancesieu ci è costato impegno intenso e tanta fatica, ma, a conclusione, ne è valsa la pena.

Ugo Manera

 

 

 

 

ANCESIEU La strategia del ragno

Leggi qui la relazione versione trad

Leggi qui la relazione post ristrutturazione 2011

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