La nostra storia

Club Alpino Accademico Italiano
Venerdì, 24 Gennaio 2025 20:10

Come nasce una prima ascensione?

La via scalabile esiste già fin dall'inizio in natura o si giustifica solo grazie alla forza delle idee della coscienza umana?

Heinz Grill affronta questa domanda filosofica di alto livello con una sua personale interpretazione

Sabato, 14 Dicembre 2024 21:03

I caschi per alpinismo - norme e test di resistenza: cosa sappiamo?

- Prima parte -

Nota della Redazione: lo studio di seguito pubblicato espone i risultati di anni di prove e sperimentazioni sui caschi da alpinismo e giunge ad alcune importanti conclusioni. Una ulteriore serie di test volta a verificare le eventuali conseguenza derivanti dall'esposizione prolungata ai raggi solari in quota verrà completata nel corso del 2025  e quindi  una integrazione a questo interessante studio verrà pubblicata verosimilmente nei primi mesi del 2026.

Bressan Giuliano CSMT CAI - CAAI

Polato Massimo CSMT - CAI Sez. Mirano

Ottimizzazione e grafica A. Rampini

Introduzione

A distanza di quasi vent’anni da un primo studio effettuato dall’allora CCMT (Commissione Centrale Materiali e Tecniche) del CAI, il CSMT ha voluto riprendere in considerazione il fatto di svolgere una nuova ricerca sui caschi da alpinismo.

Dal 2006, infatti, anche per questo tipo di DPI, c’è stato un notevole sviluppo sia nella progettazione che nei processi produttivi dovuti in gran parte, oltre che all’esperienza maturata dai produttori in collaborazione con il mondo alpinistico, anche al fatto che la ricerca su nuovi materiali nel campo dei polimeri è notevolmente progredita e si sono ulteriormente affinate le tecniche di stampaggio ad iniezione dei polimeri stessi.

In termini pratici il CSMT ha in programma di eseguire nel 2025 una serie di test su vari modelli di caschi ad oggi presenti sul mercato, dopo che sono stati lasciati per un periodo a completa esposizione solare in due luoghi che si trovano ad altitudini diverse.

Terminato il periodo di “invecchiamento” i caschi verranno portati in laboratorio e testati secondo una delle prove previste dalla norma EN 12492:2002 e che è il riferimento per la progettazione per i caschi da alpinismo: lo sottolineiamo perché altre tipologie di caschi (sci, equitazione ecc.), devono sottostare ai requisiti prescritti da altre specifiche norme.

A differenza di quanto avvenuto nei test eseguiti nei primi anni duemila, non prenderemo in considerazione caschi usati, ma solamente caschi nuovi che verranno scelti tra i brand maggiormente utilizzati dal mondo alpinistico e differenziandoli per quelle che sono le tipologie principali ad oggi utilizzate, ovvero quelli costruiti secondo queste tre macrocategorie:

  • una calotta costituita da Polistirene Espanso Sinterizzato (EPS) o Polipropilene Espanso sinterizzato (EPP) e da una copertura esterna in ABS
  • una calotta in EPS o EPP e una copertura esterna costituita da uno strato più leggero di Policarbonato
  • una calotta in EPS o EPP rinforzata nella parte superiore e per un’area limitata da uno strato di Policarbonato e altri elementi che vedremo nello specifico quando tratteremo più approfonditamente i risultati del nuovo studio.

Lo studio condotto tra il 2003 e il 2006

Come accennato precedentemente, anche il casco è da tempo entrato a far parte degli studi sui materiali utilizzati in alpinismo e in arrampicata e di conseguenza le successive prove hanno dato origine alla normativa UIAA-106 e in seguito alla corrispettiva norma EN-12492 (Mountaineering equipment - Helmets for mountaineers - Safety requirements and test methods).

Nel corso del 2006, l’allora Commissione Centrale Materiali e Tecniche del CAI (CCMT), ha svolto presso lo storico laboratorio del Dipartimento di Costruzioni e Trasporti dell’Università di Padova un’interessante e approfondita analisi sulle prestazioni meccaniche di un casco.

L’idea di “testare” i caschi è sorta soprattutto dalla necessità di verificarne la durata delle prestazioni col passare del tempo, di valutarne i comportamenti strutturali a seconda della tipologia costruttiva e di chiarire il senso dei requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa EN-12492.

Lo studio è stato esposto nella tesi di laurea magistrale in Ingegneria Civile dal titolo “Studio parametrico di ottimizzazione del comportamento ad impatto di un casco da alpinismo”, presentata il 25 ottobre dello stesso anno dal laureando Michele Titton, attualmente Ingegnere Civile, Libero Professionista e Guida Alpina. Una sintesi della tesi è stata pubblicata nel 2008 sulla Rivista del Club Alpino Italiano [1-2].

In questa prima parte dell’articolo sono presentate e commentate le prove e i dati acquisiti negli anni duemila. Il motivo per cui abbiamo scelto di riesporre quei risultati risiede nel fatto che riteniamo utile riprenderli e analizzarli per comprendere meglio quelli che otterremo e, quindi, fare le giuste considerazioni ed eventuali comparazioni tra i due studi del 2006 e del 2025.

La sperimentazione si è svolta in diverse fasi ed in successivi periodi. Inizialmente è stato raccolto il materiale principale per la sperimentazione (8 caschi nuovi di fabbrica forniti dalla CAMP e 6 caschi “usati” forniti dalla CCMT) e si sono definite le linee su cui indirizzare lo studio: analizzare la risposta ad impatto dei caschi da alpinismo in funzione del loro stato di usura nel tempo e valutare il relativo decadimento delle proprietà meccaniche dei materiali.

Il deterioramento dei materiali sintetici avviene sia per cause meccaniche (sfregamento, attrito, ecc.), sia a causa delle azioni climatiche o conseguenti ad esse (cottura da UV, muffe, surriscaldamento, ecc.), e rappresenta il principale motivo per cui l’attrezzatura da alpinismo va ciclicamente sostituita.

Lo studio ha comportato la necessità di testare diverse tipologie di caschi ed in diversi stati di conservazione; per ricavare dei confronti sulla durata delle proprietà meccaniche si sono state fatte prove di rottura su caschi d'alpinismo nuovi, usurati (da solo irraggiamento) e vecchi.

1 Rifugio KostnerFig 1 - Rifugio KostnerAllo scopo la CCMT ha procurato sei caschi utilizzati in ambiente alpino per diversi anni in varie attività (roccia, ghiaccio, soccorso), mentre la CAMP ha fornito quattro nuovi caschi modello Rock-Star e altri quattro modello Silver-Star. Gli otto elmetti dell’azienda di Premana sono stati utilizzati, in primo luogo, per studiarne le differenziazioni di risposta alle prove di assorbimento di energia a causa di urti verticali in funzione della quota di esposizione: per questo motivo erano state opportunamente collocate coppie di Rock-Star e di Silver-Star presso i sottotetti dei rifugi B. Carestiato (1843 m), Lavaredo (2343 m) e F. Kostner (2536 m - Fig. 1). Il periodo di permanenza in cui i sei caschi potevano rimanere custoditi 24 ore al giorno era quello classico dei rifugi alpini: dalle ore 12 del 20 giugno 2003 alle 12 del 20 settembre 2003. I restanti due caschi sono stati utilizzati, da nuovi, per test di confronto (Tabella pag 1).

I sei “vecchi” caschi sono serviti invece a completare delle considerazioni riguardanti il legame assorbimento di energia-tempo di esposizione-quota di esposizione, ma soprattutto a dare dei responsi riguardanti la durata delle prestazioni nel tempo specialmente in funzione della loro tipologia strutturale (Tabella pag 2).

 

Nel frattempo sempre in riferimento alla normativa EN 12492:2002, veniva realizzata ed allestita in laboratorio, seguendo l’accurata progettazione preliminare, una specifica apparecchiatura per le prove di assorbimento degli urti. La struttura era così costituita:

  • Un portale costituente lo scheletro portante dell’intero sistema (Fig. 2).
  • Un sistema di guida formato da un tubo in pvc, opportunamente centrato grazie ad un meccanismo di tiranti, in grado di consentire la caduta libera e guidata della massa con una velocità di impatto superiore al 95% di quella che si otterrebbe teoricamente in una caduta libera (Fig. 3 - 3a).
  • Una testa di prova costruita con massa e densità simili alla testa umana in modo che le tensioni generate durante l’impatto abbiano una distribuzione il più possibile analoga alla realtà (Fig. 4).
  • Una massa in acciaio di 5 kg con la faccia di percussione emisferica (Fig. 5).
  • Un trasduttore di forza (cella di carico) fissato rigidamente tra la testa di prova e la base del pavimento; la cella, posizionata con l’asse baricentrico della testa, permette di rilevare forze e deformazioni con un campionamento di 3200 segnali al secondo (Fig. 6).
  • Uno strumento di condizionamento del segnale per trasformare il segnale nel formato richiesto (in questi casi trasforma differenze di potenziale in deformazioni e poi in chilogrammi-forza) in modo da renderlo subito utilizzabile attraverso un PC (Fig. 7).

2 Struttura proveFig 2 - Struttura prove

 

3 Sistema di guidaFig 3 - Sistema di guida

3a Sistema di guidaFig 3a - Sistema di guida

 

          Fig 4 - Testa di prova

 

5 Massa di acciaioFig 5- Massa di acciaio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6 Cella di caricoFig 6 - Cella di carico

 

7 Strumentazione acquisizione datiFig 7 - Strumentazione acquisizione dati

 

 

 

 

Infine sono state eseguite tutte le prove di rottura necessarie (anche più d’una per alcuni modelli di casco), e sono state tratte le considerazioni riguardanti le differenze tra caschi di nuova e vecchia generazione, l’energia assorbita nell’urto dal sistema casco-testa, la forza trasmessa alla colonna vertebrale durante l’urto in funzione della condizione dell’elmetto, l’influenza dell’esposizione ai raggi del Sole sulla capacità di assorbire energia durante un urto.

 

 

 

 

 

 

 

La normativa EN-12492, UIAA-106

8 EN12492 UIAA106 HelmetsFig 8 - EN12492 UIAA106 HelmetsLa rappresentazione grafica della normativa (Fig. 8), presenta sinteticamente i metodi di prova per i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti e non contiene quindi tutti i dettagli dei metodi di prova e dei requisiti di questi standard; per maggiori dettagli è necessario consultare le norme EN-12492:2002.

Si richiamano in questo ambito solo alcuni punti attinenti all’assorbimento degli urti verticali:

“…la protezione fornita da un casco dipende dalle circostanze in cui si verificano gli incidenti e il fatto di indossarlo non può sempre consentire di evitare la morte o invalidità prolungata. Il casco riesce comunque ad assorbire parte dell’energia prodotta dall’urto, riducendo l’intensità del trauma subito dalla testa. Poiché tale assorbimento di energia può danneggiare la struttura del casco, è necessario che questo sia sostituito sempre in caso di forti colpi, anche quando il danno non è evidente…”

“…lo svolgimento di ogni prova prevede che ciascun tipo di casco venga sottoposto a prova nelle condizioni in cui è messo in commercio, che venga regolato in base alle dimensioni della testa di prova e secondo le istruzioni del fabbricante, ed infine che venga condizionato come indicato in un apposito prospetto…”

“… per eseguire la prova di urto sulla parte superiore la norma richiede l’utilizzo di tre caschi condizionati in modo differente (uno invecchiato all’UV e stabilizzato per 24 h ad una temperatura di (20 ± 2)°C e umidità relativa del (65 ± 5)%, uno condizionato alla temperatura di (35 ± 2)°C, e uno alla temperatura di ( -20 ± 2)°C) e posizionati su teste di prova prestabilite e di taglie conformi alla EN 960 (Headforms for use in the testing of protective helmets)…”

La rappresentazione grafica espone i test che i caschi devono superare per ottenere la certificazione; i primi tre si riferiscono alla capacità di assorbimento degli urti e alla resistenza alla penetrazione, gli altri due alla resistenza del sottogola e alla resistenza, frontale e dorsale, del sistema di ritenzione.

La “capacità di assorbimento di energia verticale” viene valutata facendo cadere una massa di 5 kg da un’altezza di 2 m; la forza trasmessa alla sagoma della testa di prova non può superare 10 kN per la normativa EN (8 kN per la direttiva UIAA).

La “capacità di assorbimento di energia frontale, laterale e dorsale” viene valutata con gli stessi metodi, facendo cadere la massa di 5 kg da 0,5 m; la forza trasmessa alla testa di prova non può superare 10 kN per la normativa EN (8 kN per la direttiva UIAA).

La “resistenza alla penetrazione” si effettua facendo cadere sul casco una massa di forma conica di 3 kg da un'altezza di 1 m. Il percussore conico non deve toccare la sagoma della testa di prova.

La “resistenza del sottogola” viene verificata ponendo il casco su un dispositivo di prova. Una forza di 0,03 kN viene applicata ad entrambi i cilindri che simulano una mascella artificiale e si misura la posizione delle cinghie; la forza viene applicata per un periodo di 30 secondi fino a 0,5 kN (500 N) e mantenuta per 120 secondi. L’allungamento massimo del sistema di ritenzione non deve superare 25 mm.

La “resistenza, frontale e dorsale, del sistema di ritenzione” si verifica montando il casco su una testa di prova. Una massa di 10 kg viene fatta cadere da un'altezza di 175 mm; il casco non deve staccarsi dalla forma della testa di prova.

I test: generalità e descrizione

In riferimento alla normativa esposta si precisa che i vari test si sono svolti presso il laboratorio del Dipartimento di Costruzioni e Trasporti, avente una temperatura di 19°C ed un'umidità relativa del 70% costantemente per tutto il periodo dell'anno. Inoltre i test hanno riguardato solo la “capacità di assorbimento di energia verticale”, valutata facendo cadere una massa di 5 kg da un’altezza di 2 m.

9 Test di provaFig 9 - Test di provaInizialmente, montata l'apparecchiatura come spiegato nel paragrafo precedente, sono stati effettuati alcuni test di prova atti a calibrare i vari dispositivi su alcuni elmetti da cantiere (Fig. 9). Una volta verificato che tutto funzionasse correttamente, ogni casco è stato posizionato nella testa di prova in maniera accurata e ben allacciato in modo da garantirne la stabilità durante l'impatto.

Successivamente, si lasciava cadere liberamente la massa di acciaio dall'altezza prevista, cioè 2 m dall'estradosso della calotta, all'interno del tubo guida, in modo da garantire l'impatto sempre nella sommità del casco (l'assialità era fondamentale in quanto si voleva valutare il massimo sforzo naturale di compressione possibile sulla colonna vertebrale); avvenuto l'impatto si memorizzavano e si archiviavano i dati ottenuti dalla cella per poter procedere successivamente ai loro confronti. Quasi tutti i caschi sono stati sottoposti a più di una prova: tra la prima e le successive ogni elmetto veniva tolto dalla testa di prova e successivamente rimesso in modo da eliminare le deformazioni residue dovute all'eventuale incastro generato dall'urto; questo, infatti, avrebbe falsato le prove poiché parte dei movimenti dissipativi che il meccanismo del casco avrebbe dovuto fare sarebbero mancati causando maggiori sforzi sulla cella.

Risultati

Nella sperimentazione sono stati utilizzati, come già esposto in tabella 1 e 2, i seguenti caschi:

- CAMP Rock Star, modello classico dal design semplice, leggero e confortevole, costituiti da una calotta stampata ad iniezione in polietilene HD di spessore variabile da 2 mm fino a 3 mm ed una struttura interna in fettucce di nylon. La calotta esterna deve essere in grado di scaricare l'energia d'impatto al telaio; sistema di regolazione rapida semplice ed efficace (Fig. 10 - 10a).  

- CAMP Silver Star Casco compatto e leggero e confortevole, dotato di un sistema di regolazione rapida semplice ed efficace. Calotta in ABS stampata ad iniezione, con top interno in polistirolo ad alta densità. Struttura interna in nylon ricoperta con mesh traspirante in vellutino antisudore con trattamento antibatterico Dri-lex (Fig. 11).

10 CAMP Rock Star casco nuovo 2002Fig 10 - CAMP Rock Star casco nuovo 2002

 

10a CAMP ROCK Star linterno dopo il testFig 10a - CAMP ROCK Star l'interno dopo il test

11 CAMP Silver Star casco nuovo 2002Fig 11 - CAMP Silver Star casco nuovo 2002

 

12 EDELRID Full Carbon casco del 1996Fig 12 - EDELRID Full Carbon casco del 1996

 

La CCMT ha procurato sei caschi usati: tre EDELRID Full Carbon (Fig. 12), un GRIVEL The Cap Carbon (Fig. 13) e due vecchi CASSIN (Fig. 14). Lo stato di conservazione era molto vario: buono per gli Edelrid ed il Grivel e scarso invece per i Cassin, di molto datati (circa 15-25 anni di più).

13 GRIVEL The Cap Carbon casco del 1998Fig 13 - GRIVEL The Cap Carbon casco del 1998

 

14 CASSIN Classic Rock anni 80Fig 14 - CASSIN Classic Rock anni 80

 

Lo studio avrebbe voluto avere un ampio sviluppo, sia per quello che concerne la sperimentazione che l’invecchiamento del materiale ed è quindi indiscutibile che per una ricerca più ampia e precisa non sia sufficiente un numero di caschi troppo limitato; inoltre, proprio per la valutazione dell’invecchiamento, si sarebbero dovuto utilizzare strumentazioni e metodologie apposite per sottoporre i materiali a cicli di invecchiamento accelerati rispetto all’esposizione naturale. Si evidenzia comunque come tutta la ricerca sia stata centrata sull’assorbimento di energia dovuto all’impatto per caduta di gravi e non a riprodurre in fedeltà le stesse prove utilizzate per certificare i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti. Quindi i commenti dei risultati e le considerazioni fatte si devono valutare criticamente tenendo conto dei limiti su cui si è svolta la sperimentazione; proprio per questo non si parlerà di un casco migliore rispetto ad un altro. Le prove che sono state effettuate in laboratorio sono molto complesse dal punto di vista fisico: i fenomeni che legano forza ed energia sono comunque evenienze non facilmente comprensibili con l’esperienza della quotidianità.

Ciò nonostante, avendo a disposizione venticinque prove è stato possibile fare un confronto diretto dal punto di vista del massimo sforzo raggiunto nelle singole prove. Sono stati eseguiti tutti i test di rottura necessari (anche più d'uno per alcuni modelli di caschi), sono state tratte le considerazioni riguardanti le differenze che ci sono tra i caschi di nuova e vecchia generazione, la forza che viene trasmessa alla colonna vertebrale durante l'urto in funzione della condizione del casco, l'energia che viene assorbita nell'urto dal sistema casco-testa e, infine, su quanto l'esposizione ai raggi del sole possa influenzare la capacità di assorbire energia durante un urto.

Dalle prove di laboratorio effettuate si è visto che ogni casco ha rispettato le attese ed in molti casi le ha anche superate (Tabella 3 - vedi nota). Infatti, i valori del primo drop test sono stati tutti inferiori ai 10 kN come richiesto dalla normativa e nella maggior parte dei casi anche il secondo e addirittura il terzo impatto sono stati assorbiti in maniera eccellente. Positivi risultati si sono ottenuti dalla determinazione della tenuta in funzione dell’usura dei materiali sintetici: infatti si è visto come gli elmetti invecchiati si comportino verosimilmente come quelli nuovi. L’invecchiamento è stato fatto in modo naturale per 6 caschi (3 Rock Star e 3 Silver Star ) ed i risultati si sono confrontati con quelli degli stessi modelli nuovi. Si sono anche eseguiti drop test su caschi “vecchi” ed utilizzati in ambiente alpino per diversi anni (dai 3 ai 5 anni) e anche in questo caso le risposte sono state più che soddisfacenti.

È da tener inoltre presente come i due vecchi elmetti Cassin erano visibilmente deteriorati ed i loro apporti non si sono presi in considerazione per ottenere giustificate analisi.

Tabella pag 3 - Risultati test laboratorio

 Conclusioni

Il binomio confort-leggerezza è la principale caratteristica tecnica su cui si basa l’acquirente medio al momento dell’acquisto del casco da alpinismo. Al giorno d’oggi l’ottimizzazione degli spessori, salvaguardando comunque e sempre le prescrizioni della normativa, permettono di rendere i caschi più leggeri e allo stesso tempo più confortevoli ed indossabili. Attualmente ogni costruttore ha lanciato nel mercato come casco di punta quello costruito con la tecnologia in-moulding. La rincorsa globale alle tendenze del mercato non ha comunque fatto perdere di vista i fondamentali requisiti che devono soddisfare gli elmetti nel corso della loro vita. Dalle prove svolte si intuisce come lo spessore troppo sottile della calotta non sia in grado di assicurare un’adeguata rigidezza e faccia sì che il materiale espanso (nel caso di caschi moderni o composti), riceva il colpo in una zona localizzata raggiungendo rapidamente condizioni estreme (fase di densificazione del polistirene espanso), per cui l’accelerazione rilevata è alta. Il punto ottimale, caratterizzato da un minimo dell'accelerazione e della forza trasmessa al capo, si intuisce sia per uno spessore della calotta di circa 0,5 mm. Si può affermare che le limitazioni di garanzia per funzionalità dei caschi che le ditte forniscono, sono periodi validi, sicuramente non al limite, invece piuttosto prudenziali.

Il fattore tempo è fondamentale, anche se sicuramente un casco ancora imballato e rimasto al buio per 10 anni risponderà meglio al drop test rispetto ad uno stesso modello utilizzato magari per soli due anni ma da un professionista della montagna. La vita media di un elmetto è di circa 4 anni per una persona che fa abbondante attività alpinistica: infatti, soprattutto i caschi moderni proprio per come sono concepiti e costruiti, dopo un certo quel periodo iniziano a mostrare segni di cedimenti e imperfezioni come rotture della calotta per piccoli urti o perdite di tenuta dei collanti a causa dei cicli di caldo-freddo.

Nel caso dei caschi, le certificazioni delle ditte durano 3 o 4 anni: questo non vuole assolutamente affermare che superata quella soglia i caschi non funzionino più, ma si è visto che caschi utilizzati frequentemente per periodi superiori ai 3-4 anni presentano uno stato di degrado molto più avanzato.

Sebbene avvengano spesso incidenti, al giorno d’oggi non è pensabile che questi siano causati da trascuratezza nella cura e nella scelta dei materiali: l’alpinista e/o l’arrampicatore devono rendersi conto di quando è ora di rinnovare la propria attrezzatura. Consapevoli di ciò e che il casco serve e può salvare la vita, ricordate sempre di tenerlo ben allacciato.

Bibliografia

[1]   Titton Michele, I caschi da alpinismo 1a parte, La Rivista del CAI luglio-agosto 2008

[2]   Titton Michele, I caschi da alpinismo 2a parte, La Rivista del CAI settembre-ottobre 2008

Nota

Il newton - "N" - è un'unità di misura della forza nel Sistema Internazionale; un N è la forza che applicata a una massa di 1 kg le imprime l'accelerazione di 1 m/s^. Un decanewton - "daN" (10 newton) viene spesso usato perché equivale a circa 1 kg peso.

Un kilonewton "kN" (1000 newton) equivale quindi a circa 100 kg peso.

Venerdì, 06 Dicembre 2024 09:22

Breve resoconto non puntuale del convegno, da parte del “provato” moderatore Claudio Inselvini.

Martedì, 29 Ottobre 2024 18:20

Resoconto del Convegno del Gruppo Orientale - GROPADA 20 ottobre 2024

di Francesco Leardi

ottimizzazione e grafica A. Rampini

Il giorno 20 Ottobre si è svolto nella rilassante e intima località di Gropada (TS) il convegno-assemblea del Gruppo Orientale.

In realtà il mio coinvolgimento per questo evento è stato dal giorno 18 nel quale ho iniziato il mio cammino sul suolo triestino e goriziano.

Ovviamente andava oltre il mio ruolo di presidente.

Su consiglio di Mauro Florit ho puntato l’interesse sulla mostra di “Julius Kugy e donne in quota” a Gorizia al palazzo Coronini che tra l’altro resterà aperta alla visita fino al 6 Gennaio 2025.

2

3

1 Mostra KugyLa mostra su Kugy

 

0 Sentiero RilkeSul Sentiero Rilke

Con 2 euro per i soci C.A.I. si accede a due sale con pannelli che illustrano con fotografie e frasi la vita di Julius Kugy e la situazione sociale delle donne in quota sia alpiniste che “portatrici” ai tempi della guerra, argomento che peraltro si adattava perfettamente al tema del nostro convegno pomeridiano.

Una breve visita mattutina sul sentiero Rilke a Duino e il trasferimento successivo a Gorizia ci hanno permesso di aspettare l’apertura della mostra e quindi radunarci nel tardo pomeriggio con Jennifer Dall’Armellina, nostra moderatrice al convegno e Alessandra Gaffuri accademica del gruppo centrale con la preziosa testimonianza che avrebbe portato al convegno di donna a confronto in un mondo maschilista.

Con un tempo inaspettatamente clemente alla mattina di sabato 19 ci attende all’inizio della strada Napoleonica Giorgio Ramani storico “passaggista” ma soprattutto memoria storica del movimento di arrampicatori che si sono avvicendati e spellati le dita sui passaggi andando ad altezze che oserei definire proibitive letteralmente “senza rete” rischiando non le sole caviglie ma ben altre fratture.

4 Giorgio RamaniGiorgio Ramani

 

6Giorgio Ramani indica la mitica "X"

5 Sulla XSulla X

 

6 bis

8

 

 

 

 

 

 

Scorrendo lungo la Napoleonica siamo stati avvolti dalle leggende di nomi e volti alcuni conosciuti altri famosi ma solo ai locali e non per questo meno abili.

Insieme a noi la disponibile e solare Giuliana Pagliari INAL di Trieste e relatrice della domenica, preziosa compagna di escursioni storiche e naturalistiche che andò poi ad elencare.

Sotto gli occhi attenti di Ramani e Florit sulla mitica “X” di Ramani si avvicendavano Maistrello e Dalle Nogare verso l’”incognito”e per fortuna con un buon pad sotto le caviglie.

Nel frattempo ci aspettavano il “custode” Aldo Fedel della grotta Gigante e il presidente della SAG  Paolo Toffanin.

 

All’interno della grotta veramente gigantesca è stato attrezzato un itinerario di arrampicata mista ci circa 170 metri da parte del “custode” e Paolo Pezzolato detto “Fossile”,  molto suggestivo e che richiede ovviamente un sapiente uso delle staffe e la relativa tecnica per non arrivare alla balaustra finale come degli zombi.

Ovviamente poteva aprire questo itinerario in una grotta solamente un personaggio soprannominato “Fossile”.

Le cordate si stavano formando e cioè nell’ordine di partenza Ivo Maistrello e Marco Davoli, Carlo Dalle Nogare e Giuliano Bressan, Giuseppe Tararan e Mauro Moretto il tutto sotto la attenta supervisione di Mauro Florit ottimo coordinatore dell’evento.

Pronti partenza e via e così Ivo è la cavia che affronta questa via nella penombra di un ambiente veramente singolare.

Nel frattempo insieme ad altri convenuti risaliamo i cento metri gradinati di dislivello verso l’uscita affascinati dalla grandezza dell’ambiente.

9Luci ed ombre danno rilievo alle fantastiche strutture della Grotta Gigante

10

 

 

 

11

 

12

Prossima destinazione per noi che abbiamo scelto una giornata di relax, il paesino di San Lorenzo dal quale si sovrasta la splendida Val Rosandra, attendendo per le 20 l’arrivo delle cordate alla balaustra, fine dell’itinerario.

Un dolce pensiero per il nostro collega Maurizio Fermeglia che qua ha concluso il suo cammino avvolge di commozione il nostro gruppetto.

Per fortuna la Giuliana, grande conoscitrice della valle, ci fa volare oltre, sfiorando con lo sguardo spigoli, aggirando creste e salendo strapiombi.

Un vento non fastidioso e un cielo grigio molto suggestivo ci accompagnano in questa visita in un luogo così carico di significato per l’ambiente triestino.

Poi con la macchina verso le Grotte di San Canziano per ammirare la maestosa bellezza del fiume Timavo che entra nella terra e nel suo percorso carsico sotterraneo arriva a San Giovanni di Duino per gettarsi nel mare dopo 39 chilometri di anonimato sotto terra incrociando l’abisso di Trebiciano che come un comignolo è uno sbocco verso il cielo.

Pensate che ci sono speleologi ed ovviamente speleo sub che per trovare sbocchi carsici hanno fatto una ragione di vita di questo loro impegno oserei dire anche assai pericoloso ma molto avventuroso.

Altro trasferimento alla grotta Gigante ormai chiusa al pubblico che apro io con le chiavi che mi ha lasciato l’Aldo Fedel.

Quante persone nella loro vita possono dire di avere avuto a propria disposizione la chiave di una grotta e che grotta?

Oramai sono le 20 e sollecitando i ragazzi impegnati in parete li invitiamo a sbrigarsi per il buio ormai imminente: ovviamente il tutto nella grotta!

Grande cena in splendida compagnia e armonia e poi la notte porterà consiglio per l’assemblea e il successivo convegno.

La mattinata del 20 Ottobre è splendida e di primo mattino con Mauro arriviamo a Gropada dove già il buon “Calice”, al secolo Stefano Zaleri, sta predisponendo le indicazioni per arrivare alla sala del Pub Skala nel cui interno Roby Valenti allestisce la parte per così dire informatica.

E veniamo alla parte del Convegno in quanto la parte congressuale va agli atti per così dire istituzionali.

16 Jennifer DallArmellinaJennifer Dall'Armellina conduce il Convegno

 

14 Da sinistra Stefanelli. Gaffuri MeroiDa sinistra Stefanelli. Gaffuri e Meroi

17 Sara Avoscan e Omar Genuin e la piccola Lia17 Sara Avoscan, Omar Genuin e la piccola Lia

18 Nives e OmarNives e Romano

 

20 Assemblea istituzionale alla mattina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

21 Assemblea istituzionale alla mattinaL'Assemblea istituzionale della mattinaDa presidente ormai agli sgoccioli con la tensione per gli eventi così incalzanti, saluto il pubblico e lascio la parola alla moderatrice Jennifer Dall’Armellina che da subito ci accompagna con la sua simpatia e preparazione alla scoperta delle vite ed esperienze delle relatrici.

Giuliana Pagliari ci lega alla sua corda lungo la sua via fatta di arrampicate estreme e insegnamenti ad allievi della scuola Comici della quale è la direttrice.

Le parole di Giuliana così distaccata dall’autocelebrativo ci riempiono di commozione per il suo percorso di affermazione personale.

Da triestina ci introduce poi ad un sorprendente filmato gentilmente concesso dalla famiglia Rauber depositaria di un archivio fotografico pregevolissimo con inedite immagini di Emilio Comici poi donne sensuali in costume da bagno dell’epoca e singolari pose in arrampicate e discese in corda doppia.

 

 

 

 

 

 

 

Entra poi in gioco Alessandra Gaffuri con il suo entusiasmante percorso personale non solo legato alla montagna ma anche cammino di vita tra gioie e apprensioni, mamma, moglie e veterinaria.

Un vulcano ancora in attività che Jennifer, noto, scruta quasi con ammirazione.

Jennifer poi ci concede una frizzante intervista con Sara Avoscan e Omar Genuin e la loro piccola Lia che gattona in ogni dove sul palco mentre papà e mamma ci fanno vedere delle meravigliose immagini di gattonate verticali in Marmolada con la ripetizione della via Steps across the border/Senkrecht ins Tao (X-) un itinerario percorso in prima ascensione da Prem Darshano (al secolo Luggi Rieser) e Ingo Knapp l’11 ottobre 1995 e che conta, compresa la loro salita solo 5 ripetizioni.

Locandina convegnoMentre si avvicina a me gli occhi vigili e attenti di Omar mi scrutano e con molta delicatezza si scusa della breve permanenza della sua famigliola ma lo rassicuro perché tutti abbiamo notato che la piccola Lia oggi era ingestibile: forse le manca il pannello da arrampicata?

Entrano poi in ballo Nives e Romano che oserei definire la coppia di ferro e sulle immagini del loro quattordicesimo ottomila, l’Annapurna, ci lasciano ancora senza fiato, e non è un eufemismo, immergendo il nostro essere in quel mare di solitudine così pregnante.

Poi la sempre presente e brillante Jennifer comincia con le domande alla coppia che evidenzia la loro situazione personale e cioè il “soli ma uniti” che li ha portati in giro per il mondo.

E il litigio in vetta all’Annapurna? Chi aveva ragione? Romano afferma di avere lui sempre ragione ma ho l’impressione che la Nives, con quello sguardo così vispo, attento e contemporaneamente dolce abbia la testa adatta per tenere banco al “suo uomo”.

Sempre belli e brillanti nonché affascinanti.

Un attimo di pausa e ci viene offerta da Franco Toso che si è prestato anche per l’assistenza tecnica, la visione del film “Signora delle cime” su Bianca di Beaco che ci immerge in un alpinismo di altri tempi proiettandoci anche volti ben noti a noi accademici.

Con una certa commozione, oltre ad altri personaggi triestini dell’epoca, compare il mitico Jose Baron e poi Walter Mejak che però non ho conosciuto e sappiamo che in sala a vedere il film c’è la moglie Fioretta Tarlao , un tipetto singolare di 86 anni assai frizzante e molto coinvolgente.

Il film di Franco Toso ci trascina in un mondo così lontano ma anche così attuale lasciandoci stupiti dai profondi sentimenti e riflessioni di Bianca, donna sensibile ma soprattutto LIBERA.

E questo è stato il senso dato al nostro convegno rivolto alle nostre compagne che siano di vita, di cordata, di qualsiasi cosa con la consapevolezza di tributare il nostro rispetto verso di loro.

Un grazie molto sentito a Paolo Toffanin presidente della SAG e Piero Mozzi presidente della XXX Ottobre che hanno favorito questo progetto.

Aldo Fedel, custode della grotta, ci ha fatto capire come si può amare con passione il proprio lavoro.

Un ringraziamento ai colleghi accademici che mi hanno fatto da capocordata su questa via verso Gropada, Florit, Valenti e Zaleri.

Legate a questa cordata, alle quali sono debitore, anche la sempre presente Anna Bressan,  l’infaticabile Sofia Beltrami e la mia ragioniera e scrutinatrice Fiammetta Curcio.

E grazie ai convenuti!

Venerdì, 27 Settembre 2024 10:51

CONVEGNO NAZIONALE C.A.A.I.

16 novembre 2024

presso Abbazia Benedettina di Maguzzano – Lonato (BS)

img185Il delicato e attualissimo problema dell’equilibrio tra conservazione del patrimonio storico e sistemazione (valorizzazione?) degli itinerari verrà osservato ed approfondito nei suoi molteplici aspetti da relatori qualificati come Matteo De Zaiacomo, Matteo Rivadossi, Heinz Grill, Ivo Rabanser, Beppe Villa, Tommaso Lamantia, Luca Calvi ed altri.

Scarica qui la locandina

Informazioni utili

Alberghi e B&B a Desenzano del Garda

Cartina Desenzano del Garda

img11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PIEGHEVOLE2024 11 page 0001

PIEGHEVOLE2024 11 page 0002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovedì, 26 Settembre 2024 11:39

LA MONTAGNA E’ DONNALOCANDINA

Convegno autunnale del Gruppo Orientale del CAAI

20 Ottobre 2024 - Gropada (TS)

Il Convegno-assemblea autunnale del gruppo Orientale C.A.A.I. si terrà domenica 20 Ottobre 2024 presso la CASA DELLA CULTURA SKALA DI GROPADA - Gropada 82 (TS).

L’appuntamento per i soci è alle ore 9,00. Dopo la registrazione, Ariella Sain farà vivere con immagini un ricordo del suo compagno di vita Marino Babudri nostro stimato e apprezzato collega. A seguire Diana Sbabo e Ivo Maistrello presenteranno il libro “Progetti verticali sul Sojo Rosso e Sojo d’Uderle” sviluppato con il contributo fotografico di Luca Giovannini.

Diana e Ivo per diversi anni hanno arrampicato su queste pareti anche condividendo momenti di vita.
A seguire proiezione di un interessante filmato.

L’Assemblea proseguirà con gli adempimenti statutari, comunicazioni, elezioni ecc. come da odg che verrà inviato ad ogni socio.

Dopo il pranzo sociale, a partire dalle 14,30, ci sarà il Convegno aperto al pubblico “LA MONTAGNA E’ DONNA” – scarica qui la locandina – con l’intervento di qualificati relatori e la proiezione del film “Signora delle cime” docufilm su Bianca di Beaco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì, 25 Settembre 2024 18:54

MEETING VAL GRANDE IN VERTICALE

14/15 settembre 2024

20240914 133716Al tempo non si comanda, questa volta non siamo riusciti ad evitare il famigerato e tanto temuto “weekend di brutto tempo”. Nelle sette edizioni precedenti la fortuna ci aveva sempre baciato, magari non avevamo avuto due giorni di sole pieno, anzi il sabato del primo raduno era iniziato con la pioggia, però eravamo sempre riusciti a salvare l’evento. Questa volta no, ma d’altra parte, anche solo per un calcolo delle probabilità, doveva prima o poi accadere.

A metà settimana piogge torrenziali avevano già creato molti danni e disagi e la domenica era prevista un’altra intensa ondata di maltempo e così, con una “riunione d’emergenza” dell’ultima ora, l’ineluttabile decisione: rinviamo il raduno al prossimo fine settimana.

Cosa facile a dirsi, e obbligatoria per le condizioni ambientali venutesi a creare, ma non così banale da attuare. Tutte le attività previste potranno essere fatte? Ci sarà ancora la disponibilità di tutti i volontari coinvolti?

Convulsi giri di messaggi e telefonate. Verifiche di disponibilità dell’ospite, della sala comunale, delle scuole di alpinismo, dei volontari. Senza contare l’aggiornamento della parte di comunicazione, banalmente le locandine disseminate in valle da correggere. Nulla di scontato, eppure alla fine ce l’abbiamo fatta, con l’impegno e la buona volontà di tutti.

Solo due delle attività previste purtroppo non siamo riusciti a salvare: la prova scalata per adulti neofiti e l’attività dimostrativa delle guide alpine Valli di Lanzo. Ma tutto il resto sì, compresa la novità di questa edizione: la passeggiata naturalistica per riconoscere piante e fiori fatta dal grande esperto Aldo Chiariglione con l’ausilio della guida naturalistica Diego Antonucci. Un’iniziativa che ha riscosso un grandissimo successo, suscitando tanto interesse e curiosità.

20240914 213755

20240915 165728

Il meteo ci ha premiato, due giornate di sole, persino il forte vento del venerdì ha cessato di soffiare sabato mattina. Ma si sa, al tempo non si comanda, e se è andata così è solo perché ha voluto farci un grande regalo, non certo per le nostre risentite rimostranze. Anzi a ben pensarci il regalo è stato doppio perché prima il vento ha provveduto ad asciugare tutto e dopo il sole ha fatto sì che tutti potessero scalare. Magari non faceva proprio caldissimo ma sono solo dettagli e tutti si sono divertiti sulle belle pareti di Sea e della Val Grande.

20240803 112638Gli iscritti ufficiali si sono attestati sulle 300 unità, un po' meno dell’anno scorso ma è il pegno da pagare per lo spostamento di data, poi ci sono stati di nuovo un centinaio di bambini, gli allievi del corso trad della Gervasutti, i camminatori della gita sociale del CAI e soprattutto i già citati partecipanti alla passeggiata naturalistica che sono stati 60, senza contare tutti quelli che hanno partecipato alla conferenza sulle erbe del sabato a Pialpetta. Inoltre c’è chi ha presenziato alla serata tenuta da Andrea Bonaiti sulla sua spedizione al Nanga Parbat. Un film documentario nella sua semplicità molto avvincente che nonostante la durata non indifferente, un’ora e mezza, ha riscosso un buon successo, essendo la sala comunale a Cantoira piena. Purtroppo, come già detto, non è stato possibile tenere la giornata prova scalata per neofiti e la dimostrazione delle guide alpine. Però i commenti in valle sono stati tutti positivi, da ristoratori, albergatori e commercianti il riscontro è stato ottimo e questo per noi è molto importante in quanto uno degli obiettivi del raduno è quello di portare gente in Val Grande a vantaggio dell’economia locale. 

Il numero degli iscritti ufficiali come al solito non corrisponde mai alla gente che durante l’evento gira in valle e purtroppo non corrisponde nemmeno a chi si avvale delle iniziative proposte nell’ambito della manifestazione. Dispiace che molti non capiscano, o non vogliano capire, lo spirito e le finalità che questo evento si prefigge. Dispiace soprattutto se a non capire sono gli scalatori che poi percorrono quegli itinerari ripristinati grazie ai proventi derivanti dalle iscrizioni. Ogni anno, da molto tempo ormai, vengono piazzate centinaia di fix e non solo in Val Grande ma anche in Val di Viù e Val d’Ala, un’opera che rende di nuovo fruibili tantissime vie e falesie altrimenti destinate all’oblio. E ogni anno è sorprendente come si riesca sempre a trovare nuovi progetti, così tanti che probabilmente non basteranno altrettanti raduni per finire tutto. Le Valli di Lanzo sono incredibilmente ricche di pareti e certamente Sea è il luogo che più di ogni altro testimonia questa ricchezza. Una Sea minacciata dall’ennesimo progetto di costruzione di una strada ma anche una Sea valorizzata e ora uscita dal dimenticatoio. A dimostrazione di ciò la presenza nel Vallone di due tra i più forti scalatori al mondo, Didier Berthod e Fred Moix, alle prese con un progetto al Trono di Osiride, si dice un tetto con difficoltà sul 9a. Anche se la difficoltà, se sarà davvero quella, non sarà “popolare” sicuramente il ritorno di immagine sarà notevole. Ed è bello pensare che forse senza gli sforzi di questi anni Sea sarebbe ancora oggi un vallone sconosciuto e dimenticato, del quale probabilmente nemmeno i due svizzeri avrebbero mai sentito nemmeno parlare.

Per questo è nostra intenzione continuare a fare il Val Grande in Verticale!

Ringraziamo tutti gli sponsor: Ortovox, La Sportiva, Camp, Grivel, Ferrino, Edelrid, Grande Grimpe, Mulin Barot, Uova Fantolino, la Libreria della Montagna. I negozi tecnici Mountain Sicks e Bshop. Le palestre indoor Bside, BoulderBar, Escape, Sasp, Cus, La Mole. Gli esercizi commerciali/aziende della Valle. Grazie!

Settembre 2024

Luca Enrico

CAAI Gr. Occidentale e Gruppo Valli di Lanzo in Verticale   

Ottimizzazione e grafica A. Rampini       

 

IMG 20240916 WA0004

IMG 20240916 WA0012

 

20240828 163259

IMG 20240916 WA0006

IMG 20240915 WA0036

IMG 20240915 WA0016

20240810 124121

IMG 20240914 WA0037

 

IMG 20240817 WA0010

    

 

IMG 20240916 WA006120240803 124312

Mercoledì, 21 Agosto 2024 21:32

64 DSC01454 foto F.Scotto
Con una cerimonia seguita da decine di appassionati di montagna, il 13 agosto la struttura, di proprietà del Club Alpino Accademico Italiano, è stata ufficialmente intitolata anche a Matteo Campia, forte alpinista cuneese che ne promosse la costruzione a ricordo di Niculin Gandolfo, suo compagno di cordata e altro nome famoso dell’alpinismo cuneese, scomparso nel 1961. Come ha ricordato Fulvio Scotto, Presidente del Gruppo Occidentale del CAAI, si è voluto ricostituire idealmente la cordata che per una ventina di anni, tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Cinquanta, praticò assiduamente su queste montagne un alpinismo di esplorazione e di avventura con autentico spirito accademico. Il Bivacco, già inaugurato nel 1970 e che si chiamerà da ora BIVACCO CAMPIA-GANDOLFO, si trova in uno degli angoli più belli delle Alpi Marittime, a 1847 metri di quota nel Vallone del Dragonet, in Alta Valle Gesso. Il bivacco, ovviamente incustodito ma sempre aperto, è fornito di fornello a gas, brandine con materasso e coperte. La struttura è punto d'appoggio per diverse salite alpinistiche, relazionate in una breve dispensa preparata per l'occasione dal CAAI 8 (scarica qui Prima parteSeconda parte - Terza parte)

Dopo la posa di una targa ricordo sul bivacco, con l’intervento del Vescovo di Pinerolo, Monsignor Derio Olivero, appassionato alpinista, l’evento è proseguito a valle a Sant’Anna di Valdieri con la partecipazione di figure di spicco dell’alpinismo cuneese, dei rappresentanti del Parco delle Alpi Marittime e del Comune di Valdieri, nonché Giorgio Campia, figlio di Matteo Campia. Presente una rappresentanza del CAAI composta dal Comitato di Presidenza del Gruppo Occidentale e dal past president Corradino Rabbi.

Ottimizzazione e grafica A. Rampini 

 

targa Bivacco Campia Gandolfo

 

53 IMG 20240813 WA0029 foto U.ValocchiGiorgio Campia scopre la targa che testimonia della intitolazione del bivacco a suo padre Matteo Campia e al suo compagno di cordata Niculin Gandolfo - Ph U.Valocchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

60 IMG 20240814 WA0035 foto M.CastagniUn momento della cerimonia - Ph M.Castagni

Inaugurato nel 1970, il bivacco è stato oggetto di periodiche manutenzioni, l’ultima delle quali recentissima coordinata da Anselmo Giolitti. Anche il sentiero di accesso, lungo e con un paio di passaggi attrezzati con corda fissa, viene regolarmente tenuto accessibile grazie al lavoro di tanti: dall'Aib di Borgo San Dalmazzo, ai volontari, al Soccorso Alpino, agli operai forestali della Regione Piemonte e della squadra tecnica delle Aree Protette delle Alpi Marittime.

Un ringraziamento particolare va quindi a loro e alle tante altre persone che nel tempo si sono occupate e si occupano del mantenimento della struttura e del percorso di accesso.

In occasione della re-intitolazione, il CAAI, ha diffuso una breve monografia sulle principali possibilità di alpinismo d’avventura nel selvaggio Vallone del Dragonet, per le quali il rinnovato Bivacco “Matteo Campia-Niculin Gandolfo” serve da base di appoggio.

01 IMG 4710 foto A.SanteusanioLa rappresentanza del CAAI, con al centro Monsignor Derio Olivero e alla sua sin. Giorgio Campia. Da sin. Francesco Drocco Aspirante CAAI, Sergio Calvi in rappresentanza delle Guide Alpine, Umberto Valocchi, Fulvio Scotto e a destra Anselmo Giolitti - Ph A.Santeusanio

                                Da sin Giorgio Campia, figlio di Matteo, Antonio Santeusanio e Fulvio Scotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

04 DSC01500 foto F.ScottoLa testata del Vallone del Dragonet nel controluce pomeridiano, dal sentiero di accesso - Ph F.Scotto

02 DSC01439 foto F.ScottoAl centro il Vallone del Dragonet con illuminata dal sole la parete Nord Est della Cima del Dragonet con a sin, in ombra, l’aguzza Guglia del Dragonet e la parete Nord dell’Asta Soprana - Ph F.Scotto

10 DSC01497 foto F.ScottoLungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph F.Scotto

15 DSC01466 foto F.ScottoUn momento della manifestazione al Bivacco Campia-Gandolfo - Ph F.Scotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

041 DragonetMagia del Vallone del Dragonet

71 DSCF1832 foto N.Villani

48 IMG 20240813 WA0009 foto U.ValocchiSalita lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph U.Valocchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

45 DSC01448 foto F.ScottoNell'ultimo tratto del sentiero verso il Bivacco Campia-Gandolfo, sullo sfondo il Monte Matto - Ph F.Scotto

35 DSC01415 foto F.ScottoMomenti di salita lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph F.Scotto

volontari squadra AIB Borgo S.Dalmazzo puliz sentieroVolontari della squadra AIB Borgo S.Dalmazzo, impegnati nella pulizia del sentiero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Monsignor Derio Olivero interviene alla cerimonia dell'intitolazione

                               Lungo il sentiero del Vallone del Dragonet, sullo sfondo il Monte Matto

Alcune foto storiche

Vallone del Dragonet invernale foto F.ScottoVallone del Dragonet invernale - Ph F.Scotto

Vallone Dragonet a primaveraVallone del Dragonet a primavera

072 1 invern parete N Asta Soprana foto F.Scotto21 febbraio 1988, prima invernale della via Campia-Gandolfo-Nervo alla Parete Nord dell'Asta Soprana - Ph F.Scotto

Asta Sott 1 ripet via LEco del Drago foto G.CanuAsta Sottana - Prima ripetizione della via L'Eco del Drago- Ph G.Canu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domenica, 23 Giugno 2024 19:55

Ricordiamo ADRIANA VALDO

di Alberto Rampini

Adriana Valdo scarponi
Sicuramente varia, piena e ai massimi livelli l’esperienza di vita di Adriana Valdo, collega Accademica che ci ha lasciato il 20 giugno scorso all’età di 93 anni.

Nata nel 1931, fra gli anni Sessanta e Ottanta si espresse al meglio sia nell’alpinismo che nella vita privata, mettendo a segno due primati davvero unici.

Fu la prima donna a laurearsi in ingegneria presso l’università di Padova (1957) e fu anche la prima donna ad essere ammessa al Club Alpino Accademico (1978).

Chi ha conosciuto Adriana sa perfettamente che questi risultati, assieme ad altri da lei ottenuti, sono il frutto solo della sua capacità e determinazione. Con modestia e pacatezza ha svolto un’attività di grande rilievo, soprattutto in Dolomiti, legandosi ai migliori alpinisti del momento, tra cui Piergiorgio Franzina, Silvano Pavan e Renato Casarotto, assieme al quale nel 1971 scalò il diedro Philipp-Flamm alla Nord Ovest del Civetta ed effettuò la prima invernale della Solleder al Sass Maor.

Fu una delle prime alpiniste italiane a condurre da capocordata salite di sesto grado e fu anche una sciatrice di ottimo livello.

Adriana non fu mai una femminista, non apprezzava le “quote rosa”, ben convinta che solo valore e impegno fossero un valido lasciapassare per ritagliarsi un posto in prima fila nell’ambiente alpinistico, ai suoi tempi ancora più di oggi prerogativa maschile, e in generale nella vita.

Continuò ad andare in montagna fino a pochi anni fa e ad 86 anni, in occasione dei lavori di ristrutturazione, salì al Bivacco Valdo nei Monti del Sole, costruzione da lei voluta assieme alla Sezione CAI di Vicenza e dedicata ai suoi genitori (oltre mille metri di dislivello).

Una passione durata tutta una vita per la quale nel 2012 le venne assegnato il Pelmo d’oro alla carriera.

A questo link l’interessante intervista ad Adriana Valdo effettuata nel 2013 da Eugenio Cipriani

Si ringrazia Eugenio Cipriani e la Redazione del sito Intraigiarun.

Venerdì, 21 Giugno 2024 14:28

Grande festa il 14 giugno a Cles, in Val di Non, in onore del concittadino Accademico Carlo Claus.

Edoardo Covi, Responsabile del Sottogruppo Trentino CAAI e Guido Casarotto, Vicepresidente del Gruppo Orientale, partendo dalla rievocazione della serata, tracciano un'immagine viva e spontanea dell'alpinista noneso.

Carlo Claus alpinista della storia

Genziana alla carriera Ph Giuseppe MendiniGenziana alla carriera - Ph Giuseppe MendiniCon questo invito coinvolgente si sono trovati a Cles (val di Non Trentino) venerdì 14 giugno alpinisti, amici, concittadini per festeggiare il nostro socio accademico Carlo Claus, autentico maestro di alpinismo e decano del nostro sodalizio. Alpinista della storia perché vi sono personaggi che non solo fanno la storia (in alpinismo come in altri campi) ma sono loro stessi una storia da raccontare. Nato a Lavis (Trento) nel 1926 ha vissuto da protagonista gran parte dell’evoluzione dell’alpinismo trentino e internazionale. Con suoi compagni di cordata, in particolare Marino Stenico e Cesare Maestri, tra i più forti arrampicatori dell’epoca, ha aperto vie che ancora oggi rappresentano un banco di prova per provetti alpinisti. Altri compagni che hanno condiviso con lui avventure in montagna sono tra i nomi più prestigiosi dell’alpinismo italiano: Sergio Martini, Mariano Frizzera, Almo Giambisi, Marco Pilati, Milo Navasa. Ascoltare i suoi racconti è come aprire uno un catalogo della memoria: aneddoti che richiamano tempi eroici in cui si andava sulle Dolomiti in bicicletta o in treno, gli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione, le spedizioni internazionali in Himalaia e quel Cerro Torre 1970 che ha segnato la sua vita. A Cles, suo paese d’adozione, la foltissima presenza di pubblico, molti i giovani in sala, ha testimoniato l’affetto e la gratitudine che circonda quest’ uomo cosi “comune” e cosi straordinario. Il docufilm “Carlo Claus alpinista della storia”, realizzato dal regista Claudio Redolfi ha restituito immagini d’epoca di rara suggestione. Numerosi gli interventi di amici di Carlo: Sergio Martini, Elio Orlandi, Rolando Larcher oltre al saluto delle autorità. Nominato accademico nel 1958 Carlo è attualmente il socio più anziano (per appartenenza e per età) del nostro Club. I molti soci accademici con il vicepresidente Guido Casarotto hanno voluto condividere questo momento con lui premiandolo cordialmente con alcune bottiglie di vino a lui dedicate. Perché Carlo, nonostante, o meglio, in virtù della sua età esprime una vitalità intellettuale e spirituale inimitabile. Quando diciamo che l’Accademico dovrebbe rappresentare non solo valori tecnici ma anche qualità umane intendiamo proprio quella “passione” gratuita e incondizionata per le montagne che Carlo incarna con tanta semplicità. Socio onorario del Cai (come Messner, Bonatti, Cassin…) è stato a lungo dirigente della Sat e anche per questo insignito di vari riconoscimenti. I cori alpini che hanno allietato la serata hanno contribuito a rendere il clima ancor più familiare per una festa che è sembrata a tutti un incontro tra vecchi amici. Alla fine tutti in piedi ad applaudire. Il nostro augurio “accademico” a Carlo: ti aspettiamo ai prossimi convegni che hai sempre onorato con la tua presenza. Ma tutti coloro che amano la montagna ti aspettano, perché accompagnando il tuo passo possono andare lontano.

Edoardo Covi

pubblico presente Ph Giuseppe MendiniPubblico presente - Ph Giuseppe Mendini

Omaggio da parte dellAccademico Ph Giuseppe MendiniOmaggio da parte dellAccademico - Ph Giuseppe Mendini

Carlo Claus

“A Cles una serata dedicata al grande accademico”: questo è il titolo con cui è stata resa nota nel sito del Comune di Cles l’iniziativa organizzata dalla sezione locale della SAT per celebrare Carlo Claus. L'evento intitolato in suo onore si è tenuto venerdì 14 giugno presso l’auditorium del Polo Scolastico, pochi mesi dopo che Carlo Claus aveva ricevuto la “Tavola clesiana d’argento” nella stessa sala, lo scorso 7 dicembre. Questa nuova iniziativa ha rappresentato un ulteriore segno di stima e affetto da parte della comunità locale, dimostrato anche dalla numerosa partecipazione di cittadini, amici, alpinisti, autorità e da una decina di rappresentanti dell’Accademico.

intervento Guido Casarotto Ph Giuseppe MendiniIntervento Guido Casarotto - Ph Giuseppe MendiniLa serata, condotta da Massimiliano Debiasi, è iniziata con i saluti del presidente della sezione SAT di Cles, Franco Battisti e di una rappresentanza delle autorità comunali. Successivamente, è stato proiettato il film-documentario “Carlo Claus alpinista della storia”, accompagnato dall'intervento del regista e autore del film, Claudio Redolfi.

A seguire, il Vicepresidente del Gruppo Orientale, Guido Casarotto, in rappresentanza della Presidenza dell’Accademico, ha preso la parola. Ha iniziato il suo intervento con una breve spiegazione di cos’è il Club Alpino Accademico, per poi evidenziare che Carlo Claus, nato nel 1926, è il membro più anziano del sodalizio, ed è entrato a far parte del Gruppo Orientale nel 1958. Nonostante si avvicini al traguardo dei 98 anni, Carlo è ancora spesso presente ai convegni e alle riunioni del gruppo. L’intervento di Casarotto è proseguito in questo modo: “Carlo è memoria storica del vivere e del frequentare la montagna con passione e rispetto, con saggezza ed umiltà. Egli, come altri accademici storici presenti in questa sala che hanno vissuto in prima persona la storia dell'alpinismo, ci fornisce testimonianze essenziali per comprendere le nostre radici, la nostra identità attuale e il nostro futuro. Questo è un patrimonio che non possiamo permetterci di perdere o di dimenticare, ma che dobbiamo valorizzare.”

Successivamente, si sono alternati sul palco il Presidente generale della SAT, Cristian Ferrari, il Presidente della Sosat, Luciano Ferrari, il Presidente del Club Armonia, Renzo Fracalossi, e gli alpinisti Rolando Larcher ed Elio Orlandi.

Particolarmente toccante è stato l'intervento di Sergio Martini, grande amico di Carlo, che ha raccontato di alcuni particolari momenti condivisi in alcune spedizioni.

I vari interventi sono stati intervallati e resi piacevoli dai cori della "Libera Coralità Clesiana" e degli "Armonici Cantori Solandri".

Foto G. CasarottoIntervento di Sergio Martini - Ph G. Casarotto«Come affermava Bruno Detassis, in una cordata non c’è né primo né secondo, ma solo due compagni che condividono la stessa intensa passione per la montagna, creando una sola entità. Ed è quello che distingueva la cordata formata da Cesare Maestri e Carlo Claus, due grandi alpinisti trentini e del mondo che hanno dimostrato, con le loro storiche salite, come l’amicizia e il rispetto reciproco siano la vera corda che unisce, per raggiungere le cime dei nostri sogni, anche quelli apparentemente impossibili».

Con queste parole, il presidente del Trento Film Festival, Mauro Leveghi, ha conferito a Carlo Claus la “Genziana alla carriera”. Questo riconoscimento, insieme a quello dato nel 2019 a Cesare Maestri, esprime la riconoscenza del Trento Film Festival per aver trasformato le scalate compiute da due persone che amavano la montagna in un patrimonio per tutti.

La serata si è conclusa con una meritatissima "standing ovation".

Guido Casarotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Standing ovation finale Ph Giuseppe MendiniStanding ovation finale - Ph Giuseppe Mendini

Foto del gruppo CAAI Ph Giuseppe MendiniFoto del gruppo CAAI - Ph Giuseppe Mendini

1718628676998Accademici presenti - Ph C. Barbolini

Domenica, 16 Giugno 2024 22:03

Tra Romagna e Marche due belle proposte a cura di Samuele Mazzolini.

Testi di Samuele Mazzolini

Ottimizzazione e grafica A. Rampini

BALZA DELLA PENNA - “L’inaffidabile”

                               "L'inaffidabile" - Tracciato “Basta Marco, oggi non passo, caliamoci qui e torniamo, non voglio rovinare questa placca salendola con artificiale o trucchetti vari”. Io e Marco Casi ci conosciamo da tanto tempo, più precisamente da quando lui, per primo, aveva cominciato a salire in libera le placche più difficili della falesia delle Balze, sul Monte Fumaiolo. Per me è un maestro e un mito, perché quando ho cominciato a scalare sognavo di salire leggero come lui su quei muri lisci. Abbiamo scalato spesso insieme e spesso ho potuto “godere” sui bellissimi monotiri che ha attrezzato un po’ ovunque tra Marche e Romagna, ma mai ci eravamo legati insieme per aprire una via. E’ bastato un messaggio e l’idea di un vecchio progetto, a sinistra di una mia via del 1998 alla Balza della Penna, ha cominciato a concretizzarsi. I primi tiri, non difficili, filano via veloci e ci portano al tanto atteso muro finale, che era per entrambi evidente sarebbe diventato il tiro chiave.

Il primo tentativo si risolve con ripetuti voli nel tratto chiave. Potrei tranquillamente salire con i cliff e mettere lo spit dove vorrei arrivare in libera, ma questo non è contemplato nella mia etica di apertura. Tornerò, un po’ più in forma, e risolverò il passaggio. Marco la pensa esattamente come me, e questo mi rende felice. Decidiamo di tornare un sabato di ottobre con noi c’è anche Francesco Piacenza, mio caro amico e compagno di scalate: voglio fargli vedere il tiro e vorrei aprisse qualcosa anche lui.

Mi preparo, avviso i compagni che molto probabilmente tornerò dopo poco da loro in vola ma inaspettatamente riesco subito a passare e a piazzare il cliff che mi permette di mettere il fix. Da lì in poi il morale si alza e finisco il tiro. Francesco a per gli ultimi venti metri fino in cima e poi ci caliamo ripulendo la roccia e sistemando tutte le soste per la salita in libera, ciliegina sulla torta dopo l’apertura della via. Un mesetto dopo mi sento con Marco per andare a fare la salita rotpunkt, ma purtroppo non può venire per un impegno. Mi dice: “vai lo stesso maestro, poi ci torneremo insieme”. Uno dei miei maestri che mi chiama maestro! Bella storia, questi anni non sono passati inutilmente, non abbiamo solo scalato.

Ci ho pensato spesso, magari prima di addormentarmi o nei viaggi andando a scalare: talvolta meglio scendere e rinunciare a salire a tutti i costi, per tornare e cercare di riuscire facendo meglio, nel rispetto delle regole non scritte di questo gioco, perché il rispetto delle regole è già di per se stesso un grande successo.

 

Inaffidabile 1Samuele Mazzolini in apertura sul tiro chiave - Ph Francesco Piacenza

LinaffidabileL'inaffidabile - Schizzo

 

 

 

Inaffidabile 3Giuseppe Babbi sulla bellissima placca del tiro chiave - Ph S.Mazzolini

 pdfScarica lo schizzo in formato PDF

Inaffidabile 2Marco Casi sul finale del tiro chiave - Ph S. Mazzolini

 

Inaffidabile 4Il Monte Nerone visto dalla Balza della Penna - Ph S. Mazzolini

 

MONTE TITANO - Parete Est - “La manutenzione dei sogni”

“Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro, e si chiamano ricordi. Alcune ci portano avanti, e si chiamano sogni”. (J. Irons)

Foto 7Leonardo Ronconi sull’ultimo tiro - Ph S. MazzoliniCredo fossero ancora gli anni ’90 quando andai in un caldo pomeriggio di luglio sotto il piastro della Cesta di San Marino per vedere una possibile via di salita. Allora sulla parete est del Monte Titano c’era solo un itinerario di più tiri, che si chiamava appunto “Via lunga”, ed io sognavo di aprirne un altro. La linea che immaginavo era più o meno quella che della via che ho aperto tra ottobre e gennaio, ma allora, a causa della mia inesperienza, battezzai la roccia poco buona e l’itinerario non fattibile. Con grande dispiacere e delusione me ne tornai a casa e rimisi i miei sogni di alpinista nel cassetto. Alcuni anni dopo, sul margine destro del pilastro, caratterizzato da una bella roccia grigia, fu però aperta da arrampicatori riminesi una bella via, divenuta poi negli anni una classica della parete. Ogni tanto vado a ripeterla, e un pomeriggio di ottobre dello scorso anno sono andato a scalarla con mio figlio. Scendendo dal sentiero attrezzato che riporta alla base della parete, ho riguardato con più attenzione la linea immaginata tanti anni prima e lo sguardo mi si è subito soffermato su una grossa nicchia impossibile da non notare, che interrompeva una bella linea di fessure. “Guarda Matti, su di lì ci starebbe proprio una bella via!”. E mio figlio, “allora vai e falla”. Detto fatto. Già il sabato seguente ero in cima al pilastro per fare una veloce ispezione dall’alto, in modo da rendermi conto se valesse la pena aprirla, ossia se la roccia non fosse stata troppo di cattiva qualità. Con grande stupore mi accorsi invece che, a parte qualche tratto, la roccia era davvero di buona qualità e la via pareva essere davvero bella, con tratti molto esposti.

Trovare il primo compagno è stato piuttosto semplice. Il pomeriggio dovevo infatti vedermi con Armando Amati per andare a fare alcune sue vie a Tausano e, dopo avergli detto che ero stato a San Marino, gli faccio vedere un paio di foto appena scattate della via che avevo in mente: in meno di un secondo Armando mi dice che sarebbe venuto volentieri con me. A lui si sono poi aggiunti altri amici con cui scalo abitualmente e l’apertura di questo itinerario è diventato un divertimento assoluto. Un lavoro di squadra che ci ha impegnato per alcuni fine settimana autunnali e in cui ognuno ha dato il suo contributo. Adesso, grazie ad Armando Amati, Fabrizio Grimandi, Simone Enei, Leonardo Ronconi e Zannoni Matteo un nuovo itinerario sale lo strapiombante e giallo pilastro della Cesta, offrendo una scalata entusiasmante e di sicura soddisfazione lungo fessure, spigoli e placche sospese.

Questa via, oltre al puro divertimento di scalarla dal basso e a un paio di multe che ho rimediato alla folle velocità di 51Km e 53Km orari mentre andavo a San Marino, ha richiesto anche un po’ di tempo per la pulizia di alcuni tratti di roccia non solidissima e per rendere la chiodatura più sicura. L’arenaria non è infatti una roccia sempre solida come il granito o il calcare, e dopo averla salita ci sono voluti un paio di giorni per sistemarla, per curarla, per mantenerla. Un po’ come per i sogni, che vanno coltivati e mantenuti sempre vivi dentro il nostro cuore.

Foto 2Samuele Mazzolini in apertura sul terzo tiro - Ph Simone Enei

 

 

Foto 3Simone Enei in arrampicata sul secondo tiro - Ph S. Mazzolini

Foto 1Fabrizio Grimandi in apertura sul secondo tiro - Ph S. Mazzolini

 

Foto 4Armando Amati in doppia sulla via - Ph S. Mazzolini

Foto 5Simone Enei nella caratteristica nicchia al termine del terzo tiro - Ph S. Mazzolini

 

 

Foto 6Matteo Zannoni sul diedro del secondo tiro - Ph S. Mazzolini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedì, 03 Giugno 2024 21:39

LA LIBERTA’ IN MONTAGNA

Rischio, libertà, responsabilità e business al tempo dell’alpinismo di massa

Testo e foto di Alberto Rampini snds

Il concetto di libertà, già di per sé estremamente complesso e sfaccettato sotto il profilo generale ed astratto, diviene se possibile ancora più complesso e difficile se lo si considera con riferimento all'esercizio delle attività legate alla montagna.

Ne è prova anche il fatto che, dopo anni di elaborazioni concettuali, non ha mai acquisito strutturazione concreta il progetto, condiviso con il CAI centrale, per la creazione di un Osservatorio per la libertà in montagna.

Traendo spunto da queste premesse vorrei cercare di impostare qui solamente i punti cardine che stanno alla base del problema. E questo a prescindere, per il momento, da eventuali limiti che possano essere posti dall'esterno all'attività in montagna.

La libertà del se e come frequentare la montagna nasce da un complesso di fattori che vanno dal grado di inclusione fino al grado di responsabilità.

La libertà di accesso viene normalmente, ma erroneamente, considerata un diritto e per di più un diritto assoluto. In realtà i diritti delle persone sono assoluti solo quando assolvono al compito primario della sopravvivenza e in questo senso si esprime in linea di principio anche il diritto.

Ma veniamo alla libertà e al diritto dei singoli, accorpandoli per semplicità in alcune categorie emblematiche.

          Incanto dell'ambiente montano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il diritto degli alpinisti e degli scalatori

Quando i primi esploratori e i primi alpinisti si affacciarono nelle vallate alpine, Ie sole problematiche presenti riguardavano l’individuazione dei percorsi, la stima delle difficoltà, la forza, affidabilità e capacità degli accompagnatori locali ingaggiati per guidare le comitive. Certamente queste presenze portarono un pò di scompiglio nel mondo chiuso delle comunità montane, ma a nessuno passò per la mente l’idea di mettere in dubbio il diritto di questi signori di salire le montagne, anche se si trattava di una cosa incomprensibile agli occhi dei locali. E anche gli alpinisti sicuramente non pensavano che si trattasse dell’esercizio di un diritto, ma semplicemente andavano perchè le montagne erano là e rappresentavano un’attrazione irresistibile.

Le cose non cambiarono per lungo tempo, diciamo per un paio di secoli, se vogliamo far iniziare la storia dell’Alpinismo dalla conquista del Monte Bianco, ma certamente possiamo andare anche più indietro nella storia dei tentativi e del quasi alpinismo.

Fino a tutto il periodo del Sesto Grado, il dopoguerra e l’era del Nuovo Mattino con la nascita dell’arrampicata, gli alpinisti vissero in una sorta di realtà separata, nella quale le regole della società civile sembravano non valere, tanto erano lontane anche idealmente, e vigevano solo regole interne, di carattere “etico”, riservate al piccolo manipolo dei praticanti. Numeri esigui, quindi, e personaggi sempre fortemente motivati, spinti da aneliti profondi e convinzioni che erano irrimediabilmente in conflitto con il sentire e le regole del mondo civile.

Quando l’incanto si è rotto e la società civile si è accorta di questa frangia di uomini liberi e senza legge?

L’informazione da un lato e l’affermarsi di un sentire ambientalista dall’altro sono stati gli elementi scatenanti del tentativo di sottomettere anche gli alpinisti (e i neonati arrampicatori) alle imposizioni e ai divieti che si venivano statuendo per i cittadini in generale e poi via via sempre più frequentemente per gli alpinisti in modo specifico.

La nascita delle prime riviste di Alpinismo destinate anche al pubblico generico (in Italia La Rivista della Montagna nel 1970 e poi ALP nel 1985) testimoniò alla società civile che esisteva un piccolo mondo a parte, ai margini, con propri concetti, rituali e regole. Certo, la diffusione delle riviste era ancora limitata, ma si ponevano le basi per un confronto tra alpinismo e società, o meglio tra alpinisti e cittadini qualunque. Anche in passato alcuni eventi alpinistici di rilievo particolare venivano portati a conoscenza del pubblico dalla stampa generalista, ma si trattava sempre di piccole finestre che si aprivano e subito si richiudevano su un mondo che era talmente lontano dal sentire medio della gente da apparire quasi fiabesco o diabolico a seconda dell’evento, ma comunque sempre molto molto lontano.

Contemporaneamente, una maggiore sensibilità ambientalista (anche specifica, ricordiamo la nascita di Mountain Wilderness nel 1987) portò all’attenzione del mondo alpinistico la necessità di definire strategie di contrasto al progressivo degrado delle montagne del mondo e per la tutela degli ultimi grandi spazi wilderness. Cominciarono a farsi strada, a livello locale, regolamentazioni e divieti per la tutela di specie animali, soprattutto volatili, che si contendevano con gli arrampicatori le pareti di bassa e media montagna, dove la nascente arrampicata trovava il terreno ideale per esprimersi. Furono questi i primi divieti effettivi che gli arrampicatori si trovarono a dover digerire, sebbene limitati e spesso anche eludibili con un buon senso superiore a quello di certe ordinanze comunali.

Ma il vero punto di svolta e l’aprirsi di una conflittualità diffusa e pesante tra gli alpinisti/arrampicatori, la società e le Istituzioni si ha con l’avvento del web e infine, moltiplicato all’ennesima potenza, con la diffusione dei social, strumenti potenti di diffusione di idee e di spinta verso la montagna per masse di cittadini fino ad allora non interessati a questo tipo di esperienze. Web e Social innescano una analoga spinta nei confronti del turismo alpino che, se non presenta gli aspetti di conflittualità emersi in campo alpinistico, determina tuttavia conseguenze ambientali decisamente più preoccupanti.

Nel Parco del Gran ParadisojpgNel Parco del Gran Paradiso

 

Il diritto dei turisti

Già negli ultimi decenni del Novecento l’affermarsi della società del benessere aveva creato una corrente di frequentatori abituali della montagna intesa come luogo di vacanza. Questi frequentatori abituali provenivano in maggioranza dalla piccola borghesia e le valli alpine erano meta delle vacanze estive o della “settimana bianca” nelle stazioni sciistiche allora esistenti.

Per la grande maggioranza delle famiglie la vacanza marina rimaneva l’opzione preferita.

Le famiglie, al di fuori di questi periodi di vacanze, si spostavano poco: I tempi non erano ancora maturi per la puntata veloce, per il weekend allungato.

I grandi mutamenti nel mondo del lavoro e una struttura sociale e familiare più “liquida” hanno in seguito reso meno standardizzato il modo di fruire del tempo libero, inteso non più solo come vacanza annuale della famiglia, ma anche come ricerca di occupazioni ludiche per tutte le occasioni di tempo libero dal lavoro. Si spostano non più solo le famiglie, ma anche i singoli soggetti o aggregati diversi accomunati da passioni condivise. Alla vacanza “di riposo” si affiancano sempre di più quella “di scopo” e il viaggio finalizzato.

Si aprono potenzialità nuove che vengono colte prontamente, e a volte addirittura anticipate, dall’industria del turismo, che propone pacchetti e mete alternative, indirizzando sempre più gente nelle Valli Alpine, dove nel frattempo le strutture ricettive si incrementano. E la tranquillità delle Valli alpine, il contatto con la natura e un mondo ormai irrimediabilmente perduto nelle pianure rappresentano un’attrattiva potente.

Questa crescita enorme del turismo montano porta ad una urbanizzazione non coerente con la conservazione delle caratteristiche proprie dei fondovalle alpini e anche le quote più elevate non sfuggono alla realizzazione di strutture invasive e di impatto ambientale pesante.

Una volta avviato, questo processo non può che portare ad un progressivo trasferimento all’ambito montano dei modi di pensare e di agire propri della società urbana di pianura.

Attirati in montagna in massa e senza preparazione, I turisti cercano in montagna quello a cui sono abituati in pianura, i servizi, le comodità, le strade che portano sempre più in alto, le strutture per il divertimento.

Alla fine la montagna diviene affollata e strutturata come una dependance della città, attrezzata di tutto punto per accogliere per alcuni mesi all’anno i grandi numeri del turismo.

E a questo punto i turisti reclamano il loro diritto di muoversi in libertà e senza vincoli nei luoghi nei quali sono approdati. Le amministrazioni locali e gli enti preposti sono consapevoli che le limitazioni possono incidere fortemente nell’immediato sui numeri delle presenze e quindi i timidi e un pò improvvisati tentativi di regolamentare gli accessi, come quello al Passo Sella dell’estate 2018, non hanno seguito.

Un paesaggio di altri tempiUn paesaggio di altri tempi

Code allEverest da il messaggeroAlpinismo commerciale - Code all'Everest - da Il Messaggero

 

Il diritto del business

In tutto questo discorso un ruolo importante viene recitato dalle iniziative commerciali che traggono vantaggio dalla marea di persone che si riversa in montagna. La scoperta del turismo di massa ha creato l’illusione che si possa vendere sempre di più e all’infinito, mentre sappiamo ormai per certo che le potenzialità di appeal di una località sono governate da fattori complessi, che vanno dalla bellezza dei luoghi alla loro conservazione, dal mantenimento di caratteristiche individuali precise al loro uso parsimonioso.

La naturalezza dei luoghi è soggetta a rapida usura e ogni presenza contribuisce al suo degrado. E una volta che la naturalezza è stata intaccata un luogo perde le sue peculiarità più preziose e diviene un ambiente generico privo di attrattive o in grado tutt’al più di attirare ancora un pubblico sempre meno consapevole.

Di questo però non sembra preoccuparsi chi organizza strutture ed eventi di massa in montagna. Purtroppo infatti anche associazioni alpinistiche e Sezioni, nel loro piccolo, contribuiscono con gite e corsi di varia natura a portare in montagna sempre più persone e spesso concentrate in modo non idoneo.

Certo, la funzione educativa è importante ma a patto che non travalichi in un proselitismo che sembra del tutto fuori luogo: la passione vera per la montagna nasce in modo naturale da una scintilla che scatta non certo dall’adesione ad un programma promozionale. Tutti coloro che gestiscono business o si occupano professionalmente o meno di attività in montagna dovrebbero avere la consapevolezza assoluta che i numeri che la montagna può tollerare senza danno sono limitati. Sempre più limitati.

Questa consapevolezza manca chiaramente non solo sulle Alpi ma in generale in tante le zone del mondo dove l’afflusso di massa crea business. Basta pensare ai danni inferti all’ambiente e all’immagine stessa dell’Alpinismo dal proliferare delle spedizioni commerciali soprattutto in Himalaya. E la particolare concentrazione delle presenze in alcune zone (Everest per tutte) sembra non avere più alcun riferimento alpinistico effettivo, ma rappresenta un trofeo personale, ambito sempre più spesso da individui che si improvvisano alpinisti per l’occasione. O che si improvvisano scalatori di Ottomila grazie all’abbattimento virtuale di quota prodotto dall’uso dell’ossigeno, dalla preparazione del terreno e dall’assistenza logistica dei team commerciali. Per non parlare dei sempre più frequenti pacchetti che offrono avvicinamento in elicottero ai campi.

Quiete e serenitàQuiete e serenità

 Gli altri attori sulla scena

Alpinisti, escursionisti, turisti ed operatori commerciali non sono però i soli attori sulla scena di questo assalto alla montagna.

Gli abitanti delle Valli direttamente o indirettamente legati al business turistico sono sicuramente una maggioranza. Questa vivacità imprenditoriale o comunque lavorativa ha consentito nel tempo un miglioramento straordinario delle condizioni economiche delle popolazioni locali, ma ha portato anche un consumo del territorio a volte senza controllo e uno sfruttamento intensivo delle risorse. Questo consumo e sfruttamento, se non governati in un’ottica ampia, rischiano di privare le Valli della loro principale attrattiva. E bisogna considerare anche che le spinte allo sfruttamento intensivo provengono a volte dall’esterno e drenano ricchezza verso l’esterno.

Ne sono un esempio gli impianti e i complessi sciistici ancora oggi progettati e realizzati con danni ambientali incalcolabili sia nella fase realizzativa che in quella di esercizio e con prospettive di utilizzo sempre più ridotte nel tempo a causa dei mutamenti climatici, mentre nel breve contribuiscono fortemente ad un sovraccarico ambientale concentrato in periodi ristretti.

Altri attori importanti sono gli Enti locali, i Consorzi, le Associazioni di promozione. Qui subentra un fattore politico e promettere benessere e sviluppo immediato, senza chiedersi cosa succederà domani, alla fine premia in tema di consensi e di popolarità. L’aver fatto poco per la tutela effettiva degli ormai esigui margini di wilderness e il non impegnarsi per promuovere un accesso consapevole e, se necessario, anche regolamentato nelle aree a maggiore criticità, rappresenta una situazione generale che registra poche eccezioni.

Facciamo l’esempio delle Dolomiti. Sono passati più di 10 anni dall’ottenimento del label Unesco “Patrimonio dell’Umanità” e la situazione in diverse zone è prossima al collasso. Probabilmente anche questo riconoscimento ha contribuito ad alimentare flussi di frequentazione, anche organizzata, superiori alla capacità di assorbimento dell’ambiente. Come CAAI e come Mountain Wilderness abbiamo patrocinato a suo tempo il progetto Unesco che forse ingenuamente speravamo portasse ad una maggiore sensibilità sul tema ambientale e ci troviamo invece oggi a fare i conti con un meccanismo moltiplicatore di presenze che inizia a creare seri problemi.

Il diritto dell’ambiente

L’unica entità depositaria del diritto originario e supremo alla propria conservazione è l’ambiente naturale. E’ però un’entità priva di voce propria e necessita di persone sensibili e lungimiranti che ne abbraccino la causa nell’interesse di tutti.

                               La mano dell'uomo - Gruppo del Sassolungo

 

                               Indichiamo una strada giusta e sostenibile

 

Quale futuro?

I livelli attuali di frequentazione della montagna, esplosi negli ultimi anni sotto la spinta delle iniziative promozionali e della rete, rappresentano un rischio effettivo per la conservazione dell’ambiente montano come tutti noi continuiamo ad immaginarlo, come oasi di tranquillità e di vita ancora legata ad un ambiente naturale sopravvissuto alla rivoluzione industriale. Un ambiente che dovrebbe imboccare strade di sviluppo ben diverse da quelle della pianura, se si vuole evitare che ne diventi una replica alla lunga poco interessante e tolga gran parte del suo valore all’esperienza alpinistica. Così come occorre mettere un freno alle devastazioni ambientali ad uso turistico e ripensare i criteri di sviluppo delle aree montane, occorre recuperare il concetto e il valore originario dell’alpinismo, come esplorazione, scoperta e sfida leale con la montagna e le pareti, individuando chiaramente il limite che separa lo sport arrampicata dall’alpinismo.

Il primo, a diffusione ormai di massa, necessita di strutture artificiali omologate che meglio si collocano in contesti urbani o di prossimità, mentre il secondo dovrebbe basarsi su un uso parsimonioso e del tutto soggettivo dei mezzi artificiali e quindi con impatto ambientale ridotto.

E l’impatto ambientale ridotto deriva poi soprattutto dal naturale ridimensionamento del numero dei frequentatori. Le vie alpinistiche, anche di media difficoltà, richiedono impegno diverso rispetto alle vie sportive e rimangono meta di alpinisti convinti e preparati, anche culturalmente.

Oggi ogni rifugio che ha una qualche balza rocciosa nelle vicinanze crea vie sportive per attirare clienti, e questo si può comprendere, ma il problema è che si tratta spesso del primo passo per portare sempre più in alto l’addomesticamento alpinistico delle pareti.    

L’elevato afflusso turistico e arrampicatorio sicuramente in futuro creerà la necessità di provvedimenti limitativi e a farne le spese saranno soprattutto le minoranze, quelle che economicamente contano meno, come gli alpinisti. I nuovi arrampicatori (parliamo sempre della massa che passa dalla resina alla roccia) troveranno sempre linee attrezzate alla portata (una parete vale l’altra, visto che la cima spesso non c’è), mentre gli alpinisti da una banale regolamentazione possono vedersi precluse salite non rimpiazzabili.

La migliore salvaguardia per l’alpinismo e la libertà di praticarlo passa attraverso il contenimento del numero dei praticanti con la limitazione dell’attività di proselitismo da parte delle associazioni alpinistiche.

Più che organizzare eventi promozionali e attività formative per chi vuole provare un’esperienza nuova occorre cercare di educare quelli che già per vocazione propria vi si avvicinano, con gradualità e passione.

Non possiamo escludere altri modi di vedere le cose, ma ognuno di noi ha l’obbligo morale di impegnarsi e lottare con coerenza e decisione per portare avanti le idee che riteniamo migliori.

Approccio non invasivo Paradiset NorvegiaApproccio non invasivo - Paradiset, Norvegia

 

 

 

 

 

Contatti

Social

facebook

Sede

Club Alpino Accedemico Italiano
Via E. Petrella, 19 - 20124 Milano
P. Iva 09069800960
clubalpinoaccademicoitaliano@gmail.com