Riconoscimento Paolo Consiglio

Club Alpino Accademico Italiano
Sabato, 14 Dicembre 2024 21:03

I caschi per alpinismo - norme e test di resistenza: cosa sappiamo?

- Prima parte -

Nota della Redazione: lo studio di seguito pubblicato espone i risultati di anni di prove e sperimentazioni sui caschi da alpinismo e giunge ad alcune importanti conclusioni. Una ulteriore serie di test volta a verificare le eventuali conseguenza derivanti dall'esposizione prolungata ai raggi solari in quota verrà completata nel corso del 2025  e quindi  una integrazione a questo interessante studio verrà pubblicata verosimilmente nei primi mesi del 2026.

Bressan Giuliano CSMT CAI - CAAI

Polato Massimo CSMT VFG - CAI Sez. Mirano

Ottimizzazione e grafica A. Rampini

Introduzione

A distanza di quasi vent’anni da un primo studio effettuato dall’allora CCMT (Commissione Centrale Materiali e Tecniche) del CAI, il CSMT ha voluto riprendere in considerazione il fatto di svolgere una nuova ricerca sui caschi da alpinismo.

Dal 2006, infatti, anche per questo tipo di DPI, c’è stato un notevole sviluppo sia nella progettazione che nei processi produttivi dovuti in gran parte, oltre che all’esperienza maturata dai produttori in collaborazione con il mondo alpinistico, anche al fatto che la ricerca su nuovi materiali nel campo dei polimeri è notevolmente progredita e si sono ulteriormente affinate le tecniche di stampaggio ad iniezione dei polimeri stessi.

In termini pratici il CSMT ha in programma di eseguire nel 2025 una serie di test su vari modelli di caschi ad oggi presenti sul mercato, dopo che sono stati lasciati per un periodo a completa esposizione solare in due luoghi che si trovano ad altitudini diverse.

Terminato il periodo di “invecchiamento” i caschi verranno portati in laboratorio e testati secondo una delle prove previste dalla norma EN 12492:2002 e che è il riferimento per la progettazione per i caschi da alpinismo: lo sottolineiamo perché altre tipologie di caschi (sci, equitazione ecc.), devono sottostare ai requisiti prescritti da altre specifiche norme.

A differenza di quanto avvenuto nei test eseguiti nei primi anni duemila, non prenderemo in considerazione caschi usati, ma solamente caschi nuovi che verranno scelti tra i brand maggiormente utilizzati dal mondo alpinistico e differenziandoli per quelle che sono le tipologie principali ad oggi utilizzate, ovvero quelli costruiti secondo queste tre macrocategorie:

  • una calotta costituita da Polistirene Espanso Sinterizzato (EPS) o Polipropilene Espanso sinterizzato (EPP) e da una copertura esterna in ABS
  • una calotta in EPS o EPP e una copertura esterna costituita da uno strato più leggero di Policarbonato
  • una calotta in EPS o EPP rinforzata nella parte superiore e per un’area limitata da uno strato di Policarbonato e altri elementi che vedremo nello specifico quando tratteremo più approfonditamente i risultati del nuovo studio.

Lo studio condotto tra il 2003 e il 2006

Come accennato precedentemente, anche il casco è da tempo entrato a far parte degli studi sui materiali utilizzati in alpinismo e in arrampicata e di conseguenza le successive prove hanno dato origine alla normativa UIAA-106 e in seguito alla corrispettiva norma EN-12492 (Mountaineering equipment - Helmets for mountaineers - Safety requirements and test methods).

Nel corso del 2006, l’allora Commissione Centrale Materiali e Tecniche del CAI (CCMT), ha svolto presso lo storico laboratorio del Dipartimento di Costruzioni e Trasporti dell’Università di Padova un’interessante e approfondita analisi sulle prestazioni meccaniche di un casco.

L’idea di “testare” i caschi è sorta soprattutto dalla necessità di verificarne la durata delle prestazioni col passare del tempo, di valutarne i comportamenti strutturali a seconda della tipologia costruttiva e di chiarire il senso dei requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa EN-12492.

Lo studio è stato esposto nella tesi di laurea magistrale in Ingegneria Civile dal titolo “Studio parametrico di ottimizzazione del comportamento ad impatto di un casco da alpinismo”, presentata il 25 ottobre dello stesso anno dal laureando Michele Titton, attualmente Ingegnere Civile, Libero Professionista e Guida Alpina. Una sintesi della tesi è stata pubblicata nel 2008 sulla Rivista del Club Alpino Italiano [1-2].

In questa prima parte dell’articolo sono presentate e commentate le prove e i dati acquisiti negli anni duemila. Il motivo per cui abbiamo scelto di riesporre quei risultati risiede nel fatto che riteniamo utile riprenderli e analizzarli per comprendere meglio quelli che otterremo e, quindi, fare le giuste considerazioni ed eventuali comparazioni tra i due studi del 2006 e del 2025.

La sperimentazione si è svolta in diverse fasi ed in successivi periodi. Inizialmente è stato raccolto il materiale principale per la sperimentazione (8 caschi nuovi di fabbrica forniti dalla CAMP e 6 caschi “usati” forniti dalla CCMT) e si sono definite le linee su cui indirizzare lo studio: analizzare la risposta ad impatto dei caschi da alpinismo in funzione del loro stato di usura nel tempo e valutare il relativo decadimento delle proprietà meccaniche dei materiali.

Il deterioramento dei materiali sintetici avviene sia per cause meccaniche (sfregamento, attrito, ecc.), sia a causa delle azioni climatiche o conseguenti ad esse (cottura da UV, muffe, surriscaldamento, ecc.), e rappresenta il principale motivo per cui l’attrezzatura da alpinismo va ciclicamente sostituita.

Lo studio ha comportato la necessità di testare diverse tipologie di caschi ed in diversi stati di conservazione; per ricavare dei confronti sulla durata delle proprietà meccaniche si sono state fatte prove di rottura su caschi d'alpinismo nuovi, usurati (da solo irraggiamento) e vecchi.

1 Rifugio KostnerFig 1 - Rifugio KostnerAllo scopo la CCMT ha procurato sei caschi utilizzati in ambiente alpino per diversi anni in varie attività (roccia, ghiaccio, soccorso), mentre la CAMP ha fornito quattro nuovi caschi modello Rock-Star e altri quattro modello Silver-Star. Gli otto elmetti dell’azienda di Premana sono stati utilizzati, in primo luogo, per studiarne le differenziazioni di risposta alle prove di assorbimento di energia a causa di urti verticali in funzione della quota di esposizione: per questo motivo erano state opportunamente collocate coppie di Rock-Star e di Silver-Star presso i sottotetti dei rifugi B. Carestiato (1843 m), Lavaredo (2343 m) e F. Kostner (2536 m - Fig. 1). Il periodo di permanenza in cui i sei caschi potevano rimanere custoditi 24 ore al giorno era quello classico dei rifugi alpini: dalle ore 12 del 20 giugno 2003 alle 12 del 20 settembre 2003. I restanti due caschi sono stati utilizzati, da nuovi, per test di confronto (Tabella pag 1).

I sei “vecchi” caschi sono serviti invece a completare delle considerazioni riguardanti il legame assorbimento di energia-tempo di esposizione-quota di esposizione, ma soprattutto a dare dei responsi riguardanti la durata delle prestazioni nel tempo specialmente in funzione della loro tipologia strutturale (Tabella pag 2).

 

Nel frattempo sempre in riferimento alla normativa EN 12492:2002, veniva realizzata ed allestita in laboratorio, seguendo l’accurata progettazione preliminare, una specifica apparecchiatura per le prove di assorbimento degli urti. La struttura era così costituita:

  • Un portale costituente lo scheletro portante dell’intero sistema (Fig. 2).
  • Un sistema di guida formato da un tubo in pvc, opportunamente centrato grazie ad un meccanismo di tiranti, in grado di consentire la caduta libera e guidata della massa con una velocità di impatto superiore al 95% di quella che si otterrebbe teoricamente in una caduta libera (Fig. 3 - 3a).
  • Una testa di prova costruita con massa e densità simili alla testa umana in modo che le tensioni generate durante l’impatto abbiano una distribuzione il più possibile analoga alla realtà (Fig. 4).
  • Una massa in acciaio di 5 kg con la faccia di percussione emisferica (Fig. 5).
  • Un trasduttore di forza (cella di carico) fissato rigidamente tra la testa di prova e la base del pavimento; la cella, posizionata con l’asse baricentrico della testa, permette di rilevare forze e deformazioni con un campionamento di 3200 segnali al secondo (Fig. 6).
  • Uno strumento di condizionamento del segnale per trasformare il segnale nel formato richiesto (in questi casi trasforma differenze di potenziale in deformazioni e poi in chilogrammi-forza) in modo da renderlo subito utilizzabile attraverso un PC (Fig. 7).

2 Struttura proveFig 2 - Struttura prove

 

3 Sistema di guidaFig 3 - Sistema di guida

3a Sistema di guidaFig 3a - Sistema di guida

 

          Fig 4 - Testa di prova

 

5 Massa di acciaioFig 5- Massa di acciaio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6 Cella di caricoFig 6 - Cella di carico

 

7 Strumentazione acquisizione datiFig 7 - Strumentazione acquisizione dati

 

 

 

 

Infine sono state eseguite tutte le prove di rottura necessarie (anche più d’una per alcuni modelli di casco), e sono state tratte le considerazioni riguardanti le differenze tra caschi di nuova e vecchia generazione, l’energia assorbita nell’urto dal sistema casco-testa, la forza trasmessa alla colonna vertebrale durante l’urto in funzione della condizione dell’elmetto, l’influenza dell’esposizione ai raggi del Sole sulla capacità di assorbire energia durante un urto.

 

 

 

 

 

 

 

La normativa EN-12492, UIAA-106

8 EN12492 UIAA106 HelmetsFig 8 - EN12492 UIAA106 HelmetsLa rappresentazione grafica della normativa (Fig. 8), presenta sinteticamente i metodi di prova per i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti e non contiene quindi tutti i dettagli dei metodi di prova e dei requisiti di questi standard; per maggiori dettagli è necessario consultare le norme EN-12492:2002.

Si richiamano in questo ambito solo alcuni punti attinenti all’assorbimento degli urti verticali:

“…la protezione fornita da un casco dipende dalle circostanze in cui si verificano gli incidenti e il fatto di indossarlo non può sempre consentire di evitare la morte o invalidità prolungata. Il casco riesce comunque ad assorbire parte dell’energia prodotta dall’urto, riducendo l’intensità del trauma subito dalla testa. Poiché tale assorbimento di energia può danneggiare la struttura del casco, è necessario che questo sia sostituito sempre in caso di forti colpi, anche quando il danno non è evidente…”

“…lo svolgimento di ogni prova prevede che ciascun tipo di casco venga sottoposto a prova nelle condizioni in cui è messo in commercio, che venga regolato in base alle dimensioni della testa di prova e secondo le istruzioni del fabbricante, ed infine che venga condizionato come indicato in un apposito prospetto…”

“… per eseguire la prova di urto sulla parte superiore la norma richiede l’utilizzo di tre caschi condizionati in modo differente (uno invecchiato all’UV e stabilizzato per 24 h ad una temperatura di (20 ± 2)°C e umidità relativa del (65 ± 5)%, uno condizionato alla temperatura di (35 ± 2)°C, e uno alla temperatura di ( -20 ± 2)°C) e posizionati su teste di prova prestabilite e di taglie conformi alla EN 960 (Headforms for use in the testing of protective helmets)…”

La rappresentazione grafica espone i test che i caschi devono superare per ottenere la certificazione; i primi tre si riferiscono alla capacità di assorbimento degli urti e alla resistenza alla penetrazione, gli altri due alla resistenza del sottogola e alla resistenza, frontale e dorsale, del sistema di ritenzione.

La “capacità di assorbimento di energia verticale” viene valutata facendo cadere una massa di 5 kg da un’altezza di 2 m; la forza trasmessa alla sagoma della testa di prova non può superare 10 kN per la normativa EN (8 kN per la direttiva UIAA).

La “capacità di assorbimento di energia frontale, laterale e dorsale” viene valutata con gli stessi metodi, facendo cadere la massa di 5 kg da 0,5 m; la forza trasmessa alla testa di prova non può superare 10 kN per la normativa EN (8 kN per la direttiva UIAA).

La “resistenza alla penetrazione” si effettua facendo cadere sul casco una massa di forma conica di 3 kg da un'altezza di 1 m. Il percussore conico non deve toccare la sagoma della testa di prova.

La “resistenza del sottogola” viene verificata ponendo il casco su un dispositivo di prova. Una forza di 0,03 kN viene applicata ad entrambi i cilindri che simulano una mascella artificiale e si misura la posizione delle cinghie; la forza viene applicata per un periodo di 30 secondi fino a 0,5 kN (500 N) e mantenuta per 120 secondi. L’allungamento massimo del sistema di ritenzione non deve superare 25 mm.

La “resistenza, frontale e dorsale, del sistema di ritenzione” si verifica montando il casco su una testa di prova. Una massa di 10 kg viene fatta cadere da un'altezza di 175 mm; il casco non deve staccarsi dalla forma della testa di prova.

I test: generalità e descrizione

In riferimento alla normativa esposta si precisa che i vari test si sono svolti presso il laboratorio del Dipartimento di Costruzioni e Trasporti, avente una temperatura di 19°C ed un'umidità relativa del 70% costantemente per tutto il periodo dell'anno. Inoltre i test hanno riguardato solo la “capacità di assorbimento di energia verticale”, valutata facendo cadere una massa di 5 kg da un’altezza di 2 m.

9 Test di provaFig 9 - Test di provaInizialmente, montata l'apparecchiatura come spiegato nel paragrafo precedente, sono stati effettuati alcuni test di prova atti a calibrare i vari dispositivi su alcuni elmetti da cantiere (Fig. 9). Una volta verificato che tutto funzionasse correttamente, ogni casco è stato posizionato nella testa di prova in maniera accurata e ben allacciato in modo da garantirne la stabilità durante l'impatto.

Successivamente, si lasciava cadere liberamente la massa di acciaio dall'altezza prevista, cioè 2 m dall'estradosso della calotta, all'interno del tubo guida, in modo da garantire l'impatto sempre nella sommità del casco (l'assialità era fondamentale in quanto si voleva valutare il massimo sforzo naturale di compressione possibile sulla colonna vertebrale); avvenuto l'impatto si memorizzavano e si archiviavano i dati ottenuti dalla cella per poter procedere successivamente ai loro confronti. Quasi tutti i caschi sono stati sottoposti a più di una prova: tra la prima e le successive ogni elmetto veniva tolto dalla testa di prova e successivamente rimesso in modo da eliminare le deformazioni residue dovute all'eventuale incastro generato dall'urto; questo, infatti, avrebbe falsato le prove poiché parte dei movimenti dissipativi che il meccanismo del casco avrebbe dovuto fare sarebbero mancati causando maggiori sforzi sulla cella.

Risultati

Nella sperimentazione sono stati utilizzati, come già esposto in tabella 1 e 2, i seguenti caschi:

- CAMP Rock Star, modello classico dal design semplice, leggero e confortevole, costituiti da una calotta stampata ad iniezione in polietilene HD di spessore variabile da 2 mm fino a 3 mm ed una struttura interna in fettucce di nylon. La calotta esterna deve essere in grado di scaricare l'energia d'impatto al telaio; sistema di regolazione rapida semplice ed efficace (Fig. 10 - 10a).  

- CAMP Silver Star Casco compatto e leggero e confortevole, dotato di un sistema di regolazione rapida semplice ed efficace. Calotta in ABS stampata ad iniezione, con top interno in polistirolo ad alta densità. Struttura interna in nylon ricoperta con mesh traspirante in vellutino antisudore con trattamento antibatterico Dri-lex (Fig. 11).

10 CAMP Rock Star casco nuovo 2002Fig 10 - CAMP Rock Star casco nuovo 2002

 

10a CAMP ROCK Star linterno dopo il testFig 10a - CAMP ROCK Star l'interno dopo il test

11 CAMP Silver Star casco nuovo 2002Fig 11 - CAMP Silver Star casco nuovo 2002

 

12 EDELRID Full Carbon casco del 1996Fig 12 - EDELRID Full Carbon casco del 1996

 

La CCMT ha procurato sei caschi usati: tre EDELRID Full Carbon (Fig. 12), un GRIVEL The Cap Carbon (Fig. 13) e due vecchi CASSIN (Fig. 14). Lo stato di conservazione era molto vario: buono per gli Edelrid ed il Grivel e scarso invece per i Cassin, di molto datati (circa 15-25 anni di più).

13 GRIVEL The Cap Carbon casco del 1998Fig 13 - GRIVEL The Cap Carbon casco del 1998

 

14 CASSIN Classic Rock anni 80Fig 14 - CASSIN Classic Rock anni 80

 

Lo studio avrebbe voluto avere un ampio sviluppo, sia per quello che concerne la sperimentazione che l’invecchiamento del materiale ed è quindi indiscutibile che per una ricerca più ampia e precisa non sia sufficiente un numero di caschi troppo limitato; inoltre, proprio per la valutazione dell’invecchiamento, si sarebbero dovuto utilizzare strumentazioni e metodologie apposite per sottoporre i materiali a cicli di invecchiamento accelerati rispetto all’esposizione naturale. Si evidenzia comunque come tutta la ricerca sia stata centrata sull’assorbimento di energia dovuto all’impatto per caduta di gravi e non a riprodurre in fedeltà le stesse prove utilizzate per certificare i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti. Quindi i commenti dei risultati e le considerazioni fatte si devono valutare criticamente tenendo conto dei limiti su cui si è svolta la sperimentazione; proprio per questo non si parlerà di un casco migliore rispetto ad un altro. Le prove che sono state effettuate in laboratorio sono molto complesse dal punto di vista fisico: i fenomeni che legano forza ed energia sono comunque evenienze non facilmente comprensibili con l’esperienza della quotidianità.

Ciò nonostante, avendo a disposizione venticinque prove è stato possibile fare un confronto diretto dal punto di vista del massimo sforzo raggiunto nelle singole prove. Sono stati eseguiti tutti i test di rottura necessari (anche più d'uno per alcuni modelli di caschi), sono state tratte le considerazioni riguardanti le differenze che ci sono tra i caschi di nuova e vecchia generazione, la forza che viene trasmessa alla colonna vertebrale durante l'urto in funzione della condizione del casco, l'energia che viene assorbita nell'urto dal sistema casco-testa e, infine, su quanto l'esposizione ai raggi del sole possa influenzare la capacità di assorbire energia durante un urto.

Dalle prove di laboratorio effettuate si è visto che ogni casco ha rispettato le attese ed in molti casi le ha anche superate (Tabella 3 - vedi nota). Infatti, i valori del primo drop test sono stati tutti inferiori ai 10 kN come richiesto dalla normativa e nella maggior parte dei casi anche il secondo e addirittura il terzo impatto sono stati assorbiti in maniera eccellente. Positivi risultati si sono ottenuti dalla determinazione della tenuta in funzione dell’usura dei materiali sintetici: infatti si è visto come gli elmetti invecchiati si comportino verosimilmente come quelli nuovi. L’invecchiamento è stato fatto in modo naturale per 6 caschi (3 Rock Star e 3 Silver Star ) ed i risultati si sono confrontati con quelli degli stessi modelli nuovi. Si sono anche eseguiti drop test su caschi “vecchi” ed utilizzati in ambiente alpino per diversi anni (dai 3 ai 5 anni) e anche in questo caso le risposte sono state più che soddisfacenti.

È da tener inoltre presente come i due vecchi elmetti Cassin erano visibilmente deteriorati ed i loro apporti non si sono presi in considerazione per ottenere giustificate analisi.

Tabella pag 3 - Risultati test laboratorio

 Conclusioni

Il binomio confort-leggerezza è la principale caratteristica tecnica su cui si basa l’acquirente medio al momento dell’acquisto del casco da alpinismo. Al giorno d’oggi l’ottimizzazione degli spessori, salvaguardando comunque e sempre le prescrizioni della normativa, permettono di rendere i caschi più leggeri e allo stesso tempo più confortevoli ed indossabili. Attualmente ogni costruttore ha lanciato nel mercato come casco di punta quello costruito con la tecnologia in-moulding. La rincorsa globale alle tendenze del mercato non ha comunque fatto perdere di vista i fondamentali requisiti che devono soddisfare gli elmetti nel corso della loro vita. Dalle prove svolte si intuisce come lo spessore troppo sottile della calotta non sia in grado di assicurare un’adeguata rigidezza e faccia sì che il materiale espanso (nel caso di caschi moderni o composti), riceva il colpo in una zona localizzata raggiungendo rapidamente condizioni estreme (fase di densificazione del polistirene espanso), per cui l’accelerazione rilevata è alta. Il punto ottimale, caratterizzato da un minimo dell'accelerazione e della forza trasmessa al capo, si intuisce sia per uno spessore della calotta di circa 0,5 mm. Si può affermare che le limitazioni di garanzia per funzionalità dei caschi che le ditte forniscono, sono periodi validi, sicuramente non al limite, invece piuttosto prudenziali.

Il fattore tempo è fondamentale, anche se sicuramente un casco ancora imballato e rimasto al buio per 10 anni risponderà meglio al drop test rispetto ad uno stesso modello utilizzato magari per soli due anni ma da un professionista della montagna. La vita media di un elmetto è di circa 4 anni per una persona che fa abbondante attività alpinistica: infatti, soprattutto i caschi moderni proprio per come sono concepiti e costruiti, dopo un certo quel periodo iniziano a mostrare segni di cedimenti e imperfezioni come rotture della calotta per piccoli urti o perdite di tenuta dei collanti a causa dei cicli di caldo-freddo.

Nel caso dei caschi, le certificazioni delle ditte durano 3 o 4 anni: questo non vuole assolutamente affermare che superata quella soglia i caschi non funzionino più, ma si è visto che caschi utilizzati frequentemente per periodi superiori ai 3-4 anni presentano uno stato di degrado molto più avanzato.

Sebbene avvengano spesso incidenti, al giorno d’oggi non è pensabile che questi siano causati da trascuratezza nella cura e nella scelta dei materiali: l’alpinista e/o l’arrampicatore devono rendersi conto di quando è ora di rinnovare la propria attrezzatura. Consapevoli di ciò e che il casco serve e può salvare la vita, ricordate sempre di tenerlo ben allacciato.

Bibliografia

[1]   Titton Michele, I caschi da alpinismo 1a parte, La Rivista del CAI luglio-agosto 2008

[2]   Titton Michele, I caschi da alpinismo 2a parte, La Rivista del CAI settembre-ottobre 2008

Nota

Il newton - "N" - è un'unità di misura della forza nel Sistema Internazionale; un N è la forza che applicata a una massa di 1 kg le imprime l'accelerazione di 1 m/s^. Un decanewton - "daN" (10 newton) viene spesso usato perché equivale a circa 1 kg peso.

Un kilonewton "kN" (1000 newton) equivale quindi a circa 100 kg peso.

Venerdì, 06 Dicembre 2024 09:22

Breve resoconto non puntuale del convegno, da parte del “provato” moderatore Claudio Inselvini.

Martedì, 29 Ottobre 2024 18:20

Resoconto del Convegno del Gruppo Orientale - GROPADA 20 ottobre 2024

di Francesco Leardi

ottimizzazione e grafica A. Rampini

Il giorno 20 Ottobre si è svolto nella rilassante e intima località di Gropada (TS) il convegno-assemblea del Gruppo Orientale.

In realtà il mio coinvolgimento per questo evento è stato dal giorno 18 nel quale ho iniziato il mio cammino sul suolo triestino e goriziano.

Ovviamente andava oltre il mio ruolo di presidente.

Su consiglio di Mauro Florit ho puntato l’interesse sulla mostra di “Julius Kugy e donne in quota” a Gorizia al palazzo Coronini che tra l’altro resterà aperta alla visita fino al 6 Gennaio 2025.

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1 Mostra KugyLa mostra su Kugy

 

0 Sentiero RilkeSul Sentiero Rilke

Con 2 euro per i soci C.A.I. si accede a due sale con pannelli che illustrano con fotografie e frasi la vita di Julius Kugy e la situazione sociale delle donne in quota sia alpiniste che “portatrici” ai tempi della guerra, argomento che peraltro si adattava perfettamente al tema del nostro convegno pomeridiano.

Una breve visita mattutina sul sentiero Rilke a Duino e il trasferimento successivo a Gorizia ci hanno permesso di aspettare l’apertura della mostra e quindi radunarci nel tardo pomeriggio con Jennifer Dall’Armellina, nostra moderatrice al convegno e Alessandra Gaffuri accademica del gruppo centrale con la preziosa testimonianza che avrebbe portato al convegno di donna a confronto in un mondo maschilista.

Con un tempo inaspettatamente clemente alla mattina di sabato 19 ci attende all’inizio della strada Napoleonica Giorgio Ramani storico “passaggista” ma soprattutto memoria storica del movimento di arrampicatori che si sono avvicendati e spellati le dita sui passaggi andando ad altezze che oserei definire proibitive letteralmente “senza rete” rischiando non le sole caviglie ma ben altre fratture.

4 Giorgio RamaniGiorgio Ramani

 

6Giorgio Ramani indica la mitica "X"

5 Sulla XSulla X

 

6 bis

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Scorrendo lungo la Napoleonica siamo stati avvolti dalle leggende di nomi e volti alcuni conosciuti altri famosi ma solo ai locali e non per questo meno abili.

Insieme a noi la disponibile e solare Giuliana Pagliari INAL di Trieste e relatrice della domenica, preziosa compagna di escursioni storiche e naturalistiche che andò poi ad elencare.

Sotto gli occhi attenti di Ramani e Florit sulla mitica “X” di Ramani si avvicendavano Maistrello e Dalle Nogare verso l’”incognito”e per fortuna con un buon pad sotto le caviglie.

Nel frattempo ci aspettavano il “custode” Aldo Fedel della grotta Gigante e il presidente della SAG  Paolo Toffanin.

 

All’interno della grotta veramente gigantesca è stato attrezzato un itinerario di arrampicata mista ci circa 170 metri da parte del “custode” e Paolo Pezzolato detto “Fossile”,  molto suggestivo e che richiede ovviamente un sapiente uso delle staffe e la relativa tecnica per non arrivare alla balaustra finale come degli zombi.

Ovviamente poteva aprire questo itinerario in una grotta solamente un personaggio soprannominato “Fossile”.

Le cordate si stavano formando e cioè nell’ordine di partenza Ivo Maistrello e Marco Davoli, Carlo Dalle Nogare e Giuliano Bressan, Giuseppe Tararan e Mauro Moretto il tutto sotto la attenta supervisione di Mauro Florit ottimo coordinatore dell’evento.

Pronti partenza e via e così Ivo è la cavia che affronta questa via nella penombra di un ambiente veramente singolare.

Nel frattempo insieme ad altri convenuti risaliamo i cento metri gradinati di dislivello verso l’uscita affascinati dalla grandezza dell’ambiente.

9Luci ed ombre danno rilievo alle fantastiche strutture della Grotta Gigante

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Prossima destinazione per noi che abbiamo scelto una giornata di relax, il paesino di San Lorenzo dal quale si sovrasta la splendida Val Rosandra, attendendo per le 20 l’arrivo delle cordate alla balaustra, fine dell’itinerario.

Un dolce pensiero per il nostro collega Maurizio Fermeglia che qua ha concluso il suo cammino avvolge di commozione il nostro gruppetto.

Per fortuna la Giuliana, grande conoscitrice della valle, ci fa volare oltre, sfiorando con lo sguardo spigoli, aggirando creste e salendo strapiombi.

Un vento non fastidioso e un cielo grigio molto suggestivo ci accompagnano in questa visita in un luogo così carico di significato per l’ambiente triestino.

Poi con la macchina verso le Grotte di San Canziano per ammirare la maestosa bellezza del fiume Timavo che entra nella terra e nel suo percorso carsico sotterraneo arriva a San Giovanni di Duino per gettarsi nel mare dopo 39 chilometri di anonimato sotto terra incrociando l’abisso di Trebiciano che come un comignolo è uno sbocco verso il cielo.

Pensate che ci sono speleologi ed ovviamente speleo sub che per trovare sbocchi carsici hanno fatto una ragione di vita di questo loro impegno oserei dire anche assai pericoloso ma molto avventuroso.

Altro trasferimento alla grotta Gigante ormai chiusa al pubblico che apro io con le chiavi che mi ha lasciato l’Aldo Fedel.

Quante persone nella loro vita possono dire di avere avuto a propria disposizione la chiave di una grotta e che grotta?

Oramai sono le 20 e sollecitando i ragazzi impegnati in parete li invitiamo a sbrigarsi per il buio ormai imminente: ovviamente il tutto nella grotta!

Grande cena in splendida compagnia e armonia e poi la notte porterà consiglio per l’assemblea e il successivo convegno.

La mattinata del 20 Ottobre è splendida e di primo mattino con Mauro arriviamo a Gropada dove già il buon “Calice”, al secolo Stefano Zaleri, sta predisponendo le indicazioni per arrivare alla sala del Pub Skala nel cui interno Roby Valenti allestisce la parte per così dire informatica.

E veniamo alla parte del Convegno in quanto la parte congressuale va agli atti per così dire istituzionali.

16 Jennifer DallArmellinaJennifer Dall'Armellina conduce il Convegno

 

14 Da sinistra Stefanelli. Gaffuri MeroiDa sinistra Stefanelli. Gaffuri e Meroi

17 Sara Avoscan e Omar Genuin e la piccola Lia17 Sara Avoscan, Omar Genuin e la piccola Lia

18 Nives e OmarNives e Romano

 

20 Assemblea istituzionale alla mattina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

21 Assemblea istituzionale alla mattinaL'Assemblea istituzionale della mattinaDa presidente ormai agli sgoccioli con la tensione per gli eventi così incalzanti, saluto il pubblico e lascio la parola alla moderatrice Jennifer Dall’Armellina che da subito ci accompagna con la sua simpatia e preparazione alla scoperta delle vite ed esperienze delle relatrici.

Giuliana Pagliari ci lega alla sua corda lungo la sua via fatta di arrampicate estreme e insegnamenti ad allievi della scuola Comici della quale è la direttrice.

Le parole di Giuliana così distaccata dall’autocelebrativo ci riempiono di commozione per il suo percorso di affermazione personale.

Da triestina ci introduce poi ad un sorprendente filmato gentilmente concesso dalla famiglia Rauber depositaria di un archivio fotografico pregevolissimo con inedite immagini di Emilio Comici poi donne sensuali in costume da bagno dell’epoca e singolari pose in arrampicate e discese in corda doppia.

 

 

 

 

 

 

 

Entra poi in gioco Alessandra Gaffuri con il suo entusiasmante percorso personale non solo legato alla montagna ma anche cammino di vita tra gioie e apprensioni, mamma, moglie e veterinaria.

Un vulcano ancora in attività che Jennifer, noto, scruta quasi con ammirazione.

Jennifer poi ci concede una frizzante intervista con Sara Avoscan e Omar Genuin e la loro piccola Lia che gattona in ogni dove sul palco mentre papà e mamma ci fanno vedere delle meravigliose immagini di gattonate verticali in Marmolada con la ripetizione della via Steps across the border/Senkrecht ins Tao (X-) un itinerario percorso in prima ascensione da Prem Darshano (al secolo Luggi Rieser) e Ingo Knapp l’11 ottobre 1995 e che conta, compresa la loro salita solo 5 ripetizioni.

Locandina convegnoMentre si avvicina a me gli occhi vigili e attenti di Omar mi scrutano e con molta delicatezza si scusa della breve permanenza della sua famigliola ma lo rassicuro perché tutti abbiamo notato che la piccola Lia oggi era ingestibile: forse le manca il pannello da arrampicata?

Entrano poi in ballo Nives e Romano che oserei definire la coppia di ferro e sulle immagini del loro quattordicesimo ottomila, l’Annapurna, ci lasciano ancora senza fiato, e non è un eufemismo, immergendo il nostro essere in quel mare di solitudine così pregnante.

Poi la sempre presente e brillante Jennifer comincia con le domande alla coppia che evidenzia la loro situazione personale e cioè il “soli ma uniti” che li ha portati in giro per il mondo.

E il litigio in vetta all’Annapurna? Chi aveva ragione? Romano afferma di avere lui sempre ragione ma ho l’impressione che la Nives, con quello sguardo così vispo, attento e contemporaneamente dolce abbia la testa adatta per tenere banco al “suo uomo”.

Sempre belli e brillanti nonché affascinanti.

Un attimo di pausa e ci viene offerta da Franco Toso che si è prestato anche per l’assistenza tecnica, la visione del film “Signora delle cime” su Bianca di Beaco che ci immerge in un alpinismo di altri tempi proiettandoci anche volti ben noti a noi accademici.

Con una certa commozione, oltre ad altri personaggi triestini dell’epoca, compare il mitico Jose Baron e poi Walter Mejak che però non ho conosciuto e sappiamo che in sala a vedere il film c’è la moglie Fioretta Tarlao , un tipetto singolare di 86 anni assai frizzante e molto coinvolgente.

Il film di Franco Toso ci trascina in un mondo così lontano ma anche così attuale lasciandoci stupiti dai profondi sentimenti e riflessioni di Bianca, donna sensibile ma soprattutto LIBERA.

E questo è stato il senso dato al nostro convegno rivolto alle nostre compagne che siano di vita, di cordata, di qualsiasi cosa con la consapevolezza di tributare il nostro rispetto verso di loro.

Un grazie molto sentito a Paolo Toffanin presidente della SAG e Piero Mozzi presidente della XXX Ottobre che hanno favorito questo progetto.

Aldo Fedel, custode della grotta, ci ha fatto capire come si può amare con passione il proprio lavoro.

Un ringraziamento ai colleghi accademici che mi hanno fatto da capocordata su questa via verso Gropada, Florit, Valenti e Zaleri.

Legate a questa cordata, alle quali sono debitore, anche la sempre presente Anna Bressan,  l’infaticabile Sofia Beltrami e la mia ragioniera e scrutinatrice Fiammetta Curcio.

E grazie ai convenuti!

Venerdì, 27 Settembre 2024 10:51

CONVEGNO NAZIONALE C.A.A.I.

16 novembre 2024

presso Abbazia Benedettina di Maguzzano – Lonato (BS)

img185Il delicato e attualissimo problema dell’equilibrio tra conservazione del patrimonio storico e sistemazione (valorizzazione?) degli itinerari verrà osservato ed approfondito nei suoi molteplici aspetti da relatori qualificati come Matteo De Zaiacomo, Matteo Rivadossi, Heinz Grill, Ivo Rabanser, Beppe Villa, Tommaso Lamantia, Luca Calvi ed altri.

Scarica qui la locandina

Informazioni utili

Alberghi e B&B a Desenzano del Garda

Cartina Desenzano del Garda

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Giovedì, 26 Settembre 2024 11:39

LA MONTAGNA E’ DONNALOCANDINA

Convegno autunnale del Gruppo Orientale del CAAI

20 Ottobre 2024 - Gropada (TS)

Il Convegno-assemblea autunnale del gruppo Orientale C.A.A.I. si terrà domenica 20 Ottobre 2024 presso la CASA DELLA CULTURA SKALA DI GROPADA - Gropada 82 (TS).

L’appuntamento per i soci è alle ore 9,00. Dopo la registrazione, Ariella Sain farà vivere con immagini un ricordo del suo compagno di vita Marino Babudri nostro stimato e apprezzato collega. A seguire Diana Sbabo e Ivo Maistrello presenteranno il libro “Progetti verticali sul Sojo Rosso e Sojo d’Uderle” sviluppato con il contributo fotografico di Luca Giovannini.

Diana e Ivo per diversi anni hanno arrampicato su queste pareti anche condividendo momenti di vita.
A seguire proiezione di un interessante filmato.

L’Assemblea proseguirà con gli adempimenti statutari, comunicazioni, elezioni ecc. come da odg che verrà inviato ad ogni socio.

Dopo il pranzo sociale, a partire dalle 14,30, ci sarà il Convegno aperto al pubblico “LA MONTAGNA E’ DONNA” – scarica qui la locandina – con l’intervento di qualificati relatori e la proiezione del film “Signora delle cime” docufilm su Bianca di Beaco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì, 25 Settembre 2024 18:54

MEETING VAL GRANDE IN VERTICALE

14/15 settembre 2024

20240914 133716Al tempo non si comanda, questa volta non siamo riusciti ad evitare il famigerato e tanto temuto “weekend di brutto tempo”. Nelle sette edizioni precedenti la fortuna ci aveva sempre baciato, magari non avevamo avuto due giorni di sole pieno, anzi il sabato del primo raduno era iniziato con la pioggia, però eravamo sempre riusciti a salvare l’evento. Questa volta no, ma d’altra parte, anche solo per un calcolo delle probabilità, doveva prima o poi accadere.

A metà settimana piogge torrenziali avevano già creato molti danni e disagi e la domenica era prevista un’altra intensa ondata di maltempo e così, con una “riunione d’emergenza” dell’ultima ora, l’ineluttabile decisione: rinviamo il raduno al prossimo fine settimana.

Cosa facile a dirsi, e obbligatoria per le condizioni ambientali venutesi a creare, ma non così banale da attuare. Tutte le attività previste potranno essere fatte? Ci sarà ancora la disponibilità di tutti i volontari coinvolti?

Convulsi giri di messaggi e telefonate. Verifiche di disponibilità dell’ospite, della sala comunale, delle scuole di alpinismo, dei volontari. Senza contare l’aggiornamento della parte di comunicazione, banalmente le locandine disseminate in valle da correggere. Nulla di scontato, eppure alla fine ce l’abbiamo fatta, con l’impegno e la buona volontà di tutti.

Solo due delle attività previste purtroppo non siamo riusciti a salvare: la prova scalata per adulti neofiti e l’attività dimostrativa delle guide alpine Valli di Lanzo. Ma tutto il resto sì, compresa la novità di questa edizione: la passeggiata naturalistica per riconoscere piante e fiori fatta dal grande esperto Aldo Chiariglione con l’ausilio della guida naturalistica Diego Antonucci. Un’iniziativa che ha riscosso un grandissimo successo, suscitando tanto interesse e curiosità.

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Il meteo ci ha premiato, due giornate di sole, persino il forte vento del venerdì ha cessato di soffiare sabato mattina. Ma si sa, al tempo non si comanda, e se è andata così è solo perché ha voluto farci un grande regalo, non certo per le nostre risentite rimostranze. Anzi a ben pensarci il regalo è stato doppio perché prima il vento ha provveduto ad asciugare tutto e dopo il sole ha fatto sì che tutti potessero scalare. Magari non faceva proprio caldissimo ma sono solo dettagli e tutti si sono divertiti sulle belle pareti di Sea e della Val Grande.

20240803 112638Gli iscritti ufficiali si sono attestati sulle 300 unità, un po' meno dell’anno scorso ma è il pegno da pagare per lo spostamento di data, poi ci sono stati di nuovo un centinaio di bambini, gli allievi del corso trad della Gervasutti, i camminatori della gita sociale del CAI e soprattutto i già citati partecipanti alla passeggiata naturalistica che sono stati 60, senza contare tutti quelli che hanno partecipato alla conferenza sulle erbe del sabato a Pialpetta. Inoltre c’è chi ha presenziato alla serata tenuta da Andrea Bonaiti sulla sua spedizione al Nanga Parbat. Un film documentario nella sua semplicità molto avvincente che nonostante la durata non indifferente, un’ora e mezza, ha riscosso un buon successo, essendo la sala comunale a Cantoira piena. Purtroppo, come già detto, non è stato possibile tenere la giornata prova scalata per neofiti e la dimostrazione delle guide alpine. Però i commenti in valle sono stati tutti positivi, da ristoratori, albergatori e commercianti il riscontro è stato ottimo e questo per noi è molto importante in quanto uno degli obiettivi del raduno è quello di portare gente in Val Grande a vantaggio dell’economia locale. 

Il numero degli iscritti ufficiali come al solito non corrisponde mai alla gente che durante l’evento gira in valle e purtroppo non corrisponde nemmeno a chi si avvale delle iniziative proposte nell’ambito della manifestazione. Dispiace che molti non capiscano, o non vogliano capire, lo spirito e le finalità che questo evento si prefigge. Dispiace soprattutto se a non capire sono gli scalatori che poi percorrono quegli itinerari ripristinati grazie ai proventi derivanti dalle iscrizioni. Ogni anno, da molto tempo ormai, vengono piazzate centinaia di fix e non solo in Val Grande ma anche in Val di Viù e Val d’Ala, un’opera che rende di nuovo fruibili tantissime vie e falesie altrimenti destinate all’oblio. E ogni anno è sorprendente come si riesca sempre a trovare nuovi progetti, così tanti che probabilmente non basteranno altrettanti raduni per finire tutto. Le Valli di Lanzo sono incredibilmente ricche di pareti e certamente Sea è il luogo che più di ogni altro testimonia questa ricchezza. Una Sea minacciata dall’ennesimo progetto di costruzione di una strada ma anche una Sea valorizzata e ora uscita dal dimenticatoio. A dimostrazione di ciò la presenza nel Vallone di due tra i più forti scalatori al mondo, Didier Berthod e Fred Moix, alle prese con un progetto al Trono di Osiride, si dice un tetto con difficoltà sul 9a. Anche se la difficoltà, se sarà davvero quella, non sarà “popolare” sicuramente il ritorno di immagine sarà notevole. Ed è bello pensare che forse senza gli sforzi di questi anni Sea sarebbe ancora oggi un vallone sconosciuto e dimenticato, del quale probabilmente nemmeno i due svizzeri avrebbero mai sentito nemmeno parlare.

Per questo è nostra intenzione continuare a fare il Val Grande in Verticale!

Ringraziamo tutti gli sponsor: Ortovox, La Sportiva, Camp, Grivel, Ferrino, Edelrid, Grande Grimpe, Mulin Barot, Uova Fantolino, la Libreria della Montagna. I negozi tecnici Mountain Sicks e Bshop. Le palestre indoor Bside, BoulderBar, Escape, Sasp, Cus, La Mole. Gli esercizi commerciali/aziende della Valle. Grazie!

Settembre 2024

Luca Enrico

CAAI Gr. Occidentale e Gruppo Valli di Lanzo in Verticale   

Ottimizzazione e grafica A. Rampini       

 

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Mercoledì, 21 Agosto 2024 21:32

64 DSC01454 foto F.Scotto
Con una cerimonia seguita da decine di appassionati di montagna, il 13 agosto la struttura, di proprietà del Club Alpino Accademico Italiano, è stata ufficialmente intitolata anche a Matteo Campia, forte alpinista cuneese che ne promosse la costruzione a ricordo di Niculin Gandolfo, suo compagno di cordata e altro nome famoso dell’alpinismo cuneese, scomparso nel 1961. Come ha ricordato Fulvio Scotto, Presidente del Gruppo Occidentale del CAAI, si è voluto ricostituire idealmente la cordata che per una ventina di anni, tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Cinquanta, praticò assiduamente su queste montagne un alpinismo di esplorazione e di avventura con autentico spirito accademico. Il Bivacco, già inaugurato nel 1970 e che si chiamerà da ora BIVACCO CAMPIA-GANDOLFO, si trova in uno degli angoli più belli delle Alpi Marittime, a 1847 metri di quota nel Vallone del Dragonet, in Alta Valle Gesso. Il bivacco, ovviamente incustodito ma sempre aperto, è fornito di fornello a gas, brandine con materasso e coperte. La struttura è punto d'appoggio per diverse salite alpinistiche, relazionate in una breve dispensa preparata per l'occasione dal CAAI 8 (scarica qui Prima parteSeconda parte - Terza parte)

Dopo la posa di una targa ricordo sul bivacco, con l’intervento del Vescovo di Pinerolo, Monsignor Derio Olivero, appassionato alpinista, l’evento è proseguito a valle a Sant’Anna di Valdieri con la partecipazione di figure di spicco dell’alpinismo cuneese, dei rappresentanti del Parco delle Alpi Marittime e del Comune di Valdieri, nonché Giorgio Campia, figlio di Matteo Campia. Presente una rappresentanza del CAAI composta dal Comitato di Presidenza del Gruppo Occidentale e dal past president Corradino Rabbi.

Ottimizzazione e grafica A. Rampini 

 

targa Bivacco Campia Gandolfo

 

53 IMG 20240813 WA0029 foto U.ValocchiGiorgio Campia scopre la targa che testimonia della intitolazione del bivacco a suo padre Matteo Campia e al suo compagno di cordata Niculin Gandolfo - Ph U.Valocchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

60 IMG 20240814 WA0035 foto M.CastagniUn momento della cerimonia - Ph M.Castagni

Inaugurato nel 1970, il bivacco è stato oggetto di periodiche manutenzioni, l’ultima delle quali recentissima coordinata da Anselmo Giolitti. Anche il sentiero di accesso, lungo e con un paio di passaggi attrezzati con corda fissa, viene regolarmente tenuto accessibile grazie al lavoro di tanti: dall'Aib di Borgo San Dalmazzo, ai volontari, al Soccorso Alpino, agli operai forestali della Regione Piemonte e della squadra tecnica delle Aree Protette delle Alpi Marittime.

Un ringraziamento particolare va quindi a loro e alle tante altre persone che nel tempo si sono occupate e si occupano del mantenimento della struttura e del percorso di accesso.

In occasione della re-intitolazione, il CAAI, ha diffuso una breve monografia sulle principali possibilità di alpinismo d’avventura nel selvaggio Vallone del Dragonet, per le quali il rinnovato Bivacco “Matteo Campia-Niculin Gandolfo” serve da base di appoggio.

01 IMG 4710 foto A.SanteusanioLa rappresentanza del CAAI, con al centro Monsignor Derio Olivero e alla sua sin. Giorgio Campia. Da sin. Francesco Drocco Aspirante CAAI, Sergio Calvi in rappresentanza delle Guide Alpine, Umberto Valocchi, Fulvio Scotto e a destra Anselmo Giolitti - Ph A.Santeusanio

                                Da sin Giorgio Campia, figlio di Matteo, Antonio Santeusanio e Fulvio Scotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

04 DSC01500 foto F.ScottoLa testata del Vallone del Dragonet nel controluce pomeridiano, dal sentiero di accesso - Ph F.Scotto

02 DSC01439 foto F.ScottoAl centro il Vallone del Dragonet con illuminata dal sole la parete Nord Est della Cima del Dragonet con a sin, in ombra, l’aguzza Guglia del Dragonet e la parete Nord dell’Asta Soprana - Ph F.Scotto

10 DSC01497 foto F.ScottoLungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph F.Scotto

15 DSC01466 foto F.ScottoUn momento della manifestazione al Bivacco Campia-Gandolfo - Ph F.Scotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

041 DragonetMagia del Vallone del Dragonet

71 DSCF1832 foto N.Villani

48 IMG 20240813 WA0009 foto U.ValocchiSalita lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph U.Valocchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

45 DSC01448 foto F.ScottoNell'ultimo tratto del sentiero verso il Bivacco Campia-Gandolfo, sullo sfondo il Monte Matto - Ph F.Scotto

35 DSC01415 foto F.ScottoMomenti di salita lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph F.Scotto

volontari squadra AIB Borgo S.Dalmazzo puliz sentieroVolontari della squadra AIB Borgo S.Dalmazzo, impegnati nella pulizia del sentiero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Monsignor Derio Olivero interviene alla cerimonia dell'intitolazione

                               Lungo il sentiero del Vallone del Dragonet, sullo sfondo il Monte Matto

Alcune foto storiche

Vallone del Dragonet invernale foto F.ScottoVallone del Dragonet invernale - Ph F.Scotto

Vallone Dragonet a primaveraVallone del Dragonet a primavera

072 1 invern parete N Asta Soprana foto F.Scotto21 febbraio 1988, prima invernale della via Campia-Gandolfo-Nervo alla Parete Nord dell'Asta Soprana - Ph F.Scotto

Asta Sott 1 ripet via LEco del Drago foto G.CanuAsta Sottana - Prima ripetizione della via L'Eco del Drago- Ph G.Canu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domenica, 23 Giugno 2024 19:55

Ricordiamo ADRIANA VALDO

di Alberto Rampini

Adriana Valdo scarponi
Sicuramente varia, piena e ai massimi livelli l’esperienza di vita di Adriana Valdo, collega Accademica che ci ha lasciato il 20 giugno scorso all’età di 93 anni.

Nata nel 1931, fra gli anni Sessanta e Ottanta si espresse al meglio sia nell’alpinismo che nella vita privata, mettendo a segno due primati davvero unici.

Fu la prima donna a laurearsi in ingegneria presso l’università di Padova (1957) e fu anche la prima donna ad essere ammessa al Club Alpino Accademico (1978).

Chi ha conosciuto Adriana sa perfettamente che questi risultati, assieme ad altri da lei ottenuti, sono il frutto solo della sua capacità e determinazione. Con modestia e pacatezza ha svolto un’attività di grande rilievo, soprattutto in Dolomiti, legandosi ai migliori alpinisti del momento, tra cui Piergiorgio Franzina, Silvano Pavan e Renato Casarotto, assieme al quale nel 1971 scalò il diedro Philipp-Flamm alla Nord Ovest del Civetta ed effettuò la prima invernale della Solleder al Sass Maor.

Fu una delle prime alpiniste italiane a condurre da capocordata salite di sesto grado e fu anche una sciatrice di ottimo livello.

Adriana non fu mai una femminista, non apprezzava le “quote rosa”, ben convinta che solo valore e impegno fossero un valido lasciapassare per ritagliarsi un posto in prima fila nell’ambiente alpinistico, ai suoi tempi ancora più di oggi prerogativa maschile, e in generale nella vita.

Continuò ad andare in montagna fino a pochi anni fa e ad 86 anni, in occasione dei lavori di ristrutturazione, salì al Bivacco Valdo nei Monti del Sole, costruzione da lei voluta assieme alla Sezione CAI di Vicenza e dedicata ai suoi genitori (oltre mille metri di dislivello).

Una passione durata tutta una vita per la quale nel 2012 le venne assegnato il Pelmo d’oro alla carriera.

A questo link l’interessante intervista ad Adriana Valdo effettuata nel 2013 da Eugenio Cipriani

Si ringrazia Eugenio Cipriani e la Redazione del sito Intraigiarun.

Venerdì, 21 Giugno 2024 14:28

Grande festa il 14 giugno a Cles, in Val di Non, in onore del concittadino Accademico Carlo Claus.

Edoardo Covi, Responsabile del Sottogruppo Trentino CAAI e Guido Casarotto, Vicepresidente del Gruppo Orientale, partendo dalla rievocazione della serata, tracciano un'immagine viva e spontanea dell'alpinista noneso.

Carlo Claus alpinista della storia

Genziana alla carriera Ph Giuseppe MendiniGenziana alla carriera - Ph Giuseppe MendiniCon questo invito coinvolgente si sono trovati a Cles (val di Non Trentino) venerdì 14 giugno alpinisti, amici, concittadini per festeggiare il nostro socio accademico Carlo Claus, autentico maestro di alpinismo e decano del nostro sodalizio. Alpinista della storia perché vi sono personaggi che non solo fanno la storia (in alpinismo come in altri campi) ma sono loro stessi una storia da raccontare. Nato a Lavis (Trento) nel 1926 ha vissuto da protagonista gran parte dell’evoluzione dell’alpinismo trentino e internazionale. Con suoi compagni di cordata, in particolare Marino Stenico e Cesare Maestri, tra i più forti arrampicatori dell’epoca, ha aperto vie che ancora oggi rappresentano un banco di prova per provetti alpinisti. Altri compagni che hanno condiviso con lui avventure in montagna sono tra i nomi più prestigiosi dell’alpinismo italiano: Sergio Martini, Mariano Frizzera, Almo Giambisi, Marco Pilati, Milo Navasa. Ascoltare i suoi racconti è come aprire uno un catalogo della memoria: aneddoti che richiamano tempi eroici in cui si andava sulle Dolomiti in bicicletta o in treno, gli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione, le spedizioni internazionali in Himalaia e quel Cerro Torre 1970 che ha segnato la sua vita. A Cles, suo paese d’adozione, la foltissima presenza di pubblico, molti i giovani in sala, ha testimoniato l’affetto e la gratitudine che circonda quest’ uomo cosi “comune” e cosi straordinario. Il docufilm “Carlo Claus alpinista della storia”, realizzato dal regista Claudio Redolfi ha restituito immagini d’epoca di rara suggestione. Numerosi gli interventi di amici di Carlo: Sergio Martini, Elio Orlandi, Rolando Larcher oltre al saluto delle autorità. Nominato accademico nel 1958 Carlo è attualmente il socio più anziano (per appartenenza e per età) del nostro Club. I molti soci accademici con il vicepresidente Guido Casarotto hanno voluto condividere questo momento con lui premiandolo cordialmente con alcune bottiglie di vino a lui dedicate. Perché Carlo, nonostante, o meglio, in virtù della sua età esprime una vitalità intellettuale e spirituale inimitabile. Quando diciamo che l’Accademico dovrebbe rappresentare non solo valori tecnici ma anche qualità umane intendiamo proprio quella “passione” gratuita e incondizionata per le montagne che Carlo incarna con tanta semplicità. Socio onorario del Cai (come Messner, Bonatti, Cassin…) è stato a lungo dirigente della Sat e anche per questo insignito di vari riconoscimenti. I cori alpini che hanno allietato la serata hanno contribuito a rendere il clima ancor più familiare per una festa che è sembrata a tutti un incontro tra vecchi amici. Alla fine tutti in piedi ad applaudire. Il nostro augurio “accademico” a Carlo: ti aspettiamo ai prossimi convegni che hai sempre onorato con la tua presenza. Ma tutti coloro che amano la montagna ti aspettano, perché accompagnando il tuo passo possono andare lontano.

Edoardo Covi

pubblico presente Ph Giuseppe MendiniPubblico presente - Ph Giuseppe Mendini

Omaggio da parte dellAccademico Ph Giuseppe MendiniOmaggio da parte dellAccademico - Ph Giuseppe Mendini

Carlo Claus

“A Cles una serata dedicata al grande accademico”: questo è il titolo con cui è stata resa nota nel sito del Comune di Cles l’iniziativa organizzata dalla sezione locale della SAT per celebrare Carlo Claus. L'evento intitolato in suo onore si è tenuto venerdì 14 giugno presso l’auditorium del Polo Scolastico, pochi mesi dopo che Carlo Claus aveva ricevuto la “Tavola clesiana d’argento” nella stessa sala, lo scorso 7 dicembre. Questa nuova iniziativa ha rappresentato un ulteriore segno di stima e affetto da parte della comunità locale, dimostrato anche dalla numerosa partecipazione di cittadini, amici, alpinisti, autorità e da una decina di rappresentanti dell’Accademico.

intervento Guido Casarotto Ph Giuseppe MendiniIntervento Guido Casarotto - Ph Giuseppe MendiniLa serata, condotta da Massimiliano Debiasi, è iniziata con i saluti del presidente della sezione SAT di Cles, Franco Battisti e di una rappresentanza delle autorità comunali. Successivamente, è stato proiettato il film-documentario “Carlo Claus alpinista della storia”, accompagnato dall'intervento del regista e autore del film, Claudio Redolfi.

A seguire, il Vicepresidente del Gruppo Orientale, Guido Casarotto, in rappresentanza della Presidenza dell’Accademico, ha preso la parola. Ha iniziato il suo intervento con una breve spiegazione di cos’è il Club Alpino Accademico, per poi evidenziare che Carlo Claus, nato nel 1926, è il membro più anziano del sodalizio, ed è entrato a far parte del Gruppo Orientale nel 1958. Nonostante si avvicini al traguardo dei 98 anni, Carlo è ancora spesso presente ai convegni e alle riunioni del gruppo. L’intervento di Casarotto è proseguito in questo modo: “Carlo è memoria storica del vivere e del frequentare la montagna con passione e rispetto, con saggezza ed umiltà. Egli, come altri accademici storici presenti in questa sala che hanno vissuto in prima persona la storia dell'alpinismo, ci fornisce testimonianze essenziali per comprendere le nostre radici, la nostra identità attuale e il nostro futuro. Questo è un patrimonio che non possiamo permetterci di perdere o di dimenticare, ma che dobbiamo valorizzare.”

Successivamente, si sono alternati sul palco il Presidente generale della SAT, Cristian Ferrari, il Presidente della Sosat, Luciano Ferrari, il Presidente del Club Armonia, Renzo Fracalossi, e gli alpinisti Rolando Larcher ed Elio Orlandi.

Particolarmente toccante è stato l'intervento di Sergio Martini, grande amico di Carlo, che ha raccontato di alcuni particolari momenti condivisi in alcune spedizioni.

I vari interventi sono stati intervallati e resi piacevoli dai cori della "Libera Coralità Clesiana" e degli "Armonici Cantori Solandri".

Foto G. CasarottoIntervento di Sergio Martini - Ph G. Casarotto«Come affermava Bruno Detassis, in una cordata non c’è né primo né secondo, ma solo due compagni che condividono la stessa intensa passione per la montagna, creando una sola entità. Ed è quello che distingueva la cordata formata da Cesare Maestri e Carlo Claus, due grandi alpinisti trentini e del mondo che hanno dimostrato, con le loro storiche salite, come l’amicizia e il rispetto reciproco siano la vera corda che unisce, per raggiungere le cime dei nostri sogni, anche quelli apparentemente impossibili».

Con queste parole, il presidente del Trento Film Festival, Mauro Leveghi, ha conferito a Carlo Claus la “Genziana alla carriera”. Questo riconoscimento, insieme a quello dato nel 2019 a Cesare Maestri, esprime la riconoscenza del Trento Film Festival per aver trasformato le scalate compiute da due persone che amavano la montagna in un patrimonio per tutti.

La serata si è conclusa con una meritatissima "standing ovation".

Guido Casarotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Standing ovation finale Ph Giuseppe MendiniStanding ovation finale - Ph Giuseppe Mendini

Foto del gruppo CAAI Ph Giuseppe MendiniFoto del gruppo CAAI - Ph Giuseppe Mendini

1718628676998Accademici presenti - Ph C. Barbolini

Domenica, 16 Giugno 2024 22:03

Tra Romagna e Marche due belle proposte a cura di Samuele Mazzolini.

Testi di Samuele Mazzolini

Ottimizzazione e grafica A. Rampini

BALZA DELLA PENNA - “L’inaffidabile”

                               "L'inaffidabile" - Tracciato “Basta Marco, oggi non passo, caliamoci qui e torniamo, non voglio rovinare questa placca salendola con artificiale o trucchetti vari”. Io e Marco Casi ci conosciamo da tanto tempo, più precisamente da quando lui, per primo, aveva cominciato a salire in libera le placche più difficili della falesia delle Balze, sul Monte Fumaiolo. Per me è un maestro e un mito, perché quando ho cominciato a scalare sognavo di salire leggero come lui su quei muri lisci. Abbiamo scalato spesso insieme e spesso ho potuto “godere” sui bellissimi monotiri che ha attrezzato un po’ ovunque tra Marche e Romagna, ma mai ci eravamo legati insieme per aprire una via. E’ bastato un messaggio e l’idea di un vecchio progetto, a sinistra di una mia via del 1998 alla Balza della Penna, ha cominciato a concretizzarsi. I primi tiri, non difficili, filano via veloci e ci portano al tanto atteso muro finale, che era per entrambi evidente sarebbe diventato il tiro chiave.

Il primo tentativo si risolve con ripetuti voli nel tratto chiave. Potrei tranquillamente salire con i cliff e mettere lo spit dove vorrei arrivare in libera, ma questo non è contemplato nella mia etica di apertura. Tornerò, un po’ più in forma, e risolverò il passaggio. Marco la pensa esattamente come me, e questo mi rende felice. Decidiamo di tornare un sabato di ottobre con noi c’è anche Francesco Piacenza, mio caro amico e compagno di scalate: voglio fargli vedere il tiro e vorrei aprisse qualcosa anche lui.

Mi preparo, avviso i compagni che molto probabilmente tornerò dopo poco da loro in vola ma inaspettatamente riesco subito a passare e a piazzare il cliff che mi permette di mettere il fix. Da lì in poi il morale si alza e finisco il tiro. Francesco a per gli ultimi venti metri fino in cima e poi ci caliamo ripulendo la roccia e sistemando tutte le soste per la salita in libera, ciliegina sulla torta dopo l’apertura della via. Un mesetto dopo mi sento con Marco per andare a fare la salita rotpunkt, ma purtroppo non può venire per un impegno. Mi dice: “vai lo stesso maestro, poi ci torneremo insieme”. Uno dei miei maestri che mi chiama maestro! Bella storia, questi anni non sono passati inutilmente, non abbiamo solo scalato.

Ci ho pensato spesso, magari prima di addormentarmi o nei viaggi andando a scalare: talvolta meglio scendere e rinunciare a salire a tutti i costi, per tornare e cercare di riuscire facendo meglio, nel rispetto delle regole non scritte di questo gioco, perché il rispetto delle regole è già di per se stesso un grande successo.

 

Inaffidabile 1Samuele Mazzolini in apertura sul tiro chiave - Ph Francesco Piacenza

LinaffidabileL'inaffidabile - Schizzo

 

 

 

Inaffidabile 3Giuseppe Babbi sulla bellissima placca del tiro chiave - Ph S.Mazzolini

 pdfScarica lo schizzo in formato PDF

Inaffidabile 2Marco Casi sul finale del tiro chiave - Ph S. Mazzolini

 

Inaffidabile 4Il Monte Nerone visto dalla Balza della Penna - Ph S. Mazzolini

 

MONTE TITANO - Parete Est - “La manutenzione dei sogni”

“Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro, e si chiamano ricordi. Alcune ci portano avanti, e si chiamano sogni”. (J. Irons)

Foto 7Leonardo Ronconi sull’ultimo tiro - Ph S. MazzoliniCredo fossero ancora gli anni ’90 quando andai in un caldo pomeriggio di luglio sotto il piastro della Cesta di San Marino per vedere una possibile via di salita. Allora sulla parete est del Monte Titano c’era solo un itinerario di più tiri, che si chiamava appunto “Via lunga”, ed io sognavo di aprirne un altro. La linea che immaginavo era più o meno quella che della via che ho aperto tra ottobre e gennaio, ma allora, a causa della mia inesperienza, battezzai la roccia poco buona e l’itinerario non fattibile. Con grande dispiacere e delusione me ne tornai a casa e rimisi i miei sogni di alpinista nel cassetto. Alcuni anni dopo, sul margine destro del pilastro, caratterizzato da una bella roccia grigia, fu però aperta da arrampicatori riminesi una bella via, divenuta poi negli anni una classica della parete. Ogni tanto vado a ripeterla, e un pomeriggio di ottobre dello scorso anno sono andato a scalarla con mio figlio. Scendendo dal sentiero attrezzato che riporta alla base della parete, ho riguardato con più attenzione la linea immaginata tanti anni prima e lo sguardo mi si è subito soffermato su una grossa nicchia impossibile da non notare, che interrompeva una bella linea di fessure. “Guarda Matti, su di lì ci starebbe proprio una bella via!”. E mio figlio, “allora vai e falla”. Detto fatto. Già il sabato seguente ero in cima al pilastro per fare una veloce ispezione dall’alto, in modo da rendermi conto se valesse la pena aprirla, ossia se la roccia non fosse stata troppo di cattiva qualità. Con grande stupore mi accorsi invece che, a parte qualche tratto, la roccia era davvero di buona qualità e la via pareva essere davvero bella, con tratti molto esposti.

Trovare il primo compagno è stato piuttosto semplice. Il pomeriggio dovevo infatti vedermi con Armando Amati per andare a fare alcune sue vie a Tausano e, dopo avergli detto che ero stato a San Marino, gli faccio vedere un paio di foto appena scattate della via che avevo in mente: in meno di un secondo Armando mi dice che sarebbe venuto volentieri con me. A lui si sono poi aggiunti altri amici con cui scalo abitualmente e l’apertura di questo itinerario è diventato un divertimento assoluto. Un lavoro di squadra che ci ha impegnato per alcuni fine settimana autunnali e in cui ognuno ha dato il suo contributo. Adesso, grazie ad Armando Amati, Fabrizio Grimandi, Simone Enei, Leonardo Ronconi e Zannoni Matteo un nuovo itinerario sale lo strapiombante e giallo pilastro della Cesta, offrendo una scalata entusiasmante e di sicura soddisfazione lungo fessure, spigoli e placche sospese.

Questa via, oltre al puro divertimento di scalarla dal basso e a un paio di multe che ho rimediato alla folle velocità di 51Km e 53Km orari mentre andavo a San Marino, ha richiesto anche un po’ di tempo per la pulizia di alcuni tratti di roccia non solidissima e per rendere la chiodatura più sicura. L’arenaria non è infatti una roccia sempre solida come il granito o il calcare, e dopo averla salita ci sono voluti un paio di giorni per sistemarla, per curarla, per mantenerla. Un po’ come per i sogni, che vanno coltivati e mantenuti sempre vivi dentro il nostro cuore.

Foto 2Samuele Mazzolini in apertura sul terzo tiro - Ph Simone Enei

 

 

Foto 3Simone Enei in arrampicata sul secondo tiro - Ph S. Mazzolini

Foto 1Fabrizio Grimandi in apertura sul secondo tiro - Ph S. Mazzolini

 

Foto 4Armando Amati in doppia sulla via - Ph S. Mazzolini

Foto 5Simone Enei nella caratteristica nicchia al termine del terzo tiro - Ph S. Mazzolini

 

 

Foto 6Matteo Zannoni sul diedro del secondo tiro - Ph S. Mazzolini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedì, 03 Giugno 2024 21:39

LA LIBERTA’ IN MONTAGNA

Rischio, libertà, responsabilità e business al tempo dell’alpinismo di massa

Testo e foto di Alberto Rampini snds

Il concetto di libertà, già di per sé estremamente complesso e sfaccettato sotto il profilo generale ed astratto, diviene se possibile ancora più complesso e difficile se lo si considera con riferimento all'esercizio delle attività legate alla montagna.

Ne è prova anche il fatto che, dopo anni di elaborazioni concettuali, non ha mai acquisito strutturazione concreta il progetto, condiviso con il CAI centrale, per la creazione di un Osservatorio per la libertà in montagna.

Traendo spunto da queste premesse vorrei cercare di impostare qui solamente i punti cardine che stanno alla base del problema. E questo a prescindere, per il momento, da eventuali limiti che possano essere posti dall'esterno all'attività in montagna.

La libertà del se e come frequentare la montagna nasce da un complesso di fattori che vanno dal grado di inclusione fino al grado di responsabilità.

La libertà di accesso viene normalmente, ma erroneamente, considerata un diritto e per di più un diritto assoluto. In realtà i diritti delle persone sono assoluti solo quando assolvono al compito primario della sopravvivenza e in questo senso si esprime in linea di principio anche il diritto.

Ma veniamo alla libertà e al diritto dei singoli, accorpandoli per semplicità in alcune categorie emblematiche.

          Incanto dell'ambiente montano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il diritto degli alpinisti e degli scalatori

Quando i primi esploratori e i primi alpinisti si affacciarono nelle vallate alpine, Ie sole problematiche presenti riguardavano l’individuazione dei percorsi, la stima delle difficoltà, la forza, affidabilità e capacità degli accompagnatori locali ingaggiati per guidare le comitive. Certamente queste presenze portarono un pò di scompiglio nel mondo chiuso delle comunità montane, ma a nessuno passò per la mente l’idea di mettere in dubbio il diritto di questi signori di salire le montagne, anche se si trattava di una cosa incomprensibile agli occhi dei locali. E anche gli alpinisti sicuramente non pensavano che si trattasse dell’esercizio di un diritto, ma semplicemente andavano perchè le montagne erano là e rappresentavano un’attrazione irresistibile.

Le cose non cambiarono per lungo tempo, diciamo per un paio di secoli, se vogliamo far iniziare la storia dell’Alpinismo dalla conquista del Monte Bianco, ma certamente possiamo andare anche più indietro nella storia dei tentativi e del quasi alpinismo.

Fino a tutto il periodo del Sesto Grado, il dopoguerra e l’era del Nuovo Mattino con la nascita dell’arrampicata, gli alpinisti vissero in una sorta di realtà separata, nella quale le regole della società civile sembravano non valere, tanto erano lontane anche idealmente, e vigevano solo regole interne, di carattere “etico”, riservate al piccolo manipolo dei praticanti. Numeri esigui, quindi, e personaggi sempre fortemente motivati, spinti da aneliti profondi e convinzioni che erano irrimediabilmente in conflitto con il sentire e le regole del mondo civile.

Quando l’incanto si è rotto e la società civile si è accorta di questa frangia di uomini liberi e senza legge?

L’informazione da un lato e l’affermarsi di un sentire ambientalista dall’altro sono stati gli elementi scatenanti del tentativo di sottomettere anche gli alpinisti (e i neonati arrampicatori) alle imposizioni e ai divieti che si venivano statuendo per i cittadini in generale e poi via via sempre più frequentemente per gli alpinisti in modo specifico.

La nascita delle prime riviste di Alpinismo destinate anche al pubblico generico (in Italia La Rivista della Montagna nel 1970 e poi ALP nel 1985) testimoniò alla società civile che esisteva un piccolo mondo a parte, ai margini, con propri concetti, rituali e regole. Certo, la diffusione delle riviste era ancora limitata, ma si ponevano le basi per un confronto tra alpinismo e società, o meglio tra alpinisti e cittadini qualunque. Anche in passato alcuni eventi alpinistici di rilievo particolare venivano portati a conoscenza del pubblico dalla stampa generalista, ma si trattava sempre di piccole finestre che si aprivano e subito si richiudevano su un mondo che era talmente lontano dal sentire medio della gente da apparire quasi fiabesco o diabolico a seconda dell’evento, ma comunque sempre molto molto lontano.

Contemporaneamente, una maggiore sensibilità ambientalista (anche specifica, ricordiamo la nascita di Mountain Wilderness nel 1987) portò all’attenzione del mondo alpinistico la necessità di definire strategie di contrasto al progressivo degrado delle montagne del mondo e per la tutela degli ultimi grandi spazi wilderness. Cominciarono a farsi strada, a livello locale, regolamentazioni e divieti per la tutela di specie animali, soprattutto volatili, che si contendevano con gli arrampicatori le pareti di bassa e media montagna, dove la nascente arrampicata trovava il terreno ideale per esprimersi. Furono questi i primi divieti effettivi che gli arrampicatori si trovarono a dover digerire, sebbene limitati e spesso anche eludibili con un buon senso superiore a quello di certe ordinanze comunali.

Ma il vero punto di svolta e l’aprirsi di una conflittualità diffusa e pesante tra gli alpinisti/arrampicatori, la società e le Istituzioni si ha con l’avvento del web e infine, moltiplicato all’ennesima potenza, con la diffusione dei social, strumenti potenti di diffusione di idee e di spinta verso la montagna per masse di cittadini fino ad allora non interessati a questo tipo di esperienze. Web e Social innescano una analoga spinta nei confronti del turismo alpino che, se non presenta gli aspetti di conflittualità emersi in campo alpinistico, determina tuttavia conseguenze ambientali decisamente più preoccupanti.

Nel Parco del Gran ParadisojpgNel Parco del Gran Paradiso

 

Il diritto dei turisti

Già negli ultimi decenni del Novecento l’affermarsi della società del benessere aveva creato una corrente di frequentatori abituali della montagna intesa come luogo di vacanza. Questi frequentatori abituali provenivano in maggioranza dalla piccola borghesia e le valli alpine erano meta delle vacanze estive o della “settimana bianca” nelle stazioni sciistiche allora esistenti.

Per la grande maggioranza delle famiglie la vacanza marina rimaneva l’opzione preferita.

Le famiglie, al di fuori di questi periodi di vacanze, si spostavano poco: I tempi non erano ancora maturi per la puntata veloce, per il weekend allungato.

I grandi mutamenti nel mondo del lavoro e una struttura sociale e familiare più “liquida” hanno in seguito reso meno standardizzato il modo di fruire del tempo libero, inteso non più solo come vacanza annuale della famiglia, ma anche come ricerca di occupazioni ludiche per tutte le occasioni di tempo libero dal lavoro. Si spostano non più solo le famiglie, ma anche i singoli soggetti o aggregati diversi accomunati da passioni condivise. Alla vacanza “di riposo” si affiancano sempre di più quella “di scopo” e il viaggio finalizzato.

Si aprono potenzialità nuove che vengono colte prontamente, e a volte addirittura anticipate, dall’industria del turismo, che propone pacchetti e mete alternative, indirizzando sempre più gente nelle Valli Alpine, dove nel frattempo le strutture ricettive si incrementano. E la tranquillità delle Valli alpine, il contatto con la natura e un mondo ormai irrimediabilmente perduto nelle pianure rappresentano un’attrattiva potente.

Questa crescita enorme del turismo montano porta ad una urbanizzazione non coerente con la conservazione delle caratteristiche proprie dei fondovalle alpini e anche le quote più elevate non sfuggono alla realizzazione di strutture invasive e di impatto ambientale pesante.

Una volta avviato, questo processo non può che portare ad un progressivo trasferimento all’ambito montano dei modi di pensare e di agire propri della società urbana di pianura.

Attirati in montagna in massa e senza preparazione, I turisti cercano in montagna quello a cui sono abituati in pianura, i servizi, le comodità, le strade che portano sempre più in alto, le strutture per il divertimento.

Alla fine la montagna diviene affollata e strutturata come una dependance della città, attrezzata di tutto punto per accogliere per alcuni mesi all’anno i grandi numeri del turismo.

E a questo punto i turisti reclamano il loro diritto di muoversi in libertà e senza vincoli nei luoghi nei quali sono approdati. Le amministrazioni locali e gli enti preposti sono consapevoli che le limitazioni possono incidere fortemente nell’immediato sui numeri delle presenze e quindi i timidi e un pò improvvisati tentativi di regolamentare gli accessi, come quello al Passo Sella dell’estate 2018, non hanno seguito.

Un paesaggio di altri tempiUn paesaggio di altri tempi

Code allEverest da il messaggeroAlpinismo commerciale - Code all'Everest - da Il Messaggero

 

Il diritto del business

In tutto questo discorso un ruolo importante viene recitato dalle iniziative commerciali che traggono vantaggio dalla marea di persone che si riversa in montagna. La scoperta del turismo di massa ha creato l’illusione che si possa vendere sempre di più e all’infinito, mentre sappiamo ormai per certo che le potenzialità di appeal di una località sono governate da fattori complessi, che vanno dalla bellezza dei luoghi alla loro conservazione, dal mantenimento di caratteristiche individuali precise al loro uso parsimonioso.

La naturalezza dei luoghi è soggetta a rapida usura e ogni presenza contribuisce al suo degrado. E una volta che la naturalezza è stata intaccata un luogo perde le sue peculiarità più preziose e diviene un ambiente generico privo di attrattive o in grado tutt’al più di attirare ancora un pubblico sempre meno consapevole.

Di questo però non sembra preoccuparsi chi organizza strutture ed eventi di massa in montagna. Purtroppo infatti anche associazioni alpinistiche e Sezioni, nel loro piccolo, contribuiscono con gite e corsi di varia natura a portare in montagna sempre più persone e spesso concentrate in modo non idoneo.

Certo, la funzione educativa è importante ma a patto che non travalichi in un proselitismo che sembra del tutto fuori luogo: la passione vera per la montagna nasce in modo naturale da una scintilla che scatta non certo dall’adesione ad un programma promozionale. Tutti coloro che gestiscono business o si occupano professionalmente o meno di attività in montagna dovrebbero avere la consapevolezza assoluta che i numeri che la montagna può tollerare senza danno sono limitati. Sempre più limitati.

Questa consapevolezza manca chiaramente non solo sulle Alpi ma in generale in tante le zone del mondo dove l’afflusso di massa crea business. Basta pensare ai danni inferti all’ambiente e all’immagine stessa dell’Alpinismo dal proliferare delle spedizioni commerciali soprattutto in Himalaya. E la particolare concentrazione delle presenze in alcune zone (Everest per tutte) sembra non avere più alcun riferimento alpinistico effettivo, ma rappresenta un trofeo personale, ambito sempre più spesso da individui che si improvvisano alpinisti per l’occasione. O che si improvvisano scalatori di Ottomila grazie all’abbattimento virtuale di quota prodotto dall’uso dell’ossigeno, dalla preparazione del terreno e dall’assistenza logistica dei team commerciali. Per non parlare dei sempre più frequenti pacchetti che offrono avvicinamento in elicottero ai campi.

Quiete e serenitàQuiete e serenità

 Gli altri attori sulla scena

Alpinisti, escursionisti, turisti ed operatori commerciali non sono però i soli attori sulla scena di questo assalto alla montagna.

Gli abitanti delle Valli direttamente o indirettamente legati al business turistico sono sicuramente una maggioranza. Questa vivacità imprenditoriale o comunque lavorativa ha consentito nel tempo un miglioramento straordinario delle condizioni economiche delle popolazioni locali, ma ha portato anche un consumo del territorio a volte senza controllo e uno sfruttamento intensivo delle risorse. Questo consumo e sfruttamento, se non governati in un’ottica ampia, rischiano di privare le Valli della loro principale attrattiva. E bisogna considerare anche che le spinte allo sfruttamento intensivo provengono a volte dall’esterno e drenano ricchezza verso l’esterno.

Ne sono un esempio gli impianti e i complessi sciistici ancora oggi progettati e realizzati con danni ambientali incalcolabili sia nella fase realizzativa che in quella di esercizio e con prospettive di utilizzo sempre più ridotte nel tempo a causa dei mutamenti climatici, mentre nel breve contribuiscono fortemente ad un sovraccarico ambientale concentrato in periodi ristretti.

Altri attori importanti sono gli Enti locali, i Consorzi, le Associazioni di promozione. Qui subentra un fattore politico e promettere benessere e sviluppo immediato, senza chiedersi cosa succederà domani, alla fine premia in tema di consensi e di popolarità. L’aver fatto poco per la tutela effettiva degli ormai esigui margini di wilderness e il non impegnarsi per promuovere un accesso consapevole e, se necessario, anche regolamentato nelle aree a maggiore criticità, rappresenta una situazione generale che registra poche eccezioni.

Facciamo l’esempio delle Dolomiti. Sono passati più di 10 anni dall’ottenimento del label Unesco “Patrimonio dell’Umanità” e la situazione in diverse zone è prossima al collasso. Probabilmente anche questo riconoscimento ha contribuito ad alimentare flussi di frequentazione, anche organizzata, superiori alla capacità di assorbimento dell’ambiente. Come CAAI e come Mountain Wilderness abbiamo patrocinato a suo tempo il progetto Unesco che forse ingenuamente speravamo portasse ad una maggiore sensibilità sul tema ambientale e ci troviamo invece oggi a fare i conti con un meccanismo moltiplicatore di presenze che inizia a creare seri problemi.

Il diritto dell’ambiente

L’unica entità depositaria del diritto originario e supremo alla propria conservazione è l’ambiente naturale. E’ però un’entità priva di voce propria e necessita di persone sensibili e lungimiranti che ne abbraccino la causa nell’interesse di tutti.

                               La mano dell'uomo - Gruppo del Sassolungo

 

                               Indichiamo una strada giusta e sostenibile

 

Quale futuro?

I livelli attuali di frequentazione della montagna, esplosi negli ultimi anni sotto la spinta delle iniziative promozionali e della rete, rappresentano un rischio effettivo per la conservazione dell’ambiente montano come tutti noi continuiamo ad immaginarlo, come oasi di tranquillità e di vita ancora legata ad un ambiente naturale sopravvissuto alla rivoluzione industriale. Un ambiente che dovrebbe imboccare strade di sviluppo ben diverse da quelle della pianura, se si vuole evitare che ne diventi una replica alla lunga poco interessante e tolga gran parte del suo valore all’esperienza alpinistica. Così come occorre mettere un freno alle devastazioni ambientali ad uso turistico e ripensare i criteri di sviluppo delle aree montane, occorre recuperare il concetto e il valore originario dell’alpinismo, come esplorazione, scoperta e sfida leale con la montagna e le pareti, individuando chiaramente il limite che separa lo sport arrampicata dall’alpinismo.

Il primo, a diffusione ormai di massa, necessita di strutture artificiali omologate che meglio si collocano in contesti urbani o di prossimità, mentre il secondo dovrebbe basarsi su un uso parsimonioso e del tutto soggettivo dei mezzi artificiali e quindi con impatto ambientale ridotto.

E l’impatto ambientale ridotto deriva poi soprattutto dal naturale ridimensionamento del numero dei frequentatori. Le vie alpinistiche, anche di media difficoltà, richiedono impegno diverso rispetto alle vie sportive e rimangono meta di alpinisti convinti e preparati, anche culturalmente.

Oggi ogni rifugio che ha una qualche balza rocciosa nelle vicinanze crea vie sportive per attirare clienti, e questo si può comprendere, ma il problema è che si tratta spesso del primo passo per portare sempre più in alto l’addomesticamento alpinistico delle pareti.    

L’elevato afflusso turistico e arrampicatorio sicuramente in futuro creerà la necessità di provvedimenti limitativi e a farne le spese saranno soprattutto le minoranze, quelle che economicamente contano meno, come gli alpinisti. I nuovi arrampicatori (parliamo sempre della massa che passa dalla resina alla roccia) troveranno sempre linee attrezzate alla portata (una parete vale l’altra, visto che la cima spesso non c’è), mentre gli alpinisti da una banale regolamentazione possono vedersi precluse salite non rimpiazzabili.

La migliore salvaguardia per l’alpinismo e la libertà di praticarlo passa attraverso il contenimento del numero dei praticanti con la limitazione dell’attività di proselitismo da parte delle associazioni alpinistiche.

Più che organizzare eventi promozionali e attività formative per chi vuole provare un’esperienza nuova occorre cercare di educare quelli che già per vocazione propria vi si avvicinano, con gradualità e passione.

Non possiamo escludere altri modi di vedere le cose, ma ognuno di noi ha l’obbligo morale di impegnarsi e lottare con coerenza e decisione per portare avanti le idee che riteniamo migliori.

Approccio non invasivo Paradiset NorvegiaApproccio non invasivo - Paradiset, Norvegia

 

 

 

 

 

Venerdì, 24 Maggio 2024 21:52

                                             L’INVERNO DEL GRAN SASSO

                                           DAI RUGGENTI ANNI '80 AD OGGI

Testo di Massimo Marcheggiani – Le foto, se non diversamente indicato, sono di Massimo Marcheggiani

Ottimizzazione e grafica Alberto Rampini

La “Via da seguire”… Certo non esiste la via giusta, ogni scalatore sceglie la modalità a propria misura, sacrosanta e rispettabilissima a prescindere da gradi o difficoltà; la componente ludica delle scalate invernali, assolutamente soggettiva, non ha confini, rasentando a volte una quasi perversa forma di masochismo quando la fatica, il freddo, il disagio e lo stesso alto rischio vengono coscientemente accettati. Il piacere di quanto realizzato generalmente è successivo a quanto vissuto su una parete, quasi mai durante, estate o inverno che sia. Le invernali in Appennino Centrale e nello specifico nel gruppo del Gran Sasso sono state numerosissime, e anche qui come per le Alpi l’evoluzione ha avuto bisogno dei suoi tempi con un ovvio e scontato ritardo; a tempo debito le “vie seguite” hanno portato diversi alpinisti “Appenninici” al confronto con grandi scalate e, posso dirlo con cognizione di causa, a eccellenti risultati in molte parti del mondo.

La Prima Parte di questa storia dell’Alpinismo invernale sul Gran Sasso è stata pubblicata su questo sito nel febbraio 2024. Leggila qui.

0Veduta aerea del Corno Grande da Sud con l’Adriatico sullo sfondo – Ph D. Segre

1Corno Grande e Corno Piccolo

2Il Paretone del Gran Sasso da Castelli

Bini abbandona praticamente le scalate invernali e nel giro di poco tempo anche l’alpinismo, mentre i suoi compagni di allora M. Marcheggiani e G. Picone cinque giorni dopo la via Rosy sono ancora in montagna e salgono insieme a Fabio Delisi la via “Mario-Di Filippo” sulla Ovest della Prima Spalla trovando la parete tutt'altro che in condizione. Ancora nello stesso mese Marcheggiani e Picone salgono di nuovo il Monolito lungo la via “Aquilotti 73”: stesse caratteristiche della via Rosy, ossia verticalità assoluta della roccia e praticamente assenza di neve (tutte le salite erano sempre effettuate con scarponi rigidi. N.D. A.). Durante la salita i due videro una persona scendere dalla vetta Orientale e quando furono a portata di voce si salutarono urlando: “... Ciaooo, chi sei?” urlò Marcheggiani, “Gian Piero Di Federicooo” fu la lontana risposta. “...ciao Giampiè, e da dove vieni?” chiese il primo, “...dal terzo Pilastro del Paretone... da solo!”. Era una giornata di sole bella ma freddissima e con vento tagliente. I due sul Monolito erano partiti per provare a scalare il secondo dei pilastri sul Paretone ma il freddo glaciale li aveva spaventati e dirottati sulla assolata via degli Aquilotti; alla risposta di Gianpiero, Marcheggiani ebbe una vera e propria crisi: con tre prime invernali in poco più di un mese era convinto di aver fatto chissà quale impresa; la comparsa dell'alpinista chietino di ritorno dal terzo Pilastro gli spalancò gli occhi: “ … c...o, ecco dove si fa il grande alpinismo... altro che Corno Piccolo!” Il Paretone d'inverno era stato salito soltanto lungo la facile via Jannetta per due volte quasi 20 anni prima, dopo di che più nulla. Il vero problema ora erano i Pilastri o quanto meno le grandi pareti! Qualcuno nella SUCAI romana ogni tanto ipotizzava una prima salita, e nelle dissertazioni si scriveva pure di bivacchi e mezzi assedi... Di Federico, praticamente in silenzio e senza clamori, dopo un precedente tentativo con l'aquilano Roberto Mancini ed un secondo tentativo da solo naufragato ancora prima di attaccare, il 26 febbraio è di nuovo da solo alla base del Terzo Pilastro. Era ormai assodato che per raggiungere i pilastri era molto più logico scendere il canale Jannetta anziché salirlo da Casale San Nicola principalmente per logistica di rientro.

 

 

3Gianpiero Di Federico - Ph Arch. Di Federico

4Fabio Delisi

 

5La Parete Est dell’Anticima Orientale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Federico a notte fonda affronta quindi la lunghissima salita da Prati di Tivo, all'alba tocca la vetta dell'anticima e sa già da dove scendere lungo lo Jannetta. Sono le 9 passate quando attacca la via di Alessandri al terzo Pilastro, inizialmente con i ramponi ai piedi e quando il pilastro si verticalizza li toglie scalando con gli scarponi. Scala in auto sicura e sale, poi riscende e risale smontando quanto infisso in parete; la scalata invernale in solitaria somiglia tanto alla “lotta con l'alpe” di Motti, un ingaggio faticoso nella più completa e fredda solitudine. Un comodo terrazzino accoglie il suo primo bivacco dopo quasi sette ore di scalata. Il 27 riprende a salire costantemente all'ombra; la parete è esposta ad est ma la via di salita è sul fianco destro del pilastro e quindi quasi niente sole. Supera fessure, un tetto giallo, altre fessure con e senza ghiaccio e le ore passano e fa di nuovo buio. Un secondo freddissimo bivacco è accompagnato da un forte vento. Il terzo giorno, 28 febbraio, Giampiero risale le corde fisse montate il giorno prima producendo calore per il corpo intorpidito dal gelo notturno, supera un pendio di neve, poi supera un lungo diedro camino poco sotto la vetta. L'attenzione qui aumenta ancora di più perché l'uscita dal terzo e il vicino quarto pilastro presenta roccia molto friabile ma poi, scrive: “…esco finalmente al sole! Abbandono il materiale, sono stanco e scendo rapidamente sui facili pendii. In alto sul Monolito sento richiami... sono Massimo e Gianpaolo che mi salutano...” op. cit. Si era voltata pagina, la frontiera delle invernali era stata grandemente superata dall'impresa, perché di questo si parlò, di Giampiero Di Federico.

Bruno Tribioli, dopo quattro anni dalla tragedia in cui perse la vita suo fratello Stefano, compie la prima solitaria della lunga Haas-Acitelli sulla vetta Orientale dedicando appunto al fratello Stefano la sua bella ascensione; è l'11 febbraio del 1981. Nei pochi giorni rimasti dell'inverno vengono compiute ben altre sei “prime”: il 15 Picone e Re salgono la Manuela al Monolito, stesso giorno per D. Amore e L. Gambini sulla via “Mario-Di Filippo” alla Seconda Spalla; due giorni dopo i fratelli Caruso sulla “Iskra” e M. Cotichelli e B. Anselmi sulla “via della Virgola” tutte al Corno Piccolo. Compare sulla scena Tiziano Cantalamessa, di cui si parlerà molto in seguito, che con P. Mazzanti sale la “Marsili-Gizzoni” al Pizzo Intermesoli e di nuovo D. Amore e M. Forcatura salgono i 300 metri della “Alessandri-Leone” alla Est della vetta Occidentale con due bivacchi. Come si evince dalle ultime cronache, la pratica invernale è ricca di iniziative. Numericamente sono molti di più gli scalatori che affrontano la grande montagna d'inverno e come vedremo in seguito ci sarà un proliferare di scalate fin quasi al termine del millennio. Poi lentamente una curiosa penuria di salite invernali che sarebbe bello saper analizzare.

Torniamo ai “ruggenti” anni 80!

6In avvicinamento durante il primo tentativo invernale all’AnticimaLa fine del dicembre '81 un primo tentativo di salire l’ancora inviolata Parete Est dell'Anticima Nord della Vetta Orientale (il lato destro del Paretone) vede protagonisti F. Delisi, M. Marcheggiani e S. Gozzano. I tre alpinisti raggiunta la base della Cresta Nord si legano. Arrampicano fino a raggiungere la Cengia dei Fiori e da qui “entrano” nella parete. Il ghiaccio ottimo e un paio di corde doppie facilitano il complicato su e giù del lungo avvicinamento. Alle 17 del pomeriggio improvvisano uno scomodissimo bivacco quando la base della parete non è stata ancora raggiunta. Il tempo è sereno e senza un alito di vento. Inaspettatamente questo arriva, prima con raffiche intermittenti ma verso la metà della notte si scatena una tempesta via via sempre più impressionante. Il forte vento fa turbinare la neve che in breve ricopre i tre scalatori. All'alba è pressoché impossibile solo pensare di continuare la salita, il vento è fortissimo e la visibilità molto scarsa. La ovvia decisione di battere in ritirata è messa in grave difficoltà dalla violenza inaudita del vento. La cordata percorre a ritroso e con enormi complicazioni il percorso del giorno precedente: diverse ore dopo, una volta giunti a poche centinaia di metri dalla stazione superiore della vecchia seggiovia, la potenza del vento solleva da terra come un fuscello Marcheggiani, che nella fortunata caduta terminata contro un masso prima del precipizio, si ferisce gravemente il labbro superiore che viene quasi reciso dalla piccozza. Delisi tampona alla meno peggio la brutta ferita con la sua sciarpa, si legano di nuovo benchè il percorso non presenti difficolta alcuna e con grande attenzione raggiungono la stazione della seggiovia. La porta in ferro è chiusa da un robusto lucchetto, a martellate viene fatto saltare e trovano finalmente rifugio all’interno dove grazie ad una piccola stufa elettrica asciugano vestiti e sacco a pelo. Scendono il giorno successivo senza un alito di vento ed appare loro, come per magia, lo splendido spettro di Broken. In ospedale a L'Aquila verrà ricucito il labbro del ferito con 25 punti di sutura e la diagnosi di due costole incrinate. Dopo cinque giorni, la Vigilia di Natale '81, Marcheggiani torna a casa.

È il 30 gennaio 1982, quindi a 35 giorni dall'incidente, quando Delisi e Marcheggiani provano di nuovo a salire la medesima parete. Nell'occasione, cambiando strategia di avvicinamento, aprono una difficile via di ghiaccio di circa 400 metri dalla base della Anticima fino a raggiungere la parete rocciosa per provare a compierne poi la prima invernale. Bivaccano comodamente all'interno di una piccola grotta alla base della parte rocciosa. Alle prime luci iniziano la salita ma dopo soli due tiri di corda, molto difficili per via delle condizioni della parete, rinunciano. Una lunga corda doppia li riporta alla grotta del bivacco e da qui puntano verso l'alto risalendo il canale Sivitilli che al suo vertice si raccorda con la via Jannetta e da qui in vetta. Con la salita del canale Sivitilli è la terza volta che la grande parete viene salita d'inverno dal basso, con uno sviluppo di oltre 1400 metri.

 

7S. Gozzano al bivacco – Primo tentativo invernale8Marcheggiani ferito – Ph S. Gozzano

 

9Fabio Delisi nel secondo tentativo all’Anticima

 

Passano solo cinque giorni: M. Marcheggiani, questa volta insieme a P. Caruso, parte da Roma a mezzanotte con una piccola A 112. Sul passo delle Capannelle un testa coda per via del ghiaccio sulla strada mette già a rischio il progetto dei due. Alle quattro, frontali in testa, lasciano i Prati di Tivo con obiettivo la via “Aquilotti 79” al Quarto Pilastro. Al momento risulta essere salito solo il terzo dei pilastri e fa gola l’idea di mettere le mani sugli altri pilastri dopo la performance di Di Federico. È giorno fatto quando i due alpinisti giungono in vetta all'anticima dell’Orientale; con il sole che inonda di luce dorata l'intera parete cercano e trovano ancora labili tracce lasciate in salita dallo stesso Marcheggiani e Delisi pochi giorni prima e per questo senza difficoltà imboccano la discesa con la massima cautela in quanto slegati. Le poche cordate che hanno affrontato i pilastri d'estate hanno appurato la validità della scelta di raggiungerli dall'alto anziché dal basso, così aveva fatto Di Federico e così farà negli anni a seguire chiunque li andrà a scalare. D'inverno è lo stesso: è solo necessaria più attenzione perché il canale Jannetta in discesa è più difficile che in salita, soprattutto su misto o ghiaccio duro. I due alpinisti hanno con loro una sola corda da 50 metri, chiodi e nuts e per scelta niente sacco a pelo. Un azzardo, considerato il pensiero comune dei quasi scontati bivacchi nelle salite invernali. Marcheggiani conosce la via avendone fatta la prima solitaria due anni prima e senza indugio trovano l'attacco. La salita si svolge come una normale salita, mettono i ramponi quando necessario e a comando alternato superano diedri, camini e pareti e i quattrocentocinquanta metri del quarto Pilastro. Con le ultime luci raggiungono la vetta. Al di là di una lecita apprensione qualora avessero dovuto affrontare un bivacco senza protezioni, la cordata dimostrò la validità della scelta. La velocità di esecuzione fu la chiave di volta e la prima invernale del quarto Pilastro in giornata fece il dovuto scalpore. Alla mezzanotte dello stesso giorno i due veloci alpinisti si infilarono di nuovo nei loro caldi letti delle rispettive case ma non si erano accorti però che non erano proprio soli quel giorno sul paretone; infatti, Andrea Gulli salì in solitaria il canale Jannetta, mentre altri due alpinisti, tra cui il finanziere Benvenuto Laritti, si aggiravano alla base dell’anticima per tentarne la salita, tentativo che naufragò nel giro di poche ore. Mentre i due del quarto Pilastro si infilavano nei loro letti, Tiziano Cantalamessa usciva dal suo di letto. Cantalamessa, tre anni prima, aveva lasciato il suo lavoro da metalmeccanico ed aveva intrapreso un’attività di allevatore con 24 mucche da latte. Queste vanno munte due volte al giorno, ogni santo giorno. Tiziano sbriga quindi prima la sua incombenza liberando le mammelle delle sue amate mucche dal latte, dopodiché preso un caffè sale sulla sua Panda e arriva ai Prati di Tivo che è quasi giorno. Trova tracce di salita e ne è ovviamente contento. Le tracce lo accompagnano fino all'imbocco del canale Jannetta, sono tracce recentissime e si chiede di chi possano essere. Queste terminano alla base del quarto Pilastro, che è il suo obiettivo. Guarda in alto, cerca di sentire qualche voce ma nulla; c'è lui e solo lui in quel grandioso ambiente. Inizia la sua scalata solitaria con la totale attenzione dovuta, ha una moglie e un bambino appena nato e lui non è tipo da fare scemenze: sa esattamente cosa sta facendo. Ha una corda nello zaino e li rimane. Cantalamessa mette sul tavolo tutta la sua classe e supera in meno di tre ore l'intera parete. In vetta fuma una delle sue tante sigarette e con la massima calma torna a casa, in anticipo sulla mungitura serale.

10Paolo Caruso sul Secondo Pilastro - Prima invernaleQuello che era successo nel giro di poco più di due anni sulla parete più ostica del Gran Sasso diede il via ad una nuova energia agli alpinisti del centro Italia. Anche in Appennino quindi e con le dovute cautele, ci si può confrontare con il “grande alpinismo”, prerogativa fino allora riservaata alle Alpi. Questo non significa che si vedrà la ressa sulle vie del Paretone, tutt'altro. Come vedremo in seguito i protagonisti di altre grandi scalate invernali saranno praticamente gli stessi nomi, mente le pareti del Corno Piccolo vedranno un incremento notevole di realizzazioni da parte di numerose cordate. La nota “negativa” sarà la quasi totale assenza della storica SUCAI romana. Non dimentichiamo che sta nascendo l'arrampicata sportiva e che tanti scalatori abbandonano la montagna proiettati verso le assolate falesie.

Poco prima del Natale 1982 Cantalamessa si ripete con la solitaria alla “via FIRST” sulla parete est del Corno Piccolo.

Su questa scia evolutiva, la cordata del quarto Pilastro nel gennaio del 1983 si rimette in gioco. Marcheggiani e Caruso, chieste le chiavi del rifugio Franchetti, vi passano la notte sotto una coltre di coperte. Con poco più di un’ora, spettatori di una magnifica alba sul mare, sono di nuovo all'imbocco del canale Jannetta. Lo scendono con i primi raggi del sole di una magnifica giornata con un chiaro e più ambizioso obiettivo: salire il secondo Pilastro in giornata. Questo, più corto del quarto e del terzo è però più lontano; per raggiungerlo i due devono superare, e prima di allora non era mai successo, la “Cengia obliqua” di oltre 150 metri. Questa si trova sopra gli strapiombi della “Farfalla” e il superamento prevede diversi tiri in arrampicata fino alla base del Pilastro. Va da sé che un’eventuale ritirata sarebbe stata piuttosto complicata visto il forte obliquo di questi tiri e il vuoto degli strapiombi sottostanti. I due alpinisti, anche questa volta senza nulla per un eventuale bivacco, scalano con la “sgradevole” sensazione di essersi chiusa una porta alle loro spalle, hanno l'abitudine di non dire a nessuno dove vanno e la percezione della loro potenziale vulnerabilità è forte, ma è forte anche la loro determinazione. Superano l'intero pilastro e la lunga, bellissima cresta terminale fino in vetta ai 2908 metri della Vetta Orientale in appena sette ore dal rifugio.

Questa era la logica prosecuzione di quell'alpinismo di ricerca già messo in pratica da Florio e Calibani nel '63, da Alessandri sulla Nord del Monte Camicia nel '74 e da Di Federico sul Terzo Pilastro solo tre anni prima. Il contorno a tutto ciò saranno le numerose invernali che verranno realizzate sul Pizzo Intermesoli e il Corno Piccolo. Infatti, B. Tribioli e A. Gulli salgono la “Via del Pulcino”, Cantalamessa e P. Mazzanti salgono la via “Amighetti”, P. Caruso e G. Bassanini la via “Simona” sulla est di Pizzo Intermesoli, mentre M. Baiocco e F. Colasi la via “Bachetti-Fanesi”, D. Amore e L. Grazini la via “De Filippo- Adamoli” al Corno Piccolo sono solo alcune delle salite portate a termine fino al dicembre 1983, mentre una parziale salita della Cresta Sud della Vetta Orientale vede protagonisti F. Delisi, G. Bassanini e M. Tacchi.

La vera natura alpinistica dell'ascolano Tiziano Cantalamessa esulava dalla “caccia” alla prima invernale. Il fatto che una qualsiasi salita già compiuta d'inverno venisse poi puntualmente ignorata era praticamente la norma, nessuno ripeteva cose già fatte in un meccanismo mentale quasi perverso, come a dire che compiere la seconda invernale non ha valore o addirittura è “più facile”! Ovviamente niente di più sbagliato, visto che un qualsiasi itinerario invernale non è assolutamente mai uguale al precedente. A differenza della stagione estiva l'inverno trasforma ogni volta in chiave diversa la montagna, che può essere più facile, più difficile o addirittura impossibile oppure più fredda o meno fredda. A conferma di quanto detto, Cantalamessa con G. Mazzanti negli ultimi giorni di marzo 1984, a 21 anni di distanza, affronta e supera con un bivacco i 1150 metri della già salita cresta nord della vetta Orientale compiendone appunto la seconda salita. Come già scritto, gli ascolani Florio e Calibani ne erano stati i primi salitori e nella bella e medioevale città non era un segreto l'antagonismo tra i vari alpinisti, e ripetere le gesta dei predecessori era quasi la norma. I conflitti che si erano creati all'interno del CAI cittadino avevano portato addirittura ad una scissione, ed alcuni soci, al seguito di Florio e Calibani, fondarono il GAP - Gruppo Alpinisti Piceni - che seguirà poi una strada culturale e alpinistica tutta propria.

12In avvicinamento alla Parete Est dell’Anticima – Prima invernale

11Cresta terminale del Secondo Pilastro – Prima invernaleCome si vedrà in seguito, Cantalamessa si ripeterà ancora con seconde salite invernali su grandi e difficili itinerari. Nello stesso '84 solo altre due salite di stampo classico si realizzano sul primo Scrimone del Corno Grande. Lo Scrimone è lo scosceso versante ovest della vetta massima che precipita ripidamente nella sottostante Valle Maone. Qui gli aquilani D. Alessandri e B. Romano e successivamente i marchigiani M. Cotichelli e B. Anselmi aprono due canali molto interessanti di ghiaccio e misto di circa 250 metri.

La curiosa cordata Marcheggiani-Caruso si riunisce ancora il 30 gennaio del 1985 con un ulteriore progetto che attende ormai soluzione: la ancora inviolata parete est dell'anticima Orientale. Cordata curiosa la loro dal momento che tra una invernale e l'altra i due forti scalatori non hanno abitudine di frequentarsi. Sicuramente non sono amici, ognuno scala per proprio conto, non hanno nulla in comune nella vita quotidiana e sono personalità diametralmente opposte. Perché abbiano dato vita ad una cordata senza dubbio efficiente ed intraprendente è quasi un mistero ma forse è lecito pensare ad un celato opportunismo per risolvere i problemi invernali. Pianificando la scalata che li aspetta si rendono conto che in giornata è pressoché impossibile. Marcheggiani sa quanto è complicato e quanto tempo richiede l'avvicinamento e portano quindi leggero materiale da bivacco: Caruso un sacco piuma, Marcheggiani un Douvet e un Pied d’Elephant.

Come la volta precedente passano la notte al rifugio Franchetti e di buon’ora giungono alla testata della via Jannetta. La novità è un avvicinamento dall'alto anziché dal basso. Mentre scendono il ripido pendio, il duro ghiaccio si colora prima d’argento e poi d'oro; il sole dell'Adriatico li illumina in pieno ed è un momento quasi sublime. Giunti alla base del terzo Pilastro deviano decisamente a sinistra e raggiungono lo sbocco del Canale Sivitilli. Superano brevi salti rocciosi e una corda doppia li deposita sul fondo. Ora è più facile scendere il pendio, ma giunti sotto la verticale della via che vogliono seguire la parete si impenna. Il ghiaccio perfetto permette loro di scalare oltre 150 metri slegati e li porta a fare sosta sotto un breve strapiombo. Lo superano con grosse difficoltà di misto, passaggi in artificiale e la progressione successiva risulta lentissima. L'idea iniziale di aprire una via nuova viene per forza accantonata e grazie all'aiuto di una foto in loro possesso scalano su terreno vergine continuamente in obliquo fino a raggiungere la via Mario-Alletto del 59. Intanto le poche ore diurne sono scivolate via e al tramonto raggiungono il nevaio pensile a metà parete. Qui il freddo bivacco e una luna immensa che sorge dal mare Adriatico sono gli unici elementi che li distraggono dal battito dei denti. Il bello di questa parete è all'alba, quando anche il sole esce dal mare e li inonda di luce e finalmente di un tiepido calore. La scalata continua con ritmo, mettendo e togliendo i ramponi, fino a che, verso le 14 del 31 gennaio, i due mettono fine alla lunga scalata e alla soluzione del grande problema in sospeso. La cordata in seguito non si legherà mai più insieme. Con questa salita ogni singola parete del Gran Sasso è stata salita d'inverno ma si apriranno, come vedremo più avanti, altri interessanti capitoli. Ancora una solitaria per Tiziano Cantalamessa quando il primo di febbraio sale la via “Bachetti- Fanesi” al Pizzo Intermesoli con il suo stile veloce e risolutivo. Per tutto l'inverno a seguire non si vedrà nessuna salita di stampo tecnico, mentre diversi canali verranno saliti sulle montagne minori come il Prena, L'Infornace, il Brancastello o il monte Aquila da parte di abruzzesi e marchigiani, tra cui i già noti Alessandri, Cotichelli o Anselmi.

Quattro giorni prima del Natale '85 Marcheggiani si trova di nuovo sotto il Paretone. È momentaneamente in compagnia del suo amico Roberto Landi che non scala ma lo accompagna fin sotto l'infinita cresta nord della Vetta Orientale. Salutato il suo amico che se ne torna a Frascati, Marcheggiani comincia la sua scalata. Sale inizialmente slegato i 250 metri iniziali di un angusto camino verticale, poi alterna tratti in autoassicurazione ad altri senza, con la corda penzoloni dall'imbrago e zaino in spalla. Una progressione relativamente veloce lo porta alla Cengia dei Fiori che taglia in due la lunga cresta. Da qui il terreno cambia, non più camini ma brevi pareti, risalti, goulottes e creste coperte di ottimo ghiaccio vengono superate con determinazione ma qualcosa si frappone tra la bella scalata e il suo prosieguo. Una forte e improvvisa febbre aggredisce l'alpinista di Frascati che si ritrova improvvisamente esausto (non è nuovo ad improvvise febbri molto alte) e si vede costretto al bivacco quando sarebbe potuto addirittura uscire in giornata visto il buon ritmo tenuto. Alle 14 si chiude nel sacco a pelo, non ha fornello e l'acqua è agli sgoccioli. In preda a violenti brividi e sudorazione fredda dorme un paio d'ore. Preoccupato quanto basta si scuote, lascia il bivacco pronto e scala il difficile muro che lo sovrasta. Lo supera, blocca la corda e quasi al buio torna al bivacco dove l'interminabile notte, dalle 17 fino alle 7 del mattino successivo passa con arsura e freddo. Al mattino la magia della febbre praticamente sparita lo rinfranca, si lega, riparte e benché provato, alle 13 arriva anche lui “...in vetta, finalmente al sole!”. La Cresta Nord è assolutamente all'ombra e il sole viene solo intravisto oltre la parete. Nella discesa, nel Vallone delle Cornacchie, incontra tre ascolani che stanno raggiungendo il bivacco Bafile. Sono P. Mazzanti, M. Ceci e G. Mozzoni che il giorno dopo, Vigilia di Natale, saliranno la via “Pinelli- Ramorino” sulla parete sud della Vetta Orientale. La loro sarà una bellissima realizzazione nello stile ascolano, alpinismo d'avventura con niente di scontato; la via salita è lontana e complicata da raggiungere con un isolamento tipico del Paretone dove cercare aiuto gridando è pressoché impossibile: come vediamo torna il discorso differenza Corno Piccolo/Corno Grande.

13P. Caruso nei primi tiri della Parete Est dell’Anticima – Prima invernale

14Parte centrale della Parete Est della Vetta Orientale – Prima invernale

 

Nel mese di gennaio del 1986 sul Corno Piccolo troviamo due interessanti realizzazioni: due cordate romane viaggiano insieme dalla capitale per affrontare la fredda Parete Nord della seconda Spalla del Corno Piccolo. Il gruppetto, molto affiatato, si divide, come da programma, una volta raggiunta la parete: Donatello Amore e Paolo Camplani salgono infatti la lunga ed obliqua via “Antonio Benedetti”, mentre Luca Grazzini e Massimo Nardecchia salgono la verticale via “Amore-Gambini” tranquillamente in giornata. Ancora Grazzini e G. Bassanini il 19 marzo sul Pizzo Intermesoli salgono “Cosi è se vi pare” sul terzo Pilastro mentre il giorno dopo, e siamo di nuovo sul Corno Piccolo, Roberto Rosica e Pio Pompi salgono la difficile “Stefano Tribioli” a ovest della Prima Spalla. Le invernali, probabilmente smitizzate dalle precedenti salite sul Paretone, vengono sempre più sdoganate, si nota una maggiore frequentazione e cordate da mezza Italia si approcciano alle variegate montagne del Gran Sasso. Si hanno salite di ricerca sul Monte Corvo, sul Mozzone, sul Pizzo di Camarda oltre la grande costiera sud del Sentiero del Centenario che a sua volta verrà traversato nei suoi dieci chilometri di sviluppo da L. Di Carmine e G. Perini il 21 dicembre '86 da ovest a est mentre a marzo '87 M. Marcheggiani e Silvia Marone ne faranno la traversata est-ovest con due bivacchi in uno scenario a dir poco patagonico. Una settimana dopo la traversata, Marcheggiani, Silvia Marone e Lorenzo Brunelli tentano di nuovo la Cresta nord della Vetta Orientale ma dopo 200/300 metri di scalata rinunciano per un’improvvisa nevicata.

15Massimo Marcheggiani al bivacco sulla Est dell’Orientale – Prima invernale - Ph P. CarusoSul Primo Scrimone i marchigiani B. Anselmi, M. Cotichelli e V. Rossetti il mese di aprile apriranno gli interessanti canalini di ghiaccio e misto “Top Gun” e successivamente “Il cane e il gatto”, arricchendo questo sconosciuto e molto poco frequentato risalto roccioso della Vetta Occidentale.

Torna alla grande sulle scene Tiziano Cantalamessa: a distanza di tredici anni dalla drammatica ascensione invernale del Monte Camicia del '74 dove P.G. De Paulis perse la vita e “Mimì” Alessandri fu costretto ad uscire in solitaria dalla cupa parete, il forte ascolano si decide a cancellare l'alone di “parete maledetta” che accompagna la Nord del Camicia. È il 22 dicembre quando Tiziano con F. Franceschi si ritrova sul Fondo della Salsa. Con assoluta decisione la cordata, con Cantalamessa costantemente in testa, comincia a macinare metri su metri della brutta e friabile parete. C'è poca neve soprattutto sulle sezioni più ripide e la scalata avviene con gli scarponi rigidi ai piedi, il ché complica ulteriormente la precaria arrampicata. Difficilissimo piantare chiodi che facciano stare tranquilli i due e per questo la loro attenzione è all'ennesima potenza. In una foto si vede Cantalamessa su un traverso con la corda libera per oltre 20 metri; soltanto il suo sangue freddo e la grande classe potevano tenere a bada una situazione così delicata e pericolosa. Proseguono con ritmo, respirano tranquillità quando raggiungono il primo e poi il secondo nevaio dove la progressione è indubbiamente più facile e garantita. Ma i nevai hanno poi termine e la brutta roccia torna ad acuire l'attenzione della cordata. Raggiungono il “Corridoio erboso”, tipica sezione della parete oltre la quale si entra nei canali soprastanti, e sistemano il loro stretto bivacco. Una ottima meteo permette di passare una tranquilla notte anche se fredda; al secondo giorno di ascensione, una volta entrati nei canali superiori, sentono di avere in pugno la intera parete. In vetta trovano un commosso Mimì Alessandri che li abbraccia calorosamente, ringraziandoli per aver finalmente cancellato l'alone di morte che aleggiava su questa grande parete di 1200 metri. Come vedremo in seguito, Tiziano Cantalamessa sarà l'indiscusso protagonista delle grandi scalate invernali. Sul Pizzo Intermesoli la via “Warm's Wall” viene salita da L. Grazzini, R. Vallesi e G. Fornari e ancora Grazzini, a distanza di pochi giorni, si ripete con un compagno sulla Nord del Corno Piccolo sulla via “Kon Tiki”.

Due alpinisti di Castelli, il piccolo e rinomato borgo ai piedi del Monte Camicia famosissimo per le sue ceramiche, affrontano il fianco ovest della montagna che sovrasta il loro paese: due giorni prima del Capodanno '88 D. Di Giosafatte e G. Benedetti trovano una combinazione di pendii e canali e riescono nella lunga salita, che avrà in seguito interesse esclusivamente invernale. Ad oggi non risulta che sia mai stata ripetuta al di là di un tentativo da parte dell'abruzzese di Sulmona Giancarlo Guzzardi con un suo amico. È lo stesso giorno dei castellani che Cantalamessa torna alla carica. In barba al fatto che la difficile Parete Est dell'anticima della vetta Orientale è già stata salita da Marcheggiani e Caruso due anni prima, insieme a F. Franceschi ne compie la seconda ascensione invernale: anche a loro è necessario un bivacco. Confermeranno in seguito la grande difficoltà della salita che, come già detto, comporta un difficile avvicinamento ed un isolamento assoluto oltre ad una conformazione molto diversa dai vicini quattro Pilastri. Questa parete, tendenzialmente concava, raccoglie molta più neve che altre ed ha inoltre una più difficile “lettura” delle vie da seguire e vi si trova una quantità di misto molto superiore ai vicini Pilastri.

17Avvicinamento alla Via Martina – Primo tentativo

Nei primi tre mesi dell'anno 1988 T. Cantalamessa e M. Marcheggiani tentano ripetutamente di salire la lunghissima “via Martina” sul fianco sinistro del Paretone. Non meno di quattro tentativi, attaccando la parete dal basso, naufragano sempre per il repentino cambiamento del tempo. Durante il quarto tentativo Marcheggiani per via di una caduta si distorce il ginocchio destro; impossibilitato a tornare con le sue gambe resta solo mentre Cantalamessa impiega ore per raggiungere Prati di Tivo per allertare il Soccorso Alpino. Torna con loro a notte fonda (elicotteri e cellulari zero) e all'alba Marcheggiani raggiunge finalmente l'ospedale di Teramo.

16Tiziano CantalamessaL'anno nuovo porta finalmente una prima presenza femminile nelle “maschie” salite invernali. Sulla fredda Parete Nord del Corno Piccolo Germana Maiolatesi e L. Grazzini salgono la via “Mairel”. Germana, romana di adozione ma umbra di nascita, troverà la sua giusta collocazione nel mondo ancora troppo maschile compiendo grandi ascensioni sull'intera catena alpina. Una salita per tutte, il Pilone Centrale del Freney a comando alternato, sancirà la figura di Germana tra le più forti in assoluto nell'intera Italia Centrale. Firmerà inoltre da capocordata l'apertura di numerose nuove vie di alta difficoltà. Persona tecnicamente ineccepibile, troverà anche nello sci estremo molte soddisfazioni scendendo da sola o in compagnia canali mai scesi prima. L'anno successivo si distinguerà di nuovo quando, a comando alternato, compirà la prima invernale della via “Le nebbie del Paretone” con un bivacco, insieme a L. Grazzini e P. Abbate. Questa via, della quale Germana aveva compiuta la prima solitaria, pur essendo la più facile (al massimo V° grado nell'ultimo tiro) dell'intera Anticima dell'Orientale, è, come le altre, molto difficile da raggiungere ed una volta usciti dalla via il ritorno passa necessariamente lungo la salita del terzo superiore della cresta nord. Si ha quindi uno sviluppo di 700 metri tutti su terreno misto. Sulla prima Spalla, intanto, Marco Marciano sale in solitaria e prima invernale lo Spigolo delle Guide, una via di quasi 300 metri, difficile e tutta in ombra.

Nei giorni a cavallo tra il Natale '88 e il Capodanno successivo succede quello che quasi nessuno avrebbe mai ipotizzato, e l'attore protagonista è ancora e soltanto Tiziano Cantalamessa. Insieme a Franceschi, Tiziano raggiunge il rifugio Franchetti di cui ha la disponibilità per passarvi la notte. Alle due di notte partono per la loro “Avventura”: salire tutti e quattro i pilastri, concatenandoli in una straordinaria prima assoluta invernale. È l'alba quando raggiungono la base del terzo Pilastro, già salito 8 anni prima da Di Federico. Tiziano, (a volte un po’ distratto) perde quasi subito una delle due scarpette da arrampicata. Forse, chissà, chiunque rinuncerebbe alla salita ma Tiziano Cantalamessa non è affatto chiunque: un piede in uno scarpone, l'altro nella rimanente scarpa da roccia e nel giro di sei ore, grazie anche alla poca neve in parete, raggiungono la vetta del Pilastro. Nello zaino hanno materiale da bivacco, si spostano quindi alla sommità del secondo Pilastro e qui bivaccano. Alle prime luci scendono in corda doppia lungo il Pilastro sottostante già salito da Marcheggiani e Caruso 5 anni prima, raggiungono la Cengia Obliqua e da qui salgono in prima invernale il primo dei Pilastri che è il più corto e più facile dei quattro. Con gli ancoraggi già precedentemente attrezzati scendono di nuovo fin sulla cengia e poco prima del tramonto ne raggiungono la vetta con Tiziano che scala costantemente con uno scarpone ed una scarpetta. Il freddo della notte precedente li aveva “morsi” a sufficienza, e con uno strappo all'etica decidono di raggiungere il rifugio dove passano una notte tranquilla. Una cena calda e una notte di assoluto riposo rimettono in sesto i due ascolani che all'alba sono di nuovo in marcia sulle tracce già marcate. Raggiunta la base del quarto Pilastro in cinque ore ne escono in vetta compiendone la terza salita invernale. Una performance formidabile quella dei due ascolani, dove determinazione e idee assolutamente all'avanguardia (in Centro Italia) hanno dimostrato la validità dell'alpinismo nostrano compiendo un “poker” di grande prestigio. Va da sé che la storia dell'alpinismo invernale al Gran Sasso ha due filoni paralleli. Come scritto in precedenza, qualsiasi salita al Corno Piccolo o sul Pizzo Intermesoli non può tenere il confronto con Il Paretone del Corno Grande. Il rispetto assoluto per qualsiasi forma di alpinismo è ovvio e scontato, ma in una fase di confronto il divario è certamente sotto gli occhi di tutti.

18Secondo tentativo alla Via Martina

 

19Terzo tentativo alla Via Martina

21Massimo Marcheggiani in apertura di Ice Very Nice – Ph L. Di Vincenzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nei primi 15 giorni del gennaio 1989 ben otto prime invernali vengono compiute tra Corno Piccolo, Torrione Cambi e la Vetta Occidentale: al Corno Piccolo Gino Di Sabatino sale da solo la via della Gola, lo stesso Di Sabatino con Grazzini sale la “ via del Bombardamento” alla Parete Nord, G. Cicconi e A. Gulli salgono “la notte delle streghe” a ovest della Seconda Spalla, R. Vallesi e M. Marciano la “ via delle due generazioni” a nord sempre della stessa spalla; sulla Parete Sud del Torrione Cambi la “ via Asterix” è salita da Luca Bucciarelli 2° (l' omonimo Luca Bucciarelli è la Guida Alpina) e Sandra Bonifazi mentre sulla parete est della Vetta Occidentale ancora Cicconi e Gulli salgono la via “Morandi-Pivetta” e D. Amore e M. Cotogno salgono la via “Graziosi-Alessandri”.

20Franceschi e Cantalamessa – Prima invernale alla Via Martina

22L. Di Vincenzo su Ice Very NiceUna parentesi diversa è la salita della “via Martina” sull'estrema sinistra del Paretone. Il 16 e il 17 gennaio T. Cantalamessa e M. Marcheggiani, al loro quinto tentativo, questa volta insieme a Franceschi, finalmente vengono a capo dei 1600 metri di sviluppo della via. Questa sale dalla base lungo ripidi e labirintici pendii di ghiaccio, affronta poi grandi placconate di solida roccia scura sfiorando l'ala sinistra della Farfalla “...con il sedere sempre sospeso in aria per via del grande vuoto creato dagli strapiombi della Farfalla che con le sue ali dorate tiene sospesi tra cielo e terra il primo e il secondo pilastro...” (M. Marcheggiani: Gita al Paretone, Bollettino CAI L'Aquila ottobre 1989). Un successivo lungo traverso di 6° superiore porta ad una serie di fessure dove gli alpinisti nel tardo pomeriggio devono bivaccare. Di nuovo la distrazione di Cantalamessa fa cadere nel baratro sottostante il suo sacco piuma. La temperatura è bassissima; Cantalamessa prova a resistere con le gambe nello zaino e una leggera giacca in piumino ma dopo un paio d'ore il freddo è insopportabile e deve infilarsi alla meno peggio nel sacco piuma di Marcheggiani. Restano scoperti nella parte superiore del corpo, ma lo stretto contatto risolve in parte la situazione. (Furono percepiti 15 gradi sottozero quella notte a Prati di Tivo). Fa giorno, e il sole che spunta dal mare Adriatico scalda quanto basta la cordata dei tre alpinisti che riprendono la infinita salita e nel primo pomeriggio escono finalmente in vetta. La via Martina è probabilmente la salita con il maggior sviluppo dell'intera montagna, sfiorando i 1600 metri.

La straordinaria stabilità meteorologica di quel periodo è un richiamo troppo forte per quanti amano confrontarsi con la montagna invernale: infatti nei rimanenti giorni di gennaio e il mese successivo altre nove prime invernali vengono messe a segno, in una quasi spasmodica ricerca di “ritrovarsi” nella storia delle prime invernali. Tra le più importanti salite ricordiamo la “via del Trapezio” la “ben Hur” e la “Di Federico-De Luca” sulla est del Corno Piccolo; la via “ Bachetti- Calibani” e la via “Che Guevara” a nord del Corno Piccolo. Come sempre però si distingue Cantalamessa, che con M. Marziale e P. Sabbatini sale l'altra sua lunga via a sinistra della Farfalla: la via “Cantalamessa-Tosti” è un articolato dedalo di canalini, camini e fessure non particolarmente difficili d'estate con un andamento a volte discontinuo, ma d'inverno come ben sappiamo è un’altra storia. Chiude l'anno '89 Fabio Lattavo che con la sua compagna Luana Villani sale la difficile “Aficionados” sulla Parete Ovest della Prima Spalla.

 

 

23L. Di Vincenzo sulla Cresta Nord dopo aver salito Ice Very Nice

24La goulotte di Ice Very Nice

FOTO MUSICALIDa sin. L. Grazzini, P. Abbate e M. Tacchi – Ph A. Monti

 

Marzo 1981D. Amore a sin e L. Grazzini a destra – Ph A. Monti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'anno che segue gli alpinisti lasciano a riposo il Paretone poiché non si registra nessuna salita né alcun tentativo. Invece si ha quasi una bagarre sulle pareti minori: sul Corno Piccolo viene salita la Aquilotti 74 da parte di E. De Luca e P. Sabbatini, al Torrione Cambi “Les freak sont Chic” viene salita da B. Vitale, G. Palazzini e R. Amigoni. Sul Pizzo Intermesoli la difficilissima via “Forza 17” viene superata brillantemente da A. Massini e L. Grazzini mentre lo stesso giorno R. Vallesi e M. Sprecacenere salgono “Le nubi di Magellano” ambedue sul secondo Pilastro. La Aquilotti 85 al C. Piccolo viene salita ancora da Vallesi e Sprecacenere. I marchigiani Anselmi, Lampa e Rossetti prendono d'assalto il Monte Corvo salendo la bellezza di quattro itinerari nuovi su canali e goulottes e gli stessi Anselmi e Lampa addirittura sei vie nuove tra la Cima delle Malecoste e il Pizzo di Camarda. Tutti itinerari dalle stesse caratteristiche: pendii, canali o brevi goulottes, ma va dato atto che la loro ricerca spazia su quelle montagne spesso, e a torto, ignorate.

396 - 3Romolo Vallesi – Ph A. Monti

PRESENTAZIONIPaolo Camplani a sin. e Romolo Vallesi a destra – Ph A. Monti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

29Silvia Marone – Tentativo invernale alla Cresta Nord del Paretone

 

30Germana Maiolatesi – Ph Arch. Maiolatesi

 Si chiudono gli Anni ‘80 e con essi una delle stagioni più prolifiche di scalate invernali, tra cui alcune tra le più importanti in assoluto. Complici alcuni inverni avari di neve, gli “invernalisti” hanno giustamente approfittato della situazione e, per esempio nel periodo tra i primi di gennaio e fine marzo 1989, ben 17 vie di roccia sono state salite. Gran parte di queste realizzazioni sono di alpinisti romani, visto che sono senza dubbio più numerosi, poi marchigiani e abruzzesi a seguire hanno dato il loro importante contributo.

31Mario Cotichelli – Ph B. Anselmi

 

32Bruno Anselmi – Ph M. Cotichelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

32APaolo De Laurentis – Ph P. Sabatini

32BPino Sabatini – Ph P. De Laurentis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

33Il Corno Piccolo da EstNel 1991 l'alpinismo invernale viene quasi dimenticato. Le uniche eccezioni degne di nota, a parte il tentativo sul “Diedro di Mefisto” sul Paretone da parte di Cantalamessa, Marcheggiani e Franceschi naufragato dopo due tiri di corda, sono appena due. La prima vede Cantalamessa salire con un cliente una grande cascata all'imbocco del Fondo della Salsa, sotto la Nord del Camicia. Una cascata dal corpo possente alta non meno di 100 metri con salti molto ripidi e una discesa in corde doppie su alberi al margine della cascata stessa. La seconda è alla sinistra della Cresta Nord del Paretone. Transitando sul viadotto autostradale prima del lungo traforo del Gran Sasso, una lunga e sottile linea bianca rapisce lo sguardo di M. Marcheggiani e L. Di Vincenzo. Pochi giorni dopo, è l'alba del 20 marzo, i due raggiungono la ripidissima linea di ghiaccio alla base del Paretone, circa 200 metri a sinistra della Cresta Nord, con sulla testa circa mille metri di parete. Hanno con loro due corde da 50 metri di 8 millimetri, cinque chiodi da roccia e un set di friends oltre a un sacco piuma e fornelletto ma stranamente nessun chiodo da ghiaccio. Un ripido ma breve pendio li immette nel profondo intaglio roccioso dove trovano un ghiaccio pressoché perfetto, ripidissimo, alternato a brevi tratti di misto. Scalano di buon ritmo superando risalti fino a 80 gradi di pendenza e misto proteggendosi sempre sulla vicina roccia. Dopo tredici tiri di corda entusiasmanti raggiungono la Cengia dei Fiori, a poco più di un terzo di parete. Con un breve traverso raggiungono le rocce della Cresta Nord e qui il terreno cambia perché il misto non ha soluzione di continuità.

 

34Tentativo invernale al Pizzo Cefalone

35Tempesta di neve al Rifugio Duca degli Abruzzi

Al tramonto sono a due terzi della parete, bivaccano comodamente in una nicchia dove Marcheggiani aveva passato la notte di febbre. È alle 7 e 30 del giorno successivo che riprende la scalata, superando inizialmente quello che è il tratto più verticale dell'intera salita. Sono le tredici quando sbucano al sole, intersecando la rampa della “via ferrata Ricci” che mette fine alla scalata. Poco prima del buio approdano a Prati di Tivo felici dell'apertura della più bella e moderna salita su ghiaccio dell'intera montagna che chiamano “Ice very nice”. Soltanto anni dopo scopriranno che la loro via era già stata salita d'estate ma mai ripetuta. Oggi essa mantiene il nome invernale.

36S. Marone nella Traversata del CentenarioIl primo aprile al Picco dei Caprai i marchigiani Anselmi e Cotichelli aprono la loro ennesima via esplorativa su pareti secondarie ma senza dubbio importanti.

Come la storia fin qui riportata dimostra, in quegli anni era sempre lo stesso manipolo di scalatori che si cimentava con la più grande parete appenninica dove a tutti gli effetti si praticava e si pratica un alpinismo di prim'ordine. Evidentemente il “banco di prova” del Paretone per chi ci si cimenta fu il viatico per imprese più importanti. Non è quindi un caso che gli stessi pochi nomi siano gli autori di importanti realizzazioni extraeuropee soprattutto negli anni '80 e 90: G. Di Federico sale l'inviolato Shia Shis di 7000 metri e successivamente apre una via nuova in solitaria sull'Hidden Peak in Karacorum. I trentini E. Salvaterra, M. Giarolli e A. Sarchi a cui si aggrega P. Caruso salgono in prima invernale il Cerro Torre in Patagonia. Sempre in Patagonia M. Marcheggiani e T. Cantalamessa salgono il Fitz Roy lungo la via “Franco-Argentina” in 26 ore non stop dopo un precedente tentativo sul Pilastro Casarotto e l'anno successivo sempre insieme salgono nell’Himalaya del Garwal l'inviolato Baghirati Karak di 6702 metri in sei giorni di dura scalata. Sono ancora insieme in un tentativo sulla via di Casarotto alla parete nord dell’Huascaran nelle Ande peruviane mentre l’anno successivo tentano la “via Polacca” sulla parete Rupal del Nanga Parbat. Cantalamessa in seguito scalerà la Torre Nord del Paine nella Patagonia cilena e il Monte Kenia per lavoro come Guida Alpina mentre Marcheggiani si dedicherà a numerose spedizioni nell'Himalaya indiano dove negli anni a seguire salirà sette difficili vette inviolate. Bisogna notare che il testimone lasciato dai vari Consiglio, Alletto, Cravino, Jovane e altri della SUCAI anni 50/60, a Roma non viene praticamente raccolto. Ad eccezione di Luca Grazzini, Donatello Amore e forse un altro paio di nomi, nessuno della odierna generazione si distinguerà per un alpinismo di avventura e ricerca.

Torniamo alla nostra montagna.

La penuria di salite del ‘91 viene presto colmata da un 1992 ricco di scalate invernali. Inizia l'anno con una delle salite più importanti e temute: il solito Cantalamessa con Franceschi realizza quella che in seguito dichiarerà essere stata la sua scalata più importante e difficile affrontata fino ad allora. È il 17 gennaio quando Cantalamessa e Franceschi, dopo aver sceso il solito canale Jannetta, attaccano il “Diedro di Mefisto”. Questo, incassato nell'antro che divide il quarto dal terzo Pilastro, non prende mai un raggio di sole. La prima metà è la più difficile con fessure e placche verticali ma di roccia molto buona. Il precedente tentativo era naufragato per via di una frana estiva che aveva depositato terriccio e polvere sulla parete; ora tra piogge estive e nevicate la parete è tornata intonsa. La cordata deve affrontare due bivacchi data la grande difficoltà d'insieme. La scalata si fa più insicura quando la cordata affronta gli ultimi cento metri di rocce molto friabili e poco proteggibili ma la classe di Cantalamessa ne viene a capo e il 19 gennaio i due escono felici in vetta. Dal punto di vista tecnico, molto probabilmente questa è stata la più grande scalata invernale dell'intero massiccio montuoso.

37S. Marone al primo bivacco nella Traversata del Centenario

38Traversata delle 4 vette del Corno Grande d’inverno – Ph Ivo Ferrari

Lo stesso giorno che Cantalamessa e Franceschi escono in vetta, sulla opposta parete ovest della Vetta Orientale Romolo Vallesi e Luca Grazzini salgono i 300 metri della “via dell'Incontro” mentre P. De Laurentis e S. Momigliano superano “Incontro con Camelia” sulla assolata parete ovest della Prima Spalla. Questa via di 180 metri su roccia magnifica supera tratti di settimo grado protetti a spit e data la sua verticalità fu trovata praticamente senza neve in parete, come del resto su quasi tutte le strutture così verticali. Il Picco dei Caprai viene salito di nuovo su un’altra via nuova dai soliti Anselmi, Cotichelli con L. Genovese. Sulla verticale parete est del Corno Piccolo R. Vallesi e M. Sprecacenere salgono la “via del cinquantenario” superando diversi strapiombi in arrampicata mista libera e artificiale. Il torrione Cambi vede in azione P. De Fabis e Luciano Mastracci di cui parleremo molto più avanti. La cordata supera sulla Parete Sud la via “Musica nova” che presenta alcuni passaggi di ottavo grado su placca, protetti da spit messi dal basso. Gli infaticabili Cotichelli e Anselmi continuano la loro ricerca di canali e canalini al monte Corvo e montagne minori. T. Cantalamessa scopre e sale altre due cascate alla base del M. Camicia: la cascata “Valentina” e successivamente l'imponente “Bye Bye Canada”. Anche se non si può parlare di alpinismo classico, tuttavia ci somiglia molto

39L. Trento in apertura di via nuova sul Primo Sperone - Ovest del Corno PiccoloIl 1993 ha dell'incredibile! Vengono compiute 31 salite invernali. Riportiamo le più interessanti, tralasciando la salita di cascate fuori del Gran Sasso e pareti o itinerari non particolarmente significativi per non tediare con un mero elenco i lettori. Luciano Mastracci inizia il suo percorso di grandi ripetizioni invernali salendo il 16 gennaio “Arrivederci ragazzi” sulla Ovest della Terza Spalla insieme a P. De Fabiis e M. Marziale.

Si rimette in gioco il 23 dello stesso mese, ancora con Marziale, salendo la difficile “Narciso e Placcadoro” alla Seconda Spalla; parliamo ancora di vie tecnicamente molto difficili ma che poco differiscono dalle condizioni estive. Mastracci e Marziale come vedremo si proietteranno in seguito anche su itinerari ben più impegnativi. P. De Fabiis sale “Demetrio Stratos” sulla Parete Est della Vetta Occidentale insieme a G. De Rossi, C. Arbore sale in prima solitaria invernale la “Iskra”. Ancora il mese di gennaio vede L. Grazzini e P. Camplani impegnati sulla bellissima e difficile “Thorin scudo di quercia” alla Parete Sud del T. Cambi. È evidente che ci troviamo in un lungo periodo di alta pressione e quindi scarse precipitazioni nevose, visto l'arrembaggio di molte cordate sulla grande montagna appenninica. L'alpinismo invernale non sarà mai una moda, ma il '93 come vediamo è davvero un anno ricco di scalate. C. Arbore e A. Campanella trovano una bella linea di misto sulla parte alta della Cresta Nord della Vetta Orientale. La via, chiamata “Nunca mas”, svicola astutamente tra risalti rocciosi, pendii, belle goulottes e raggiunge la testata della cresta. È il giorno 31 dell’“estivo” mese di gennaio. L'alta pressione in corso non lascia spazio a perturbazioni, le giornate serene e assolate si susseguono giorno dopo giorno e infatti anche il mese di febbraio vede numerose ascensioni. P. De Laurentis, A. De Crescenzo e P. Sabbatini salgono le difficili placche de “L'olandese volante”. Di nuovo Mastracci e Marziale in grande forma affrontano e superano la strapiombante “Cavalcare la tigre” sulla Est del Corno Piccolo. Nonostante le condizioni quasi estive, la innegabile grande difficoltà della via trasforma la scalata in una bella e valida performance del duo Mastracci-Marziale. Infaticabili come sono, sette giorni dopo salgono la più abbordabile, più corta ma sempre difficile “Farabundo Marti” sulla Parete Sud del Torrione Cambi. Pochissimi giorni dopo la prima invernale, “Cavalcare la tigre” viene salita di nuovo da Roberto Ciato con P. Rocca in seconda invernale (cosa piuttosto rara).

 

Il Corno Piccolo è ovviamente il soggetto principale di numerose prime invernali: tra le tante si distingue la salita di De Fabiis e G. De Rossi che salgono “Odetamò”, via che svicola astutamente sulla grande placca monolitica della prima spalla tra le vie “Mario-De Filippo” e “Aficionados”. Protetta a spit distanti, presenta difficoltà di VII° grado. Si ripete l'ovvio cliché di questo genere di salite: piccozza e ramponi per l'avvicinamento, pedule da arrampicata su roccia e spesso discese sulla stessa via in corda doppia. D’altra parte, qualsiasi forma di alpinismo ha avuto nei decenni le sue evoluzioni: lo stampo dei decenni passati è prerogativa delle grandi salite dove il misto, l'ubicazione della parete e il suo sviluppo fanno la differenza e sempre meno ci saranno cordate sui grandi itinerari. Come si vedrà negli anni a seguire, le scalate invernali si diraderanno sempre più, fino a pochissime unità negli anni 2000.

40Il tracciato della via nuova al Primo Sperone – Ovest del Corno PiccoloTorniamo all'inverno del '93: sul Pizzo Intermesoli viene salita “Sindarin” da parte di M. Sprecacenere e E. Parisi. Gli “infaticabili” tornano di nuovo in azione: Mastracci e Marziale salgono “Senza orario, senza bandiera” sulla Parete Est della vetta Occidentale, mentre ben due cordate si rivolgono dopo anni di silenzio al Paretone: una, guarda caso, è composta da Mastracci e Marziale che dopo aver sceso il canale Jannetta, salgono il difficile quarto Pilastro superando la via “Mario-Caruso”. Questa via è in ambiente freddo, in totale assenza di sole e con un ostico camino-diedro che L. Mario superò con uso di strani chiodi e ganci artigianali. La determinazione e l'intraprendenza dei due romani è un'anomalia rispetto alla media, le loro scelte si rivolgono alle vie tra le più difficili di quegli anni senza badare troppo alle comodità di accesso o di eventuali ritirate. Era questo il testimone da raccogliere per il logico prosieguo dell'alpinismo di Di Federico, Cantalamessa, Marcheggiani o Caruso sul Paretone.

Gli aquilani Roberto Mancini, V. Brancadoro e il romano P. Abbate salgono la via “Alletto-Consiglio” alla Cresta Sud della Vetta Orientale; l'avvicinamento molto lungo e l'isolamento sono molto simili alle altre salite del Paretone, unica nota positiva è l'esposizione al sole che la rende più “umana”. Questa via comunque era già stata salita parzialmente da F. Delisi con due compagni anni prima: non avevano però seguito l'itinerario nella sua interezza, cosa completata da Mancini e compagni. Sempre Mancini con Abbate e Brancadoro sale due brevi ma belle vie, in giorni diversi, sulla Parete Sud della Vetta Centrale. Chiudono l'inverno P. De Fabiis e G. De Rossi con la salita de “Il filo di Arianna” sulla Ovest della Prima Spalla.

Forse la “corsa” alle prime invernali sta stancando gli alpinisti del Centro Italia: La grande e comprensibile crescita dell'arrampicata sportiva con la sua indubbia sicurezza, facilità di gestione, lo scarsissimo impegno mentale se non la dovuta attenzione alle poche manovre di corda, la ricerca esasperata del grado e la indubbia bellezza di giornate prive di ansia, “ruba” alla montagna invernale una grande quantità di scalatori.

41A. Di Donato al primo bivacco su “Fulmini e saette” – Ph A. Di PascasioSarà una combinazione, ma guarda caso il 1994 vede un'unica realizzazione di grande impegno, e purtroppo anche una grande tragedia. Romolo Vallesi, Luca Grazzini e Paolo Camplani impiegano un giorno intero per raggiungere la base della parete rocciosa dell'Anticima Nord della Vetta Orientale. È loro intenzione salire in prima invernale la via “Riforma agraria” di T. Cantalamessa. La loro preparazione tecnica è fuori discussione, sono senza dubbio tra i migliori alpinisti della capitale con salite di ogni ordine e grado. Bivaccano probabilmente in una comoda nicchia usata già da Delisi e Marcheggiani durante la prima salita della parete nell'83 a pochi metri dall'attacco della via. Alle prime luci sono pronti: attrezzata una sosta, Vallesi apre la cordata e sale diversi metri della via mettendo alcune protezioni (la via è difficilmente proteggibile, ma loro non ne erano a conoscenza). Vallesi è un ragazzo robusto, alto e nella sfortuna di un suo volo le protezioni saltano, una dopo l'altra, e nella caduta anche la sosta viene strappata via. La tragedia si compie. I tre precipitano per decine di metri nel vuoto sottostante. Una delle due corde fortunosamente si impiglia su rocce affioranti e la rovinosa caduta si arresta. Romolo e Paolo muoiono per i colpi presi, mentre Grazzini è vivo, ferito, ha diverse costole rotte e ha perduto gli occhiali di cui non può fare a meno. Non fosse stato quel grande scalatore che è, Luca non sarebbe stato in grado di tornare indietro. Riesce a risalire fino alla Cengia dei Fiori, la traversa e scende la sottostante parte bassa della Cresta Nord. (non abbiamo informazioni precise, ma si immagina che forse abbia attrezzato corde doppie data la difficoltà del terreno invernale). Ai Prati di Tivo non può fare altro che allertare i soccorsi. Il giorno dopo è Enrico De Luca che coordina il soccorso e opera il recupero tramite elicottero dei corpi di Romolo e Paolo. È la prima volta che si ha un evento così drammatico sul Paretone.

La cordata Mastracci-Marziale molti giorni dopo il tragico evento affronta e risolve la salita di una delle vie tecnicamente più impegnative di quegli anni. La via “Di Federico-De Luca” al Secondo Pilastro del Pizzo Intermesoli fu salita dai due abruzzesi nel 1982 dopo diversi tentativi per venirne a soluzione del tratto chiave, successivamente classificato per la prima volta in Appennino Centrale di ottavo grado. Di Federico, che fu il risolutore del problema, si allenò a secco, costruendo in un garage un fac-simile dello strapiombo poi risolto. La parete del Pizzo Intermesoli come forse già detto, è comodamente raggiungibile dai Prati di Tivo con una camminata di un'ora- un'ora e mezza e l'attacco delle vie molto semplice così come la discesa, ma la salita della via in sé è stato senza dubbio un bell'ingaggio che la classe assodata dei due romani ha risolto brillantemente. Le cronache dell'inverno '94 riportano soltanto altre due salite, con tutto il rispetto, non particolarmente degne di nota e che per evitare un già forse noioso “sterile elenco” trascuriamo di riportare.

42B. Lemaire sui primi tiri della Farfalla – Prima invernale integrale – Ph A. Di DonatoNel 1995 il cliché si ripete: praticamente nessuna prima (e nemmeno seconda o terza) invernale. Si ripetono invece Mastracci e Marziale su “Sentieri grigi” aperta dal forte Sebastiano Labozzetta soltanto l'anno prima. La via, di soli quattro tiri di corda, è su roccia molto verticale con difficoltà di 6C; di invernale c'è solo l'avvicinamento, ma rimane pur sempre la conferma della grande preparazione del duo romano. L'anno seguente si hanno solo due salite: La “Direttissima” al Secondo Pilastro da parte di S. Momigliano e A. Bucciarelli e il “Canalone del Duomo” , che presenta degli impegnativi risalti rocciosi di quinto grado, salito da Silvia Marone, Leone di Vincenzo e Alberto Bettoli. Ambedue le salite si trovano sulla Parete Est del Pizzo Intermesoli e le cronache, abbastanza precise, non riportano assolutamente nient'altro. Le scalate invernali forse stanno perdendo il loro fascino, la penuria di scalatori sulla più bella montagna dell'Appennino Centrale è palese e gli scalatori stanno quasi sparendo quando, quasi come un colpo di coda, il 1997 rivede una discreta frequentazione con circa dieci salite. Delle dieci però è una soltanto che salta agli occhi ed è l'attesa prima salita invernale di cui si vociferava da tempo. Bene, chi poteva tentarla e realizzarla se non Mastracci e Marziale? Nell'orbita Centro Italia non ci sono alpinisti che si stiano distinguendo nelle scalate di grande impegno se non i due su citati romani. Dopo una ricognizione e salita estiva di “Il nagual e la farfalla” insieme a G. De Rossi i tre si portano alla base della Farfalla dove una nicchia si presta perfettamente per un bivacco. All'alba del 16 marzo la piccola nicchia viene invasa dal primo sole, l'esposizione in pieno est scalda subito i tre alpinisti e la strapiombante parete, per questo priva di neve o ghiaccio. Dopo la classica frugale colazione che ci si può permettere in montagna, Mastracci e Marziale a comando alternato attaccano i primi tiri già molto difficili. (Questi erano stati in parte disattrezzati in discesa da Caruso, il perché lo sa solo lui, al termine della sua scalata nell'87. Sono stati Massini e Grazzini durante la loro prima ripetizione della via a provvedere al riposizionamento delle piastrine spit tolte). Con continuità e bravura superano tiro dopo tiro i 270 metri della parete usando tecniche artificiali e tratti in arrampicata libera costantemente difficili, ormai in gran parte attrezzati. Raggiungono il culmine della parete da dove, come ormai consuetudine, scendono in corda doppia su ancoraggi già presenti. Un secondo bivacco è d'obbligo alla base della parete, dalla quale il giorno seguente risalendo il canale Jannetta e la comoda discesa dalla Vetta Orientale i tre se ne tornano a casa con un “bottino” di prim'ordine. Le altre nove salite non presentano segni di ricerca o evoluzione tecnica al di là del revival alpinistico sulla montagna.

43B. Lemaire a sin. e A. Di Donato a destra dopo l’invernale integrale alla Farfalla - Autoscatto
L'alpinismo invernale cade nell'oblio, passano anni dove non viene neanche più nominato il termine “invernale”. Salite classicissime con decine di ripetizioni avvengono in sordina, ma qualcosa che faccia “rumore” non sta neanche nell'aria. Le numerosissime falesie laziali, abruzzesi, umbre e marchigiane pullulano di svariate centinaia di arrampicatori, il Gran Sasso d'estate è quasi preso d'assalto sulle sue più belle e classiche vie dalla magnifica roccia calcarea, a volte si creano “file” sulle vie più gettonate del Corno Piccolo, molto meno sul Corno Grande e praticamente mai, ovviamente, sul Paretone. L'inverno diventa di nuovo il padrone assoluto della grande montagna appenninica insieme alla presenza di cordate sui classici e ripetuti itinerari tipo la Direttissima, il Moriggia-Acitelli e canali similari. L'eccezione che conferma la regola è Tiziano Cantalamessa che, come guida, lavora tantissimo. Non compie più exploit perché è subissato di lavoro: è l'unica Guida Alpina che negli anni 90 lavora senza tregua. D'estate e d'inverno, autunno e primavera è frequente incontrarlo al Gran Sasso con i suoi clienti. Questo anche nell'aprile del 1999, quando dà appuntamento a sette suoi clienti per l'ultima uscita del suo corso invernale, dove non “porta” i clienti ma forma cordate autonome a cui insegna come si scalano le montagne da protagonisti. Il gruppo dei sette più Tiziano e un suo aiutante raggiunge il “Forcellino” alla base del Paretone. Salire la via Jannetta è la degna conclusione per quel genere di corso. Dopo il comodo bivacco si formano tre cordate ed inizia la lunga scalata su neve e ghiaccio, condizioni meteo ottime e freddo quanto basta. La comitiva supera brillantemente buona parte della lunga via. All'altezza del Terzo Pilastro, quindi molto in alto, Tiziano esorta i ragazzi ad aumentare l'andatura, la temperatura si è repentinamente alzata e il pendio di neve si sta allentando. È in un solo minuto che si compie una seconda tragedia su questa grande parete: una slavina si stacca dall'alto, le urla di Tiziano incitano i ragazzi a ripararsi e piantare in profondità la propria piccozza ma purtroppo per una cordata di tre non c'è niente da fare: viene travolta in pieno e precipita nel baratro sottostante. Immediatamente Cantalamessa chiede l'intervento del soccorso alpino e, non potendo fare nulla per i ragazzi travolti, si occupa di portare più in alto possibile e fuori tiro da eventuali altre slavine il rimanente gruppo di ragazzi fortemente impauriti e sotto shock. I soccorritori giunti in elicottero da Pescara non possono fare altro che constatare la morte dei tre ragazzi e ne recuperano le salme alla base della grande parete. Un’indagine della magistratura, che viene svolta tramite perizia tecnica dell'accaduto, scagiona Cantalamessa da qualsiasi colpa, ma chi non si scagiona da responsabilità morali e non si perdona è lo stesso Cantalamessa che smette immediatamente la professione di guida. Tredici mesi dopo, lavorando al posizionamento delle reti di protezione su strade, il più forte alpinista di sempre nell'intero Appennino Centrale, oltre la magnifica persona che era, moriva sul lavoro. “Centinaia di cittadini, insieme all'intera comunità di scalatori marchigiani, abruzzesi, laziali, stretti l'uno all'altro, gremiscono l'antica chiesa di Ascoli Piceno per un estremo saluto al nostro Bonatti”. Op. cit. M. Marcheggiani “Tu non conosci Tiziano” ed. Versante Sud.

Nei seguenti nove anni non succede niente che possa essere citato, poi come un fulmine a ciel sereno ecco che compare Andrea di Donato, giovane Guida Alpina, disincantato, allegro e forte scalatore nato a Castelli, ai piedi del Monte Camicia. Il fulmine non è altro che la notizia che rimbalza da ogni parte: Andrea, preparatosi come meglio non poteva, il 28 gennaio del 2008 sale in cinque ore e mezza e in solitaria la Parete Nord del Monte Camicia lungo la classica via di Marsili e Panza del 1934. Sulla parete del Camicia, dove tutto è aleatorio vista la pessima roccia e l'esposizione sfavorevole, Andrea ridà vita ad un alpinismo senza tempo, dove le innovazioni tecniche non servono un gran che quando si affronta la montagna senza trucchi, alla pari e dove non assicurandosi si mette in gioco tutto.

44D. De Patre, A. Di Pascasio, E. Pontecorvo su Ice Very Nice - Autoscatto

L'alpinismo invernale di punta ora parla solo abruzzese, il resto tace e guarda. A Teramo un giovanissimo Lorenzo Angelozzi già da tempo si distingue su notevoli scalate, amico di Di Donato e di un altro forte scalatore, Andrea Di Pascasio, romano ma teramano di adozione. I tre formano una cordata molto affiatata e di comune accordo decidono di tentare la salita invernale della via “Fulmini e saette” che risulta in quegli anni essere la più difficile dell'intera Parete Est della Anticima Nord della Vetta Orientale: per intenderci il Paretone ed il suo complicato accesso. Testualmente scrive Di Donato “...ventiquattro anni dopo l'apertura mancava ancora un tentativo su questa via. Tutti questi anni indicano il valore della difficoltà e complessità della via, ma anche le visioni di quegli alpinisti che l'hanno saputa vedere ed aprire: insomma, Fulmini e saette è una di quelle vie che lasciano il segno nel tempo...”. Il 10 febbraio 2011 i tre alpinisti superano scalando su misto i 200 metri per raggiungere la Cengia dei Fiori che rappresenta il lungo, difficile e complicato passaggio obbligato per arrivare all'attacco di Fulmini e saette. Nel tardo pomeriggio raggiungono l'attacco della via, attrezzano il primo tiro e poi bivaccano scomodamente alla base, praticamente appesi all'imbrago. Ripartono al mattino con tempo ottimo ma incontrano alte difficoltà, visto il tempo impiegato dai forti scalatori per salire i restanti 500 metri di via. La cordata non riesce ad uscire, sono quindi obbligati ad un secondo, ma questa volta comodo, bivacco a due tiri di corda dall'uscita. Il terzo giorno con un paio di ore escono strafelici in vetta. È la terza via che viene superata sull'intera parete e i tre giovani scalatori, in un articolo molto sentito, dedicano la salita al grande Tiziano Cantalamessa che, giovani come sono, non avevano mai conosciuto di persona ma il cui ricordo è sempre presente.

È passato un anno quando la cordata Di Donato-Di Pascasio è di nuovo in azione sulla stessa grande parete. Vogliono salire la “Riforma Agraria” ma qualcosa va storto e i due alpinisti per ripiego scalano in seconda invernale “Le nebbie del Paretone” già salita nel 1989.  

Andrea con il suo disincanto in seguito si proietta su cose fino allora inimmaginabili. L'evoluzione, non solo tecnica ma soprattutto mentale e culturale lo porta a concepire la scalata che ancora oggi è il top raggiunto nell'insieme delle caratteristiche tipiche del Grande Alpinismo al Gran Sasso. Insieme al francese naturalizzato italiano Bertrand Lemaire, fortissimo scalatore su ogni terreno, concepisce appunto “l'inimmaginabile”: la seconda salita invernale della Farfalla, ma dal basso e non scendendo in corda doppia dalla fine via ma uscendo invece in vetta. Inoltre, al di là della salita integrale, il loro intento è salire in libera i tratti aperti in artificiale.

45Sul quarto tiro di Ice Very Nice – Ph E. Pontecorvo Bertrand è un fortissimo arrampicatore e boulderista, ed ha tutte le carte in regola per riuscire. E’ il 14 marzo del 2012 quando la forte cordata lascia il paese di Casale San Nicola, ai piedi del Paretone. Salgono il facile canale Jannetta e raggiunti gli strapiombi della Farfalla bivaccano nella comoda nicchia che ha ospitato le precedenti cordate. La meteo è perfetta, la via “Il Nagual e la Farfalla” è assolutamente asciutta, senza una piccola macchia di neve che tra strapiombi e sole diretto non trova modo di depositarsi. Bertrand riesce nel suo intento, scala in libera tutti i tiri più difficili e artificiali, denotando una potenza e una classe nettamente superiore alla media. La combinazione Lamaire-Di Donato fa faville superando brillantemente i 270 metri della via a cui Bertrand, come sua abitudine non darà il grado ma che possiamo immaginare molto ma molto alto. Una volta usciti dalla via del Nagual, continuano su terreno molto più facile ma con diversi tratti di misto e raggiungono, oltre il Primo Pilastro, la via della Cresta Sud di Alletto e Consiglio. Un secondo bivacco è d'obbligo, hanno sotto il sedere già oltre mille metri di parete molto impegnativa. Il 16 marzo in tarda mattinata i due fuoriclasse raggiungono la Vetta Orientale mettendo fine alla loro straordinaria performance. L'Abruzzo teramano sta sfornando alpinisti di prim'ordine, le performance di Di Donato, di Angelozzi e di Di Pascasio sono sulla bocca di tutti perché al di là delle invernali, ripetono o aprono itinerari di altissima difficoltà. Lorenzo Angelozzi, praticamente quasi un ragazzino, nell'agosto del 2012 ripete in solitaria la via “Orient Express”. Questa è la salita più diretta alla Anticima Est della Vetta Orientale, una via aperta nel 1983 dalla cordata Marcheggiani-Delisi e pochissimo ripetuta per via non solo della difficoltà generale e del difficile accesso, ma anche per l'ultimo tiro di 40 metri pressoché improteggibile e in grandissima esposizione, oggi dato di 6A. Con i suoi fidati amici e compagni di cordata teramani “Lorenzino” Angelozzi ne tenta in seguito la prima invernale, con l'intenzione di salire non-stop, quindi in giornata e senza bivacco. È il 30 dicembre dello stesso anno della “Farfalla” di Di Donato e Lemaire. I tre teramani come treni salgono slegati di notte i tratti più abbordabili dell'avvicinamento, poi si legano quando la via si verticalizza. E' la seconda metà del mattino quando, superato il nevaio pensile, si trovano sui tiri più impegnativi...”E' entusiasmante salire su questa via... dopo un tiro stupendo di ghiaccio e dopo aver visto il sole nascere dal mare, alle 11 di mattina arriviamo sotto il temuto tetto, veramente bastardo anche d'estate e che introduce alla parte finale della via... parte Lorenzino, mette un friend, poi un altro, poi un chiodaccio e un secondo piccolo friend sul quale si fa bloccare in resting per mettere un’altra protezione e... via, giù nell'abisso! In un istante, Lorenzo è caduto e le protezioni non erano protezioni e il volo è stato lungo e assurdo. Giù verso il fondo. L'importanza di saper fare bene le cose si palesa nella sosta che trattiene il volo di 30 metri e noi due in sosta! E la vita continua... scendiamo da Lorenzo, sta apparentemente bene... non chiamiamo il soccorso, proviamo ad uscire lungo la più facile via classica. Lorenzo se la sente anche se pieno di dolori, è un vero duro e dopo tiri ancora duri e pericolosi ci siamo, ecco la vetta!” Il racconto di Andrea Di Pascasio è sobrio e sincero, dice poi: “...siamo una famiglia, ci siamo confortati a vicenda e abbiamo scalato in piena fiducia: Vero calore umano!” Senza dubbio una grande avventura che sposta ancora più in alto l'asticella delle difficoltà ma non è certo questo che fa il grande alpinismo. Il rapporto assolutamente fraterno e di fiducia, di complicità e condivisione è la quinta essenza dell'andare in montagna, a prescindere da ciò che si conclude. Mi piace riportare come termina il racconto di Di Pascasio:”... la sera in ospedale è tutto divertente, il kebab è buono, la gente mi piace... Siamo vivi, e la vita è bella! Ed io, se solo sapessi amare, direi che vi amo.” Op. citata.
Scende il silenzio sulle pareti più importanti del Gran Sasso, chissà il motivo di fondo quale può essere, sta di fatto che di “eclatante” non si è registrato più nulla.   Una nota di alpinismo di grande respiro è stato il concatenamento delle tre spalle ad inizio inverno del 2015: M. Marcheggiani e Lorenzo Trento con un bivacco nel mezzo salgono dalla Val Maone ed in successione superano la Terza, la Seconda e la Prima Spalla; raggiungono poi la vetta del Corno Piccolo dalla quale scendono con una serie di corde doppie dalla Parete Est, completando così la traversata della montagna. Un alpinismo “antico” dove la ricerca è soltanto emozionale e non più concentrata sull’ aspetto tecnico. Su questa linea di pensiero l'anno successivo gli stessi aprono una via nuova e con un bivacco, sul primo sperone ad ovest del Corno Piccolo. Nel gennaio 2023 ancora Marcheggiani, (a 71 anni e da capocordata) insieme a Marco Marrocco, Alessio Pagano e Damiano Fagiolo sale dalla Val Maone la via Sivitilli con un bivacco, trovando in alto condizioni di misto a volte molto impegnativo. I quattro erano convinti di fare una prima, ma così non era. La via, aperta negli anni 30, era stata salita poi in inverno da C. A. Pinelli.

46D. De Patre su Ice Very Nice – Ph E. Pontecorvo47E. Pontecorvo su Ice Very Nice – Ph A. Di Pascasio

 

Passano meno di due mesi e a fine inverno, inaspettatamente, il Paretone torna il vero protagonista dell’alpinismo invernale. I teramani A. Di Pascasio, D. De Patre ed il romano E. Pontecorvo grazie alla loro classe e determinazione ripetono in giornata (terza ripetizione) i 500 metri di “Ice very nice” trovando condizioni di misto eccezionali. Raggiunta la Cengia dei Fiori dove la via termina, optano per il ritorno scendendo dalla Cresta Nord con alcune corde doppie. A valle sentono il “dovere” di scrivere un messaggio agli apritori della via ringraziandoli per la “perla” trovata 32 anni prima. Il loro entusiasmo è lo spaccato di un modo di vivere l’alpinismo con il dovuto disincanto, senza la ricerca esasperata della “prima” e dove l’ego conta molto, ma molto meno del puro piacere di vivere un’avventura fine a sé stessa.

Il Gran Sasso, muto spettatore di qualsiasi evento trascorso oppure in divenire, non fa altro che continuare ad essere sé stesso, benevolo nell’accogliere tra le sue meravigliose pareti chiunque voglia trascorrere sui suoi fianchi giornate memorabili che l’alpinismo sa regalare. A volte, purtroppo, pagando pedaggi molto cari, ma la vita è così: la vita non è bella in assoluto, è bello viverla!

  

   Massimo Marcheggiani

   Frascati 11 gennaio 2024

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