MEETING VALLI DI LANZO 2020
Sabato 5 e Domenica 6 Settembre 2020
Un appuntamento da non perdere per gli amanti dell’arrampicata trad e non trad
E’ sotto gli occhi di tutti che il filone oggi di gran lunga prevalente nell’editoria di montagna è quello delle pubblicazioni “utili”, cioè essenzialmente guide nei vari settori, dall’arrampicata alla mountain bike, dall’escursionismo alle ferrate ecc. Tramontata l’era delle guide sistematiche, oggi i titoli evocano in modo accattivante i criteri della selezione, condizionando così il mondo dei fruitori, inconsapevolmente limitati nella loro possibilità di scelta ed indirizzati verso obiettivi standardizzati.
Filone secondario è quello della narrativa o saggistica che trae spunto normalmente dalle vicende di attualità o tornate di attualità.
Anche l’editoria di montagna, quella della carta stampata, oggi più che mai assediata dal web, non può che seguire le regole del mercato: produrre quello che presumibilmente incontrerà il gradimento del pubblico e quindi venderà copie sufficienti a coprire le spese e assicurare un utile.
Il CAAI, come associazione senza fine di lucro, si inserisce nell’editoria di montagna in modo del tutto particolare, marginale se vogliamo, ma con caratteri identitari ben definiti, originali e mirati alla diffusione della cultura dell’alpinismo, prescindendo da qualsivoglia obiettivo di carattere commerciale.
Pubblichiamo approfondimenti storici e opere spesso inedite per il pubblico di lingua italiana, tasselli importanti per arricchire la conoscenza della storia dell’alpinismo e, con la conoscenza, il rispetto. Un ringraziamento particolare va al past president Giovanni Rossi che, assieme a Claudio Ramella, ha curato molte di queste pubblicazioni
Di seguito le opere della collana "Quaderni del CAAI" ancora disponibili per gli appassionati, che possono essere richieste direttamente alla Redazione scrivendo all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
L’attività editoriale del CAAI, oltre ai volumi sotto elencati, comprende anche “L’ANNUARIO CAAI” disponibile presso il distributore ufficiale https://www.ideamontagna.it/librimontagna/catalogolibrimontagna.asp?col=Accademico
A cura di Alberto Rampini
BRENVA
di Thomas Graham Brown
Giovanni Rossi e Claudio Ramella traducono per la prima volta in italiano l’appassionante storia dell’esplorazione del versante Brenva del Monte Bianco, scritta nel 1944 da uno dei protagonisti, Thomas G. Brown
SULLE ALTE CIME
di Geoffrey Winthrop Young
Ancora Giovanni Rossi e Claudio Ramella traducono per la prima volta in italiano un’opera fondamentale sulla fase pioneristica della scoperta delle Alpi
Sommario del volume SULLE ALTE CIME
PRIME DI PRIMA
Autori Vari
Gli infaticabili Giovanni Rossi e Claudio Ramella riuniscono in questo volume i testi originari, spesso in prima traduzione italiana, scritti dai protagonisti di alcune delle più significative ascensioni del periodo 1882-1939
Sommario del volume PRIME DI PRIMA
La prima ascensione del Dente del Gigante
MONTAGNE CON UNA DIFFERENZA
di Geoffrey Winthrop Young
Tradotta per le prima volta in italiano da Giovanni Rossi, l’ultima opera del grande alpinista-letterato-sognatore G.W. Young affronta da un punto di vista molto particolare il tema del rapporto uomo-montagna
Sommario del volume MONTAGNE CON UNA DIFFERENZA
K2 - CHOGORI
Raccolta di testi originali sui tentativi al K2 e sulla prima ascensione
Sommario del volume K2 - CHOGORI
AL KANGCHENJUNGA
di Paul Bauer
Le spedizioni tedesche del 1929 e 1931 al Kangchenjunga sono considerate una pietra miliare nello sviluppo dell’esplorazione alpinistica dell’Himalaya. Giovanni Rossi traduce per la prima volta in italiano il resoconto del capospedizione Paul Bauer
Sommario del volume AL KANGCHENJUNGA
Oltre ai volumi sopra riportati risulta ancora disponibile anche 150 VETTE, le più belle vette d'Italia salite dai soci del CAI e del CAAI nell'anno del 150° di fondazione dell'associazione.
Alla testata della Val Grande di Lanzo un’imponente muraglia rocciosa si eleva dai ghiacciai del Mulinet e offre un ambiente dove ancora oggi è possibile praticare un alpinismo di vera avventura in assoluta solitudine.
Luca Enrico (CAAI) ne ricostruisce la storia e indica gli itinerari da riscoprire.
La testata della Val Grande, la più settentrionale delle tre valli di Lanzo, è grosso modo caratterizzata, tralasciando il lungo vallone di Sea, da tre grandi bacini glaciali: quello del Mulinet, diviso in ghiacciaio nord e sud, quello del Martellot e quello della Levanna Orientale.
Il bacino della Gura è quello che comprende i due ghiacciai del Mulinet, divisi dal lungo costone che si origina dalla Uja della Gura; tale anfiteatro parte, a sinistra, dal colle di S.Stefano e termina, a destra, sul crestone della Dent d’Ecot.
Tale zona è orograficamente assai particolare: se infatti dal versante francese il ghiacciaio arriva a lambire le vette, da quello italiano si presenta come una ripida muraglia di circa 500 metri, che affonda le sue radici nei due sopracitati ghiacciai del Mulinet, oggi giorno in forte ritiro.
E’ quindi facile intuire che se il versante transalpino è terreno ideale per lo sci alpinista, quello piemontese lo è per l’alpinista.
E per quest’anfiteatro si deve e si può parlare di alpinismo vero; l’isolamento, dovuto anche al fatto che non vi sono “normali” e, tanto meno, itinerari escursionistici, la scarsissima, se non quasi nulla, frequentazione delle vie, le ritirate difficili e le discese lunghe e complesse conferiscono a questo gruppo un fascino particolare, molte volte difficilmente riscontrabile in altri luoghi ben più blasonati ma, forse, più addomesticati.
La roccia, di tipo granitoide, non è purtroppo della migliore qualità anche se non è raro trovare lunghi tratti di roccia saldissima, soprattutto nella parte alta degli itinerari; il pilastro Castagneri sulla cresta di Mezzenile, a parte l’uscita del primo tiro e le due lunghezze che superano la fascia strapiombante, presenta una roccia buona, ottima sul monolite finale. Questa salita rappresenta forse l’itinerario più elegante e difficile del gruppo.
Oggigiorno l’isolamento di questa porzione di Alpi Graie è acuita dalla mancanza di un bivacco dopo che il Rivero è stato portato via per la terza volta dalla valanga o addirittura dal vento che, in caso di “gonfia”, soffia qui violentissimo. Le partenze si effettuano direttamente dal Daviso, posto più in basso, in posizione un po’ decentrata. Da segnalare la presenza in zona dello storico rifugio Ferreri, che una decina di anni fa è stato oggetto di una ristrutturazione. Questo rifugio, uno dei primi ad essere costruito sulle Alpi, venne eretto nel lontano 1887 e in seguito dedicato a Eugenio Ferreri, precursore nella compilazione delle prime “Guide dei monti d’Italia”.
Storicamente questi luoghi sono assai importanti e il motivo è certamente da ricercarsi nella vicinanza con Torino, cosa che, quando l’automobile era un’utopia per i più, non era certo di importanza trascurabile.
Su queste pareti son quindi passate generazioni di alpinisti, per lo più torinesi: Mellano e poi Motti, Manera per finire con Grassi, solo per ricordarne alcuni. Con la morte di Grassi, grande conoscitore ed estimatore di queste zone, le pareti caddero nell’oblio, schiacciate dalla concorrenza di luoghi famosi e più alla moda.
Bisogna però pensare alle parole scritte, più di un secolo fa, da Corrà, a proposito della sua ascensione all’Uja della Gura: “E se la Valgrande non possiede nel suo distretto punte di grandissima elevazione, ha pur tuttavia per compenso in questo da sola – non per l’altezza, ma per le sue affascinanti difficoltà e pel modo vario ed attraente con cui si presenta – di che largamente supplire alla deficienza di tutte le altre assieme, offrendo la sua salita tutti i caratteri inerenti alle ascensioni di primordine”.
Solo nel 2014 finalmente una nuova via viene tracciata su Punta Corrà, seguita da un'altra nel 2015 sul Campanile di Mezzenile. Opere entrambe di un trio di estimatori ed appassionati di questi luoghi: Luca Brunati e i fratelli Luca e Matteo Enrico.
La storia alpinistica delle grandi montagne delle valli di Lanzo è cosa nota, molte riviste e pubblicazioni specializzate parlano della Ciamarella, della Bessanese o dell’Uja di Mondrone e i personaggi che furono artefici di quelle imprese sono ben conosciuti: la guida Castagneri, Martelli e Vaccarone e l’ingegnere catastale Tonini che, per motivi “lavorativi” scalò per primo le vette più importanti.
Grazie a queste imprese, non ultima la salita invernale della Mondrone (24 dicembre 1874), prima ascensione italiana di questo genere, contribuirono a rendere famose le Valli di Lanzo e, in particolar modo, la Val d’Ala.
Del bacino della Gura invece mai nessuno parla, forse il motivo è da ricercarsi nel fatto che qui non vi sono salite di alpinismo classico medio facile, fruibile da una vasta fetta di alpinisti; se infatti il versante francese è più scialpinistico che alpinistico quello piemontese è riservato al solo arrampicatore.
Una delle prime e documentate esperienze alpinistiche sulla cerchia di monti che chiude la Val Grande risale al 1870. Non riguarda però propriamente il bacino della Gura ma il colle Girard, posto più a destra, tra il bacino del Martellot e la Levanna orientale.
Nell’agosto di quell’anno una comitiva composta, tra gli altri, dal dottor Vallino e dalla sorella, e guidata da un contadino di Groscavallo, certo Girardi Pietro, compì l’allora difficile ascesa al colle Girard con successiva traversata al colle di Sea. Per l’epoca si trattò certo di una salita impegnativa, soprattutto per la sorella del Vallino che “impacciata dalle sue sottane, che offrivano larga presa al soffiar della bufera, fu quella che ne sofferse maggiormente”.
Nel 1878 Lionello Nigra con alcuni parenti della celebre guida Castagneri salì il colle del Martellot, posto sopra l’omonimo ghiacciaio (della compagnia faceva parte anche Leopoldo Barale che, febbricitante, rinunciò alla salita). Anche in questo caso non venne messo piede nel bacino della Gura vero e proprio ma è da notare, nel resoconto del Nigra, il carattere esplorativo dell’ascensione: “Nessun alpinista ch’io mi sappia aveva fin allora percorso questo bellissimo cantuccio delle belle Graie, e noi vi andavamo alla ricerca dell’ignoto ed a lume di naso.”.
Per quanto riguarda invece il più facile versante francese vediamo muoversi, negli ultimi decenni del IXX secolo, Coolidge, per lo più accompagnato dalle guide Ulrich e Christian Almer; questi conquisteranno, almeno “ufficialmente”, alcune delle vette della “Gura” probabilmente già in parte raggiunte da cacciatori di camosci. Non bisogna però dimenticare gli alpinisti italiani e, in particolar modo, Giuseppe Corrà che molto diede all’esplorazione di questi luoghi.
Sarà proprio Corrà, insieme a Luigi Vaccarone e alla guida Michele Ricchiardi, a compiere forse la prima ascensione dal versante Est della Gura.
Il 24 agosto del 1885 i tre salirono a un colle ancora innominato, lo chiamarono di “S.Stefano” avendo corso, durante la salita, un grande rischio di lapidazione.
In realtà questa fu un’ascensione di ripiego, i tre erano infatti partiti alla volta del crestone est dell’Uja della Gura, all’epoca ancora conosciuta con il toponimo di Uja di Molinet. Il 23 agosto, alle ore 23, Vaccarone partì da Chialamberto e grazie a una “vettura” arrivò a Forno circa a mezzanotte, non dopo aver raccolto, a Pialpetta, Corrà e Ricchiardi; normalmente oggigiorno questo tragitto richiede, sì e no, un quarto d’ora di auto! il terzetto si mise subito in marcia e in circa cinque ore di cammino, sferzato da un forte vento, giunse in prossimità della morena. Studiato il percorso decisero di tentare l’attacco dal ghiacciaio nord, nonostante l’accesso allo sperone fosse più facile dal soprastante ghiacciaio sud. Per giungere a questo si sarebbe però dovuta risalire la seraccata, a quell’epoca molto imponente. A tal proposito il Vaccarone scrive: “Deliberammo di salire sulla sponda sinistra del ghiacciaio nord […] si sarebbe potuto girare la posizione, salendo per le seracche, e guadagnare il ghiacciaio sud […] ma c’era di mezzo la questione del tempo grande che ci avrebbe rubato la gradinata”
Nonostante la grande quantità di neve (oggi a fine agosto c’è solo un po’ di ghiaccio sporco) i tre attaccarono finalmente lo sperone: “Arrivati alle 9 sullo sperone […] ci fermammo a pigliare un po’ di riposo […] La costiera si innalzava davanti a noi molto ripida […] Nel caso poi fossimo stati impediti di procedere sulla cresta, non ci sarebbe venuta meno la ritirata, calandoci sul ghiacciaio sud del Molinet. Ed è ciò che accadde.”
Rinunciato all’obiettivo primario, con grande perseveranza, la comitiva si portò verso la zona più debole della muraglia e cominciò la faticosa ed “estrema” salita “alle 1.40 pom. un potente jodel salutava la nostra vittoria. Avevamo raggiunto sulla cresta di confine quella depressione […] alla quale abbiamo dato il nome di Passo di Santo Stefano”. Non paghi però, traversando sul ghiacciaio “savoiardo”, raggiunsero alle 14.30 l’Uja di Molinet.
In quest’occasione venne solamente forzata, nel punto più debole, la muraglia: le pareti e gli speroni aspettavano ancora di essere conquistati.
Quattro anni più tardi, il 14 settembre del 1889, ancora Corrà, questa volta solo con la guida Ricchiardi, ritentò l’ascensione. I due, partiti alle 3.30 dal Rifugio della Gura (l’attuale Ferreri, edificato, nel 1887 e quindi non ancora presente all’epoca del primo tentativo), seguirono inizialmente l’itinerario dell’85 “ma da questo punto conveniva studiare un nuovo piano d’attacco”. Ricchiardi riuscì a trovare il passaggio, Corrà mette in evidenza la dura lotta sostenuta, su delle rocce di qualità non proprio eccelsa: “ogni metro che si sale è una parziale vittoria che si riporta contro il monte riluttante e fiero. I massi sono molto instabili e disgregati ed i passi difficili si succedono con crescente frequenza”. Dopo tre ore di intensa scalata i due raggiunsero la vetta. E’ facile immaginare che, per gli standard moderni, questa scalata non sia arrampicatoriamente appetibile, lo è sicuramente da un punto di vista storico.
Per rivedere una ascensione bisogna aspettare il 30 agosto 1895 quando M. Bouvier con la guida savoiarda Blanc le Graffier realizza la traversata della cresta di Mezzenile, poi più nulla fino al 1909.
Il 30 giugno di quell’anno Brofferio, Gamna, Negri e Sigismondi salirono al colletto posto a sinistra del S.Stefano e comunemente considerato come continuazione di questo. Il colle verrà chiamato Ricchiardi, in onore della grande guida di Pialpetta.
Successivamente, tra gli anni ’20 e il 1981, verranno realizzate tutte le altre ascensioni, poi l’attività si fermerà e queste pareti non conosceranno la nuova era delle aperture a spit, se non fino al nuovo millennio.
Negli anni ’30 furono molto attivi gli alpinisti Michele Rivero, Firmino Palozzi e Mario Gatto che realizzarono alcune prime, dal Campanile di Mezzenile alla P.ta Groscavallo.
Proprio la via del ’35 sulla Groscavallo, portata a termine dalla cordata Gatto-Palozzi, è una delle più belle ascensioni di media difficoltà della zona. A metà percorso il passaggio più difficile, costituito da una larga fessura alta 6 metri, così cita la relazione originale: “larga quel tanto che basta al corpo, incuneatosi dentro, d’innalzarsi con faticosi movimenti da rettile”. Durante la ripetizione di quest’itinerario Gian Carlo Grassi intuì, tra i giochi di ombre e luci, un possibile nuovo itinerario sulla Cresta Mezzenile; così dieci giorni dopo aprì, insieme a Gianni Comino, un nuovo interessante itinerario. Anche se la relazione di Grassi non riporta una data la salita è da porsi probabilmente intorno alla metà-fine degli anni ’70, e sicuramente prima del 1980, anno in cui morì Comino. Pertanto questa via, la Manera-Pessiva (09/09/79), sempre sulla Mezzenile, e la Grassi-Ala sulla Corrà (09/08/1981) sono da ritenersi le ultime “aperture” realizzate in zona per quanto riguarda l’epoca di maggior frequentazione. Bisognerà aspettare ben 33 anni per vedere una nuova linea, la già citata via alla Corrà, aperta dal trio Brunati-fr.lli Enrico. Su questa via, chiamata “via del tetto a sette”, vengono piazzati i primi spit-fix del gruppo, seppur solo alle soste di calata. Sulla successiva via del 2015, la “diretta di lou couars” sulla Mezzenile, comparirà invece anche il primo spit-fix di passaggio.
Da ricordare infine che alla fine degli anni ’50 grande protagonista fu Andrea Mellano, in particolare sua è la bella via sulla P.ta Corrà; sulla stessa parete, otto anni dopo, Ugo Manera tracciò una sua via, più a destra di quella di Mellano.
Il pilastro Castagneri venne invece salito nel 1968 e fu considerato da Gian Piero Motti “le dernier grand probleme della zona” . Nel bell’articolo “Anatomia di una prima” così descrive il pilastro: “il pilastro è lassù: bello, elegante e logico nelle sue forme, svelto e leggero nel suo stacco verso il cielo.” E conclude così: “Qualche giorno dopo […] me ne sto sulla piazzetta di Forno a guardare con il naso in su […] guardando lassù mi sento il più ricco degli uomini”.
Ulteriori notizie sul bel sito VALLIDILANZOINVERTICALE
Vie di salita e discesa
1) Colle Ricchiardi 3226 m:
Brofferio-Gamna-Negri-Sigismondi 28/06/1909
Prima discesa in sci: S.Debenedetti aprile 1980
2) Colle di S. Stefano 3228 m:
G.Corrà-L.Vaccarone-M.Ricchiardi 24/08/1885
Prima discesa in sci: S.Debenedetti aprile 1980
3) Torre di Bramafam 3293 m:
via Mellano-Brignolo 270m VI-
via Migliasso-Alpo 270 m III/IV
4) P.ta Corrà 3337 m:
via Mellano-Tron 13/09/1959 300 m TD+ difficoltà max originale A1/A2, in libera circa 6a+ / 6b
via Manera-Giglio 21/10/1967 300 m TD+
via Del tetto a sette-Brunati/fr.lli Enrico 17/08/2014 250m difficoltà 6b
5) Uja della Gura 3364 m:
via cresta est – G.Corrà-M.Ricchiardi 14/09/1889 350 m III
6) Colle della Gura 3340 m:
canale est – M.Debenedetti-S.Gambini-C.Virando 26/06/1927 400 m max 50° uscita ramo di sx (colle sud). Dall’uscita è possibile salire abbastanza facilmente all’Uja della Gura.
Nell’aprile 1980 Stefano Debenedetti compì la prima discesa in sci sia del ramo sud che di quello nord.
7) Punta di Mezzenile 3429 m:
gli unici itinerari partono dal colletto di Mezzenile, raggiungibile dal versante francese. Non vi sono itinerari sul versante est.
8) Uja di Mezzenile (o Campanile di Mezzenile) 3420 m:
via Cresta est – Rivero-Fava-Gatto 30/06/1935 500 m fino al monolite finale. Roccia marcia nella parte inferiore
Salita integrale (con il monolite finale, esclusi gli ultimi 15 m): L.Fornelli-Miglio 1956 IV – V
Via diretta di lou couars-Brunati/fr.lli Enrico 12/07/2015 350m TD+ diff. 6a+/6b
9) Cresta di Mezzenile (tra le P.te Mezzenile e Groscavallo)
– sviluppo in lunghezza circa 800 m:
traversata: M.Bouvier-Blanc le Graffier 30/08/1895 AD
traversata integrale N-S dal col Girard: Brunati/fr.lli Enrico/Margiotta 09/07/16 D+
via Mellano-Brignolo-Risso-Tron 31/08/1958 500 m TD
via Grassi-Sant’Unione 20/08/1969 500 m D+
via Pilastro est di p.ta Castagneti: Comba-Motti-Manera-Pivano
06/10/1968 500 m TD+
via Manera-Pessiva 09/09/1979 500 m TD (possibile salire la prima parte del
Castagneri, fin dopo i tetti, e all’altezza del canale camino proseguire per questa
via, ne risulta una difficile combinazione)
via Castelli-Palozzi-Rivero-Ronco fine anni ’30 500 m
via Grassi-Comino 400 m D+
10) Punta di Groscavallo 3423 m:
cresta sud-est Gatto-Palozzi 21/07/1935 D
11) Dent d’Ecot 3402 m:
cresta est-sud-est Andreis-Mila 06/08/1948
percorso integrale parte inferiore: G. Migliasso-L.Alpo fino al torrione prima della “Guglietta” – ancora G.Migliasso con la sig.na G.Ermini per il percorso integrale fino in vetta 24-25/08/1963 - 1100 m di dislivello
Proponiamo questo interessante studio sulla tenuta dei diversi tipi di fettuccia nelle diverse situazioni operative (punto di ancoraggio, punto di assicurazione).
Si ringraziano gli autori e il Centro Studi Materiali e Tecniche CAI e VFG che chiedono ai lettori la pazienza di leggere le più recenti note conclusive anche alla luce di altri studi fatti successivamente.
NOTE CONCLUSIVE - INTEGRAZIONE
Alla luce dell’evoluzione degli strumenti di misura e delle relative nuove informazioni ricavate dall’analisi dei test fatti per lo studio delle soste (svoltisi successivamente a questo scritto), riteniamo doverose alcune precisazioni.
Per quanto riguarda i test eseguiti a trazione lenta e a fattore di caduta 1, si conferma quanto espresso già all’epoca, ossia un’importante perdita di prestazione che consiglia quindi di utilizzare un moschettone tra i due anelli, qualora si dovesse avere la necessità di prolungare una protezione.
Le prove sono state eseguite a corda bloccata per renderle più possibili ripetitive e la scelta di non superare, come fattore di caduta, il valore di “uno”, nasce per avvicinarsi al caso peggiore di corda rinviata. In ambiente reale, in ogni caso, è presente un freno che dissipa energia e il compagno che con la sua capacità di frenare, abbassa i carichi nella catena di sicurezza; tuttavia per prudenza e in considerazione del caso che per i più svariati motivi il freno potrebbe non entrare in azione, è bene applicare sempre il ragionamento “a favore di sicurezza” e cioè che se mi metto nella condizione peggiore (quella da noi simulata: corda bloccata e fc = 1), significa che nel caso reale, dove il freno fa ciò per cui è utilizzato, le cose non possono che andare meglio, sollecitando meno i materiali che si trovano a resistere, anche se interconnessi tra loro in un modo che porta inevitabilmente a una perdita di resistenza.
Per quanto riguarda l‘utilizzo in sosta è d’obbligo una precisazione; nelle conclusioni precedenti, per ovviare al problema dello schiacciamento delle fettucce in Dyneema da 8 mm, nel caso di cedimento di un ancoraggio e sosta mobile, o per limitare al massimo il fenomeno di fusione nel caso di scorrimento dei nodi, quando si analizzava il caso di fettucce in Dyneema utilizzate nella costruzione di una sosta semimobile (sempre con cedimento di un ancoraggio), si affermava che era preferibile utilizzare fettucce in Nylon di buono spessore, anelli di Kevlar o spezzoni di mezza corda dinamica.
A oggi, alla luce delle prove eseguite dopo questo lavoro, in particolare nello studio delle soste e delle “longe”, si è visto come l’utilizzo di materiale dinamico nella costruzione di una sosta sia di gran lunga da preferire ai materiali analizzati in questo testo. Certo, se si arriva in sosta e si hanno a disposizione solamente delle fettucce in Dyneema o degli anelli in Kevlar, la sosta si farà col materiale che si ha, ma se si può scegliere, è meglio utilizzare del materiale dinamico che aiuta ad abbassare i carichi in sosta in caso di cedimento di un ancoraggio.
Siamo sicuri che in futuro, nuovi studi realizzati con moderni strumenti, quali ad esempio, l’utilizzo di un manichino, al posto della massa d’acciaio, e apparecchiature wireless con cui “strumentare” lo stesso, porteranno a nuovi sviluppi e considerazioni nello studio teorico e pratico dei materiali alpinistici e quello che oggi era una certezza, domani magari lo sarà un po’ meno e si capiranno meglio alcuni fenomeni. Questo è il bello dell’evoluzione nella ricerca che va a pari passi con lo sviluppo degli apparati di misurazione, che via via, diventano sempre più accessibili anche da un punto di vista economico.
Lo studio può essere scaricato qui in formato pdf. Ulteriori approfondimenti di carattere tecnico sul sito CSMT
Fettucce: normal, midi, micro…
Bressan Giuliano CSMT CAI – CAAI
Polato Massimo CSMT VFG – CAI Sez. Mirano
Come per un apparato elettronico di ultima generazione, anche le fettucce utilizzate in alpinismo hanno subito negli anni un processo di riduzione delle dimensioni.
Chi di noi non è mai stato tentato, almeno una volta, da quelle bellissime fettucce in Dyneema da 8 mm, così fini e leggere, simbolo della più recente tecnologia costruttiva in fatto di materiale alpinistico? E’ di questi dispositivi che vogliamo occuparci in questo articolo, cercando di analizzarne, in modo oggettivo, le prestazioni.
L’avvento di nuovi materiali, in particolare dal mondo della nautica (in cui si ricercano alti carichi di rottura e basso assorbimento di acqua), ha portato anche in campo alpinistico delle novità; a fianco al classico Nylon, hanno fatto la loro comparsa, nella costruzione di cordini e fettucce, nuovi materiali quali Kevlar, Dyneema, Spectra, Technora, Vectran e tutte le varianti miste tra questi, come, ad esempio, il Tech Web ossia un mix di Nylon e Dyneema. Dietro ad ognuno di questi nomi commerciali ci sta un composto chimico ben preciso, frutto di molta ricerca, conclusa con un brevetto depositato.
Tralasciando le specificità dei materiali presenti nel mercato (anche se la cosa potrebbe essere oggetto di un lavoro successivo), ci vogliamo concentrare su alcuni aspetti che riguardano le fettucce, elencando alcuni casi concreti di utilizzo in cui si potrebbero verificare delle criticità. In particolare vorremmo analizzare due tipi di impiego delle fettucce; uno legato al loro uso come protezione e l’altro riguardante il loro utilizzo nella costruzione di una sosta.
In particolare vorremmo rispondere a queste domande:
Per dare risposta a queste domande abbiamo eseguito una serie di test, impiegando una gran quantità di fettucce di vario spessore e materiale; in particolare abbiamo preso in considerazione questi tipi di fettucce precucite: Nylon, larghezza 15 mm, Dyneema larghezza 12 mm e Dyneema larghezza 8 mm.
Per cercare di rispondere alla prima domanda, abbiamo iniziato una serie di test sia statici che dinamici.
Ogni alpinista può portare con sé differenti fettucce di diversi materiali e, nel prolungare una protezione, può dare origine ad un mix di situazioni totalmente casuali; tra la grande varietà di casi possibili, ne abbiamo isolati quattro che riteniamo significativi ai fini della nostra analisi.
Nello specifico abbiamo individuato due tipi di giunzione degli anelli di fettuccia precucita; una generata da un nodo a strozzo e l’altra da un nodo piano. Il passo successivo, nella creazione del “mix” di situazioni è stato quello di unire assieme differenti tipologie di spessori e materiali.
Nella foto (immagine 1), due esempi delle combinazioni appena esposte: nodo a strozzo (a sinistra) e piano (a destra), utilizzando le fettucce in Dyneema da 8 e 12 mm.
Stessa cosa vale per il sistema Dyneema 8 mm – Nylon 15 mm.
I test a trazione lenta, eseguiti presso il laboratorio del Centro Studi Materiali e Tecniche del CAI, hanno evidenziato che a causa dell’ “effetto” nodo che viene a crearsi, la resistenza meccanica del sistema si riduce di molto rispetto a quella della singola fettuccia. Ricordiamo che per una fettuccia precucita, il valore di resistenza minima prescritto dalla norma EN-566, è di 22 kN.
TIPO PROVA | CARICO MEDIO [daN] |
CASO A (nodo a strozzo) Dyneema 8 mm / Dyneema 12 mm |
1346 |
CASO A (nodo a strozzo) Dyneema 8 mm / Nylon 15 mm |
1401 |
CASO B (nodo piano) Dyneema 8 mm / Dyneema 12 mm |
1355 |
CASO B (nodo piano) Dyneema 8 mm / Nylon 15 mm |
1161 |
Nella tabella qui sopra si riportano i carichi medi ottenuti nelle prove effettuate con le varie configurazioni precedentemente descritte.
Una volta analizzato il comportamento delle fettucce accoppiate assieme a trazione lenta, siamo passati ai test dinamici eseguiti all’apparecchio Dodero del laboratorio CSMT-CAI, opportunamente configurato per eseguire le prove (immagine 2).
Perché le prove sono state effettuate a fattore di caduta 1? Perché all’inizio ci eravamo chiesti quale fosse stato il comportamento delle fettucce, qualora fossero state utilizzate accoppiate (nei vari modi precedentemente descritti), per prolungare una protezione.
Ecco allora che in questo caso il fattore di caduta di riferimento più vicino a tale caso è quello pari a 1.
La massa di 80 kg, viene fatta cadere dalla posizione in cui si vede nella foto precedente (immagine 2) e quindi la caduta può essere pari al massimo alla lunghezza delle due fettucce.
Nella foto seguente (immagine 3), un particolare del nodo a strozzo utilizzato in uno dei vari accoppiamenti. Nel caso specifico: Dyneema 8 mm / Nylon 15 mm.
I risultati di questi test sono in perfetta sintonia con quanto si è visto in uno studio effettuato sulle “Longe” e con quanto compare in letteratura riguardo a delle prove sullo stesso argomento effettuate all’estero (vedi “Sling and anchor of outrageous fortune” di George McEwan).
Nel passare da materiali “dinamici” come il Nylon a materiali più “rigidi” come il Dyneema, il comportamento delle fettucce cambia.
La resistenza meccanica dell’intero sistema formato dall’accoppiamento delle due fettucce cala bruscamente e, di conseguenza, il sistema cede. I dati riportati nella tabella che segue rappresentano i carichi medi a cui le varie combinazioni hanno ceduto.
TEST DINAMICO (CADUTA A FC=1) | |
TIPO PROVA | CARICO MEDIO [daN] |
CASO A (nodo a strozzo) Dyneema 8 mm / Dyneema 12 mm |
432 |
CASO A (nodo a strozzo) Dyneema 8 mm / Nylon 15 mm |
864 |
CASO B (nodo piano) Dyneema 8 mm / Dyneema 12 mm |
442 |
CASO B (nodo piano) Dyneema 8 mm / Nylon 15 mm |
1067 |
Le immagini 4, 5 e 6, riportano alcune foto delle fettucce al termine delle prove.
Lo stesso tipo di test eseguito con delle fettucce in Nylon riutilizzate, produce dei risultati molto diversi; e questo conferma quanto sappiamo sul diverso comportamento tra Nylon e altri materiali più “rigidi”, quando a questi ultimi si affidi il compito di assorbire energia e non solo di trasmettere forze (vedi “Longe e Daisy Chain: impieghi” , G. Bressan, M. Polato, Annuario Accademico 2012-2013)
Nella tabella che segue troviamo i risultati di questi test. Nessuna fettuccia si è rotta ma attenzione ai valori di forza d’arresto registrati, che sono comunque superiori a 1200 daN e siamo “solo” a fattore di caduta 1 !!!
TEST DINAMICO (CADUTA A FC=1) | |
TIPO PROVA | CARICO MEDIO [daN] |
Nylon 15 mm / Nylon 15 mm nodo piatto Fettucce già utilizzate nelle prove precedenti |
1451 |
TEST CON IMPIEGO IN SOSTA
Per dare risposta alla seconda domanda che ci eravamo posti all’inizio, ci siamo spostati alla “torre” del CSMT del CAI a Padova e abbiamo eseguito dei test, utilizzando sempre le tre tipologie di fettucce usate nelle prove precedenti e impiegandole nella costruzione di tre tipi di soste: una “mobile”, una “semimobile” ed una “fissa-bilanciata”; tutte su due ancoraggi.
Per ognuna di queste, inoltre, abbiamo eseguito dei test ipotizzando due diverse situazioni operative:
3.1 Utilizzo delle fettucce in sosta SENZA cedimento di un ancoraggio.
Nella foto a lato (immagine 7), viene indicata la configurazione della prova con la fettuccia in Dyneema 8 mm.
Tale configurazione vale anche per le prove eseguite con gli altri tipi di fettuccia e di sosta.
La massa (di 80 kg), viene fatta cadere da un’altezza di 1,5 m sopra il vertice della sosta (quindi per una lunghezza di volo complessiva di ≈3 m), ed è collegata alla sosta in modo fisso (non vi è la presenza di alcun freno). In questo modo si simula la situazione più critica che possa succedere ad una cordata, ovvero, la caduta del primo direttamente sulla sosta.
Questo accorgimento si è reso necessario per poter avere un elevato grado di ripetibilità in tutte le prove. È sicuramente una condizione di prova severa, ma ribadiamo che nello studio dei materiali alpinistici è bene porsi sempre nella situazione peggiore (anche se ha bassa probabilità di verificarsi), perché se il sistema resiste in questa configurazione, a maggior ragione resisterà quando si troverà a lavorare in una modalità migliore. Nel caso alpinistico ricordiamo che il sistema si trova a lavorare in “condizioni migliori” quando tra la massa e il vertice della sosta è interposto un freno, che dissipa la quasi totalità dell’energia di caduta.
In questa prima situazione si è visto come non ci sia sostanzialmente alcun problema per quel che riguarda tutti i tipi di fettuccia impiegati nell’utilizzo su sosta mobile e semimobile.
Alcune criticità si sono verificate con la sosta fissa-bilanciata nel caso delle fettucce in dyneema da 8 mm, in cui la fettuccia si è tranciata o lesionata (immagine 8) nel nodo al vertice.
3.2 Utilizzo delle fettucce in sosta CON cedimento di un ancoraggio.
Se nel caso precedente non si sono evidenziati tutto sommato grossi problemi, nel caso in cui uno dei due ancoraggi di sosta dovesse cedere la questione si pone in termini ben più critici dal punto di vista del comportamento delle fettucce.
Il set-up di prova in questo caso è quello riportato nell’immagine 10 e il cedimento di uno degli ancoraggi è stato operativamente realizzato interponendo tra l’occhiello della cella di carico di sinistra ed il relativo moschettone un singolo trefolo di corda dinamica. Questo accorgimento ci permette di avere la perfetta ripetibilità dell’evento per tutte le prove.
Come nel caso precedente, questa configurazione è stata adottata per tutti i tipi di fettuccia presi in considerazione e per tutti e tre i tipi di sosta analizzati.
3.2.1 Sosta mobile con cedimento.
Nel caso di SOSTA MOBILE, emerge in maniera netta la criticità dell’uso della fettuccia nella sua costruzione. In caso di cedimento di uno dei due ancoraggi, infatti, succede che il moschettone che sta sul vertice della sosta, trascinato verso il basso dalla massa, va ad impattare contro il moschettone dell’ancoraggio che è saltato.
Questo impatto fra i due moschettoni può avvenire con due modalità diverse; in particolare può verificarsi che la fettuccia si trovi pizzicata tra i due moschettoni oppure no e queste due eventualità possono generarsi in maniera del tutto casuale (immagine 11 e 12).
Il risultato macroscopico di questi due tipi di comportamento è che se nel momento dell’impatto ci troviamo nella situazione peggiore delle due, ovvero nel caso in cui la fettuccia viene pizzicata tra i due moschettoni, il sistema:
In questo secondo caso, comunque, pur resistendo, le fettucce si lesionano in modo importante (vedi immagini 13, 14, 15 e 16)
3.2.2 Sosta semimobile con cedimento.
Il secondo caso che prendiamo in esame è quello della SOSTA SEMIMOBILE.
A differenza del caso precedente, ora il moschettone del vertice della sosta non va ad impattare direttamente sul moschettone dell’ancoraggio che salta, perché vi trova interposto il nodo che si fa per rendere la sosta più o meno mobile (immagine 17).
In tutte le nostre prove, questo nodo è stato fatto a circa 10 cm da moschettone dell’ancoraggio.
Abbiamo detto che il moschettone del vertice non va a cozzare contro quello dell’ancoraggio che salta, ma anche in questa situazione succede qualcosa che tanto bene alle fettucce non fa…
Per spiegare il meccanismo che si innesca, immaginiamo di guardare al rallentatore la scena; una volta che la massa si trova nel punto più basso, comincia a sollecitare la sosta; il ramo vincolato dalla parte del fusibile entra in tensione e quest’ultimo, avendo una bassissima resistenza salta.
A quel punto il moschettone del vertice scorre ad arrivare in battuta del nodo costruito vicino all’ancoraggio.
Dovrebbe essere tutto finito ma invece inizia un altro fenomeno. Il moschettone del vertice che è arrivato in battuta del nodo, continua a trazionarlo e questo inizia a scorrere, generando calore e dissipando una parte di energia. Questo scorrimento continuerà fino a quando il sistema non raggiungerà un nuovo stato di equilibrio se i nodi che rendono la sosta più o meno mobile sono fatti vicino al vertice.
Se, invece, i nodi sono fatti vicino ai moschettoni degli ancoraggi (come nel nostro caso), essendoci poca possibilità di scorrimento, il nodo scivolerà fino ad arrivare in battuta del moschettone (vedi immagine 18)
Rimane da fare un’ultima considerazione in relazione a quanto appena spiegato, sulla natura del materiale della fettuccia. La fibra polietilenica essendo molto scivolosa tende ad accentuare molto il fenomeno di scorrimento sopra esposto; inoltre avendo anche un basso punto di fusione (≈ 150°C), la cosa risulta ancor più preoccupante.
Non a caso in tutte le prove con questo tipo di sosta, le fettucce in Dyneema, siano esse da 8 o 12 mm, hanno ceduto. Il calore generato nello scorrimento ha indebolito la fettuccia al punto di fonderla.
Anche il Nylon non è uscito molto bene da queste prove (si vede bene nell’immagine 18), e non sempre ha resistito.
3.2.3 Sosta fissa-bilanciata con cedimento.
L’ultimo caso considerato nell’utilizzo delle fettucce in sosta è quello della sosta FISSA-BILANCIATA la cui configurazione è quella rappresentata nell’immagine 19.
Si tratta di fatto di una sosta fissa e quindi gode di due grandi vantaggi:
In tutte le prove eseguite con gli anelli di fettuccia in Dyneema, sia nella versione da 8 mm che in quella da 12 mm, il risultato è stato sempre il cedimento dell’intera sosta.
Quando salta uno dei due ancoraggi, il moschettone al vertice inizia a trazionare il ramo dell’ancoraggio rimasto e a schiacciare il nodo al vertice. Con materiali molto scivolosi, come il Dyneema, il nodo inizia a scorrere generando calore e raggiungendo, così, molto velocemente la temperatura di fusione e, di conseguenza, arrivando a rottura.
Guardando attentamente nel punto di rottura si possono riconoscere due interfacce: una di fusione e una di strappo.
Questo si verifica perché il processo di rottura avviene in due fasi:
una prima fase in cui si innesca un processo di fusione sulle fibre esterne che, sfregando le une sule altre durante lo scorrimento del nodo, portano a generare una quantità di calore sufficiente a raggiungere il punto di fusione;
vi è poi, una seconda fase, in cui le fibre più interne non interessate dal processo di fusione (ma che comunque si sono riscaldate e che quindi perdono parte della loro resistenza meccanica), danno luogo ad una sezione resistente che è insufficiente per resistere alle forze esterne applicate e perciò cedono di schianto.
Ricordiamo che il Dyneema ha una temperatura di fusione molto bassa: circa 150°C; ecco perché, in genere, se ne sconsiglia (caldamente!) l’utilizzo in tutte quelle manovre dove vi sia un possibile scorrimento e quindi attrito e di conseguenza generazione di calore.
Nelle prove in cui si è utilizzata la fettuccia di Nylon le cose sono andate decisamente meglio, e nonostante vi siano segni di fusione della parte esterna della fettuccia ed una forte strizione al nodo, il sistema ha sempre tenuto.
La temperatura di fusione del Nylon è di circa 220°C, quindi, se si notano segni di fusione anche in questo caso, significa che la temperatura generata durante lo scorrimento è arrivata a questo valore. Capiamo bene, dunque, come il Dyneema si trovi in difficoltà visto che la sua temperatura di fusione è più bassa !!!
Nelle immagini qui sotto (immagine 21, 22, e 23), si può verificare a livello macroscopico lo stato finale delle varie fettucce alla fine dei test.
Alla fine di tutte queste numerose prove cerchiamo di sintetizzare i risultati arrivando ad alcune conclusioni, distinguendo in base ai vari tipi di utilizzo che decidiamo di fare delle fettucce.
Per quel che riguarda l’accoppiare assieme due fettucce per prolungare una protezione, perlomeno nelle modalità qui testate, non sembra essere una gran bella soluzione.
L’uso di materiali diversi, di larghezze diverse e il nodo di accoppiamento generano un mix di fattori che portano a ridurre di molto il carico di rottura rispetto all’impiego di una singola fettuccia, anche se si tratta di materiali ad elevate prestazioni; fa eccezione il caso “Nylon/Nylon” che garantisce ancora una certa riserva di resistenza, ma anche in questo caso la resistenza meccanica risulta essere inferiore a quella dei 22 kN prescritti dalla norma EN-566.
Ci sentiamo di affermare quindi che se abbiamo la necessità (per i più svariati motivi), di prolungare una protezione, la cosa migliore sia quella di impiegare un unico anello precucito di lunghezza maggiore e non unirne due assieme, oppure di interporre tra i due anelli un moschettone. Possiamo altresì affermare che, per questo tipo d’impiego, l’uso degli anelli precuciti in Dyneema di basso spessore (8 mm), non trova nessuna controindicazione!
Per quanto concerne l’uso degli anelli precuciti in Dyneema nella costruzione di una sosta, ci sentiamo di sconsigliarne l’impiego.
Non perché l’anello precucito di basso spessore porti in sé una più limitata resistenza meccanica (abbiamo visto che non è così), ma perché in questo specifico impiego e nell’ipotesi di cedimento di un ancoraggio, si crea una particolare condizione per cui questo tipo di dispositivi (che in altre situazioni, lo ripetiamo, si dimostrano estremamente resistenti), non sono assolutamente indicati.
Nella costruzione di soste si consiglia l’uso di fettucce di buon spessore in Nylon, o meglio, l’impiego di cordini in kevlar o spezzoni di mezza corda dinamica.
Un particolare ringraziamento, infine, va all’amico e tecnico del laboratorio del CSMT Sandro Bavaresco la cui presenza e competenza si rivela sempre fondamentale nello svolgimento di tutte le attività effettuate presso la “torre” ed il laboratorio.
Bibliografia
[1] CNSASA, “Tecnica di Roccia”, CAI, 2008
[2] CIMT VFG, Sicurezza in pillole “Autoassicurazione in sosta con fettuccia pre-cucita”, Le Alpi Venete, 1-2010
[3] Zoppello C. “La longe in speleologia”, Le Alpi Venete, 1-2011
[4] Antonini G., Piazza O., “Test sui materiali: Le longes”, Il Soccorso Alpino, aprile 2012
[5] Bressan G., Polato M., “Longe e Daisy Chain: impieghi”, Annuario Accademico 2012-2013
Dal 1908 l’Annuario CAAI documenta l’evoluzione dell’alpinismo sulle Alpi e nel mondo, proponendo agli appassionati approfondimenti storici, culturali e di pensiero per un alpinismo libero,
ecocompatibile e rispettoso della storia, delle tradizioni locali e orientato alla conservazione dei valori originari di avventura, impegno e lealtà di approccio.
Dopo le pubblicazioni dal 1981 al 1999 vedi qui ecco ora gli annuari dal 2000 al 2019, con i relativi sommari e un articolo estratto random.
Gli annuari sono disponibili presso il distributore fiduciario Idea Montagna. Si possono ordinare online senza spese di spedizione.
https://www.ideamontagna.it/librimontagna/catalogolibrimontagna.asp?col=Accademico
a cura di Alberto Rampini
2000
Annuario_2000_Aiguille_Noire_de_Peuterey_compressed.pdf
2001/2002
Annuario_2001_2002_Sommario.pdf
Annuario_2001_2002_L_apparenza_e_la_visione_compressed.pdf
2003
Annuario_2003_Alaska_compressed.pdf
2004
Numero speciale per il centenario della fondazione del C.A.A.I.
2005
Annuario_2005__Eiger_compressed.pdf
2006
Annuario_2006_Cascate_in_Canada_compressed.pdf
2007/2008
Annuario_2007_2008_Sommario.pdf
Annuario_2007_2008_Sui_fondamentali_dell_etica_dell_alpinismo_compressed.pdf
2009
Annuario_2009_Paine_compressed.pdf
2010
Annuario_2010_La_questione_del_trad_compressed.pdf
2011
Annuario_2011_Vie_nuove_in_Marocco_compressed_1.pdf
2012/2013
Annuario_2012_2013_Sommario.pdf
Annuario_2012_2013_Cervino_parete_Nord_via_Bonatti_compressed.pdf
2014/2015
Annuario_2014_2015_Sommario.pdf
Annuario_2014_2015_Groenlandia_compressed.pdf
2016
Annuario_2016_Trad_Climb_in_Cornwall_compressed.pdf
2017/2018
Annuario_2017_2018_Sommario.pdf
Annuario_2017_2018_Translimes_Karakorum_compressed_1.pdf
2019
Annuario_2019_Wenden_compressed.pdf
La ricognizione primaverile al Bivacco della Sassa ci ha riservato un'amara sorpresa: la struttura risulta completamente distrutta dalle avversità atmosferiche e dalle pesanti nevicate della passata stagione invernale.
Il Bivacco della Sassa-Ceresa si trova alla testata di un selvaggio vallone laterale della Valpelline, raggiungibile in 3,5 ore dalla frazione Chamin, in comune di Bionaz.
Era una costruzione in legno e lamiera che nel 1988 prese il posto del vecchio bivacco installato nel lontano 1929. Aveva 15 posti e serviva da base per le salite nell'alta Comba della Sassa (Becca Blanchen, Becca des Lacs, Becca Bovet ecc).
Il CAAI si sta attivando per valutare l'entità dei danni ed il ripristino della struttura, che risulta al momento completamente distrutta e non utilizzabile.
Foto Paolo Charbonnier
Per motivi di sicurezza legati all’emergenza Covid 19 i bivacchi di proprietà del C.A.A.I. sono temporaneamente inagibili.
Resteranno aperti solo per rispondere alle eventuali effettive emergenze.
Si tratta di strutture spesso caratterizzate da spazi esigui,
tali da non consentire il necessario distanziamento interpersonale,
non presidiate e che quindi non possono essere sanificate dopo ogni utilizzo.
Si raccomanda di non prevedere l’utilizzo di bivacchi per escursioni e ascensioni programmate:
le strutture rimangono aperte esclusivamente per situazioni di reale emergenza
e chiunque ne faccia uso si assume in proprio la responsabilità per eventuali conseguenze negative.
Si provvederà a dare avviso quando si potrà tornare ad una fruizione normale dei bivacchi
e speriamo che quel giorno non sia troppo lontano.
Dal 1908 l’Annuario CAAI documenta l’evoluzione dell’alpinismo sulle Alpi e nel mondo, proponendo agli appassionati approfondimenti storici, culturali e di pensiero per un alpinismo libero, ecocompatibile e rispettoso della storia, delle tradizioni locali e orientato alla conservazione dei valori originari di avventura, impegno e lealtà di approccio.
Oltre al primo numero del 1908, proponiamo in due puntate gli annuari degli ultimi 40 anni, con i relativi sommari e un articolo estratto random.
Di seguito le pubblicazioni dal 1981 al 1999 e nella puntata successiva quelle dal 2000 al 2019.
Buona parte degli annuari è ancora disponibile presso il distributore fiduciario Idea Montagna, presso il quale le pubblicazioni si possono ordinare per riceverle con spedizione gratuita.
https://www.ideamontagna.it/librimontagna/catalogolibrimontagna.asp?col=Accademico
a cura di Alberto Rampini
IL PRIMO ANNUARIO - ANNO 1908
Annuario_1908_introduzione_compressed.pdf
ANNUARI DAL 1981 AL 1999
1981
Annuario_1981_Sommario_Annuario_1981.pdf
Annuario_1981_Il_senso_esoterico_della_montagna_compressed.pdf
Annuario_1981_Nanga_Parbat_compressed.pdf
1982
Annuario_1982_Del_Cervino_dinverno_compressed.pdf
1983
Annuario_1983_Alberto_De_Agostini_compressed.pdf
1984
Annuario_1984_Spedizione_CAAI_in_Hindu_Kush_compressed.pdf
1985/1986
Annuario_1985_1986_Sommario.pdf
Annuario_1985_86_La_cresta_dell_Innominata_ricordo_di_Francesco_Ravelli.pdf
1987
Annuario_1987_Emilio_Comici_compressed.pdf
1988
Annuario_1988_Il_declino_dell_avventura_compressed.pdf
1989
1990
Annuario_1990_Conformismo_rovina_dell_alpinismo_compressed.pdf
1991
Annuario_1991_L_alpinismo_lungimirante_di_Guido_Machetto_compressed.pdf
1992
Annuario_1992_Dalla_retorica_della_wilderness_compressed_2.pdf
1993
Annuario_1993_Il_grande_pilastro_verso_il_sole.pdf
1994
1995
Annuario_1995_John_Muir_compressed.pdf
1996
Annuario_1996_Ambientalismo_alpinistico_in_Pakistan_compressed.pdf
1997
Annuario_1997_Alpinismo_come_cultura_di_Massimo_Mila_.pdf
Annuario_1997_Il_nuovo_mattino_compressed.pdf
1998
Annuario_1998_Riconoscimento_Paolo_Consiglio_1998_compressed.pdf
1999
Annuario_1999_I_corsi_di_alpinismo_eco_compatibile_in_India_compressed.pdf
Albert Frederick Mummery, il primo alpinista della storia a progettare e tentare di scalare un Ottomila
di Silvia Mazzani (GISM)
SPEDIZIONE ANTARCTICA 2020
Inizio d’anno proficuo per Gian Luca Cavalli (CAAI Gruppo Occidentale), Manrico Dell’Agnola (CAAI Gruppo Orientale e GISM) e Marcello Sanguineti (CAAI Gruppo Occidentale e GISM), da poco tornati dalla Penisola Antartica dove hanno trascorso l’intero mese di gennaio (SPEDIZIONE ANTARCTICA 2020).
Attività scientifica
Si è trattato di una spedizione alpinistico-esplorativa ma anche scientifica, nell’ambito del progetto di ricerca dell’Istituto di Scienze Polari (ISP) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), per il campionamento del manto nevoso in varie zone, partendo dai ghiacciai a livello del mare e procedendo a intervalli regolari di quota crescente. Questo consentirà un'analisi della presenza di nuovi inquinanti anche in funzione dell'altezza e non solo in base all'area geografica.
Attività esplorativa
L'attività esplorativa ha riguardato ghiacciai
e pareti delle isole:
- Booth Island
- Bryde Island
- Rongé Island
- Wiencke Island
- Anwers Island
con particolare attenzione a quelli che si affacciano su
- Lemaire Channel
- Peltier Channel
- Neumayer Channel
- Börgen Bay
Attività alpinistica
Successo anche per l’attività alpinistica, con l'apertura di due vie:
"Via della Seta" (600m, AI4, M4), su una vetta battezzata "Cima Cocoon" (gruppo degli Zeiss Needles - Arctowski Peninsula)
"Terzo Paradiso" (700m, AI5, M5), sulla Gateway Ridge (Börgen Bay - Anwers Island).
Attività scialpinistica
L'attività scialpinistica si è svolta sui ghiacciai del Mount Britannia e del Mount Scott e su Nobel Peak e Jabet Peak.
Test di materiali
Sono stati testati capi di abbigliamento prodotti con un l’innovativo tessuto in pura seta COCOON, prodotto dal lanificio Botto Giuseppe di Biella, azienda campione di sostenibilità ambientale.
Leggi qui il report della spedizione Report Spedizione ANTARCTICA 2020
Sponsor e patrocinatori: COCOON di Botto Giuseppe, Biella Città Creativa UNESCO , Fondazione Cassa di Risparmio Biella, CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) – ISP (Istituto di Scienze Polari), DIBRIS (Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei Sistemi) - Università di Genova, Sant’Andrea Novara, Tintoria2000, East End Silks, CAI Sezione Biella, CAI Centrale, CAAI (Club Alpino Accademico), Karpos, Scarpa, DF Sport Specialist, Blizzard, Hotel Vesuvio Rapallo, Mountain Sicks, Dynasprint, Dolomia, Unifarco, Kask, Gabel, MantisPro affilatura viti da ghiaccio, Merzdorf fine food, This1
Di seguito la storia della spedizione dai report puntuali di MontagnaTV, che si ringrazia:
28 dicembre 2019
Antartide, partita la spedizione di Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola
2 Gennaio 2020
Antartide, la spedizione oltre la “Fin del Mundo” di Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola
17 Gennaio 2020
Aperta una prima via in Antartide per Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola
21 gennaio 2020
Antartide: Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola verso il Mount Rennie
26 gennaio 2020
Terzo Paradiso, nuova via nel cuore dell’Antartide di Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola
31 gennaio 2020
Antartide, ultime salite scialpinistiche prima del rientro per Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola
10 febbraio 2020
Sanguineti, Cavalli e Dell’Agnola tornati a casa. Il racconto e le foto dell’avventura in Antartide
di A. Rampini
Il Consiglio Generale del CAAI ha ratificato a pieni voti l’ammissione all’Accademico dei due forti alpinisti.
Personaggi diversi per generazione e per storie personali ma accomunati da una grande passione per la montagna e le prestazioni di alto livello, senza per questo essere semplicemente degli atleti della verticale.
Leonardo Gheza
Classe 1991, libero professionista iscritto alla Sezione di Breno, Leonardo inizia nel 2015 l’attività alpinistica di alto livello, specializzandosi nella scalata su roccia e nei concatenamenti in velocità.
Le vie moderne d’ingaggio e di grado elevato si affiancano alle grandi classiche del Bianco (Pilone Centrale del Freney, Sperone Walker alle Jorasses, Americana al Fou), delle Dolomiti (Hasse Brandler alla Grande di Lavaredo), dell’Oberland (Nord dell’Eiger), dello Yosemite (The Nose al Capitan), della Patagonia (Patagonicos Desesperados alla Poincenot).
Un giovane che sicuramente farà parlare di sé nei prossimi anni.
Denis Urubko
Classe 1973, di professione giornalista, iscritto alla Sezione di Bergamo, inizia l’attività nel 2000 e lascia un segno importante nella storia dell’Alpinismo Himalayano. Al suo attivo la salita dei 14 Ottomila senza ossigeno, alcuni per vie nuove e in stile alpino. Ha salito in prima invernale il Makalu e il Gasherbrum II.
Numerose le vie nuove tra le quali spicca nel 2019 la via nuova in stile alpino, in solitaria e senza ossigeno al Gasherbrum II. Ha aperto e ripetuto, anche in solitaria, grandi vie su roccia e misto in Tien Shan, Pamir, Kamciatka, Altay ecc.
Emerge il suo stile e spirito “puro” di andare in montagna libero dalle motivazioni commerciali. Vanno ricordati anche i generosi interventi di salvataggio in altissima quota (Jean-Christophe Lafaille al Broad Peak nel 2003, Elisabeth Revol al Nanga Parbat nel 2018 e Francesco Cassardo al G VII nel 2019).
Denis ha vinto per tre anni l’Asian Piolet d’Or (nel 2006 per una via nuova sul Manaslu, nel 2009 per una via nuova sul Cho Oyu e nel 2011 per una via nuova sul Pik Pobeda). Per la via nuova sul Cho Oyu viene premiato anche con il Piolet d’Or nel 2010.
Foto di copertina dal Post di Leonardo Gheza