Paesaggi del Galles
Gogarth
La prima volta in assoluto che ho avuto a che fare con il trad inglese è stato durante l’università, quando, infervorato dal sacro fuoco dell’arrampicata, buona parte delle serate che non erano impegnate in feste, le utilizzavo per guardare film di scalata. “Hard Grit” lo ricordo come uno dei più emozionanti, con la scena iniziale al cardiopalma che riprende un’enorme caduta su “Gaia”, con conseguenze per lo scalatore all’apparenza mortali, che si risolvono invece con una gran botta, sorrisi, morte sfiorata…il tutto molto inglese.
Con il tempo, pur non essendo mai stato a scalare nel Regno Unito, ho cercato di approfondire lo strano mondo dell’arrampicata inglese e libri come “Topo di falesie” di Moffat o “Mi chiamavano banana fingers” di Fawcett mi hanno dato la possibilità di intuire l’importanza racchiusa in certe contorte scale di difficoltà e che E9, 7b non è la password del cellulare, ma un qualcosa di estremamente difficile e psicologico.
Quando mi si è prospettata la possibilità di partecipare al tradizionale raduno organizzato dal BMC (British
Gogarth
Mountaineering Council) in Galles grazie al Club Alpino Accademico Italiano (CAAI), ero super emozionato al pensiero di poter conoscere e visitare posti come Gogarth, Tremadog, Llandudno e al contempo estremamente curioso di confrontarmi con altre realtà internazionali.
Gogarth mare in tempesta
Caricato il saccone, parto da Bergamo in direzione Manchester e già sul volo d’andata incontro Sasha dalla Croazia. Giunti all’aeroporto di Manchester un po’ alla volta arrivano anche gli altri partecipanti al meeting: Josef e Maria dalla Germania, Klemen dalla Slovenia, Max dalla Francia, Pablo dalla Spagna, Andreas e Mathias dalla Svezia, Ryo e Hiroshi dal Giappone, Tuhin dall’India, altri dalla Serbia, dalla Lituania, dall’Olanda fino al mitico Ernsts dalla Lettonia, forse lo stato più piatto del mondo.
Il nostro alloggio e campo base si trova nelle montagne del North Wales, vicino al Llamberis Pass, in una specie di rifugio del BMC. Durante la serata di accoglienza, il direttore del meeting James McHaffie, oltre alle varie presentazioni, programmi e attività ci raccomanda di fare il possibile per rimanere vivi, obiettivo che ho rispettato fedelmente per l’intera settimana.
Lunedì 11 maggio
Dopo colazione faccio conoscenza con il mio “host” (accompagnatore), Steve Long, famoso alpinista che mi accompagnerà per i primi due giorni. Viene organizzato subito un briefing dove ci vengono illustrati i vari modi per incastrare i nuts e recuperare il secondo di cordata, cosa che in Inghilterra viene fatta in vita per non andare ad interessare direttamente la sosta che spesso è un groviglio di dadi che tirano in svariate direzioni. Una volta terminata la spiegazione partiamo tutti alla volta delle varie falesie. Steve decide come primo approccio di portarmi a Gogarth, sulle cliff, posto magnifico al cospetto del Mare d’Irlanda. Durante il viaggio in macchina mi racconta di aver scalato con un fortissimo climber italiano e mi apre la guida, da lui compilata, mostrandomi la foto del nostro Rolando Larcher: capisco subito che tenere alta la bandiera nazionale non sarebbe stata cosa di facile conto. Gogarth sembra il Verdon, dove bisogna calarsi e poi risalire, solo che non c’è la calda e accogliente atmosfera della Provenza ma l’oceano, spesso sferzato dal vento…adventure climb… Ci scaldiamo su un E2 per poi passare ad “The Moon” un E3, 5c che assomiglia ad un nostro dolomitico VIII-. Tiro fuori tutta l’esperienza maturata in anni di vie in montagna e riesco ad evitare voli nonostante un bell’appiglio che mi rimane in mano su di un spettacolare traverso a picco sull’oceano. Questo tiro è molto simile al traverso della Sergio Arban in Moiazza, ma senza chiodi. Steve mi pare contento e lo sono pure io anche se sono un po’ perplesso sulla qualità delle soste. Tornando al campo base facciamo una veloce deviazione in uno dei settori di
Gogarth Moon
Slate, la cava di ardesia più grande d’Europa e famosa per ospitare difficilissime vie come “The Quarryman”. Saliamo la bellissima “Comes the Dervish”, un E3, 5c proteggibile prevalentemente a micronuts.
Martedì 12
Oggi si va a Tremadog, posto mitico. Jerry Moffat ne parla abbondantemente nel suo libro autobiografico e vie come “The Vector” di Jon Brown e “Strowberry” del mitico Ron Fawcett non hanno bisogno di presentazioni. Come conformazione rocciosa assomiglia alla trachite di Rocca Pendice, sui Colli Euganei, ma con una roccia più liscia e strana. Steve mi fa partire subito su una fessura di dita di E4, 5c che mi dilania completamente le braccia e a metà mi trovo irrimediabilmente appeso ad un friend, con il peso di 4 serie di nuts che non mi aiuta a rimaner su. In qualche modo arrivo in sosta senza aver capito nulla del tiro. Steve prosegue per il “second pitc”, un E2 dove da secondo ho i miei problemi. Arriviamo in cima a questa parete di soli 70 metri dopo 3 ore. Posizionare e togliere il materiale richiede un certo tempo. Comincio ad intuire il livello dell’arrampicata inglese e sono veramente impressionato. Finiamo la giornata con un E4 molto bello, con addirittura un chiodo che nel pieno del protocollo trad, il mio host evita di rinviare.
Mercoledì 13
Ogni due giorni si cambia host e oggi e domani vengo accompagnato da Masa Sakano, un giapponese naturalizzato british. La mattina torniamo a Slate, al settore Buss Stop, dove saliamo alcune vie simpatiche e abbastanza semplici, per poi spostarci nel pomeriggio “in montagna”. Merita fare un disgressione su cosa per loro è montagna perché permette di capire l’impostazione mentale inglese. Quando si parla di montagna noi pensiamo a Dolomiti, Bianco, Rosa, Cervino, Gran Sasso, dislivelli importanti, dove spesso conta di più l’ambiente che la difficoltà della via. Per loro la “montagna” è rappresentata da alcune formazioni rocciose verso il Llamberis Pass, di altezza variabile dai 50 ai 150mt che probabilmente in Italia non verrebbero manco prese in considerazione. Tuttavia i climbers inglesi sono riusciti ad esprimersi con alcune linee incredibili, dove per assicurarsi bisogna ricorre anche agli skyhooks, come la famosissima “Lord of the flies” del solito Fawcett. La nostra meta è “The Left Wall, un classico E2, 5b, sulla faccia sinistra del Dinas Cromlech, un diedro perfetto di 50 metri di roccia metamorfica che per conformazione ricorda molto la dolomia delle Piccole Dolomiti. La via segue un sistema di fessure tutte da proteggere in costante leggero strapiombo. Nonostante sia solo un francese 6b+ arrivo in sosta con gli avambracci alla Poppeye. Finchè recupero Masa mi gusto un tentativo su Lord of the flies, con tanto di volo con gravi conseguenze sventato da una provvidenziale corda calata dall’alto.
Giovedì 14
Piove di più degli altri giorni e per fare un po’ di riposo si va a visitare la fabbrica della DMM. Nel pomeriggio Masa insiste per andare a scalare e mi propone una via, tutta in traverso, sotto ad uno strapiombo in un settore di Tremadog. Anche se sento l’esigenza di riposare più che altro il cervello, assecondo comunque la proposta.
La via inizia scalando i primi palchi di una maestosa Quercus robur, per poi traversare con continui sali scendi verso sinistra. Effettivamente è asciutta mentre attorno continua a piovere. Solo che il buon Masa non ha calcolato che comunque bisogna uscire. Dopo più di un’ora a lottare con roccia bagnata, marcia (si si proprio marcia) e svariati voli usciamo sui bellissimi prati sommitali. Il verde che mi circonda vale da solo l’aver percorso una via non propriamente bellissima.
Venerdì 15
Il mio host oggi è Jhon Orr, giovane aspirante guida dal fare semplice ed affabile. Classico inglese, magrolino, capello biondo, bianco di carnagione, ha scalato spesso in dolomiti e tra noi si istaura subito un buon feeling. Probabilmente intuisce che il mio livello di resistenza psicologica comincia a venire un po’ meno e quindi in una bella giornata di sole, mi propone di tornare a Gogarth per scalare qualcosa di non troppo stressante. L’oceano però ci accoglie con un gelido vento e nel primo tiro di riscaldamento faccio proprio fatica. Poi passiamo alla “main cliff”, la parete più alta e larga e che per fortuna è anche caratterizzata dalla roccia più bella. Saliamo una via di 3 tiri veramente divertente uscendo sotto una gelida pioggerellina. Per oggi è finita, sono le 17…ora del the.
Googarth. Sosta appesa sul mare
john llandudno
Sabato 16
C’è il sole e aspetto Jhon sdraiato sul prato e quasi mi appisolo. John capisce tutto e mi dice che oggi mi porta in vacanza. Direzione Llandudno, in falesia di calcare. Il posto ricorda Rimini: alberghi, bar, locali da turisti. Alla fine del centro inizia una strada a pedaggio che corre proprio alla base della falesia, in riva al mare, dove coesistono tiri trad e tiri sport. Faccio la conoscenza di John Dunne, non riesco a capire come una persona della sua stazza possa scalare su certi gradi.
Riconosco anche la grotta dove Moffat ha vissuto per un anno intero facendo traversi da mattina a sera. Effettivamente oggi è proprio vacanza. Roccia bellissima, una via di mezzo tra Lumignano e il Sipario delle Ombre in Val d’Adige, ma noi scaliamo rigorosamente trad anche se alla fine del tiro c’è la catena. Fa uno strano effetto appendersi friends e nuts sotto un muro di 20 metri. Saliamo alcuni E3, 5c ed E5, 6a. Facciamo anche una pausa per andare nel vicino chiosco a prendere un gelato. Salgo un’ultima fessura strapiombante dove rischio uno spettacolare volo. Jhon mi guarda con fare di approvazione, non sarò Rolando ma mi son comunque battuto. Torniamo al campo base senza dimenticare di prendere una cassa di birra per la serata, in programma c’è “The big party”. Si balla tutta la sera accompagnati da una bravissima band ska. Distribuisco gli adesivi della scuola di alpinismo “Emilio Comici” che il buon Calice (Stefano Zaleri) mi aveva consegnato prima di partire. Ritraggono il fuori classe degli anni 30 con in mano nuts e friends che recita “Think different, clean is cool”. Inutile dire che è stato un sucessone. In pochi temerari rimaniamo in piedi fino alle 3 di notte assecondando i gusti musicali del fortissimo Nick Bullok che tira fuori il meglio dei Prodigy.
Domenica 17
Oggi si rientra. Ci salutiamo tutti calorosamente. È stata per ciascuno un’avventura. Al di la del grado, sapere che su un tiro non troverai nulla ti impegna sempre a fondo. Raccolgo le varie mail, tutti vogliono venire a scalare in dolomiti e capisco per l’ennesima volta, guardando chi viene dalla Lettonia o dalla Danimarca, che noi italiani siamo fortunatissimi, anche se spesso ce lo dimentichiamo.
Slate Comes the Dervish 1 Foto S. Long
The Slate - La cava
Tremadog foto M. Sakano
Ritorno a casa con la testa piena di idee. È stata una settimana veramente stimolante. Il fatto di conoscere gente diversa, che scala in modo diverso e vive la scalata in modo diverso mi ha fatto riflettere su tante cose. Provo di seguito a riassumerle come spunto per una riflessione:
Tutti sani e salvi
Concludendo, riprendo lo slogan della scuola di alpinismo “Emilio Comici” di Trieste, che con orgoglio ho portato al meeting. È la testimonianza che in Italia forse non ancora tutto è perduto, che non siamo sopraffatti dalle chiodature seriali e dallo spit e che per tanti scalatori i termini trad, clean, alpinistico, classico, significano vivere l’arrampicata come un’avventura e non solo come una prestazione fisica. E quindi…
“THINK DIFFERENT, CLEAN IS COOL”.
Cristiano Pastorello CAAI Orientale
Ringrazio Wild Climb per il supporto tecnico
Il 29 novembre 2015 si è svolta la consueta assemblea autunnale del gruppo presso la sede del CAI di MIRANO (VE). Troverete il verbale dell'assemblea cliccando in alto sull'ALLEGATO
Il 29 novembre 2015 si è svolta la consueta assemblea autunnale del gruppo presso la sede del CAI di MIRANO (VE). Troverete il verbale dell'assemblea cliccando sull'ALLEGATO
Grazie al CAAI, ho avuto la fortuna di partecipare ad uno degli annuali meeting di arrampicata sulle pareti della Cornovaglia, organizzato dal British Mountaineering Council (BMC), la federazione che riunisce circa 280 associazioni alpinistiche di Inghilterra e Galles, ad iniziare dal mitico Alpine Club,
fondato nel 1857, ben noto a chi si è occupato un po’ di storia dell’alpinismo, nonché antesignano e modello del nostro CAI, nato poco più tardi, nel 1863.
Mi aspettavo un'esperienza interessante, ma devo dire che tutto è andato oltre le aspettative.
Una sola cosa mi lasciava qualche punto interrogativo: la mancanza di grandi pareti. Temevo che passare una settimana su piccole falesie mi avrebbe in fondo annoiato.
Approfittando della bassa marea all'attacco di Martell Slab, sul greenstone di TATER-DU (South Coast)
Le giornate di full immersion nell’ambiente delle solitarie falesie marine e soprattutto nell’ambiente umano molto particolare dei climbers locali mi hanno permesso di mettere a fuoco molte cose che dall’esterno sono difficili da capire e anche solo da immaginare. Soprattutto lo spirito. Mi sono reso conto che il modo di intendere l’arrampicata su queste brevi falesie, anche di elevata difficoltà, non ha nulla a che vedere con lo spirito sportivo che da noi anima il mondo dell’arrampicata. Nessuno si mette in competizione con altri, il rapporto è solo dell’individuo con la roccia e l’ambiente e ognuno vive questa avventura a modo suo, con la calma e con l’impegno, la modestia e la determinazione con la quale noi ci avviciniamo alle grandi pareti.
Camminare magari un’ora per raggiungere una scogliera, studiare l’accesso in funzione dei tempi dettati dal ritmo delle maree, valutare l’altezza delle onde, considerare l’impossibilità di ritirata quando il mare si alza, individuare la linea di salita senza l’aiuto di alcuna traccia, proteggersi come si può, arrivare in cima ed attrezzare la sosta per recuperare il compagno (non esistono soste e men che meno soste di calata), ritornare magari alla base per fare un altro tiro e realizzare che si è già fatta sera! Un mondo piccolo, che però esige impegno e tempo come una scalata d’ambiente. Per cercare di rendere l’idea di come il tutto sia guidato da un senso etico rigoroso e da un assoluto rispetto per la natura, voglio riportare i principi fondamentali del Climbers Code for Cornwall, documento che fissa le regole fondamentali per l’arrampicata nella zona. E in base alla mia esperienza posso assicurare che queste
regole vengono effettivamente rispettate, in quanto non sono principi imposti dall’alto o dall’esterno, ma rappresentano il comune modo di sentire degli arrampicatori locali.
Nell’accesso:
Sulle pareti:
Cercando l'accesso alla base di TATER-DU (South Coast)
Quanto alle protezioni, non solo i fix, ma anche chiodi e altre protezioni fisse non trovano posto in queste falesie: la regola principale è che non si debba lasciare sul posto alcuna attrezzatura, compresi friend, nuts e cordini. L’adattare appigli e scavare prese è condannato da tutti gli arrampicatori.
Quanto sopra è il frutto dell’attività e delle proposte fatte da una associazione appositamente creata per identificare i problemi ambientali che l’arrampicata può creare e proporre soluzioni positive. L’associazione ha pubblicato la Green Guide, con lo scopo di promuovere tra gli arrampicatori le migliori practices in campo ambientale.
Sean Kelly su Doorpost - Bosigran (North Coast)
Fair play e buon senso sono incoraggiati, sul presupposto che per poter difendere il diritto di accesso il
rispetto della natura deve essere garantito.
Più in generale possiamo citare anche la policy statement on climbing style, approvata dall’Assemblea del Climber’s Club nel 1990, che fissa alcuni punti fondamentali, in linea con quanto sopra già indicato, estendendone il campo di applicazione alla generalità delle montagne.
Il Climber’s Club sostiene la tradizione dell’uso di protezioni naturali e si oppone alle azioni che sono contrarie ai migliori interessi degli arrampicatori e degli altri utilizzatori delle pareti, in particolar modo per quanto concerne azioni che possano avere effetti irreversibili sulle pareti e l’ambiente naturale nel quale esse si collocano. Tali azioni includono: posizionare spit sulle montagne e sulle pareti naturali, scavare o migliorare appigli o comunque alterare l’aspetto o la conformazione della roccia, rimuovere in modo eccessivo la vegetazione e interferire con alberi, fiori e fauna. Anche le guide di arrampicata edite dal Club devono rispettare questi principi e proporre il miglior stile possibile, in accordo con l’etica e la tradizione dell’arrampicata britannica.
Lo spettacolare traverso di The Right Angle - Gurnard's Head (North Coast)
Ecco quindi che si possono fare alcune
Considerazioni a margine dell’InternationalSea Cliff Meet
ovvero tutto quello che abbiamoda imparare dai britannici.
E da imparare abbiamo molto. Non parlo di tecnica, a proposito della quale possiamo ben dire la nostra. Ma dalpunto di vista dello spirito, dell’etica e del rispetto della wilderness sicuramente anni luce separano il sentire comune dell’ambiente alpinistico medio latino da quello dei maestri anglosassoni.
Già nelle definizioni. Mentre noi ci lambicchiamo il cervello, e magari ci accapigliamo, sul significato e le sottili differenze fra arrampicata trad e arrampicata clean, lasciando intendere tra l’altro che la differenza
provenga d’oltre Manica, in realtà il sofisma è tutto nostro: per i britannici esiste solo l’arrampicata trad, che è tutta quella arrampicata che non violenta la roccia, né con la foratura degli spit né con la martellatura di chiodi nelle fessure. Non fa differenza. O si arrampica senza forzare la roccia, e siamo nel campo del trad, oppure si manomette la roccia con chiodi o spit e allora siamo in un campo che i
britannici nemmeno definiscono, forse considerandolo una degenerazione dell’alpinismo, che deborda verso l’arrampicata sportiva.
L'amico Paul Donnithorne all'uscita di Martell Slab - TATER DU (South Coast)
Ed è sorprendente constatare che questo è il sentire comune, naturale e scontato di tutti gli alpinisti locali del BMC con i quali ho avuto il piacere di confrontarmi e di condividere scalate in Cornovaglia. Il problema non sembra essersi affacciato sulle scogliere di Bosigran e dintorni.
Sicuramente questo è il portato di una tradizione storica che si è sviluppata in modo lineare e senza sbandamenti, guidata da un forte senso di conservazione e rispetto della tradizione. E sorretta anche da un senso etico che va oltre il riferimento al proprio agire, proiettandosi nel campo ben più ampio del rispetto della natura, come bene da preservare integro per gli altri arrampicatori di oggi e anche per quelli di domani. Nessuno si arroga il diritto di trasformare le poche pareti esistenti in uno strumento di soddisfazione delle proprie ambizioni a scapito degli altri fruitori. Ognuno, oggi e domani, dovrà poter vivere l’esperienza della scalata su queste rocce con la stessa intensità, incertezza, avventurosità di chi ha avuto la fortuna di arrampicarvi prima. Ed inoltre, ognuno acquisisce qui consapevolezza del proprio “grado” e del proprio livello: nessuno si vede appeso agli spit a stagionare, ma ognuno pensa al proprio limite ed affronta vie adeguate, magari di ingaggio ma sempre alla portata, in un confronto con la
parete onesto, by fair means, e nel quale il grado puro di difficoltà è solo una componente e forse non la più importante.
Sopra le onde di Bosigran (North Coast)
Ecco quindi che l’arrampicata si fonde con l’ambientalismo, anzi diventa uno degli elementi portanti della conservazione ambientale delle falesie: nulla deve essere toccato per permettere a tutti di vivere esperienze piene ed autonome. La differenza è quindi forte anche con le migliori scuole di casa nostra, che comunque si adeguano semplicemente agli eventuali divieti di frequentazione, come gentile concessione ad esigenze in genere poco sentite dagli arrampicatori (“se la falesia è trafficata, il falco potrà ben andare a nidificare su un’altra parete, magari con roccia marcia e che quindi non ci interessa”). Ma a nessuno verrebbe mai da pensare che attrezzando, disgaggiando, pulendo si altera in modo pressochè irreversibile una struttura, facendo un atto di appropriazione indebita di una porzione di territorio, appropriazione individuale o collettiva poco importa: è l’arrampicatore di oggi che modella la
parete secondo i criteri di oggi, senza tener conto né del passato né del futuro.
E devo dire che anche la moda incipiente dell’arrampicata trad o clean risponde da noi essenzialmente a concetti di tipo sportivo e prestazionale più che ad una ritrovata simbiosi con la natura e riscoperta del valore della preservazione del territorio. Tant’è che, ad esempio, l’attrezzatura delle soste è universalmente accettata, l’attrezzatura dei tratti diversamente non proteggibili è tranquillamente accettata, per cui in fondo i concetti di trad e clean diventano molto riduttivi e prendono il sopravvento solo dove non portano a rischiare. Ed eccoci quindi al punto focale del discorso: la “securisation” che ci viene imposta fin da quando il biberon che facciamo utilizzare ai nostri bambini deve essere a marchio CE, e poi via via lo stesso con i giochi e i quaderni e l’acqua che beviamo e via via fino a non poter più avere contati diretti, spontanei e non protetti con il mondo che ci circonda, isolandoci in una torre dorata che ci rende alla fine prigionieri ed incapaci di esercitare la nostra libertà.
Sulla splendida Doorpost a Bosigran (North Coast)
E l’attrezzatura sistematica “a norma” di tutti, dico tutti, i siti di arrampicata risponde a questo concetto di “securisation” e di furto della nostra stessa libertà. Ricordiamoci che ogni volta che chiodiamo un tiro
priviamo altri della libertà di arrampicarlo in libertà. Ma, è anche vero,offriamo agli altri la possibilità di arrampicarlo divertendosi e rischiando il minimo. In altre parole, il sopravvento dell’arrampicata sicura e prestazionale è talmente forte che i concetti che ho sopra richiamato appaiono sicuramente oggi del tutto estraneial comune sentire del nostro ambiente, ma sono convinto che meritino una seria riflessione. Mi rendo ben conto che queste considerazioni sono forti e forse anche provocatorie. Tutti noi arrampichiamo divertendoci sulle vie “a norma”, ma dovremmo anche fare uno sforzo per immaginare un mondo diverso, dove gli spazi lasciati alla libertà, anche di rischiare, siano maggiori e più accettati.
Il primo tiro del lungo traverso di The Right Angle - Gurnard's Head (North Coast)
Ed infine merita plauso il fatto che tutto questo comune sentire ed operare ispirato da alto senso etico e forte spirito di responsabilità ha portato a conservare questo grande terreno di gioco, preservandolo dalle mode dei tempi e mantenendo intatto il suo grande valore formativo. E i risultati di oggi dell’alpinismo anglosassone nel mondo lo confermano ancora.
Questo è il mondo che ho toccato con mano a Bosigran: un mondo quindi possibile, reale e alla fine anche divertente e sicuramente appagante, se affrontato con il giusto spirito e la giusta umiltà.
SCHEDA TECNICA
Di seguito alcune note utili per programmare una visita nella zona.
Per la logistica e l’individuazione delle falesie e dei singoli itinerari rimane comunque indispensabile avere a disposizione la dettagliata ed attendibile guida in due volumi pubblicata da The Climbers’ Club “West Cornwall – Bosigran, Chair Ladder and The Lizzard” e magari anche l’aggiornamento del 2010 “West Cornwall Supplement”. Le guide sono in vendita per corrispondenza sul sito del Club http://www.climbers-club.co.uk/ e in loco presso The Count House, il Rifugio del Club a Bosigran.
L'ultimo tiro di The Right Angle - Gurnard's Head (North Coast)
La regione
La Cornovaglia è una Contea che occupa l’estremità della stretta penisola sud-occidentale della
Gran Bretagna. Si protende nell’Oceano Atlantico ed è fortemente esposta ai venti e alla forza del mare, che ne hanno modellato le coste, spesso alte, strapiombanti e profondamente erose dalle correnti. L’interno è costituito da un altopiano ondulato e brullo, pascolo per le numerose greggi di pecore. La densità abitativa è scarsa, radi i villaggi e le fattorie e la sola cittadina di qualche importanza è Truro, la capitale amministrativa. Non esistono praticamente industrie, l’economia si basa sulla pastorizia e in parte sul turismo e si tratta di una delle zone a più basso reddito della Gran Bretagna.
Le coste
I modesti rilievi dell’interno della penisola sono ondulati e privi di pareti rocciose. Le due coste, invece, quella meridionale e quella settentrionale, pur con caratteristiche diverse, presentano pareti ideali per l’arrampicata. La costa Nord, affacciata in pieno Oceano, è più selvaggia, con alte scogliere a picco sul mare alternate a spiagge di sabbia finissima. La costa Sud, invece, presenta un aspetto più dolce, caratterizzato da piccole scogliere intervallate da spiagge di ciottoli e il clima è più “mild”, affacciandosi verso la Francia, al riparo dall’azione più violenta dell’Atlantico.
Trewavas Main Cliff (South Coast)
La logistica
I siti di arrampicata sono disseminati lungo entrambe le coste, per cui è praticamente indispensabile avere a disposizione un’auto. Provenendo dall’Italia la scelta più pratica ed economica è volare su Bristol (voli economici – meno di 100 Euro AR - da Bergamo e altri aeroporti) e noleggiare un’auto (i prezzi sono inferiori rispetto a quelli praticati in Italia – meno di 20 Euro al giorno per una utilitaria). Da Bristol
a Penzance calcolare circa 3,5 ore principalmente su superstrada (poco meno di 300 Km). Esistono altri due aeroporti più vicini (Newquay ed Exeter), ma offrono minori collegamenti internazionali. Il centro al quale fare riferimento può essere per l’appunto Penzance, cittadina di 20 mila abitanti all’estremità della
penisola, a poco più di 10 Km da Land’s End, letteralmente la fine della terra, il punto più occidentale del Regno Unito. L’idea migliore, comunque, è approfittare della fitta rete di B&B, numerosi lungo tutte le strade costiere, simpatici e a prezzi più che ragionevoli. Per mangiare, numerosi pubs e piccoli locali offrono “fish and chips” e altri semplici piatti.
In alternativa, per una sistemazione spartana ma nel cuore dell’ambiente alpinistico locale, si può prenotare per tempo, in condizione di reciprocità, presso The Count House, Rifugio situato a Bosigran e gestito direttamente da The Climbers’ Club: http://www.climbers-club.co.uk/venues/count-house-bosigran/
Il clima
Il clima è estremamente variabile. La Cornovaglia, ubicata molto a Sud e soggetta all’influenza della Corrente del Golfo, è una delle zone più soleggiate del Regno Unito, ma presenta anche una maggior quantità di pioggia rispetto alle altre regioni: una situazione all’apparenza contradditoria, ma in realtà specchio dell’estrema variabilità delle condizioni meteo. Le stagioni più asciutte e più gradevoli per arrampicare sono la tarda primavera e l’estate, quando si alternano in rapida successione acquazzoni e sole splendente, con la roccia che si asciuga istantaneamente. Spesso il clima è ventoso e comunque mai caldo, anche in piena estate. E’ più facile incontrare condizioni meteo favorevoli sulla costa Sud: in ogni caso, vista l’ampiezza relativamente contenuta della penisola, è possibile al mattino decidere l’opzione migliore in base alle condizioni del momento.
Trewavas Main Cliff (South Coast)
Le maree (Tides)
Le coste della Cornovaglia sono caratterizzate da maree pronunciate, tali da innalzare/abbassare di parecchi metri il livello del mare. L’effetto scenico è assicurato e poter raggiungere il castello dell’isola tidale di St. Michael’s Mount a piedi oppure in traghetto a seconda delle maree è un’esperienza
singolare. Va da sé che la conoscenza di questo fenomeno riveste vitale importanza per gli arrampicatori, visto che molti itinerari partono a livello mare.
Le maree sono un fenomeno ciclico: c’è un ciclo con maree molto pronunciate e molto veloci e un ciclo con maree meno pronunciate e piuttosto lente. Questi cicli si alternano con durata di circa una settimana, passando gradualmente dall’uno all’altro. Oltre al ciclo settimanale occorre fare i conti con il
ciclo giornaliero, per individuare con precisione le finestre di agibilità dei vari settori. Il ciclo giornaliero poi varia progressivamente in intensità ed orario, per cui è necessario consultare giornalmente i bollettini delle maree oppure procurarsi le tide-tables riepilogative annuali, reperibili localmente. Per le arrampicate a livello del mare è necessario valutare anche il moto ondoso, tenendo presente che non sono infrequenti onde anomale improvvise, anche se il mare al largo appare calmo e piatto: in prossimità della riva è sempre consigliato fare assicurazione autoassicurati.
Una antica miniera lungo l'avvicinamento a Trewavas Cliff (South Coast)
La storia alpinistica
Le scogliere della Cornovaglia furono inizialmente all’attenzione di gente disperata: marinai naufragati in cerca di scampo dai flutti ascendendo alla salvezza dell’altopiano, cercatori di uova di gabbiano come cibo a buon mercato, poi minatori quando, nel Settecento, si iniziarono a sfruttare i giacimenti di rame;
anche la storica salita di un camino al Gunard’s Head nel 1858 ad opera di Sir Leslie Stephens pare motivata più da esplorazione geologica e botanica, piuttosto che da un gratuito spirito alpinistico. Ma il seme dell’arrampicata era stato lanciato e pian piano cominciò a germogliare. L’inizio ufficiale
dell’arrampicata “moderna” in Cornovaglia si può collocare all’inizio del XX secolo, con la scalata di Bosigran Ridge (1902), ancor oggi una delle classiche multipitch della zona (difficoltà VD).
Nel 1950 venne pubblicata la prima guida della zona e negli anni Sessanta vennero fondati club alpinistici locali, che iniziarono ad operare con scuole di alpinismo. Anno dopo anno la frequentazione si è incrementata ed anche le nuove aperture, senza tuttavia mai determinare un sovraccarico ambientale eccessivo,grazie anche alla preservazione del carattere avventuroso e non addomesticato dei siti.
Tipi di roccia e arrampicata
Escluso il calcare, gli altri tipi di rocce arrampicabili sono ben rappresentati nella penisola.
Prevale sicuramente il granito, ruvido e ben fessurato, con arrampicata solitamente atletica e in generale ben proteggibile, a parte qualche eccezione, opportunamente indicata nella guida. Diffuse anche le scogliere di Greenstone, come vengono chiamati diversi tipi di rocce basaltiche, molto scenografiche con il loro predominante color nero scuro, in genere piuttosto compatte e con proteggibilità un po’ più
difficile rispetto al granito. Meno diffuse le pareti di Killas, rocce di colore scuro molto variegate, con linee di salita poco evidenti e che richiedono sovente un piazzamento non facile delle protezioni naturali, soprattutto piccoli “wires”.
Da citare, infine, le strane pareti in cui si presentano assieme vari tipi di roccia (gabbro, peridotite, scisti vari, anfibolite ecc): vie di buona roccia si alternano a zone estremamente friabili o di roccia saponosa, per cui una oculata lettura della guida risulta qui particolarmente importante.
L’etica
In passato era invalso nella zona l’utilizzo di chiodi e persino di chiodi ad espansione, giustificato dall’assenza di altre possibilità di assicurazione. Un revival nell’uso di chiodi a pressione si ebbe negli anni Ottanta.
Nel 1993, ad un convegno del BMC locale, al quale partecipò una sessantina di arrampicatori locali o comunque attivi nella zona, venne concordato a grande maggioranza che nelle falesie costiere della penisola era da considerare bandito l’uso di chiodi a pressione e qualsiasi altra moderna protezione fissa. I chiodi presenti nella zona vennero rimossi. Oltre all’utilizzo dei chiodi,anche la pratica di scavare o migliorare appigli è condannata da tutti gli arrampicatori.
Conseguenza di tutto ciò è uno stile di approccio alle vie rispettoso dell’ambiente e relazionato al reale livello dell’arrampicatore.
ALBERTO RAMPINI
CAAI Gruppo Orientale
Un argomento da approfondire.
Il 23 ott 2015 è stata creata la pagina ufficiale su Facebook del Club Alpino Accademico Italiano, raggiungibile da questo link
https://www.facebook.com/clubalpinoaccademicoitaliano
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E' online da 23 ott 2015 il nuovo sito del Club Alpino Accademico Italiano.
Oltre alla rinnovata veste grafica "responsive" che si adatta agli schermi più piccoli quali ad esempio smatphone e tablet, a breve verranno inserite nuove sezioni e nuovi contenuti.
Buona navigazione.
Di seguito la modulistica per i soci
Il giorno 26 ottobre, al Castello del Valentino di Torino dove 150 anni fa fu fondato il CAI, si è svolto il convegno nazionale del Club alpino accademico Italiano con tema : 150 di valori e visioni nella storia dell’alpinismo.
Non ha voluto mancare il Presidente Generale del CAI Umberto Martini, ospite degli organizzatori Claudio Picco Presidente del CAAI Gruppo Occidentale e Giacomo Stefani Presidente Generale del CAAI.
In questa occasione è stato conferito il titolo di socio onorario a Bernard Ami, alpinista e scrittore francese, noto in Italia per i suoi libri e per gli articoli sulla Rivista della Montagna.
Discutere di valori e visioni tra Alpinisti, vuol dire in fondo dichiarare perché si scalano le montagne.
Perché si lavora tutta la settimana, dieci ore al giorno, ci alza alla domenica magari alle due del mattino per fare un’ attività al freddo, rischiosa e per niente remunerativa?
Lionel Terray scrisse il libro “I conquistatori dell’inutile”, titolo ironico ma che illustra bene quello che i non praticanti pensano dell’alpinismo.
Utile, per la Società è ciò che crea denaro e l’alpinismo non rientra in queste attività, se non in rarissimi casi di professionisti della montagna.
Ci viene in soccorso un libretto appena uscito, che non tratta come tema la montagna : “L’Utilità dell’inutile” di Nuccio Ordine Professore di letteratura italiana.
In questo saggio viene messo in evidenza come molte delle più essenziali attività e aspirazioni dell’uomo, non abbiano come fine una utilità esplicita, riconducibile ad un profitto .
Viene preso ad esempio un personaggio di Cent’anni di solitudine, il libro capolavoro di Gabriel Garcia Marquez, che costruisce pesciolini d’oro e li vende per monete d’oro, con le quali fabbrica altri pesciolini d’oro.
Apparentemente non c’è senso né profitto, analizzando bene c’è il semplice piacere di realizzare qualcosa.
Ecco, mi sembra una bella metafora per dire che la maggior parte degli alpinisti, bravi, scarsi o bravissimi, hanno il piacere di immaginare, inseguire visioni che li portano a realizzare le loro imprese, alcune sono un buon prodotto di artigianato altre veri capolavori , tutti sono degni della loro azione.
Le visioni che hanno guidato gli alpinisti nei 150 anni di storia analizzati al Convegno CAAI di Torino, il 26 novembre 2013, al Castello del Valentino, sono cambiate con i tempi.
Per Quintino Sella fondatore del CAI, l’alpinismo italiano aveva il compito di riappropriarsi delle nostre montagne in mano agli esploratori Inglesi. La sua scalata al Monviso che segue quella di William Mathews ne è un esempio.
In sintesi poi ,l’andar per montagne doveva educare ad un vivere sano e sobrio il popolo Italiano, appena nato.
L’epoca del sesto grado, tra le due guerre, fu una competizione anche per nazioni, dove l’arrampicata su roccia in dolomiti, in particolare, raggiunse livelli di perfezione e teorizzazione estetica difficilmente superati.
Gli anni del dopoguerra sono stati quelli di Bonatti, Mellano e tanti altri, uomini destinati alla fabbrica che hanno riscattato il proprio senso di esistenza con le loro grandi imprese sulle montagne del mondo.
Che dire della rivoluzione degli anni settanta, Gian Piero Motti dichiara “che le montagne non si conquistano ma si amano” . Devastante per la cultura di regime!
La vetta non è più la meta, ma il viaggio, la scalata, il gesto, anche su una parete che termina su di un altipiano.
Di questo e di altro si è discusso al convegno CAAI di Torino, 150 anni di valori e visioni nella storia dell’alpinismo, la sede, il Castello del Valentino, non è casuale, è il luogo dove Quintino Sella tornato dal Monviso fondò il CAI.
Tra i relatori citiamo Pietro Crivellaro studioso di storia dell’Alpinismo e curatore della bella mostra a Biella su Quintino Sella, Spiro dalla Porta Xidias che ci ha incantato con aneddoti deliziosi sui gradi nomi del sesto grado, che lui ha conosciuto.
Spiro, sempre in piedi, come dice lui non si parla da seduti!… ci ha ancora una volta stupiti con i suoi 97 anni e una lucidità da fare invidia.
E poi Andrea Mellano che si definisce anarchico e dico io visionario, primo salitore delle tre grandi nord ( Eiger, Cervino e Grand Jorasses) e organizzatore della prima gara di arrampicata a Bardonecchia dove ha tenuto a battesimo gente come Wolfang Gullich.
E infine Ugo Manera compagno di Giampiero Motti nell’avventura del Nuovo mattino.
Già qualcuno dirà, sti vecchioni di accademici se la cantano e se la suonano?
Non siamo caduti nella trappola di recitare tra di noi il de profundis dell’alpinismo, ma abbiamo voluto ascoltare con grande attenzione Nicola Tondini, Guida alpina di Verona, che pratica un alpinismo estremo, attuale e sulle pareti storiche come il Sass de la Cruz ed altre in dolomiti.
Nicola è uno dei pochissimi alpinisti di punta in grado di raccontare con efficacia il suo percorso di ricerca, le sue visioni, che lo hanno portato ad aprire il suo capolavoro, la sua via perfetta per stile e bellezza, Colonne d’ercole sulla NO della Civetta.
L’essenza del suo pensiero è che “la storia è parte fondamentale della nostra crescita, ed è il trampolino per le nuove generazioni”.
Un grande grazie a Nicola, perché questa giornata di scambio e confronto avrà un senso se qualche giovane grazie anche al suo esempio si chiederà il perché dell’alpinismo e avrà voglia di provare.
Bonatti diceva : chi più alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna.
Andrea Giorda CAAI