Un mito che non tramonta mai
WALTER BONATTI (1930-2011)
Grande Guida Alpina, Accademico ed Esploratore
E prima di tutto Grande Uomo.
Sembra una contraddizione. L’Accademico è una Sezione Nazionale del CAI che comprende da sempre forti alpinisti non professionisti. Solo dal 2014 gli Accademici che diventano Guida possono rimanere a tutti gli effetti membri del Club Alpino Accademico Italiano: in precedenza perdevano il titolo. Ma, naturalmente, questo era solo un aspetto formale: chi ha meritato il titolo di Accademico e si è riconosciuto nei valori relativi tale rimane per sempre. E questo oggi è stato riconosciuto.
Perché l’Accademico richiede ai suoi soci di non essere professionisti? Non certo perché la professione di Guida sia considerata meno nobile di qualsiasi altra professione, ma semplicemente per il fatto che fini professionali ed economici possono condizionare ed orientare l’attività in modo non coerente con l’assoluta libertà e gratuità che rappresenta l’aspetto più nobile dell’andare in montagna e scalare le montagne. Non per necessità di guadagno, quindi, ma solo per soddisfazione ed appagamento del proprio spirito, in assoluta libertà.
Si può affermare senza tema di smentite che lo spirito accademico di un alpinismo alto, di ricerca e di avventura e con connotazioni fortemente etiche è stato il filo conduttore dell’esperienza di Bonatti dall’inizio alla fine, da alpinista non professionista, poi da Guida e infine anche da Viaggiatore.
Ecco perché consideriamo Bonatti uno dei più coerenti rappresentanti dello spirito accademico.
Alberto Rampini Presidente Generale
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Di seguito un appassionato ritratto di Walter Bonatti per la penna di Alessandro Gogna, nostro socio, pubblicato su Gognablog (per gentile concessione).
Che cosa è stato Walter Bonatti
Le sue imprese, e ancor più la marmorea fedeltà alle proprie idee nel realizzarle, ne fanno una figura di spicco assoluto nella storia dell’alpinismo mondiale del Dopoguerra. Dino Buzzati scrisse che se Bonatti fosse vissuto ai tempi di Omero le sue imprese sarebbero state raccontate con un grande poema.
Nato a Bergamo il 22 giugno 1930, si trasferisce a Monza e cresce alpinisticamente nel locale gruppo dei “Pel e Oss” (Pelle e ossa). Appena diciannovenne (1949) ripete la parete nord-est del Pizzo Badile, la Ovest dell’Aiguille Noire de Peutérey e la via Cassin sulla Nord dello Sperone Walker alle Grandes Jorasses. Nel 1951 balza alla ribalta con una scalata che spinge all’estremo il concetto di arrampicata artificiale, tecnica fino a quel momento in uso più che altro sul calcare delle Alpi Orientali e delle Dolomiti: assieme a Luciano Ghigo, la trasferisce sul granito e vince così la parete est del Grand Capucin.
Nel 1953, mentre Ardito Desio comincia a selezionare la squadra di alpinisti destinati a tentare la prima ascensione del K2 8611 m, Bonatti scala con Carlo Mauri (per alcuni anni i due sono ritenuti la coppia più forte del mondo) la Nord della Cima Ovest di Lavaredo in prima invernale. Subito dopo compie (con Roberto Bignami) un’altra prima invernale aprendo la diretta della Cresta Furggen sul Cervino.
Nel 1954, a 24 anni, partecipa alla spedizione italiana diretta dallo scienziato Ardito Desio sulla seconda montagna più alta del mondo, il K2. Una spedizione destinata al successo, con l’epica salita in vetta di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Il giorno prima, Bonatti, il più giovane della spedizione, sceso al campo inferiore per recuperare altre bombole di ossigeno, risale con il portatore hunza Amir Mahdi. Giunti a quota 8100 m circa i due scoprono che Lacedelli e Compagnoni non hanno allestito l’ultimo campo, il IX, nel luogo concordato, bensì oltre una fascia rocciosa che, nella notte incipiente, si rivela un ostacolo insormontabile per la cordata di appoggio. Il vento ostacola le comunicazioni, ma Compagnoni e Lacedelli si limitano a suggerire da lontano di lasciare l’ossigeno e tornare indietro. Vista l’impossibilità di scendere a quell’ora, Bonatti e Mahdi trascorrono la notte a temperature polari, senza alcun riparo. Sopravvivono – all’epoca si credeva fosse impossibile – e scendono alle prime luci, prima l’hunza e poi Bonatti, mentre Compagnoni e Lacedelli, recuperate le bombole, salgono fino in vetta. Mahdi, semiassiderato, subisce l’amputazione di numerose dita.
La spedizione al K2 del 1954 lascia una traccia amara e indelebile nella vita di Bonatti. Per equivoco o per scelta (polemiche e discussioni si sono trascinate per anni, anche nei tribunali) Compagnoni e Lacedelli si sono macchiati di omissione di soccorso. Soltanto nel 2004 la commissione d’inchiesta del Club Alpino Italiano riconosce la versione di Bonatti. «A 53 anni dalla conquista del K2 – scriverà Bonatti – sono state finalmente ripudiate le falsità e le scorrettezze contenute nei punti cruciali della versione ufficiale del capospedizione Ardito Desio. Si è così ristabilita, in tutta la sua totalità, la vera storia dell’accaduto in quell’impresa nei giorni della vittoria».
Un Bonatti più determinato che mai affronta così la stagione successiva: la lotta solitaria durata sei giorni sul Petit Dru lancia il suo nome anche al di fuori dell’ambiente alpinistico. A Natale dello stesso anno affronta con Silvano Gheser la scalata invernale dello Sperone Moore, sul Monte Bianco. Al bivacco della Fourche i due incontrano i giovani scalatori Jean Vincendon e François Henry, un francese e un belga. Nella bufera le due cordate si uniscono ed escono insieme sulla calotta sommitale. Bonatti, che ha il compagno Gheser sfinito, invita Vincendon e Henry a seguirli subito al rifugio Vallot, ma i due si fermano per rifocillarsi e al Vallot non arriveranno mai. Gheser e Bonatti sono recuperati da una squadra italiana. Vincendon ed Henry, nonostante un’operazione di soccorso francese, straordinaria quanto caotica, muoiono dopo 8 giorni e i cadaveri sono recuperati soltanto il 19 marzo. Bonatti è, ingiustamente, accusato di non aver prestato sufficiente aiuto ai due colleghi.
Nel 1958 compone la cordata di punta insieme a Carlo Mauri nella spedizione guidata da Riccardo Cassin al Gasherbrum IV 7929 m, una delle più difficili vette del Karakorum e ne compie la prima ascensione assoluta. Alterna quindi l’attività sul Monte Bianco (Grand Pilier d’Angle, Pilastro Rosso di Brouillard con Andrea Oggioni) con le spedizioni extraeuropee (Patagonia e Ande Peruviane) fino a quando, nel luglio del 1961, si ritrova al centro di una nuova ondata di polemiche. All’inizio di luglio, due cordate tentano la prima ascensione del Pilone Centrale del Frêney (Monte Bianco): Bonatti con Andrea Oggioni e Roberto Gallieni; il francese Pierre Mazeaud con Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e Antoine Vieille. A soli 120 metri dalla fine delle grandi difficoltà, tutti devono desistere per una tormenta violentissima. Dopo giorni di bivacchi al gelo cercano scampo scendendo alla capanna Gamba. Solo Bonatti, Gallieni e Mazeaud ci riescono. Accorsero a Courmayeur i giornalisti e vi fu un grande dispiegamento di media, attratti dalle fosche tinte della tragedia.
La difesa di Mazeaud, che spiega come Bonatti fosse riuscito comunque a portare in salvo due dei sei compagni, non basta a tenere l’italiano al riparo dalle critiche. Ma la Francia lo insignisce della Legion d’Onore.
Nel 1963, assieme a Cosimo Zappelli, compie la prima invernale dello Sperone Walker. Nel 1964, con Michel Vaucher, una nuova via su un altro sperone (Whymper) delle Jorasses. Nel 1965 il capolavoro che ne chiude in pratica la carriera alpinistica d’alto livello: una via nuova, diretta, invernale e solitaria, sulla Nord del Cervino.
Foto Archivio Rampini
Inizia la seconda vita di Walter Bonatti, quella di reporter nei luoghi più selvaggi della terra. Nando Sampietro, l’allora direttore del settimanale Epoca, era affascinato dall’idea che qualcuno potesse incarnare, nel secolo XX, la mitica figura di viaggiatore ed esploratore di Henry Stanley, una specie di moderno Ulisse. Bonatti accetta la sfida, interpretando a suo modo quest’idea e rifiutando gli aiuti esterni: da Capo Nord all’isola di Pasqua; dentro le viscere infuocate del vulcano Nyragongo, o sull’isola di Mas a Tierra da novello Robinson Crusoe; attraverso il deserto della Namibia o il ghiacciaio di San Valentin; tra i pigmei dell’Ituri e gli aborigeni dell’Orinoco.
Le sorgenti del Rio delle Amazzoni sono l’oggetto di ricerca di due diverse spedizioni, a Sumatra studia il comportamento della tigre al cospetto dell’uomo. Nelle isole Marchesi è sui percorsi delle avventure raccontate in Typee e Omoo, i romanzi dove Herman Melville racconta di essere scappato dalla baleniera Acushnet sulla quale era arruolato per finire prigioniero dei cannibali e fuggire ancora fortunosamente. Bonatti tenta di dimostrare la veridicità di tale storia. Sono degli anni Settanta le spedizioni in solitaria a Capo Horn, lungo 500 km di fiordi della Patagonia, lungo il corso del fiume Santa Cruz, in Congo, in Guyana, in Alaska e in Antartide. Sono parecchie decine i suoi viaggi, prima raccontati su Epoca, ma poi anche su Airone.
Ha scritto anche una quindicina di libri autobiografici. Muore di cancro al pancreas il 13 settembre 2011, a Roma.
Che cosa è stato Walter Bonatti
Certamente uomo dall’infanzia difficile, con un’adolescenza vissuta in tempo di guerra, Walter Bonatti comincia giovanissimo ad arrampicare in Grignetta sognando il Monte Bianco e le Dolomiti.
A dispetto delle dimensioni delle torri della Grigna, il terreno è assai adatto a forgiare delle personalità: basta pensare a quella di Riccardo Cassin. Infatti, ben presto il giovane Walter dimostra di avere dentro di sé una forza e una volontà del tutto sconosciute ad altri sia pur forti arrampicatori.
Sono soprattutto la determinazione, la tenacia fuori del comune, la pazienza nelle attese, unitamente a una calma glaciale e un’istintuale capacità di calcolo, che gli permettono di avere ancora prima di partire una completa visione generale del problema da affrontare, così declinata nei singoli dettagli da poter affrontare anche gli imprevisti.
Lo dicono già le sue prime imprese, tipiche di un giovane che non è mai veramente soddisfatto di ciò che ha appena realizzato, perché i suoi programmi sono ben superiori alla realtà appena vissuta. Chi lo conosceva poteva vedere, dietro a quello sguardo un po’ glaciale e penetrante, dietro a quel sorriso stretto, l’immensa arsura della sua anima, così fermamente tesa al futuro da non potersi concedersi alcuna gioia duratura nel presente.
Come arrampicatore è stato giudicato “freddo, calmo, forse un po’ lento”. Indubbiamente al suo tempo vi erano alpinisti forse più brillanti e perfino più dotati di lui, sia in Italia che in Europa. Ma nessuno era così calmo e così costante, nessuno aveva la forza interiore della locomotiva Bonatti. Di certo, dove altri erano passati, passava anche lui, anche se magari impiegando qualche ora in più. Non è altrettanto certo il contrario…
Dopo neppure due anni Bonatti è pronto a travalicare quei limiti che nessuno aveva neppure ancora concepito. Il suo concetto di possibile ha compreso progetti che per l’élite di allora erano ancora compresi nel campo dell’impossibile. Come sulla Est del Grand Capucin o sul Petit Dru, sul pilastro che, prima di crollare nel 2005, portava il suo nome. Entra nell’avventura del mai osato con un autocontrollo che non può che essere imitato. Perché lucida freddezza e piena coscienza del proprio esatto valore non si possono imparare come una qualunque tecnica: bisogna nascerci così.
Mentre pensa alle imprese alpine, si allena sistematicamente, è certamente ambizioso e perfezionista. E come tutti i perfezionisti stenta a considerarsi davvero soddisfatto di un risultato.
In pratica riunisce la grande capacità realizzativa di un Riccardo Cassin con l’individualismo sognatore di un Giusto Gervasutti. Ed è alla ricerca dell’avventura perfetta: forse per ottenere quel riscatto, agognato da tutti i suoi contemporanei, italiani colpiti nel loro orgoglio, ferito in un perduto conflitto mondiale e anche smarrito in una guerra civile. In una parola Bonatti diventa eroe salvifico, redentore dell’azione, per ridare il valore all’uomo.
In questa missione, grande è il suo fastidio per le regole e per le restrizioni. È probabilmente questo il motivo che spinse il capospedizione del K2, Ardito Desio, a non includerlo nella cordata scelta per l’attacco finale alla vetta.
La grande ricerca di Bonatti è sempre stata volta al miglioramento dell’uomo, con una grandiosità tale d’intenti da escludere con sicurezza che il suo primo obiettivo fosse l’ingigantimento della sua figura. Questo era più una conseguenza che una causa.
Purtroppo tutto ciò non è stato compreso dai più, in un diluvio di critiche, di invidie e di calunnie. La stampa per prima non si rendeva conto che lo stava deificando, attribuendogli caratteristiche da superuomo. Pronta però a farlo cadere dalle stelle alle stalle al primo incidente di percorso. E del resto così sono sempre stati trattati i provocatori, coloro che sono in grado con la loro creatività di dare scossoni positivi a un’umanità dormiente, ma che alla fine della parabola, sono giudicati scomodi e negativi. Da imprigionare e magari sopprimere. Le tragedie del Natale 1956 e del luglio 1961, entrambe sul Monte Bianco, sono le rampe di lancio del lungo scontro, quasi cinquantennale, tra Bonatti e la stampa. Un sordido gioco al massacro, nel quale tanto più la figura dell’alpinista veniva esaltata, tanto più si aggrediva e si malgiudicava l’umano che necessariamente era il protagonista delle imprese.
Da una parte Bonatti per le masse è unico e irraggiungibile: “tutti cadono e muoiono, ma Bonatti non muore”, sintetizza amaramente Gian Piero Motti. Dall’altra si scatenano così contro di lui gli editoriali dei benpensanti del boom economico degli anni ’60, dei moralisti, degli scribacchini che razzolano nel torbido e nella facile sensazione.
Ad ogni attacco segue una nuova impresa, ad ogni nuova impresa seguono le lodi unitamente a nuovi attacchi. Non c’è dunque da stupirsi se Bonatti, per non cadere egli stesso nella schizofrenia dell’informazione, decide di lasciare, chiudendo in bellezza con l’ultima stupefacente impresa sul Cervino. Prima di essere vittima definitiva di un circolo vizioso che prima o poi lo avrebbe ucciso, Bonatti spiazza tutti con il suo memorabile abbandono.
Per me Walter Bonatti ha rappresentato (e rappresenta tuttora) il maestro che ha forgiato, con le sue imprese e i suoi libri, la mia nascente e giovanile voglia d’avventura, incanalandola sulle montagne. Tramite i suoi racconti ho capito come si possa essere liberi di creare in piena libertà proprio rispettando solo poche ed elementari regole di etica.
Tutta la sua vita alpinistica è stata un grande e unico esempio, dalle più audaci solitarie e invernali alle prime di enorme levatura, da imprese quasi ineguagliate come quella al Gasherbrum IV alla pazzesca avventura umana del K2. Un uomo segnato tanto da successi senza precedenti nel mondo mediatico quanto da tragedie con il seguito di decennali polemiche (è rimasto memorabile nel 2004 il rifiuto del titolo di Cavaliere di Gran Croce, dopo aver saputo che il presidente Ciampi avrebbe dato la stessa onorificenza anche ad Achille Compagnoni!).
Un nome noto in tutto il mondo, limpido, cristallino come le sue montagne. Un nome che conferma a un’Italia, in questo momento assai dubbiosa dei propri valori, quanto invece sia ricca di individui di fama planetaria che l’hanno fatta grande. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno ogni tanto di ricordarcelo.
Walter Bonatti su Enciclopedia Treccani
Walter Bonatti su Biografieonline
Pubblicazioni
MARIO BISACCIA
La rivoluzione delle tecniche di assicurazione in alpinismo
A cura di Alessandra Galli Bisaccia
Quirici Edizioni
con il patrocinio del Club Alpino Italiano
Elegante volume di oltre 160 pagine, da leggere tutto d’un fiato. Spunti poetici tratti dai diari personali si alternano ai documenti storici che illustrano l’intensa attività alpinistica di Mario Bisaccia, Accademico e Istruttore Nazionale del CAI, e ne testimoniano l’impegno nel campo didattico e nella ricerca sui materiali alpinistici e sulle tecniche di utilizzo, in particolare nel campo dell’assicurazione.
Bisaccia fu l’inventore dell’assicurazione dinamica con l’utilizzo del nodo mezzo barcaiolo: il sistema di assicurazione venne adottato ufficialmente dall’UIAA negli anni ’70.
La sua curiosità e continua sperimentazione furono alla base della nascita della Commissione Materiali e Tecniche, antenata dell’attuale Centro Studi Materiali e Tecniche.
Il contributo dell’accademico Mario Bisaccia all’evoluzione dell’alpinismo è stato importante ma non è da meno il patrimonio letterario, non di rado poetico, che ci ha lasciato nei suoi diari alpini, messi a disposizione di tutti con questa bella pubblicazione.
“Le Alpi non procurano soltanto ebbrezze sportive.
Ma possono offrire una misura estetica della vita.”
Assemblea autunnale del Gruppo Orientale CAAI
24 novembre 2019 a Montecchio Maggiore in collaborazione con la sezione CAI locale
presso la Sala Civica della Corte delle Filande a Montecchio Maggiore, Via Alcide De Gasperi.
Programma assemblea
ore 9.00 registrazione partecipanti;
ore 9.30 inizio assemblea;
ore 11.00 pausa;
ore 13.00 circa, chiusura assemblea e trasferimento al ristorante per il pranzo sociale.
Ordine del giorno:
1. Approvazione verbale convegno di primavera di Cividale del Friuli e assemblea Ravina;
2. Comunicazioni della Presidenza e relazione Annuale;
3. Ricordo del socio Giacomo Albiero;
4. Elezione di un membro della Commissione Tecnica (in scadenza Dalle Nogare);
5. Audiovisivo “Materiali e loro uso” a cura di Giuliano Bressan, segue discussione
6. Proposte ed idee per il superamento della mancanza di “vocazioni” per l’ammissione al CAAI
(argomento in discussione al prossimo Convegno Nazionale 2020)
7. Aggiornamento sul Convegno nazionale 2020 a cura del nostro Gruppo
8. Varie ed eventuali.
Reggello, 01 novembre 2019
Il Presidente
Carlo Barbolini
SCUOLA CENTRALE DI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA
Tra passato e presente
a cura di A. Rampini
Presentato all’XI Congresso degli Istruttori Nazionali il volume che racconta la storia della Scuola Centrale di Alpinismo e Arrampicata Libera del CAI.
Giuliano Bressan e Gianmaria Mandelli, Accademici e per anni membri attivi della Scuola, con oltre 450 pagine di ricostruzioni, documenti e fotografie dal 1937 ad oggi, consegnano alla storia il contributo fondamentale della Scuola Centrale del CAI allo sviluppo dell’alpinismo e alla diffusione delle conoscenze tecniche necessarie per praticarlo con competenza e consapevolezza.
Emerge dai documenti il contributo fondamentale dato dall’Accademico alla nascita delle prime scuole, organizzate poi dal CAI, a partire dal 1937, con l’istituzione della Commissione Centrale di vigilanza e coordinamento delle Scuole di Alpinismo, embrione della futura Commissione Nazionale. Alla base della nuova organizzazione l’idea di sviluppare l’alpinismo senza guida, allora rappresentata in Italia dal Club Alpino Accademico.
Gli autori della pubblicazione
Documenti storici
Le interviste ai protagonisti
Gli aggiornamenti
I soci CAAI Ugo di Vallepiana e Michele Rivero furono i primi presidenti della Commissione e numerosi altri Accademici operarono nella Commissione e nelle Scuole del CAI fin dagli inizi. Ricordiamo Carlo Negri, Riccardo Cassin, Giusto Gervasutti, Carlo Ramella, Edoardo Anton Buscaglione, Pino Dionisi, Ugo Angelino, Guido Pagani, Walter Bonatti, Giuseppe Secondo Grazian, Pietro Gilardoni, Ettore De Toni, Fabio Masciadri, Umberto Pacifico, Franco Alletto, Gianluigi Vaccari, Mario Bisaccia, Mario Verin, Claudio Picco, Gianmauro Croci, Luciano Gilardoni per citarne solo alcuni.
Le prospettive
La partecipazione di Accademici alla Scuola Centrale è proseguita negli anni. Ricordiamo Cirillo Floreanini, Carlo Barbolini e Claudio Santunione per anni direttori SCA e tanti altri istruttori, oltre ai già ricordati Giuliano Bressan e Gianmaria Mandelli.
Ad oggi fanno parte della Scuola Centrale i soci CAAI Alessandro Angelini, Francesco Cappellari, Francesco Lamo, Maurizio Oviglia, Alberto Rampini, Claudio Sarti, Marco Taboni.
La Scuola Centrale di Alpinismo e Arrampicata Libera al 12 ottobre 2019
Sabato 12 ottobre si è svolto a Domodossola il Convegno Nazionale del Club Alpino Accademico Italiano (CAAI).
Riportiamo il resoconto dell’incontro pubblicato su Montagna TV
Sabato 12 ottobre si è svolto a Domodossola il Convegno Nazionale del Club Alpino Accademico Italiano (CAAI). Una location particolare quella dell’Ossola che ha aperto le porte a una disquisizione alpinistica focalizzata su quest’area ancora selvaggia del Piemonte. Luogo da esploratori l’Ossola, forse per questo il convegno si è focalizzato sui temi “Alpinismo e arrampicata con i Pionieri dell’Ossola” e “La cultura alpinistica può riportare i giovani in montagna?”
Organizzato dal Presidente del Gruppo Occidentale, Mauro Penasa, e da Giovanni Pagnoncelli, padrone di casa e ossolano d’adozione, il convegno ha visto molti nomi noti avvicendarsi sul palco per dialogare attorno ai temi proposti.
Alpinisti locali a confronto
Giovani e cultura alpinistica
Sulle cime e pareti dell'Ossola è stata scritta un bel po’ della storia dell’alpinismo classico e dell’arrampicata moderna, sportiva e trad. Resta comunque un’area isolata, della quale si conosce poco e che durante il convegno è stata raccontata da alcuni dei protagonisti. Un momento di condivisione di preziose esperienze che rappresentano il nucleo della passione per la scalata e che possono motivare i giovani a vivere la montagna con una consapevolezza diversa. Con la coscienza di appartenere a una lunga storia.
Giovanni Pagnoncelli, organizzatore e moderatore del Convegno
Matteo Della Bordella
Marcello Sanguineti
Interviene Pietro Crivellaro giornalista e storico dell'alpinismo
“L’Ossola va valorizzata come terreno di scoperta e riscoperta, contrapposto all’alpinismo fatto di social e di salite preconfezionate” spiega Marcello Sanguineti, accademico e relatore al convegno. “I giovani, curiosi e sperimentatori per natura, possono certamente essere affascinati da questa possibilità”. A confermarlo è anche Matteo Della Bordella, che vede nella falesia di Cadarese, famosa per l’arrampicata in fessura, “un punto di partenza verso altre grandi mete. Per molti può essere bello e soddisfacente salire in fessura e portare a casa i tiri più duri mentre per altri quel tipo di arrampicata può essere il banco di prova per poi portare l’esperienza sulle big wall di Yosemite, che rappresenta l’anello di congiunzione tra arrampicata e alpinismo”. Un luogo che offre molte opportunità ai più giovani per farsi le ossa e poi testarsi sulle più impegnative pareti della Patagonia o del Karakorum. “Un posto dove iniziare a coltivare i propri sogni”.
Stiamo parlando di un territorio che richiama arrampicatori da ogni parte d’Europa, ma che pare non appassionare i giovani locali. Ecco allora che il tutto ritorna alla domanda più generale: può la cultura alpinistica riportare i giovani in montagna? Un dilemma che apre le porte a tanti altri interrogativi. I ragazzi conoscono la storia dell’alpinismo? Sanno cosa è stato fatto sulle pareti di casa? Conoscono il territorio in cui vivono, i boschi, i sentieri? Spesso, e accade in tutto il territorio nazionale, la risposta è no. Difficilmente oggi i più giovani si appassionano a quel che hanno dietro casa. Così ecco che anche le falesie, come i boschi e i prati in quota, si popolano di forestieri che diventeranno esperti conoscitori di quei luoghi. Si perde però un qualcosa di storico, non c’è più ricambio generazionale tra chi ha lasciato una traccia e chi avrebbe dovuto seguirla per trarne ispirazione. Ecco allora che la storia di una valle viene scritta da visitatori più o meno occasionali che arrivano da migliaia di chilometri di distanza.
Crivellaro discute con Gogna
Interviene Bramati
La storia dell’alpinismo ossolano
Il convegno si è tenuto presso la sala polifunzionale della Comunità Montana Valle Ossola, dove si sono susseguiti interventi da parte di personalità di spicco del mondo alpinistico e dell’arrampicata: Mario Bramati, Matteo Della Bordella, Alessandro Gogna e Marcello Sanguineti. A seguire poi una tavola rotonda tra quelli che sono stati i pionieri dell’alpinismo ossolano. Tino Micotti, verbanese che per primo scalò in Ossola il sesto grado, Alberto Paleari, Mauro Rossi, Roberto Pe, Graziano Masciaga, Fabrizio Manoni, Maurizio Pellizzon e Ivano Pollini.
Racconti, aneddoti, sensazioni e immagini, hanno aiutato a narrare diversi modi di vivere e interpretare l’alpinismo e l’arrampicata nell’Ossola. “Abbiamo cercato di evidenziare le enormi potenzialità dell’Ossola” spiega Sanguineti. “L’Ossola possiede le due falesie per l’arrampicata trad più famose d’Europa, che richiamano scalatori da ogni parte del continente: Cadarese e Yosesigo, due Yosemite in miniatura” continua Sanguineti. “Nonostante siano state l’arrampicata sportiva e, soprattutto, l’arrampicata trad ad aver reso famosa l’Ossola negli ultimi anni, bisogna ricordare che le sue valli rappresentano un meraviglioso terreno di gioco per l’alpinismo”. Qui si trovano infatti alcune delle più famose pareti alpine, a partire dalla Est del Monte Rosa e poi “montagne che offrono stupendi itinerari multipitch di arrampicata sportiva e trad, scalate su ghiaccio e misto, cascate di ghiaccio e scialpinismo”. Un posto dove praticare ogni disciplina ricordando, come ha concluso il presidente generale Rampini, che “occorre recuperare il concetto e il valore originario dell’alpinismo, come esplorazione, scoperta e sfida leale con la montagna e le pareti, individuando chiaramente il limite che separa lo sport arrampicata dall’alpinismo”.
RELAZIONE DEL PRESIDENTE GENERALE
Introducendo il Convegno, il Presidente Generale Rampini, dopo aver ricordato le iniziative portate avanti dall’Accademico nell’ultimo anno (tra le quali Convegni, Meeting di arrampicata, Premio Paolo Consiglio, Pubblicazioni), illustra brevemente una problematica sulla quale ritiene che l’associazione dovrà lavorare e prendere posizione in futuro.
“Ritengo importante dedicare qualche parola ad una problematica che mi sta particolarmente a cuore e sulla quale vorrei che il CAAI concentrasse una parte dei propri sforzi in futuro.
Le cronache di questa estate, sia alpine che himalayane, hanno portato all’attenzione generale, anche ben oltre i limiti dell’ambiente alpinistico, il problema del sovraffollamento delle aree alpine, soprattutto nelle zone più rinomate.
I livelli attuali di frequentazione della montagna, esplosi negli ultimi anni sotto la spinta delle iniziative promozionali e della rete, rappresentano un rischio effettivo per la sopravvivenza dell’ambiente montano come tutti noi continuiamo ad immaginarlo, come oasi di tranquillità e di vita ancora legata ad un ambiente naturale sopravvissuto alla rivoluzione industriale. Un ambiente che dovrebbe imboccare strade di sviluppo ben diverse da quelle della pianura se si vuole evitare che ne diventi una replica alla lunga poco interessante e questo tolga gran parte del suo valore all’esperienza alpinistica. Così come occorre mettere un freno alle devastazioni ambientali ad uso turistico e ripensare I criteri di sviluppo delle aree montane, occorre recuperare il concetto e il valore originario dell’alpinismo, come esplorazione, scoperta e sfida leale con la montagna e le pareti, individuando chiaramente il limite che separa lo sport arrampicata dall’alpinismo.
Il primo, a diffusione ormai di massa, necessita di strutture artificiali omologate che meglio si collocano in contesti urbani o di prossimità mentre il secondo dovrebbe basarsi su un uso parsimonioso e del tutto soggettivo dei mezzi artificiali e quindi con impatto ambientale ridotto.
E l’impatto ambientale ridotto deriva poi soprattutto dal naturale ridimensionamento dei flussi di frequentatori.
La migliore salvaguardia per l’alpinismo e la libertà di praticarlo passa attraverso uno sviluppo sostenibile del numero dei praticanti con il ripensamento di certe forme anomale di proselitismo da parte anche delle associazioni alpinistiche.
Sembra giunto il momento di valutare con maggiore criticità l'opportunità di organizzare eventi promozionali a forte impatto e attività formative per un pubblico generalista che vuole provare un’esperienza diversa, concentrando gli sforzi sull'attività educativa e formativa di coloro che già per passione propria si avvicinano alla montagna e all'alpinismo, con gradualità e passione.
Non possiamo escludere altri modi di vedere le cose, ma ognuno di noi ha l’obbligo morale di impegnarsi e lottare con coerenza e decisione per portare avanti le idee che riteniamo migliori”.
Fresco di stampa è disponibile l’ANNUARIO ACCADEMICO 2019 – BOLLETTINO CAI NR. 116
Attualità alpinistica, considerazioni di carattere etico, racconti ed approfondimenti storici, relazioni di nuove salite e tanto ancora in 320 pagine a colori ricche di fotografie.
L’Annuario è distribuito da “Idea Montagna – Editoria e Alpinismo” ed è disponibile presso le migliori librerie specializzate. Si può richiedere anche a Idea Montagna tel 049 6455031 e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure alla redazione Mauro Penasa tel 348 8862343 e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
I numeri arretrati (e a breve anche l’Annuario 2019) possono essere richiesti on line sul catalogo Idea Montagna:
https://www.ideamontagna.it/librimontagna/catalogolibrimontagna.asp?col=Accademico
Tra i vari articoli dell’Annuario 2019 (vedi sotto) proponiamo in allegato quello di Maurizio Oviglia (pag. 20) sulla “Spedizione esplorativa CAI-Jordan Tourism Board” dell’aprile 2018.
In questo numero:
Accademico
La libertà di rischiare passa per la responsabilità, le considerazioni del Presidente Rampini.
Il Convegno nazionale di Barzio (2018), come lo stile di scalata influenza l’alpinismo personale.
Attività del CAAI: dal Corso di Mountain Wilderness per accompagnatori di montagna in Pakistan, al Meeting di Arrampicata nel Vallone di Sea, all’apertura di nuovi itinerari nell’inesplorata regione del Wadi Sulam, in Giordania.
Momenti di Alpinismo
I racconti e le impressioni dei vincitori del Riconoscimento Paolo Consiglio.
2018: Bacci e Moroni sulla Diretta Slovacca al Denali, una salita di gran classe. Della Bordella e Schupbach in una grande avventura patagonica al Cerro Riso Patron
2019: l’esplorazione di Vallata e Compagni nella poco frequentata valle del Rangtik, in Zanskar.
A seguire una gran quantità di interessanti testimonianze: il compendio di Mattio sulle grandi vie di misto classico e moderno che percorrono i vari versanti del Monviso, la bella impresa di Beber sul ghiaccio della Cima Brenta, e per la roccia un’infilata di seduzioni: le avventure sull’arenaria Ceca di Franchini, una nuova e difficile via in Wenden per Spreafico, Giovanazzi e compagni sulla Cima Verde in Val d’Adige, Sartori e Zanetti in Brenta e l’infaticabile Giordani che ci racconta di possibilità infinite tra Dolomiti e Sardegna, a sfatare l’impressione che lo spazio rimasto per nuove salite sia troppo poco, Bressan ci parla delle poco conosciute vie sul Muntel, nel vallone di Antermoia.
Pensieri di Alpinismo
Grill e le sue riflessioni sulla libertà in parete ed il superamento dei limiti. Penasa replica invece sulla minaccia alla libertà in montagna causata dalla diseducazione e dal sovraffollamento, Tondini ci parla di Etica nel catalogare le diverse situazioni dell’arrampicata di oggi.
Leardi propone frammenti della sua incredibile carriera alpinistica attraverso i post di facebook, un modo moderno di tramandare la propria storia.
Un paio di considerazioni sul Nuovo Mattino, filtrate dalla memoria di quel momento: Bianco ricorda Motti per rivalutare il mondo alpinistico da cui il Nuovo mattino sembra prendere le distanze. Alla lunga passa il messaggio più risonante, ma quale è la realtà da cui si è partiti?
Infine, dalla storia di Finale due personaggi di peso: Ghiglione riflette sull’etica dell’apertura delle vie, Parodi propone la sua visione dell’alpinismo di avventura, poco appariscente e tanto più vera.
Storie di Alpinismo
Furlani ci ricorda della salita di vertigine, la via più strapiombante al mondo, in valle della Sarca, e Bressan ce ne racconta la ripetizione… Bertolotti ci presenta l’interessante storia dell evoluzione dell’arrampicata sulla Pietra di Bismantova. Antoniazzi ripercorre invece la sua scalata della via Mephisto, opera del visionario Schliest, Gogna ci racconta infine la genesi del libro “La Valle della Luce”, sulla valle della Sarca e sui personaggi che ne hanno vissuto le pareti.
Ricordi di Alpinismo
Non si poteva lasciare andare in silenzio un personaggio come Bridwell: Penasa si è preso in carico il ricordo di questo impareggiabile fuoriclasse. Sono passati invece 40 anni dalla scomparsa di Guido Rossa, ricordato a Torino da amici e compagni di scalata, e qui da un bel pezzo di Camanni. Il carisma di Detassis ci è raccontato invece da Torretta, mentre Rovis ci presenta due figure importanti del nostro alpinismo al femminile, Bianca di Beaco, di recente scomparsa, e Adriana Valdo.
Numeri di Alpinismo
Il dottor Reforzo racconta della medicina d’alta quota e dei corsi di Wilderness medicine, la nuova specializzazione. Poi i 50 anni del Centro Studi Materiali e Tecniche.
Infine, le Cronache di Maurizio Oviglia sull’alpinismo extraeuropeo e alpino del 2018.
Ed il ricordo di cari amici che ci hanno lasciato.
Alpinismo e arrampicata con i pionieri dell'Ossola
è il tema del Convegno Nazionale 2019 del CAAI organizzato dal Gruppo Occidentale a Domodossola il 12 e 13 ottobre.
L’Ossola è una regione che è rimasta molto selvaggia. Sulle sue cime e pareti si è fatta un bel po’ della storia dell’Alpinismo classico e dell’Arrampicata moderna, sportiva e trad. Resta comunque un’area isolata, della quale si conosce poco e che vogliamo farci raccontare dai protagonisti. Un momento di condivisione delle preziose esperienze che sono il fulcro della passione per la scalata e per la montagna e che possono motivare i giovani a vivere la montagna con la consapevolezza di far parte di una lunga storia…
Sono previsti interventi di personalità di spicco del mondo alpinistico e dell’arrampicata: Alessandro Gogna, Alberto Paleari, Pietro Garanzini, Roberto Pe, Fabrizio Manoni, Mauro Rossi, Matteo Della Bordella, Marcello Sanguineti.
Programma
Sabato 12 ottobre
Ore 13 – Arrivo e registrazione dei partecipanti
Ore 14:30 – Inizio lavori
Ore 16:00 – Coffee break
Ore 19:00 – Chiusura lavori
Ore 20:00 – Cena sociale
Per gli accompagnatori è prevista una visita guidata alla città di Domodossola dalle 14:30 alle 18:30
Domenica 13 ottobre
Arrampicate ed escursioni nelle Valli dell’Ossola.
BHAGIRATHI IV 6.193 m – Garhwal Indiano
Nuova via in puro stile alpino speed per gli Accademici e Ragni di Lecco Luca Schiera, Matteo Della Bordella e Matteo De Zaiacomo.
L’inviolata parete Ovest salita in giornata: oltre 800 metri di dislivello con difficoltà continue fino al 7b senza spit.
Un esempio bellissimo, anche se raro nel panorama dell’alpinismo italiano, di come sia ancora possibile fare vero grande alpinismo di avventura e di valore su montagne un tempo ritenute “minori”, anche se solo per “quota”, nel contesto Himalayano.
Maggiori info nei link:
I soci accademici Matteo e Luca Enrico, animatori del Meeting, fanno il punto sulla grande festa della montagna del 7/8 settembre.
L’edizione 2019 del raduno Val Grande in Verticale non ha tradito le aspettative. Dopo la creazione del Gruppo Valli di Lanzo in Verticale (cofondatore l’Accademico insieme alle sezioni Cai di Torino, Venaria e Uget) ci si attendeva infatti un cambio di passo deciso, un raduno meno “casalingo” ma espressione diretta della volontà del Cai di mettere in primo piano la “Montagna”, con la A maiuscola. Con un maggiore coinvolgimento dei soci attraverso attività libere e pianificate, traducendo il puro gesto tecnico della scalata in una festa, rivolta anche ai bambini, nuove leve dell’alpinismo del futuro.
A un certo punto abbiamo anche temuto di aver fatto “il passo più lungo della gamba”, come si suole dire, tante erano le novità e non era affatto scontato che non si traducessero in un flop.
E poi il solito meteo, un po’ ballerino fino all’ultimo, ci ha fatti stare con il fiato sospeso. Venerdì pomeriggio il sole però già illuminava le grandi placconate dello Specchio e con benevola accondiscendenza sembrava invitarci a risalire le pietraie per scalare. Meno poeticamente si può dire che, anche a sto giro, ci è andata bene, ma si sa, al tempo non si comanda e si può solo sperare nella fortuna.
Il sentore che sarebbe stato un grande evento però l’abbiamo avuto il sabato, sin dalle prime battute.
Ma andiamo per ordine.
Registrazione al Meeting
Le premiazioni
Ugo Manera racconta la storia di Sea
Andrea Giorda presenta il film THE WALL
Momenti di arrampicata nelle Valli di Lanzo
Presentazione della nuova guida
Il solito gazebo d’accoglienza, montato a monte dello storico Albergo Savoia, ha visto iniziare ad affluire arrampicatori, escursionisti e simpatizzanti anche attratti dalla nuova guida “Val Grande in Verticale”, fresca fresca di stampa e ricolma di utili informazioni per scalare non solo in Sea. Poco alla volta, con grande piacere, abbiamo iniziato a constatare che la situazione dei “pacchi raduno” cominciava a diventare critica. Via uno l’altro, via uno l’altro con un elenco di nomi che, di pari passo, continuava a crescere, come mai era capitato nel primo giorno di manifestazione.
Certo la maglietta Ortovox faceva gola, così come i ricchi premi da dividere a manifestazione conclusa.
Due parole bisogna proprio spenderle per questa ditta, la Ortovox, che quest’anno ci ha dato un grandissimo apporto, è stata davvero il “main sponsor” e un grazie va al nostro socio Giovanni Pagnoncelli che si è prodigato affinchè ciò avvenisse e che ha speso due giorni con noi in Val Grande, partecipando anche lui al raduno.
A metà giornata gli iscritti erano già tanti, raggiungendo le 100 presenze. Un numero mai visto.
Scuola di arrampicata
La grande novità era poi la prova di scalata per bambini, organizzata il sabato sui massi di Cantoira e la domenica su un masso all’inizio di Sea, pulito con la solita certosina precisione dall’infaticabile Gianni Ribotto, vero “local” delle valli di Lanzo. E’ andata benissimo e un grazie va alla Scuola di Alpinismo Giovanile del Cai di Chieri e alla guida alpina “Muyo” Maritano, gestore del rifugio Città di Ciriè al Pian della Mussa, che a sue spese ha mandato, la domenica, il suo collega Coggiola a supportare i volontari. Alla fine nelle due giornate sono transitati 80 bambini circa, un vero successo, molto superiore a quanto pensavamo.
Ma il sabato c’è stata anche la presentazione della nuova guida “Val Grande in Verticale” (autori, oltre agli scriventi, Marco Blatto ed Elio Bonfanti), anche questa un successo, nonostante molti fossero ancora impegnati in parete. Immancabile però Ugo Manera che ci ha raggiunti in tempo per raccontare interessanti aneddoti sui “seani” del passato. E’ stato un incontro molto positivo che ha visto la partecipazione anche del sindaco di Groscavallo in un barlume di distensione dopo la spinosa questione della nostra (e con nostra si vuole intendere del sodalizio tutto) opposizione al progetto della strada in Sea.
La giornata di sabato è proseguita poi con la cena nello storico locale “Cesarin” di Breno, dove i commensali hanno sfiorato quota 100, e poi con la proiezione nel palazzetto polifunzionale di Chialamberto dello stupendo film “Dawn Wall”, incredibile storia di un’ossessione più che di una scalata. Ma anche una bella storia di amicizia tra i due protagonisti. Il film è stato introdotto dal nostro socio Andrea Giorda.
La domenica gli iscritti hanno continuato a crescere e a quelli del raduno si sono affiancati gli atleti della seconda “Daviso in Verticale”, 1100 m e 6 Km da correre in meno di un’ora. Domenica c’è poi stata la seconda grande novità di quest’anno: l’inaugurazione del ripristinato sentiero del Passo dell’Ometto. Un percorso incredibile e selvaggio da anni ormai impraticabile a causa dei rododendri e degli ontani, delle “drose” come si dice qui. Un sentiero che, staccandosi da quello diretto al bivacco Soardi-Fassero, porta alle pendici dell’imponente parete nord dell’Uja di Mondrone, il “Cervino delle Valli di Lanzo”. Anche quest’iniziativa è stata un grande successo grazie all’impegno, sia in fase di pulizia che di organizzazione dell’escursione, del Cai Uget di Torino, della Scuola Mentigazzi della sezione di Torino e della sottosezione Val Grande che, con i suoi volontari pieni di entusiasmo, ha saputo rendere percorribile questo bellissimo sentiero.
Tutti sono stati soddisfatti. Escursionisti, arrampicatori, allievi dell’ormai consolidato “corso trad” della Gervasutti ed anche il gruppetto del corso della Ortovox. E quando tutti i partecipanti ancora presenti (le presenze totali sono state circa 300) e gli atleti della corsa hanno cominciato ad affluire sulla terrazza del Savoia è iniziata l’estrazione dei premi. Tra salami, bottiglie e costosi prodotti delle tante aziende e negozi del settore montagna, della cartografia e dell’editoria tutti sono andati via soddisfatti, nessuno a mani vuote.
In quest’edizione sono stati coinvolti tutti e tre i comuni della valle, tutti hanno concesso il patrocinio e tutti gli esercizi commerciali coinvolti sono stati molto soddisfatti. Questa riteniamo che sia una cosa molto importante in quanto questo raduno deve essere anche da sprone ad appoggiare sempre maggiormente gli sport legati alla montagna, nell’intento di rivalorizzarla.
Infine è doveroso spendere anche due parole sui lavori che abbiamo fatto quest’anno. Sono state ripristinate altre bellissime e dimenticate vie in Sea, sia sullo Specchio che sul Trono, oltre alla via di Grassi sulla nord della Mondrone, grazie alla sponsorizzazione del Cai Ala di Stura. Lavori lunghi e faticosi ma che lasciano una grande soddisfazione, soprattutto quando poi gli scalatori tornano su pareti altrimenti dimenticate. In quest’ottica la nuova pubblicazione non deve essere un punto di arrivo ma un punto di partenza.
Vi aspettiamo al raduno 2020.
Foto di M. e L. Enrico e A. Rampini