Il fascino del Greuvetta
Ugo Manera ripercorre la storia delle prime salite alla Parete Est
Ottimizzazione e grafica A. Rampini
Domenica 14 luglio 2024, sulla parete Est del Mont Greuvetta nel massiccio del Monte Bianco, una caduta di pietre ha travolto Marco Bagliani e Luca Giribone strappandoli da una sosta nella parte alta della parete e facendoli precipitare fino sul ghiacciaio. Della cordata faceva parte anche Luciano Peirano che al momento dell’incidente stava arrampicando. Non è stato trascinato nella caduta solo perché le pietre hanno tranciato la corda che lo legava ai due sfortunati compagni. Peirano è stato soccorso e portato in salvo dall’intervento dell’elicottero del Soccorso Alpino.
Tutti e tre erano soci del Club Alpino Accademico Italiano. Il più giovane, Luca Giribone, era appena entrato nel Club ed io lo avevo conosciuto alla presentazione dei nuovi soci. Scorrendo la sua cospicua attività alpinistica avevo scoperto il suo interesse per le selvagge pareti del Massif des Ecrins, passione che, in passato, aveva tanto spinto anche me verso quelle severe pareti. Conoscevo invece Marco Bagliani da molti anni, era anch’egli istruttore alla scuola di alpinismo Giusto Gervasutti ed avevo presentato io la sua proposta di ammissione all’ Accademico.
Mont Greuvetta Parete EstLuciano Peirano mi aveva chiesto un anno prima notizie sulle vie che avevo aperto sulla parete Est del Greuvetta manifestando il suo interesse per quell’angolo affascinante ed un po’ misterioso del Monte Bianco. Io, che conservo ancora le relazioni tecniche scritte a mano di quasi tutte le vie che ho aperto, le avevo scansionate e gliele avevo spedite.
La tragedia del 14 luglio è avvenuta sulla prima delle vie aperte sulla parete Est, quella tracciata da me e da Claudio Sant’Unione nel lontano 1974. Ciò accresce ancora, se possibile, il mio rammarico per quanto è successo.
Il vallone di Greuvetta è tributario della val Ferret ed è incastrato tra i più lunghi valloni di Freboudze e del Triolet. È relativamente corto ma selvaggio ed impervio e racchiude un ghiacciaio non ampio ma molto tormentato. È dominato dalla parete Est che, dopo l’appicco sottostante la cima principale, si prolunga verso Sud fino al Piccolo Greuvetta.
Feci la scoperta del Greuvetta scorrendo il secondo volume, appena uscito, della guida del Monte Bianco edizione 1968. Allora ero già contagiato dalla mania della scoperta e la pubblicazione di ogni guida alpinistica era l’occasione per scoprire qualche parete non ancora salita. A pagina 229 il pregevole schizzo di Renato Chabod della Est del Greuvetta attirò la mia attenzione. Su tutta l’ampia parete non vi erano indicate vie di scalata. L’unica via a raggiungere la cima principale era quella tracciata sullo spigolo meridionale da una forte cordata di militari di stanza ad Aosta nel 1942.
Iniziò così la mia infatuazione per il Greuvetta. Già nell’estate del 1969 convinsi tre amici, Ezio Comba, Ennio Cristiano e Pierin Danusso, ad effettuare un tentativo. Dopo aver rischiato di essere travolti dalle acque nell’attraversamento del torrente della Val Ferret, salimmo direttamente nel vallone del Greuvetta. Non vi erano tracce di sentiero ma ovunque erano visibili segni di pietre cadute dall’alto, era evidente che eventuali pietre provenienti dalle pareti sovrastanti, non trovando interruzioni lungo il ripido pendio, giungevano fino in fondo. Fu con un bel po’ di apprensione che salimmo fino alla morena del ghiacciaio, intanto il tempo era cambiato e cominciò a piovere.
In tutto l’alto vallone non vi sono anfratti dove trovare riparo, sulla morena vi era un solo grande masso contro il quale trovammo alcune pietre accatastate a forma di riparo, tracce di qualche nostro predecessore, forse i salitori dello spigolo nel 1942. Cercammo di migliorare il riparo con scarso successo e lì trascorremmo due notti ed un giorno nella vana speranza di un miglioramento che non giunse. Non riuscimmo neanche a vedere la parete oggetto dei nostri desideri, sempre avvolta dalle nebbie. Delusi scendemmo a valle con la preoccupazione di vederci arrivare alle spalle qualche pietra proveniente dall’alto.
Il Greuvetta restò nei miei pensieri ma vi feci ritorno solo nel 1974; il complicato approccio, la convinzione che non vi fossero molti concorrenti per quella parete e tanti altri obiettivi che avevo in testa contribuirono a tenermi lontano. Un giorno però, in occasione di una camminata in val Ferret con Claudia, la mia bambina, mi portai appresso un potente binocolo proprio per osservare la Est del Greuvetta. Quel giorno, grazie allo strumento, feci due scoperte: sulla parete mi parve di scorgere il possibile tracciato di una via e, relativamente all’approccio, vidi che nell’alto vallone di Greuvetta si poteva accedere passando dal Triolet, evitando così i rischi della salita diretta della prima parte del vallone. In quel momento avevo anche un socio pronto ad accogliere la mia proposta: Claudio Sant’Unione.
Claudio Sant'Unione sulla prima lunghezza della Via del 1974
Sulla via del 1974
Il 12 agosto 1974 ci avventurammo lungo il vallone del Triolet cercando sui fianchi del massiccio del Greuvetta un passaggio che ci consentisse di salire sufficientemente in alto da poter raggiungere, con traversata orizzontale, la morena del ghiacciaio di Greuvetta. Trovammo il passaggio e, sebbene non ci fossero tracce, salimmo abbastanza agevolmente lungo ripidi prati e qualche zona detritica. Fascino su fascino: trovare ancora, diretti verso un angolo del Monte Bianco bello e selvaggio, un accesso senza alcuna traccia di passaggio umano. Da allora quel percorso è diventato l’accesso al Greuvetta e recentemente è stata posta una passerella per attraversare l’impetuoso torrente che scende dal Triolet.
Dalla mia precedente esperienza sapevo di non trovare ripari per la notte per cui ci portammo una tendina che contavamo di ricuperare dopo la salita della parete Est e la discesa dalla “normale” sul versante Ovest, con una lunga traversata orizzontale dal vallone del Freboudze che, secondo Renato Chabod, era fattibile; compimmo effettivamente quella traversata per ricuperare la tendina, ma fu una vera avventura che ci richiese ben 5 ore.
A parte una fresca doccia dovuta ad una cascatella che pioveva sulla fessura di attacco, fu una magnifica scalata lungo un percorso logico ed impegnativo, arrampicata che scatenò il nostro entusiasmo. Giungemmo in vetta al tramonto e quella bella giornata si concluse con un comodo bivacco in vetta al Greuvetta. Avevamo anche visto da vicino che in quel vallone vi erano altri tesori da scoprire per cui bisognava farci ritorno.
Scarica qui la relazione originale della Via della Parete Est 1974 Manera/Sant'Unione.
Furono degli scalatori francesi di Lione a precedere un nostro ritorno. Jean Bernard e Frédéric Favre ripeterono la nostra via e, successivamente, ne aprirono un’altra con attacco in comune e con successivo sviluppo sulla sinistra della via del 1974: la via Domino.
Mont Greuvetta Parete Est
Isidoro Meneghin sul Mont Rouge de Greuvetta
L’incursione francese sul Greuvetta Est non attenuò il mio interesse per il selvaggio vallone, ma esso momentaneamente si orientò verso la parete che sottende la lunga cresta che dalla cima principale si protende verso Sud. Con quell’obiettivo due volte risalii il percorso che avevamo scoperto Claudio ed io. Una volta erano con noi Andrea Castellero e Pietro Giglio ma fummo ricacciati dal peggioramento del tempo. Una seconda volta, sempre con Claudio, risalimmo nel pomeriggio un lungo e facile sperone che portava alla base della lunga parete più o meno nel suo tratto centrale. Quivi giunti notammo, proprio sopra il punto che avevamo scelto per porre il nostro bivacco, uno spezzone di corda e due staffe appese a dei vecchi chiodi, residui di un tentativo molto antico perché corda e cordini erano ancora di canapa. Neanche quella volta fummo fortunati, nella notte cadde una spanna di neve ed al comparire del giorno dovemmo ridiscendere lo sperone facendo molta attenzione a non scivolare sulle facili placche bagnate.
Parete Est del Greuvetta e Mont Rouge di Greuvetta
Mont Greuvetta Parete Est
Quel giro poco fortunato non fu del tutto inutile: salendo il facile sperone avevo notato che dal lato opposto del vallone il Mont Rouge de Greuvetta presentava un pilastro rivolto a Sud Ovest dall’aspetto molto interessante. Divenne un nuovo obiettivo e con Isidoro Meneghin decidemmo una nuova visita. Il 4 agosto 1981 eravamo nuovamente lì a salire per l’ormai, per me, familiare percorso verso il ghiacciaio di Greuvetta. La nuova via ci riservò una arrampicata di soddisfazione su ottimo granito. Mentre ero fermo alle soste ebbi modo di osservare e fotografare l’imponente parete Est della cima principale e di tracciare con la fantasia nuovi itinerari molto promettenti, soprattutto mi colpì un evidente pilastro posto a sinistra delle due vie allora esistenti. Scarica qui la relazione originale della Via del Pilastro Sud Ovest del Mont Rouge de Greuvetta.
La mia curiosità per quel luogo non era rivolta esclusivamente verso il nuovo, mi interessava anche porre le mani sulla via del 1942 lungo lo spigolo che delimita a sud la parete, così, in compagnia di Antonio Cotta, Mario Ogliengo e Dante Vota, vi feci un tentativo in una bella giornata di agosto. Un tragicomico incidente, che non sto a descrivere, successe alla seconda cordata composta da Ogliengo e Cotta e a causa di esso Antonio si rifiutò di proseguire. Io, che non mi fidavo troppo del mio secondo, decisi a mia volta di interrompere la scalata.
Proprio nel periodo in cui elaboravo nuovi progetti sul Greuvetta mi cercò Gian Carlo Grassi chiedendomi se avevo da suggerire qualche luogo degno nel massiccio del Monte Bianco ove porre un bivacco fisso a ricordo del monregalese Gianni Comino. La sezione CAI di Mondovì aveva infatti intenzione di costruire un bivacco dedicato al forte ghiacciatore caduto sui seracchi della Poire della parete della Brenva il 28 febbraio 1980. Senza esitazioni suggerii il vallone di Greuvetta indicando, come luogo idoneo, la spalla che si affaccia verso il Triolet. Successivamente non ebbi occasione di seguire l’evoluzione di tale iniziativa.
Laura Ferrero sulla morena del Ghiacciaio di GreuvettaIl 1982 fu un anno ricco di belle realizzazioni alpinistiche ma verso la metà di agosto, mentre ero in vacanza con la famiglia in valle d’Aosta, mi trovai momentaneamente senza compagni per combinare qualche salita impegnativa. Avevo in mente di tentare il pilastro che avevo notato l’anno prima sulla Est del Greuvetta ed allora iniziai a girare per i campeggi della val Ferret alla ricerca di un compagno di cordata. Al campeggio Grandes Jorasses incontrai Laura Ferrero, anche lei era lì da sola con il medesimo mio problema. Circa un mese prima, insieme a Franco Ribetti e Giovanni Bosio avevamo realizzato una gran bella salita: il primo percorso integrale della cresta di Tronchey alle Grandes Jorasses. Laura, in cordata con Bosio, si era sobbarcata egregiamente il gravoso compito di recuperare i chiodi infissi dalla prima cordata.
La mia proposta destò entusiasmo in Laura così decidemmo di partire al più presto, destinazione Greuvetta. Contavamo di bivaccare sotto le stelle negli ultimi ripiani prativi prima della morena ma ancora una volta il tempo si dimostrò inclemente, quando eravamo già molto in alto cominciò a piovere. Sapevo benissimo che su quei pendii non esistevano ripari atti a proteggerci dalla pioggia ma comunque feci scorrere lo sguardo verso l’alto alla ricerca di qualche anfratto tra le rocce. Ad un tratto il mio sguardo si fermò su una costruzione nuova di zecca: era il bivacco Comino, appena eretto dalla Sezione di Mondovì del CAI; iniziativa della quale non avevo più seguito lo sviluppo. Fu per noi una gran bella sorpresa. Anche se ancora sprovvista di ogni arredo, la nuova costruzione ci consentiva di trascorrere la notte al riparo dalla pioggia. Piovve tutta la notte ma al mattino seguente il tempo diede qualche segno di miglioramento, decidemmo così di trascorrere la giornata al nuovo bivacco e di tentare la salita il giorno successivo.
Laura Ferrero sul Pilastro del Sorriso
Ugo Manera sul Pilastro del Sorriso
In discesa dal Pilastro del SorrisoPartimmo che era ancora notte fonda e la prima luce del nuovo giorno ci raggiunse quando eravamo già sul tormentato ghiacciaio. Non ebbi difficoltà ad individuare un possibile attacco del pilastro nostro obiettivo. Superata la crepaccia tra ghiaccio e roccia lasciammo appesi ad un chiodo scarponi, picozze e ramponi ed indossammo le scarpette d’arrampicata. Una sorpresa ci attendeva sui primi metri di scalata su roccia: trovai alcuni chiodi infissi nelle prime fessure, qualcuno era passato prima di noi proprio in quel punto. La mia preoccupazione di essere stati preceduti ebbe però fine pochi metri più in alto quando trovai due chiodi con cordino: chiaramente una sosta da corda doppia. Il tentativo precedente al nostro era terminato lì. Il pilastro ci riservò una arrampicata superlativa su un granito perfetto: placche, fessure, strapiombi, ci impegnarono seriamente ma destarono in noi un grande entusiasmo per la scalata. La mia compagna, sempre sorridente, recuperava con perizia e decisione i chiodi che io infiggevo.
Al tramonto non eravamo ancora fuori dalle difficoltà e ci toccò approntare un bivacco su un esile terrazzino ancorati ai chiodi. Per la mia compagna di cordata, che già aveva provato un bivacco ad alta quota in vetta alle Grandes Jorasses, dopo l’integrale alla Tronchey, era il primo bivacco veramente in parete.
Il mattino seguente, sempre con tempo splendido, superammo le ultime difficoltà fino al termine della via, poi una lunga serie di calate in corda doppia ci riportò alla base della parete ove avevamo lasciato l’attrezzatura non necessaria per la scalata. Scendendo soddisfatti per i due giorni trascorsi in parete mi parve doveroso dedicare la nuova via alla mia compagna che, sempre con il sorriso sulle labbra, si era comportata così bene. Avevamo tracciato la via del “Pilastro del Sorriso.” Scaria qui la relazione originale della Via del Pilastro del Sorriso al Mont Greuvetta.
La Parete Est del Greuvetta presenta, a circa un terzo della sua altezza, una serie di strapiombi molto problematici da superare. Due punti deboli li avevo individuati con la via del 1974 e con il Pilastro del Sorriso. Proprio alla destra del Pilastro, ove gli strapiombi nerastri appaiono più pronunciati, mi incuriosiva trovare un altro passaggio per superarli. Scendendo dopo il Pilastro del Sorriso e successivamente esaminando le fotografie che avevo scattato, mi era parso di scorgere un diedro/conca di roccia più grigia che sembrava offrire qualche possibilità. Ancora preso dall’entusiasmo per quella parete non ebbi difficoltà a trovare l’appoggio per un nuovo tentativo da parte di due compagni di tante scalate, Isidoro Meneghin e Franco Ribetti.
Il 30 luglio 1983 con Franco ed Isidoro ero nuovamente lì a salire l’ormai arcinoto percorso di accesso al vallone di Greuvetta, ma conscio di trovare ottimo riparo nel bivacco Comino. Nel bivacco, ormai equipaggiato con tutto il necessario per ospitare gli scalatori, trovammo anche un libro del rifugio con sopra dei commenti entusiastici da parte di ripetitori del Pilastro del Sorriso.
Franco Ribetti sulla Via della Conca Grigia
Il ghiacciaio del Greuvetta, non esteso ma piuttosto “cattivo” già allora (non ho idea di come si presenti oggi a causa del riscaldamento globale) ci riservava una sorpresa: dove eravamo passati agevolmente un anno prima, un crepaccio insuperabile ci costrinse a complicate manovre per raggiungere la base della parete. Lì giunti potei costatare che quella che avevo individuato come conca grigia esisteva veramente e si insinuava tra gli strapiombi. Attaccammo in direzione della conca e, con arrampicata molto impegnativa, con passi in artificiale dalla difficile e precaria chiodatura, superammo gli strapiombi raggiungendo le cenge sovrastanti. Al di sopra delle cenge dovemmo superare un tratto difficile con roccia non perfetta, poi una sequenza di placche e muri di ottimo granito. Il tramonto giunse quando ci trovavamo in una zona poco favorevole per un bivacco. Quasi appesi ai chiodi trascorremmo una notte tutto sommato tranquilla e con temperature accettabili. Riprendemmo la scalata alle prime luci dell’alba e portammo a termine la via in un punto poco discosto da dove finiva il Pilastro del Sorriso. Senza difficoltà raggiungemmo la linea di calate in corda doppia che avevo attrezzato un anno prima e lungo tale via di discesa ci calammo fino al ghiacciaio. Ancora una volta il Greuvetta ci aveva offerto la possibilità di vivere una bella avventura. Scarica qui la relazione originale della Via della Conca Grigia al Mont Greuvetta.
Bastionata Est della catena del Greuvetta
Negli anni a seguire mi capitò più volte di volgere i miei pensieri alla parete del Greuvetta, avevo immaginato anche un nuovo tracciato che appariva come sicuramente interessante ma poi, passati anni ad inseguire altri obiettivi, quando ci ripensai seriamente era ormai troppo tardi e l’ipotetica nuova via rimase confinata nei desideri non realizzati.
Con l’emozione ancora viva per la tragedia dell’estate 2024, sulla via del 1974, voglio dedicare questi miei ricordi a Luca Giribone che non ho avuto il tempo di conoscere bene ed a Marco Bagliani, amico di antica data.
PS: Relazioni tecniche. Ho conservato le relazioni tecniche scritte a mano di quasi tutte le vie che ho aperto. Sono relazioni datate non più attuali, ora gran parte dei passaggi dati in artificiale sarebbero superabili in libera. Uno stimolo in più per andare a riscoprire molte antiche vie.
SERATE ALPINE 2025 – CAI di Alba
E’ alla settima edizione il ciclo di incontri con i personaggi dell’alpinismo e della montagna proposti da COESIONI SOCIALI in collaborazione con il CAI di Alba. Questo anno il titolo della rassegna è: LA STORIA SIAMO NOI. Si tratta di quattro serate con personaggi che con la loro attività alpinistica e di esplorazione testimoniano un pezzo importante dell’alpinismo regionale e nazionale.
Venerdì 28 febbraio 2025
Presso la sede del CAI di Alba (CN), Piazza Cristo Re 5
Silvia Mazzani e Alberto Rampini
presentano
ARRAMPICATA TRAD DALLA NORVEGIA ALL’ANTIATLANTE
Le immagini di anni di scalate ed esplorazioni in mondi iconici dell’arrampicata in stile pulito dalle Terre Artiche al Marocco
L’iniziativa gode del patrocinio del Club Alpino Accademico Italiano e del Gruppo Scrittori di Montagna, della Scuola di Alpinismo Giusto Gervasutti e del Comune di Alba.
Ecco il programma completo della manifestazione
Titolo della serata: CONNESSIONI VERTICALI TRA DUE GENERAZIONI.
Titolo della serata: ARRAMPICATA TRAD DALLA NORVEGIA ALL’ANTI-ATLANTE.
Titolo della serata: SCARASON, L’ANIMA DEL MARGUAREIS….E ALTRE STORIE
Titolo della serata: DAGLI ABISSI ALLE NUVOLE.
“Montagne, falesie, massi, la Corsica è un terreno di gioco fantastico e inesauribile.
Sulla roccia tutto è possibile fino all’estremo. Persino sulle fessure ad incastro.
Un terreno in gran parte da esplorare, pareti come pagine bianche ancora da scrivere”
Questo scriveva Gianni Ghiglione in un articolo pubblicato alcuni anni fa su questo sito.
Oggi è disponibile la guida delle vie aperte da Ghiglione in Corsica negli ultimi anni.
Un’occasione importante per sognare e per programmare una visita a questi angoli di montagna fuori dalle rotte più conosciute. Gli avvicinamenti non brevi e spesso complessi faranno da filtro importante e auspichiamo che chi vorrà seguire queste tracce lo faccia con discrezione e con il massimo rispetto.
Scarica qui la guida in formato elettronico.
Questa guida è in versione “leggera”. Sono disponibili copie originali a stampa che l’autore sarà lieto di spedire gratuitamente a chi gliene farà richiesta Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Tour Charles
Quota 1488 - Dove danza la luna
Les Aiguilles de Popolasca
OMAN 2025 OVVERO “C.A.I. EAGLE TEAM PARTE SECONDA”
di Francesco Leardi C.A.A.I. Gruppo Orientale
Prima puntata
Occorre fare una premessa sul gruppo C.A.I. Eagle Team voluto da C.A.I. e C.A.A.I. sulla base della felice intuizione dell’accademico Matteo Della Bordella e del Presidente Generale del C.A.I. Antonio Montani.
L’obiettivo iniziale era creare un gruppo di alcuni elementi giovani selezionati accuratamente per coinvolgerli in attività di alto livello su grandi pareti e vie di alta difficoltà con la possibilità di partecipare ad una spedizione in Patagonia.
Uno stimolo verso giovani generazioni realizzando un evento visibile e coinvolgente per sensibilizzare l’opinione pubblica verso la montagna e l’alpinismo in particolare.
C.A.I. e C.A.A.I. hanno creduto fortemente in questo progetto abbinando altri eventi non meno importanti che sono stati i vari Eagle Meet organizzati dai tre Gruppi dell’accademico con giovani arrampicatori provenienti da tutto il territorio italiano.
Eagle Meet in Valle del SarcaQuando il presidente del C.A.A.I. Mauro Penasa introdusse l’iniziale progetto e il suo significato al nostro Consiglio Generale fummo stupiti di un’iniziativa che rappresentava per il nostro gruppo una novità da tempo desiderata in quanto c’era e c’è necessità di rinnovamento e cambio generazionale.
Motivi tecnici, caratteriali, numerici e logistici hanno portato alla scelta di alcuni membri destinati alla spedizione Patagonia, che si sta svolgendo in queste settimane.
Dopo la scelta operata su chi sarebbe partito per il Sudamerica, ci siamo chiesti se non valesse la pena di sfruttare appieno l’energia sviluppata nel progetto. Ed ecco quindi spuntare un altro gruppo di giovani scalatori e come obiettivo le pareti dell’Oman.
Il mio ruolo è parlare del gruppo Oman 2025 del quale faccio parte, dei suoi componenti e di come si è sviluppata la sua storia.
Partenza Oman 2025 fissata il 20 Febbraio ritorno il 7 Marzo.
Il gruppo C.A.I. Eagle Team Patagonia seguirà altri momenti di diffusione mediatica.
Devo iniziare dal momento di prima aggregazione che è stato l’apprendimento tecnico alla Torre di Padova il 31 Agosto 2023 da parte di tutti i componenti selezionati del C.A.I. Eagle Team seguiti dalla competente e coinvolgente esposizione di Giuliano Bressan (C.A.A.I. staff torre di Padova), Andrea Lazzaro (I.A. staff torre di Padova) e Alessandro Baù (C.A.A.I. e A.G.A.I.).
Manovre, prove di caduta, test sui materiali hanno accresciuto il bagaglio culturale dei ragazzi in una giornata densa di spunti tecnici.
Andrea Lazzaro dello staff Torre di Padova
Giuliano Bressan dello staff Torre di Padova
Eagle team alla Torre di PadovaVarie giornate di alpinismo sull’arco alpino, come si è accennato prima, hanno portato l’organizzazione a creare il primo gruppo per la Patagonia e successivamente il secondo con l’opportunità della spedizione in Oman.
La logistica di Oman 2025 prevede di muoversi tramite 3 vetture 4x4, alternando momenti di campeggio libero in prossimità delle pareti a tappe in alloggio durante gli spostamenti per consentire i rifornimenti.
Viaggeremo insieme per tutta la durata della spedizione, dividendoci al massimo in 2 gruppi, con cordate da definire sul posto in funzione degli obiettivi.
Gli obiettivi alpinistici sono situati in zone diverse che pensiamo di visitare in sequenza: Wadi Bani AWF, Jabal Fokahe Nizwa, Jabal Misht e Kawr. Su queste pareti si ha in progetto l’apertura di nuove vie di arrampicata e la ripetizione di alcune vie di alto livello già esistenti.
Inizieremo dal Wadi Bani AWF: è la miglior area dove approcciarsi all’arrampicata omanita, è presente di tutto, sia le falesie più rinomate (Snake gorge e La gorgettes), sia vie lunghe, sportive e trad . Dopo un paio di giorni di ambientamento in funzione delle possibilità individuate, ci sposteremo verso una seconda area dove ci sono ampie possibilità, soprattutto in apertura, sulle pareti del Jabal Fokah e delle Torri di Nizwa.
La tappa più attesa e desiderata è però la parete sud del Jabal Misht, con i suoi 1000 metri di altezza, su cui sono presenti vie impegnative aperte da arrampicatori famosi. Zona interessante anche per le prospettive di apertura sulle pareti nell’area Al Kumeira ed in quella del Jabal Kawr.
Veniamo ora al nostro gruppo Oman 2025 i cui sei componenti e relativi curricula sono:
Erica Bonalda
classe 1998, vive a Trento ed è una fisioterapista appassionata di montagna e arrampicata. Solare, precisa e determinata, ha sviluppato il suo legame con la montagna fin da bambina, grazie al padre che la portava con sé in escursione, spingendola a sperimentare percorsi esposti e impegnativi. L’arrampicata sportiva è entrata nella sua vita durante il liceo, attraverso un corso scolastico, e da allora si è trasformata in una passione che l'ha portata a scalare in falesia e in montagna, in Trentino e in altre celebri destinazioni alpine.
Erica ha ampliato le sue competenze frequentando diverse aree di scalata, dall’arrampicata su granito in Valle dell’Orco e Val di Mello, fino a vie in alta montagna nel Brenta e in Val di Fassa. Ha conseguito il titolo di istruttrice FASI, dedicandosi all’allenamento di giovani atleti, con l’obiettivo di trasmettere la sua passione per l’arrampicata outdoor.
Nel tempo libero si allena e lavora per migliorarsi, con un’attenzione crescente verso il ghiaccio e il misto. Per Erica, arrampicata e alpinismo sono esperienze di condivisione, crescita personale e scoperta dei propri limiti, più che una competizione.
Marco Cocito
classe 1995, nato ad Alba (CN), è un appassionato di montagna e sportivo da sempre. Inizia a giocare a calcio all’età di sei anni e, fin da bambino, sviluppa una forte passione per la montagna grazie ai suoi genitori, che lo portano spesso a fare escursioni. A dieci anni, incontra il padre di un compagno di calcio, guida di alpinismo giovanile del C.A.I., che lo introduce al mondo dell’alpinismo. È lui a spingerlo a partecipare a uscite di alpinismo giovanile, durante le quali Marco inizia a praticare ciaspolate e arrampicate in falesia.
La sua passione cresce con gli anni, e durante il periodo delle scuole superiori conosce quelli che oggi considera i suoi compagni di avventure. Insieme vivono esperienze indimenticabili, che rafforzano l’amicizia e insegnano valori fondamentali come condivisione, fiducia e supporto reciproco, valori che Marco considera essenziali sia nelle relazioni che nelle esperienze in montagna.
Con il tempo, Marco amplia la sua esperienza praticando arrampicata su roccia, su ghiaccio, scialpinismo e alpinismo. Si distingue per la sua dedizione, che gli vale l’ingresso come membro aspirante nel Club Alpino Accademico Italiano (C.A.A.I.) Gruppo Occidentale.
Daniele Lo Russo
26 anni, originario della Valle Camonica, ha scoperto l’arrampicata all’età di dieci anni, grazie alla palestra vicino casa. Dopo aver salito la sua prima via in montagna a 14 anni, ha iniziato a esplorare le falesie della Val di Mello e della Valle del Sarca, dove ha scoperto stili di arrampicata diversi da quelli della sua zona. Un anno scolastico negli USA e un'esperienza in Canada a Squamish, dove ha scoperto l’arrampicata sportiva e il boulder, sono stati momenti cruciali nella sua crescita. Nel 2017 si è trasferito in Valle d'Aosta per conciliare gli studi con la montagna, scalando anche il Monte Bianco. Durante l'Erasmus a Tarragona, ha avuto l'opportunità di arrampicare a Siurana, approfondendo ulteriormente la sua passione. Laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche con una tesi sulla percezione del rischio nell’alpinismo, Daniele ha deciso di dedicarsi completamente alla montagna.
Matteo Monfrini
appassionato di alpinismo e arrampicata, sta concludendo il quinto anno di Ingegneria dell’Automazione Industriale e dedica da 12 anni la sua vita alla scalata. Allena cinque atleti nel circuito Nazionale, tra cui Federica Papetti, vincitrice di numerosi podi anche a livello Europeo. L’alpinismo è entrato nella sua vita grazie a Lorenzo D’Addario e Claudio Migliorini, che lo hanno guidato in numerose vie.
Matteo ha partecipato a gare di arrampicata sportiva fino a 14 anni, per poi dedicarsi all’alpinismo e all’arrampicata su roccia. Ha iniziato con vie alpinistiche in valle del Sarca e valle dell’Adige, e successivamente ha esplorato l’arrampicata su ghiaccio e misto. Con gli studi universitari, si è avvicinato all’arrampicata tradizionale, praticata in vari luoghi come la valle dell’Orco e la Sardegna. Recentemente, insieme a Mauro Monfrini, si è appassionato all’apertura di vie alpinistiche a più tiri, seguendo un’etica rigorosa e conservativa della natura. Ha scalato in numerosi contesti, dalle Dolomiti al Verdon, Briancon e Tarragona.
Lorenzo Toscani
Classe 1999, ha scoperto il mondo verticale a 11 anni, muovendo i primi passi nella palestra indoor gestita dal C.A.I. di Firenze. Nonostante le difficoltà logistiche, grazie al fratello ha potuto frequentare con costanza la palestra, avviandosi così verso un percorso che lo ha portato a gareggiare nel circuito regionale e nazionale. Tuttavia, non si è mai appassionato davvero al mondo delle competizioni su plastica.
Parallelamente, si è avvicinato alla falesia e alla montagna, esplorando inizialmente le vicine Alpi Apuane e le falesie camaioresi. Con la patente e i primi lavori, ha ampliato gli orizzonti, scalando nell'arco alpino e in celebri destinazioni di arrampicata sportiva, raggiungendo livelli di scalata a vista fino al 7c+ e lavorato fino all’8b.
Attualmente vive e lavora lontano da Firenze, dividendo l’anno tra due grandi passioni: l’inverno dedicato alla falesia, agli allenamenti e al ghiaccio/misto, e l’estate prevalentemente alla roccia.
Riccardo Volpiano
24 anni, nato a Ciriè, è un appassionato di montagna e sport, con una laurea magistrale in Ingegneria Meccanica-Automazione al Politecnico di Torino. Ha praticato arrampicata sportiva fino a 14 anni, per poi concentrarsi sull’arrampicata in montagna, affrontando vie sempre più impegnative fino al grado ED+. Appassionato anche di sci, ha praticato gare fino ai 18 anni per poi dedicarsi allo sci alpinismo, diventando istruttore al C.A.I. di Chivasso e scalando il Monte Bianco nel 2022.
Si trova a suo agio su roccia fino al grado 7a e affronta gite sci-alpinistiche con dislivelli fino a 2500 m. Ha recentemente iniziato a praticare il ghiaccio, arrivando al grado IV, ed è stato ammesso come membro aspirante del Club Alpino Accademico Italiano (C.A.A.I.) Gruppo Occidentale.
Il Presidente Generale del C.A.A.I. Mauro Penasa inoltre ha fornito a tre componenti del nostro sodalizio l’opportunità di aggregarsi al progetto come tutor.
Marco Ghisio del Gruppo Occidentale (che è in un gran momento della sua carriera alpinistica) e Mauro Florit del Gruppo Orientale (che è già stato in Oman, il che sarà di grande aiuto) si sono aggregati in prima battuta come Tutor e a loro si è poi aggiunto il sottoscritto. Per quanto mi riguarda e con ironia potrei ribaltare i ruoli definendo “tutor” nei miei confronti i ragazzi del progetto C.A.I. Eagle Team.
Membri C.A.A.I. Tutor
Marco Ghisio: 37 anni nato a Vercelli dove ho frequentato i corsi di arrampicata e alpinismo all’età di 17 anni, attività a 360 gradi
Ho salito le vie iconiche delle Alpi, dall’Eiger alle Grandes Jorasses (Macintyre-Colton , Walker), dal Pilone Centrale del Freney al Couloir Nord dei Dru, e molte altre.
In arrampicata ho salito vie trad fino all’ 8b come la famosa Greenspit, vie multipitch fino all’8a in libera e in falesia fino al 7c a vista. Su ghiaccio e misto ho salito cascate fino al 6+ e M9 .
Molto attivo sull’area del Monte Bianco in estate e inverno, ho viaggiato e scalato in Europa e Yosemite
Collaboro con la Scuola di alpinismo del C.A.I. di Vercelli e dal 2024 sono membro del C.A.A.I., Gruppo Occidentale.
FLORIT Mauro: nato ed abitante a Staranzano, paesino sulla costa dell’alto Adriatico presso Trieste, arrampico da più di quarantacinque anni, circa millecinquecento ripetizioni in tutto l’arco alpino, con più di cento vie nuove, salite invernali, cascate di ghiaccio ed attività di ricerca. Collaboro come istruttore presso la Scuola Nazionale di Alpinismo Emilio Comici della Società Alpina delle Giulie e sono Accademico del Club Alpino Italiano Orientale dal 1994.
Parecchie spedizioni all’attivo dal Sud America (Aconcagua, Patagonia, Perù) al Medio Oriente (Turchia, Giordania, Oman) e Asia (Kirghizistan, Tagikistan, Thailandia).
Francesco Leardi: classe 1956, membro del C.A.A.I. dal 1993 e Presidente del suo Gruppo Orientale. Genovese di nascita e come mi definisco da sempre “figlio del finalese”.
Arco e il Camaiorese sono stati i siti scelti dal gruppo Oman 2025 per unire maggiormente il gruppo sia a livello sociale che tecnico con prestazioni di alto livello che hanno dato fiducia per la riuscita della spedizione.
Alcuni sponsor hanno fornito contributi in materiale assai apprezzati. A loro va il ringraziamento da parte dei componenti della spedizione.
@Wildclimb, @Grivel, @Lazyghost, @rudyproject
Ringraziamo quanti hanno contribuito ad ideare, organizzare e condurre il progetto C.A.I. Eagle Team, a partire dal C.A.I. che lo ha sostenuto, e dal C.A.A.I. che ne ha curato la gestione, includendo tutti i tutor che hanno aiutato i ragazzi in questi ultimi due anni.
Ringraziamo anche la rivista on-line Lo Scarpone e il suo referente e coordinatore Gian Luca Gasca che ha curato anche la parte mediatica del progetto C.A.I. Eagle Team.
Come nasce una prima ascensione?
La via scalabile esiste già fin dall'inizio in natura o si giustifica solo grazie alla forza delle idee della coscienza umana?
Heinz Grill affronta questa domanda filosofica di alto livello con una sua personale interpretazione
I caschi per alpinismo - norme e test di resistenza: cosa sappiamo?
- Prima parte -
Nota della Redazione: lo studio di seguito pubblicato espone i risultati di anni di prove e sperimentazioni sui caschi da alpinismo e giunge ad alcune importanti conclusioni. Una ulteriore serie di test volta a verificare le eventuali conseguenza derivanti dall'esposizione prolungata ai raggi solari in quota verrà completata nel corso del 2025 e quindi una integrazione a questo interessante studio verrà pubblicata verosimilmente nei primi mesi del 2026.
Bressan Giuliano CSMT CAI - CAAI
Polato Massimo CSMT - CAI Sez. Mirano
Ottimizzazione e grafica A. Rampini
Introduzione
A distanza di quasi vent’anni da un primo studio effettuato dall’allora CCMT (Commissione Centrale Materiali e Tecniche) del CAI, il CSMT ha voluto riprendere in considerazione il fatto di svolgere una nuova ricerca sui caschi da alpinismo.
Dal 2006, infatti, anche per questo tipo di DPI, c’è stato un notevole sviluppo sia nella progettazione che nei processi produttivi dovuti in gran parte, oltre che all’esperienza maturata dai produttori in collaborazione con il mondo alpinistico, anche al fatto che la ricerca su nuovi materiali nel campo dei polimeri è notevolmente progredita e si sono ulteriormente affinate le tecniche di stampaggio ad iniezione dei polimeri stessi.
In termini pratici il CSMT ha in programma di eseguire nel 2025 una serie di test su vari modelli di caschi ad oggi presenti sul mercato, dopo che sono stati lasciati per un periodo a completa esposizione solare in due luoghi che si trovano ad altitudini diverse.
Terminato il periodo di “invecchiamento” i caschi verranno portati in laboratorio e testati secondo una delle prove previste dalla norma EN 12492:2002 e che è il riferimento per la progettazione per i caschi da alpinismo: lo sottolineiamo perché altre tipologie di caschi (sci, equitazione ecc.), devono sottostare ai requisiti prescritti da altre specifiche norme.
A differenza di quanto avvenuto nei test eseguiti nei primi anni duemila, non prenderemo in considerazione caschi usati, ma solamente caschi nuovi che verranno scelti tra i brand maggiormente utilizzati dal mondo alpinistico e differenziandoli per quelle che sono le tipologie principali ad oggi utilizzate, ovvero quelli costruiti secondo queste tre macrocategorie:
Lo studio condotto tra il 2003 e il 2006
Come accennato precedentemente, anche il casco è da tempo entrato a far parte degli studi sui materiali utilizzati in alpinismo e in arrampicata e di conseguenza le successive prove hanno dato origine alla normativa UIAA-106 e in seguito alla corrispettiva norma EN-12492 (Mountaineering equipment - Helmets for mountaineers - Safety requirements and test methods).
Nel corso del 2006, l’allora Commissione Centrale Materiali e Tecniche del CAI (CCMT), ha svolto presso lo storico laboratorio del Dipartimento di Costruzioni e Trasporti dell’Università di Padova un’interessante e approfondita analisi sulle prestazioni meccaniche di un casco.
L’idea di “testare” i caschi è sorta soprattutto dalla necessità di verificarne la durata delle prestazioni col passare del tempo, di valutarne i comportamenti strutturali a seconda della tipologia costruttiva e di chiarire il senso dei requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa EN-12492.
Lo studio è stato esposto nella tesi di laurea magistrale in Ingegneria Civile dal titolo “Studio parametrico di ottimizzazione del comportamento ad impatto di un casco da alpinismo”, presentata il 25 ottobre dello stesso anno dal laureando Michele Titton, attualmente Ingegnere Civile, Libero Professionista e Guida Alpina. Una sintesi della tesi è stata pubblicata nel 2008 sulla Rivista del Club Alpino Italiano [1-2].
In questa prima parte dell’articolo sono presentate e commentate le prove e i dati acquisiti negli anni duemila. Il motivo per cui abbiamo scelto di riesporre quei risultati risiede nel fatto che riteniamo utile riprenderli e analizzarli per comprendere meglio quelli che otterremo e, quindi, fare le giuste considerazioni ed eventuali comparazioni tra i due studi del 2006 e del 2025.
La sperimentazione si è svolta in diverse fasi ed in successivi periodi. Inizialmente è stato raccolto il materiale principale per la sperimentazione (8 caschi nuovi di fabbrica forniti dalla CAMP e 6 caschi “usati” forniti dalla CCMT) e si sono definite le linee su cui indirizzare lo studio: analizzare la risposta ad impatto dei caschi da alpinismo in funzione del loro stato di usura nel tempo e valutare il relativo decadimento delle proprietà meccaniche dei materiali.
Il deterioramento dei materiali sintetici avviene sia per cause meccaniche (sfregamento, attrito, ecc.), sia a causa delle azioni climatiche o conseguenti ad esse (cottura da UV, muffe, surriscaldamento, ecc.), e rappresenta il principale motivo per cui l’attrezzatura da alpinismo va ciclicamente sostituita.
Lo studio ha comportato la necessità di testare diverse tipologie di caschi ed in diversi stati di conservazione; per ricavare dei confronti sulla durata delle proprietà meccaniche si sono state fatte prove di rottura su caschi d'alpinismo nuovi, usurati (da solo irraggiamento) e vecchi.
Fig 1 - Rifugio KostnerAllo scopo la CCMT ha procurato sei caschi utilizzati in ambiente alpino per diversi anni in varie attività (roccia, ghiaccio, soccorso), mentre la CAMP ha fornito quattro nuovi caschi modello Rock-Star e altri quattro modello Silver-Star. Gli otto elmetti dell’azienda di Premana sono stati utilizzati, in primo luogo, per studiarne le differenziazioni di risposta alle prove di assorbimento di energia a causa di urti verticali in funzione della quota di esposizione: per questo motivo erano state opportunamente collocate coppie di Rock-Star e di Silver-Star presso i sottotetti dei rifugi B. Carestiato (1843 m), Lavaredo (2343 m) e F. Kostner (2536 m - Fig. 1). Il periodo di permanenza in cui i sei caschi potevano rimanere custoditi 24 ore al giorno era quello classico dei rifugi alpini: dalle ore 12 del 20 giugno 2003 alle 12 del 20 settembre 2003. I restanti due caschi sono stati utilizzati, da nuovi, per test di confronto (Tabella pag 1).
I sei “vecchi” caschi sono serviti invece a completare delle considerazioni riguardanti il legame assorbimento di energia-tempo di esposizione-quota di esposizione, ma soprattutto a dare dei responsi riguardanti la durata delle prestazioni nel tempo specialmente in funzione della loro tipologia strutturale (Tabella pag 2).
Nel frattempo sempre in riferimento alla normativa EN 12492:2002, veniva realizzata ed allestita in laboratorio, seguendo l’accurata progettazione preliminare, una specifica apparecchiatura per le prove di assorbimento degli urti. La struttura era così costituita:
Fig 2 - Struttura prove
Fig 3 - Sistema di guida
Fig 3a - Sistema di guida
Fig 4 - Testa di prova
Fig 5- Massa di acciaio
Fig 6 - Cella di carico
Fig 7 - Strumentazione acquisizione dati
Infine sono state eseguite tutte le prove di rottura necessarie (anche più d’una per alcuni modelli di casco), e sono state tratte le considerazioni riguardanti le differenze tra caschi di nuova e vecchia generazione, l’energia assorbita nell’urto dal sistema casco-testa, la forza trasmessa alla colonna vertebrale durante l’urto in funzione della condizione dell’elmetto, l’influenza dell’esposizione ai raggi del Sole sulla capacità di assorbire energia durante un urto.
La normativa EN-12492, UIAA-106
Fig 8 - EN12492 UIAA106 HelmetsLa rappresentazione grafica della normativa (Fig. 8), presenta sinteticamente i metodi di prova per i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti e non contiene quindi tutti i dettagli dei metodi di prova e dei requisiti di questi standard; per maggiori dettagli è necessario consultare le norme EN-12492:2002.
Si richiamano in questo ambito solo alcuni punti attinenti all’assorbimento degli urti verticali:
“…la protezione fornita da un casco dipende dalle circostanze in cui si verificano gli incidenti e il fatto di indossarlo non può sempre consentire di evitare la morte o invalidità prolungata. Il casco riesce comunque ad assorbire parte dell’energia prodotta dall’urto, riducendo l’intensità del trauma subito dalla testa. Poiché tale assorbimento di energia può danneggiare la struttura del casco, è necessario che questo sia sostituito sempre in caso di forti colpi, anche quando il danno non è evidente…”
“…lo svolgimento di ogni prova prevede che ciascun tipo di casco venga sottoposto a prova nelle condizioni in cui è messo in commercio, che venga regolato in base alle dimensioni della testa di prova e secondo le istruzioni del fabbricante, ed infine che venga condizionato come indicato in un apposito prospetto…”
“… per eseguire la prova di urto sulla parte superiore la norma richiede l’utilizzo di tre caschi condizionati in modo differente (uno invecchiato all’UV e stabilizzato per 24 h ad una temperatura di (20 ± 2)°C e umidità relativa del (65 ± 5)%, uno condizionato alla temperatura di (35 ± 2)°C, e uno alla temperatura di ( -20 ± 2)°C) e posizionati su teste di prova prestabilite e di taglie conformi alla EN 960 (Headforms for use in the testing of protective helmets)…”
La rappresentazione grafica espone i test che i caschi devono superare per ottenere la certificazione; i primi tre si riferiscono alla capacità di assorbimento degli urti e alla resistenza alla penetrazione, gli altri due alla resistenza del sottogola e alla resistenza, frontale e dorsale, del sistema di ritenzione.
La “capacità di assorbimento di energia verticale” viene valutata facendo cadere una massa di 5 kg da un’altezza di 2 m; la forza trasmessa alla sagoma della testa di prova non può superare 10 kN per la normativa EN (8 kN per la direttiva UIAA).
La “capacità di assorbimento di energia frontale, laterale e dorsale” viene valutata con gli stessi metodi, facendo cadere la massa di 5 kg da 0,5 m; la forza trasmessa alla testa di prova non può superare 10 kN per la normativa EN (8 kN per la direttiva UIAA).
La “resistenza alla penetrazione” si effettua facendo cadere sul casco una massa di forma conica di 3 kg da un'altezza di 1 m. Il percussore conico non deve toccare la sagoma della testa di prova.
La “resistenza del sottogola” viene verificata ponendo il casco su un dispositivo di prova. Una forza di 0,03 kN viene applicata ad entrambi i cilindri che simulano una mascella artificiale e si misura la posizione delle cinghie; la forza viene applicata per un periodo di 30 secondi fino a 0,5 kN (500 N) e mantenuta per 120 secondi. L’allungamento massimo del sistema di ritenzione non deve superare 25 mm.
La “resistenza, frontale e dorsale, del sistema di ritenzione” si verifica montando il casco su una testa di prova. Una massa di 10 kg viene fatta cadere da un'altezza di 175 mm; il casco non deve staccarsi dalla forma della testa di prova.
I test: generalità e descrizione
In riferimento alla normativa esposta si precisa che i vari test si sono svolti presso il laboratorio del Dipartimento di Costruzioni e Trasporti, avente una temperatura di 19°C ed un'umidità relativa del 70% costantemente per tutto il periodo dell'anno. Inoltre i test hanno riguardato solo la “capacità di assorbimento di energia verticale”, valutata facendo cadere una massa di 5 kg da un’altezza di 2 m.
Fig 9 - Test di provaInizialmente, montata l'apparecchiatura come spiegato nel paragrafo precedente, sono stati effettuati alcuni test di prova atti a calibrare i vari dispositivi su alcuni elmetti da cantiere (Fig. 9). Una volta verificato che tutto funzionasse correttamente, ogni casco è stato posizionato nella testa di prova in maniera accurata e ben allacciato in modo da garantirne la stabilità durante l'impatto.
Successivamente, si lasciava cadere liberamente la massa di acciaio dall'altezza prevista, cioè 2 m dall'estradosso della calotta, all'interno del tubo guida, in modo da garantire l'impatto sempre nella sommità del casco (l'assialità era fondamentale in quanto si voleva valutare il massimo sforzo naturale di compressione possibile sulla colonna vertebrale); avvenuto l'impatto si memorizzavano e si archiviavano i dati ottenuti dalla cella per poter procedere successivamente ai loro confronti. Quasi tutti i caschi sono stati sottoposti a più di una prova: tra la prima e le successive ogni elmetto veniva tolto dalla testa di prova e successivamente rimesso in modo da eliminare le deformazioni residue dovute all'eventuale incastro generato dall'urto; questo, infatti, avrebbe falsato le prove poiché parte dei movimenti dissipativi che il meccanismo del casco avrebbe dovuto fare sarebbero mancati causando maggiori sforzi sulla cella.
Risultati
Nella sperimentazione sono stati utilizzati, come già esposto in tabella 1 e 2, i seguenti caschi:
- CAMP Rock Star, modello classico dal design semplice, leggero e confortevole, costituiti da una calotta stampata ad iniezione in polietilene HD di spessore variabile da 2 mm fino a 3 mm ed una struttura interna in fettucce di nylon. La calotta esterna deve essere in grado di scaricare l'energia d'impatto al telaio; sistema di regolazione rapida semplice ed efficace (Fig. 10 - 10a).
- CAMP Silver Star Casco compatto e leggero e confortevole, dotato di un sistema di regolazione rapida semplice ed efficace. Calotta in ABS stampata ad iniezione, con top interno in polistirolo ad alta densità. Struttura interna in nylon ricoperta con mesh traspirante in vellutino antisudore con trattamento antibatterico Dri-lex (Fig. 11).
Fig 10 - CAMP Rock Star casco nuovo 2002
Fig 10a - CAMP ROCK Star l'interno dopo il test
Fig 11 - CAMP Silver Star casco nuovo 2002
Fig 12 - EDELRID Full Carbon casco del 1996
La CCMT ha procurato sei caschi usati: tre EDELRID Full Carbon (Fig. 12), un GRIVEL The Cap Carbon (Fig. 13) e due vecchi CASSIN (Fig. 14). Lo stato di conservazione era molto vario: buono per gli Edelrid ed il Grivel e scarso invece per i Cassin, di molto datati (circa 15-25 anni di più).
Fig 13 - GRIVEL The Cap Carbon casco del 1998
Fig 14 - CASSIN Classic Rock anni 80
Lo studio avrebbe voluto avere un ampio sviluppo, sia per quello che concerne la sperimentazione che l’invecchiamento del materiale ed è quindi indiscutibile che per una ricerca più ampia e precisa non sia sufficiente un numero di caschi troppo limitato; inoltre, proprio per la valutazione dell’invecchiamento, si sarebbero dovuto utilizzare strumentazioni e metodologie apposite per sottoporre i materiali a cicli di invecchiamento accelerati rispetto all’esposizione naturale. Si evidenzia comunque come tutta la ricerca sia stata centrata sull’assorbimento di energia dovuto all’impatto per caduta di gravi e non a riprodurre in fedeltà le stesse prove utilizzate per certificare i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti. Quindi i commenti dei risultati e le considerazioni fatte si devono valutare criticamente tenendo conto dei limiti su cui si è svolta la sperimentazione; proprio per questo non si parlerà di un casco migliore rispetto ad un altro. Le prove che sono state effettuate in laboratorio sono molto complesse dal punto di vista fisico: i fenomeni che legano forza ed energia sono comunque evenienze non facilmente comprensibili con l’esperienza della quotidianità.
Ciò nonostante, avendo a disposizione venticinque prove è stato possibile fare un confronto diretto dal punto di vista del massimo sforzo raggiunto nelle singole prove. Sono stati eseguiti tutti i test di rottura necessari (anche più d'uno per alcuni modelli di caschi), sono state tratte le considerazioni riguardanti le differenze che ci sono tra i caschi di nuova e vecchia generazione, la forza che viene trasmessa alla colonna vertebrale durante l'urto in funzione della condizione del casco, l'energia che viene assorbita nell'urto dal sistema casco-testa e, infine, su quanto l'esposizione ai raggi del sole possa influenzare la capacità di assorbire energia durante un urto.
Dalle prove di laboratorio effettuate si è visto che ogni casco ha rispettato le attese ed in molti casi le ha anche superate (Tabella 3 - vedi nota). Infatti, i valori del primo drop test sono stati tutti inferiori ai 10 kN come richiesto dalla normativa e nella maggior parte dei casi anche il secondo e addirittura il terzo impatto sono stati assorbiti in maniera eccellente. Positivi risultati si sono ottenuti dalla determinazione della tenuta in funzione dell’usura dei materiali sintetici: infatti si è visto come gli elmetti invecchiati si comportino verosimilmente come quelli nuovi. L’invecchiamento è stato fatto in modo naturale per 6 caschi (3 Rock Star e 3 Silver Star ) ed i risultati si sono confrontati con quelli degli stessi modelli nuovi. Si sono anche eseguiti drop test su caschi “vecchi” ed utilizzati in ambiente alpino per diversi anni (dai 3 ai 5 anni) e anche in questo caso le risposte sono state più che soddisfacenti.
È da tener inoltre presente come i due vecchi elmetti Cassin erano visibilmente deteriorati ed i loro apporti non si sono presi in considerazione per ottenere giustificate analisi.
Tabella pag 3 - Risultati test laboratorio
Conclusioni
Il binomio confort-leggerezza è la principale caratteristica tecnica su cui si basa l’acquirente medio al momento dell’acquisto del casco da alpinismo. Al giorno d’oggi l’ottimizzazione degli spessori, salvaguardando comunque e sempre le prescrizioni della normativa, permettono di rendere i caschi più leggeri e allo stesso tempo più confortevoli ed indossabili. Attualmente ogni costruttore ha lanciato nel mercato come casco di punta quello costruito con la tecnologia in-moulding. La rincorsa globale alle tendenze del mercato non ha comunque fatto perdere di vista i fondamentali requisiti che devono soddisfare gli elmetti nel corso della loro vita. Dalle prove svolte si intuisce come lo spessore troppo sottile della calotta non sia in grado di assicurare un’adeguata rigidezza e faccia sì che il materiale espanso (nel caso di caschi moderni o composti), riceva il colpo in una zona localizzata raggiungendo rapidamente condizioni estreme (fase di densificazione del polistirene espanso), per cui l’accelerazione rilevata è alta. Il punto ottimale, caratterizzato da un minimo dell'accelerazione e della forza trasmessa al capo, si intuisce sia per uno spessore della calotta di circa 0,5 mm. Si può affermare che le limitazioni di garanzia per funzionalità dei caschi che le ditte forniscono, sono periodi validi, sicuramente non al limite, invece piuttosto prudenziali.
Il fattore tempo è fondamentale, anche se sicuramente un casco ancora imballato e rimasto al buio per 10 anni risponderà meglio al drop test rispetto ad uno stesso modello utilizzato magari per soli due anni ma da un professionista della montagna. La vita media di un elmetto è di circa 4 anni per una persona che fa abbondante attività alpinistica: infatti, soprattutto i caschi moderni proprio per come sono concepiti e costruiti, dopo un certo quel periodo iniziano a mostrare segni di cedimenti e imperfezioni come rotture della calotta per piccoli urti o perdite di tenuta dei collanti a causa dei cicli di caldo-freddo.
Nel caso dei caschi, le certificazioni delle ditte durano 3 o 4 anni: questo non vuole assolutamente affermare che superata quella soglia i caschi non funzionino più, ma si è visto che caschi utilizzati frequentemente per periodi superiori ai 3-4 anni presentano uno stato di degrado molto più avanzato.
Sebbene avvengano spesso incidenti, al giorno d’oggi non è pensabile che questi siano causati da trascuratezza nella cura e nella scelta dei materiali: l’alpinista e/o l’arrampicatore devono rendersi conto di quando è ora di rinnovare la propria attrezzatura. Consapevoli di ciò e che il casco serve e può salvare la vita, ricordate sempre di tenerlo ben allacciato.
Bibliografia
[1] Titton Michele, I caschi da alpinismo 1a parte, La Rivista del CAI luglio-agosto 2008
[2] Titton Michele, I caschi da alpinismo 2a parte, La Rivista del CAI settembre-ottobre 2008
Nota
Il newton - "N" - è un'unità di misura della forza nel Sistema Internazionale; un N è la forza che applicata a una massa di 1 kg le imprime l'accelerazione di 1 m/s^. Un decanewton - "daN" (10 newton) viene spesso usato perché equivale a circa 1 kg peso.
Un kilonewton "kN" (1000 newton) equivale quindi a circa 100 kg peso.
Resoconto del Convegno del Gruppo Orientale - GROPADA 20 ottobre 2024
di Francesco Leardi
ottimizzazione e grafica A. Rampini
Il giorno 20 Ottobre si è svolto nella rilassante e intima località di Gropada (TS) il convegno-assemblea del Gruppo Orientale.
In realtà il mio coinvolgimento per questo evento è stato dal giorno 18 nel quale ho iniziato il mio cammino sul suolo triestino e goriziano.
Ovviamente andava oltre il mio ruolo di presidente.
Su consiglio di Mauro Florit ho puntato l’interesse sulla mostra di “Julius Kugy e donne in quota” a Gorizia al palazzo Coronini che tra l’altro resterà aperta alla visita fino al 6 Gennaio 2025.
La mostra su Kugy
Sul Sentiero Rilke
Con 2 euro per i soci C.A.I. si accede a due sale con pannelli che illustrano con fotografie e frasi la vita di Julius Kugy e la situazione sociale delle donne in quota sia alpiniste che “portatrici” ai tempi della guerra, argomento che peraltro si adattava perfettamente al tema del nostro convegno pomeridiano.
Una breve visita mattutina sul sentiero Rilke a Duino e il trasferimento successivo a Gorizia ci hanno permesso di aspettare l’apertura della mostra e quindi radunarci nel tardo pomeriggio con Jennifer Dall’Armellina, nostra moderatrice al convegno e Alessandra Gaffuri accademica del gruppo centrale con la preziosa testimonianza che avrebbe portato al convegno di donna a confronto in un mondo maschilista.
Con un tempo inaspettatamente clemente alla mattina di sabato 19 ci attende all’inizio della strada Napoleonica Giorgio Ramani storico “passaggista” ma soprattutto memoria storica del movimento di arrampicatori che si sono avvicendati e spellati le dita sui passaggi andando ad altezze che oserei definire proibitive letteralmente “senza rete” rischiando non le sole caviglie ma ben altre fratture.
Giorgio Ramani
Giorgio Ramani indica la mitica "X"
Sulla X
Scorrendo lungo la Napoleonica siamo stati avvolti dalle leggende di nomi e volti alcuni conosciuti altri famosi ma solo ai locali e non per questo meno abili.
Insieme a noi la disponibile e solare Giuliana Pagliari INAL di Trieste e relatrice della domenica, preziosa compagna di escursioni storiche e naturalistiche che andò poi ad elencare.
Sotto gli occhi attenti di Ramani e Florit sulla mitica “X” di Ramani si avvicendavano Maistrello e Dalle Nogare verso l’”incognito”e per fortuna con un buon pad sotto le caviglie.
Nel frattempo ci aspettavano il “custode” Aldo Fedel della grotta Gigante e il presidente della SAG Paolo Toffanin.
All’interno della grotta veramente gigantesca è stato attrezzato un itinerario di arrampicata mista ci circa 170 metri da parte del “custode” e Paolo Pezzolato detto “Fossile”, molto suggestivo e che richiede ovviamente un sapiente uso delle staffe e la relativa tecnica per non arrivare alla balaustra finale come degli zombi.
Ovviamente poteva aprire questo itinerario in una grotta solamente un personaggio soprannominato “Fossile”.
Le cordate si stavano formando e cioè nell’ordine di partenza Ivo Maistrello e Marco Davoli, Carlo Dalle Nogare e Giuliano Bressan, Giuseppe Tararan e Mauro Moretto il tutto sotto la attenta supervisione di Mauro Florit ottimo coordinatore dell’evento.
Pronti partenza e via e così Ivo è la cavia che affronta questa via nella penombra di un ambiente veramente singolare.
Nel frattempo insieme ad altri convenuti risaliamo i cento metri gradinati di dislivello verso l’uscita affascinati dalla grandezza dell’ambiente.
Luci ed ombre danno rilievo alle fantastiche strutture della Grotta Gigante
Prossima destinazione per noi che abbiamo scelto una giornata di relax, il paesino di San Lorenzo dal quale si sovrasta la splendida Val Rosandra, attendendo per le 20 l’arrivo delle cordate alla balaustra, fine dell’itinerario.
Un dolce pensiero per il nostro collega Maurizio Fermeglia che qua ha concluso il suo cammino avvolge di commozione il nostro gruppetto.
Per fortuna la Giuliana, grande conoscitrice della valle, ci fa volare oltre, sfiorando con lo sguardo spigoli, aggirando creste e salendo strapiombi.
Un vento non fastidioso e un cielo grigio molto suggestivo ci accompagnano in questa visita in un luogo così carico di significato per l’ambiente triestino.
Poi con la macchina verso le Grotte di San Canziano per ammirare la maestosa bellezza del fiume Timavo che entra nella terra e nel suo percorso carsico sotterraneo arriva a San Giovanni di Duino per gettarsi nel mare dopo 39 chilometri di anonimato sotto terra incrociando l’abisso di Trebiciano che come un comignolo è uno sbocco verso il cielo.
Pensate che ci sono speleologi ed ovviamente speleo sub che per trovare sbocchi carsici hanno fatto una ragione di vita di questo loro impegno oserei dire anche assai pericoloso ma molto avventuroso.
Altro trasferimento alla grotta Gigante ormai chiusa al pubblico che apro io con le chiavi che mi ha lasciato l’Aldo Fedel.
Quante persone nella loro vita possono dire di avere avuto a propria disposizione la chiave di una grotta e che grotta?
Oramai sono le 20 e sollecitando i ragazzi impegnati in parete li invitiamo a sbrigarsi per il buio ormai imminente: ovviamente il tutto nella grotta!
Grande cena in splendida compagnia e armonia e poi la notte porterà consiglio per l’assemblea e il successivo convegno.
La mattinata del 20 Ottobre è splendida e di primo mattino con Mauro arriviamo a Gropada dove già il buon “Calice”, al secolo Stefano Zaleri, sta predisponendo le indicazioni per arrivare alla sala del Pub Skala nel cui interno Roby Valenti allestisce la parte per così dire informatica.
E veniamo alla parte del Convegno in quanto la parte congressuale va agli atti per così dire istituzionali.
Jennifer Dall'Armellina conduce il Convegno
Da sinistra Stefanelli. Gaffuri e Meroi
17 Sara Avoscan, Omar Genuin e la piccola Lia
Nives e Romano
L'Assemblea istituzionale della mattinaDa presidente ormai agli sgoccioli con la tensione per gli eventi così incalzanti, saluto il pubblico e lascio la parola alla moderatrice Jennifer Dall’Armellina che da subito ci accompagna con la sua simpatia e preparazione alla scoperta delle vite ed esperienze delle relatrici.
Giuliana Pagliari ci lega alla sua corda lungo la sua via fatta di arrampicate estreme e insegnamenti ad allievi della scuola Comici della quale è la direttrice.
Le parole di Giuliana così distaccata dall’autocelebrativo ci riempiono di commozione per il suo percorso di affermazione personale.
Da triestina ci introduce poi ad un sorprendente filmato gentilmente concesso dalla famiglia Rauber depositaria di un archivio fotografico pregevolissimo con inedite immagini di Emilio Comici poi donne sensuali in costume da bagno dell’epoca e singolari pose in arrampicate e discese in corda doppia.
Entra poi in gioco Alessandra Gaffuri con il suo entusiasmante percorso personale non solo legato alla montagna ma anche cammino di vita tra gioie e apprensioni, mamma, moglie e veterinaria.
Un vulcano ancora in attività che Jennifer, noto, scruta quasi con ammirazione.
Jennifer poi ci concede una frizzante intervista con Sara Avoscan e Omar Genuin e la loro piccola Lia che gattona in ogni dove sul palco mentre papà e mamma ci fanno vedere delle meravigliose immagini di gattonate verticali in Marmolada con la ripetizione della via Steps across the border/Senkrecht ins Tao (X-) un itinerario percorso in prima ascensione da Prem Darshano (al secolo Luggi Rieser) e Ingo Knapp l’11 ottobre 1995 e che conta, compresa la loro salita solo 5 ripetizioni.
Mentre si avvicina a me gli occhi vigili e attenti di Omar mi scrutano e con molta delicatezza si scusa della breve permanenza della sua famigliola ma lo rassicuro perché tutti abbiamo notato che la piccola Lia oggi era ingestibile: forse le manca il pannello da arrampicata?
Entrano poi in ballo Nives e Romano che oserei definire la coppia di ferro e sulle immagini del loro quattordicesimo ottomila, l’Annapurna, ci lasciano ancora senza fiato, e non è un eufemismo, immergendo il nostro essere in quel mare di solitudine così pregnante.
Poi la sempre presente e brillante Jennifer comincia con le domande alla coppia che evidenzia la loro situazione personale e cioè il “soli ma uniti” che li ha portati in giro per il mondo.
E il litigio in vetta all’Annapurna? Chi aveva ragione? Romano afferma di avere lui sempre ragione ma ho l’impressione che la Nives, con quello sguardo così vispo, attento e contemporaneamente dolce abbia la testa adatta per tenere banco al “suo uomo”.
Sempre belli e brillanti nonché affascinanti.
Un attimo di pausa e ci viene offerta da Franco Toso che si è prestato anche per l’assistenza tecnica, la visione del film “Signora delle cime” su Bianca di Beaco che ci immerge in un alpinismo di altri tempi proiettandoci anche volti ben noti a noi accademici.
Con una certa commozione, oltre ad altri personaggi triestini dell’epoca, compare il mitico Jose Baron e poi Walter Mejak che però non ho conosciuto e sappiamo che in sala a vedere il film c’è la moglie Fioretta Tarlao , un tipetto singolare di 86 anni assai frizzante e molto coinvolgente.
Il film di Franco Toso ci trascina in un mondo così lontano ma anche così attuale lasciandoci stupiti dai profondi sentimenti e riflessioni di Bianca, donna sensibile ma soprattutto LIBERA.
E questo è stato il senso dato al nostro convegno rivolto alle nostre compagne che siano di vita, di cordata, di qualsiasi cosa con la consapevolezza di tributare il nostro rispetto verso di loro.
Un grazie molto sentito a Paolo Toffanin presidente della SAG e Piero Mozzi presidente della XXX Ottobre che hanno favorito questo progetto.
Aldo Fedel, custode della grotta, ci ha fatto capire come si può amare con passione il proprio lavoro.
Un ringraziamento ai colleghi accademici che mi hanno fatto da capocordata su questa via verso Gropada, Florit, Valenti e Zaleri.
Legate a questa cordata, alle quali sono debitore, anche la sempre presente Anna Bressan, l’infaticabile Sofia Beltrami e la mia ragioniera e scrutinatrice Fiammetta Curcio.
E grazie ai convenuti!
CONVEGNO NAZIONALE C.A.A.I.
16 novembre 2024
presso Abbazia Benedettina di Maguzzano – Lonato (BS)
Il delicato e attualissimo problema dell’equilibrio tra conservazione del patrimonio storico e sistemazione (valorizzazione?) degli itinerari verrà osservato ed approfondito nei suoi molteplici aspetti da relatori qualificati come Matteo De Zaiacomo, Matteo Rivadossi, Heinz Grill, Ivo Rabanser, Beppe Villa, Tommaso Lamantia, Luca Calvi ed altri.
Alberghi e B&B a Desenzano del Garda
LA MONTAGNA E’ DONNA
Convegno autunnale del Gruppo Orientale del CAAI
20 Ottobre 2024 - Gropada (TS)
Il Convegno-assemblea autunnale del gruppo Orientale C.A.A.I. si terrà domenica 20 Ottobre 2024 presso la CASA DELLA CULTURA SKALA DI GROPADA - Gropada 82 (TS).
L’appuntamento per i soci è alle ore 9,00. Dopo la registrazione, Ariella Sain farà vivere con immagini un ricordo del suo compagno di vita Marino Babudri nostro stimato e apprezzato collega. A seguire Diana Sbabo e Ivo Maistrello presenteranno il libro “Progetti verticali sul Sojo Rosso e Sojo d’Uderle” sviluppato con il contributo fotografico di Luca Giovannini.
Diana e Ivo per diversi anni hanno arrampicato su queste pareti anche condividendo momenti di vita.
A seguire proiezione di un interessante filmato.
L’Assemblea proseguirà con gli adempimenti statutari, comunicazioni, elezioni ecc. come da odg che verrà inviato ad ogni socio.
Dopo il pranzo sociale, a partire dalle 14,30, ci sarà il Convegno aperto al pubblico “LA MONTAGNA E’ DONNA” – scarica qui la locandina – con l’intervento di qualificati relatori e la proiezione del film “Signora delle cime” docufilm su Bianca di Beaco.
MEETING VAL GRANDE IN VERTICALE
14/15 settembre 2024
Al tempo non si comanda, questa volta non siamo riusciti ad evitare il famigerato e tanto temuto “weekend di brutto tempo”. Nelle sette edizioni precedenti la fortuna ci aveva sempre baciato, magari non avevamo avuto due giorni di sole pieno, anzi il sabato del primo raduno era iniziato con la pioggia, però eravamo sempre riusciti a salvare l’evento. Questa volta no, ma d’altra parte, anche solo per un calcolo delle probabilità, doveva prima o poi accadere.
A metà settimana piogge torrenziali avevano già creato molti danni e disagi e la domenica era prevista un’altra intensa ondata di maltempo e così, con una “riunione d’emergenza” dell’ultima ora, l’ineluttabile decisione: rinviamo il raduno al prossimo fine settimana.
Cosa facile a dirsi, e obbligatoria per le condizioni ambientali venutesi a creare, ma non così banale da attuare. Tutte le attività previste potranno essere fatte? Ci sarà ancora la disponibilità di tutti i volontari coinvolti?
Convulsi giri di messaggi e telefonate. Verifiche di disponibilità dell’ospite, della sala comunale, delle scuole di alpinismo, dei volontari. Senza contare l’aggiornamento della parte di comunicazione, banalmente le locandine disseminate in valle da correggere. Nulla di scontato, eppure alla fine ce l’abbiamo fatta, con l’impegno e la buona volontà di tutti.
Solo due delle attività previste purtroppo non siamo riusciti a salvare: la prova scalata per adulti neofiti e l’attività dimostrativa delle guide alpine Valli di Lanzo. Ma tutto il resto sì, compresa la novità di questa edizione: la passeggiata naturalistica per riconoscere piante e fiori fatta dal grande esperto Aldo Chiariglione con l’ausilio della guida naturalistica Diego Antonucci. Un’iniziativa che ha riscosso un grandissimo successo, suscitando tanto interesse e curiosità.
Il meteo ci ha premiato, due giornate di sole, persino il forte vento del venerdì ha cessato di soffiare sabato mattina. Ma si sa, al tempo non si comanda, e se è andata così è solo perché ha voluto farci un grande regalo, non certo per le nostre risentite rimostranze. Anzi a ben pensarci il regalo è stato doppio perché prima il vento ha provveduto ad asciugare tutto e dopo il sole ha fatto sì che tutti potessero scalare. Magari non faceva proprio caldissimo ma sono solo dettagli e tutti si sono divertiti sulle belle pareti di Sea e della Val Grande.
Gli iscritti ufficiali si sono attestati sulle 300 unità, un po' meno dell’anno scorso ma è il pegno da pagare per lo spostamento di data, poi ci sono stati di nuovo un centinaio di bambini, gli allievi del corso trad della Gervasutti, i camminatori della gita sociale del CAI e soprattutto i già citati partecipanti alla passeggiata naturalistica che sono stati 60, senza contare tutti quelli che hanno partecipato alla conferenza sulle erbe del sabato a Pialpetta. Inoltre c’è chi ha presenziato alla serata tenuta da Andrea Bonaiti sulla sua spedizione al Nanga Parbat. Un film documentario nella sua semplicità molto avvincente che nonostante la durata non indifferente, un’ora e mezza, ha riscosso un buon successo, essendo la sala comunale a Cantoira piena. Purtroppo, come già detto, non è stato possibile tenere la giornata prova scalata per neofiti e la dimostrazione delle guide alpine. Però i commenti in valle sono stati tutti positivi, da ristoratori, albergatori e commercianti il riscontro è stato ottimo e questo per noi è molto importante in quanto uno degli obiettivi del raduno è quello di portare gente in Val Grande a vantaggio dell’economia locale.
Il numero degli iscritti ufficiali come al solito non corrisponde mai alla gente che durante l’evento gira in valle e purtroppo non corrisponde nemmeno a chi si avvale delle iniziative proposte nell’ambito della manifestazione. Dispiace che molti non capiscano, o non vogliano capire, lo spirito e le finalità che questo evento si prefigge. Dispiace soprattutto se a non capire sono gli scalatori che poi percorrono quegli itinerari ripristinati grazie ai proventi derivanti dalle iscrizioni. Ogni anno, da molto tempo ormai, vengono piazzate centinaia di fix e non solo in Val Grande ma anche in Val di Viù e Val d’Ala, un’opera che rende di nuovo fruibili tantissime vie e falesie altrimenti destinate all’oblio. E ogni anno è sorprendente come si riesca sempre a trovare nuovi progetti, così tanti che probabilmente non basteranno altrettanti raduni per finire tutto. Le Valli di Lanzo sono incredibilmente ricche di pareti e certamente Sea è il luogo che più di ogni altro testimonia questa ricchezza. Una Sea minacciata dall’ennesimo progetto di costruzione di una strada ma anche una Sea valorizzata e ora uscita dal dimenticatoio. A dimostrazione di ciò la presenza nel Vallone di due tra i più forti scalatori al mondo, Didier Berthod e Fred Moix, alle prese con un progetto al Trono di Osiride, si dice un tetto con difficoltà sul 9a. Anche se la difficoltà, se sarà davvero quella, non sarà “popolare” sicuramente il ritorno di immagine sarà notevole. Ed è bello pensare che forse senza gli sforzi di questi anni Sea sarebbe ancora oggi un vallone sconosciuto e dimenticato, del quale probabilmente nemmeno i due svizzeri avrebbero mai sentito nemmeno parlare.
Per questo è nostra intenzione continuare a fare il Val Grande in Verticale!
Ringraziamo tutti gli sponsor: Ortovox, La Sportiva, Camp, Grivel, Ferrino, Edelrid, Grande Grimpe, Mulin Barot, Uova Fantolino, la Libreria della Montagna. I negozi tecnici Mountain Sicks e Bshop. Le palestre indoor Bside, BoulderBar, Escape, Sasp, Cus, La Mole. Gli esercizi commerciali/aziende della Valle. Grazie!
Settembre 2024
Luca Enrico
CAAI Gr. Occidentale e Gruppo Valli di Lanzo in Verticale
Ottimizzazione e grafica A. Rampini
Con una cerimonia seguita da decine di appassionati di montagna, il 13 agosto la struttura, di proprietà del Club Alpino Accademico Italiano, è stata ufficialmente intitolata anche a Matteo Campia, forte alpinista cuneese che ne promosse la costruzione a ricordo di Niculin Gandolfo, suo compagno di cordata e altro nome famoso dell’alpinismo cuneese, scomparso nel 1961. Come ha ricordato Fulvio Scotto, Presidente del Gruppo Occidentale del CAAI, si è voluto ricostituire idealmente la cordata che per una ventina di anni, tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Cinquanta, praticò assiduamente su queste montagne un alpinismo di esplorazione e di avventura con autentico spirito accademico. Il Bivacco, già inaugurato nel 1970 e che si chiamerà da ora BIVACCO CAMPIA-GANDOLFO, si trova in uno degli angoli più belli delle Alpi Marittime, a 1847 metri di quota nel Vallone del Dragonet, in Alta Valle Gesso. Il bivacco, ovviamente incustodito ma sempre aperto, è fornito di fornello a gas, brandine con materasso e coperte. La struttura è punto d'appoggio per diverse salite alpinistiche, relazionate in una breve dispensa preparata per l'occasione dal CAAI 8 (scarica qui Prima parte - Seconda parte - Terza parte)
Dopo la posa di una targa ricordo sul bivacco, con l’intervento del Vescovo di Pinerolo, Monsignor Derio Olivero, appassionato alpinista, l’evento è proseguito a valle a Sant’Anna di Valdieri con la partecipazione di figure di spicco dell’alpinismo cuneese, dei rappresentanti del Parco delle Alpi Marittime e del Comune di Valdieri, nonché Giorgio Campia, figlio di Matteo Campia. Presente una rappresentanza del CAAI composta dal Comitato di Presidenza del Gruppo Occidentale e dal past president Corradino Rabbi.
Ottimizzazione e grafica A. Rampini
Giorgio Campia scopre la targa che testimonia della intitolazione del bivacco a suo padre Matteo Campia e al suo compagno di cordata Niculin Gandolfo - Ph U.Valocchi
Un momento della cerimonia - Ph M.Castagni
Inaugurato nel 1970, il bivacco è stato oggetto di periodiche manutenzioni, l’ultima delle quali recentissima coordinata da Anselmo Giolitti. Anche il sentiero di accesso, lungo e con un paio di passaggi attrezzati con corda fissa, viene regolarmente tenuto accessibile grazie al lavoro di tanti: dall'Aib di Borgo San Dalmazzo, ai volontari, al Soccorso Alpino, agli operai forestali della Regione Piemonte e della squadra tecnica delle Aree Protette delle Alpi Marittime.
Un ringraziamento particolare va quindi a loro e alle tante altre persone che nel tempo si sono occupate e si occupano del mantenimento della struttura e del percorso di accesso.
In occasione della re-intitolazione, il CAAI, ha diffuso una breve monografia sulle principali possibilità di alpinismo d’avventura nel selvaggio Vallone del Dragonet, per le quali il rinnovato Bivacco “Matteo Campia-Niculin Gandolfo” serve da base di appoggio.
La rappresentanza del CAAI, con al centro Monsignor Derio Olivero e alla sua sin. Giorgio Campia. Da sin. Francesco Drocco Aspirante CAAI, Sergio Calvi in rappresentanza delle Guide Alpine, Umberto Valocchi, Fulvio Scotto e a destra Anselmo Giolitti - Ph A.Santeusanio
Da sin Giorgio Campia, figlio di Matteo, Antonio Santeusanio e Fulvio Scotto
La testata del Vallone del Dragonet nel controluce pomeridiano, dal sentiero di accesso - Ph F.Scotto
Al centro il Vallone del Dragonet con illuminata dal sole la parete Nord Est della Cima del Dragonet con a sin, in ombra, l’aguzza Guglia del Dragonet e la parete Nord dell’Asta Soprana - Ph F.Scotto
Lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph F.Scotto
Un momento della manifestazione al Bivacco Campia-Gandolfo - Ph F.Scotto
Magia del Vallone del Dragonet
Salita lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph U.Valocchi
Nell'ultimo tratto del sentiero verso il Bivacco Campia-Gandolfo, sullo sfondo il Monte Matto - Ph F.Scotto
Momenti di salita lungo il sentiero del Vallone del Dragonet - Ph F.Scotto
Volontari della squadra AIB Borgo S.Dalmazzo, impegnati nella pulizia del sentiero
Monsignor Derio Olivero interviene alla cerimonia dell'intitolazione
Lungo il sentiero del Vallone del Dragonet, sullo sfondo il Monte Matto
Alcune foto storiche
Vallone del Dragonet invernale - Ph F.Scotto
Vallone del Dragonet a primavera
21 febbraio 1988, prima invernale della via Campia-Gandolfo-Nervo alla Parete Nord dell'Asta Soprana - Ph F.Scotto
Asta Sottana - Prima ripetizione della via L'Eco del Drago- Ph G.Canu