L’INVERNO DEL GRAN SASSO
DAI RUGGENTI ANNI '80 AD OGGI
Testo di Massimo Marcheggiani – Le foto, se non diversamente indicato, sono di Massimo Marcheggiani
Ottimizzazione e grafica Alberto Rampini
La “Via da seguire”… Certo non esiste la via giusta, ogni scalatore sceglie la modalità a propria misura, sacrosanta e rispettabilissima a prescindere da gradi o difficoltà; la componente ludica delle scalate invernali, assolutamente soggettiva, non ha confini, rasentando a volte una quasi perversa forma di masochismo quando la fatica, il freddo, il disagio e lo stesso alto rischio vengono coscientemente accettati. Il piacere di quanto realizzato generalmente è successivo a quanto vissuto su una parete, quasi mai durante, estate o inverno che sia. Le invernali in Appennino Centrale e nello specifico nel gruppo del Gran Sasso sono state numerosissime, e anche qui come per le Alpi l’evoluzione ha avuto bisogno dei suoi tempi con un ovvio e scontato ritardo; a tempo debito le “vie seguite” hanno portato diversi alpinisti “Appenninici” al confronto con grandi scalate e, posso dirlo con cognizione di causa, a eccellenti risultati in molte parti del mondo.
La Pima Parte di questa storia dell’Alpinismo invernale sul Gran Sasso è stata pubblicata su questo sito nel febbraio 2024. Leggila qui.
Bini abbandona praticamente le scalate invernali e nel giro di poco tempo anche l’alpinismo, mentre i suoi compagni di allora M. Marcheggiani e G. Picone cinque giorni dopo la via Rosy sono ancora in montagna e salgono insieme a Fabio Delisi la via “Mario-Di Filippo” sulla Ovest della Prima Spalla trovando la parete tutt'altro che in condizione. Ancora nello stesso mese Marcheggiani e Picone salgono di nuovo il Monolito lungo la via “Aquilotti 73”: stesse caratteristiche della via Rosy, ossia verticalità assoluta della roccia e praticamente assenza di neve (tutte le salite erano sempre effettuate con scarponi rigidi. N.D. A.). Durante la salita i due videro una persona scendere dalla vetta Orientale e quando furono a portata di voce si salutarono urlando: “... Ciaooo, chi sei?” urlò Marcheggiani, “Gian Piero Di Federicooo” fu la lontana risposta. “...ciao Giampiè, e da dove vieni?” chiese il primo, “...dal terzo Pilastro del Paretone... da solo!”. Era una giornata di sole bella ma freddissima e con vento tagliente. I due sul Monolito erano partiti per provare a scalare il secondo dei pilastri sul Paretone ma il freddo glaciale li aveva spaventati e dirottati sulla assolata via degli Aquilotti; alla risposta di Gianpiero, Marcheggiani ebbe una vera e propria crisi: con tre prime invernali in poco più di un mese era convinto di aver fatto chissà quale impresa; la comparsa dell'alpinista chietino di ritorno dal terzo Pilastro gli spalancò gli occhi: “ … c...o, ecco dove si fa il grande alpinismo... altro che Corno Piccolo!” Il Paretone d'inverno era stato salito soltanto lungo la facile via Jannetta per due volte quasi 20 anni prima, dopo di che più nulla. Il vero problema ora erano i Pilastri o quanto meno le grandi pareti! Qualcuno nella SUCAI romana ogni tanto ipotizzava una prima salita, e nelle dissertazioni si scriveva pure di bivacchi e mezzi assedi... Di Federico, praticamente in silenzio e senza clamori, dopo un precedente tentativo con l'aquilano Roberto Mancini ed un secondo tentativo da solo naufragato ancora prima di attaccare, il 26 febbraio è di nuovo da solo alla base del Terzo Pilastro. Era ormai assodato che per raggiungere i pilastri era molto più logico scendere il canale Jannetta anziché salirlo da Casale San Nicola principalmente per logistica di rientro.
Di Federico a notte fonda affronta quindi la lunghissima salita da Prati di Tivo, all'alba tocca la vetta dell'anticima e sa già da dove scendere lungo lo Jannetta. Sono le 9 passate quando attacca la via di Alessandri al terzo Pilastro, inizialmente con i ramponi ai piedi e quando il pilastro si verticalizza li toglie scalando con gli scarponi. Scala in auto sicura e sale, poi riscende e risale smontando quanto infisso in parete; la scalata invernale in solitaria somiglia tanto alla “lotta con l'alpe” di Motti, un ingaggio faticoso nella più completa e fredda solitudine. Un comodo terrazzino accoglie il suo primo bivacco dopo quasi sette ore di scalata. Il 27 riprende a salire costantemente all'ombra; la parete è esposta ad est ma la via di salita è sul fianco destro del pilastro e quindi quasi niente sole. Supera fessure, un tetto giallo, altre fessure con e senza ghiaccio e le ore passano e fa di nuovo buio. Un secondo freddissimo bivacco è accompagnato da un forte vento. Il terzo giorno, 28 febbraio, Giampiero risale le corde fisse montate il giorno prima producendo calore per il corpo intorpidito dal gelo notturno, supera un pendio di neve, poi supera un lungo diedro camino poco sotto la vetta. L'attenzione qui aumenta ancora di più perché l'uscita dal terzo e il vicino quarto pilastro presenta roccia molto friabile ma poi, scrive: “…esco finalmente al sole! Abbandono il materiale, sono stanco e scendo rapidamente sui facili pendii. In alto sul Monolito sento richiami... sono Massimo e Gianpaolo che mi salutano...” op. cit. Si era voltata pagina, la frontiera delle invernali era stata grandemente superata dall'impresa, perché di questo si parlò, di Giampiero Di Federico.
Bruno Tribioli, dopo quattro anni dalla tragedia in cui perse la vita suo fratello Stefano, compie la prima solitaria della lunga Haas-Acitelli sulla vetta Orientale dedicando appunto al fratello Stefano la sua bella ascensione; è l'11 febbraio del 1981. Nei pochi giorni rimasti dell'inverno vengono compiute ben altre sei “prime”: il 15 Picone e Re salgono la Manuela al Monolito, stesso giorno per D. Amore e L. Gambini sulla via “Mario-Di Filippo” alla Seconda Spalla; due giorni dopo i fratelli Caruso sulla “Iskra” e M. Cotichelli e B. Anselmi sulla “via della Virgola” tutte al Corno Piccolo. Compare sulla scena Tiziano Cantalamessa, di cui si parlerà molto in seguito, che con P. Mazzanti sale la “Marsili-Gizzoni” al Pizzo Intermesoli e di nuovo D. Amore e M. Forcatura salgono i 300 metri della “Alessandri-Leone” alla Est della vetta Occidentale con due bivacchi. Come si evince dalle ultime cronache, la pratica invernale è ricca di iniziative. Numericamente sono molti di più gli scalatori che affrontano la grande montagna d'inverno e come vedremo in seguito ci sarà un proliferare di scalate fin quasi al termine del millennio. Poi lentamente una curiosa penuria di salite invernali che sarebbe bello saper analizzare.
Torniamo ai “ruggenti” anni 80!
La fine del dicembre '81 un primo tentativo di salire l’ancora inviolata Parete Est dell'Anticima Nord della Vetta Orientale (il lato destro del Paretone) vede protagonisti F. Delisi, M. Marcheggiani e S. Gozzano. I tre alpinisti raggiunta la base della Cresta Nord si legano. Arrampicano fino a raggiungere la Cengia dei Fiori e da qui “entrano” nella parete. Il ghiaccio ottimo e un paio di corde doppie facilitano il complicato su e giù del lungo avvicinamento. Alle 17 del pomeriggio improvvisano uno scomodissimo bivacco quando la base della parete non è stata ancora raggiunta. Il tempo è sereno e senza un alito di vento. Inaspettatamente questo arriva, prima con raffiche intermittenti ma verso la metà della notte si scatena una tempesta via via sempre più impressionante. Il forte vento fa turbinare la neve che in breve ricopre i tre scalatori. All'alba è pressoché impossibile solo pensare di continuare la salita, il vento è fortissimo e la visibilità molto scarsa. La ovvia decisione di battere in ritirata è messa in grave difficoltà dalla violenza inaudita del vento. La cordata percorre a ritroso e con enormi complicazioni il percorso del giorno precedente: diverse ore dopo, una volta giunti a poche centinaia di metri dalla stazione superiore della vecchia seggiovia, la potenza del vento solleva da terra come un fuscello Marcheggiani, che nella fortunata caduta terminata contro un masso prima del precipizio, si ferisce gravemente il labbro superiore che viene quasi reciso dalla piccozza. Delisi tampona alla meno peggio la brutta ferita con la sua sciarpa, si legano di nuovo benchè il percorso non presenti difficolta alcuna e con grande attenzione raggiungono la stazione della seggiovia. La porta in ferro è chiusa da un robusto lucchetto, a martellate viene fatto saltare e trovano finalmente rifugio all’interno dove grazie ad una piccola stufa elettrica asciugano vestiti e sacco a pelo. Scendono il giorno successivo senza un alito di vento ed appare loro, come per magia, lo splendido spettro di Broken. In ospedale a L'Aquila verrà ricucito il labbro del ferito con 25 punti di sutura e la diagnosi di due costole incrinate. Dopo cinque giorni, la Vigilia di Natale '81, Marcheggiani torna a casa.
È il 30 gennaio 1982, quindi a 35 giorni dall'incidente, quando Delisi e Marcheggiani provano di nuovo a salire la medesima parete. Nell'occasione, cambiando strategia di avvicinamento, aprono una difficile via di ghiaccio di circa 400 metri dalla base della Anticima fino a raggiungere la parete rocciosa per provare a compierne poi la prima invernale. Bivaccano comodamente all'interno di una piccola grotta alla base della parte rocciosa. Alle prime luci iniziano la salita ma dopo soli due tiri di corda, molto difficili per via delle condizioni della parete, rinunciano. Una lunga corda doppia li riporta alla grotta del bivacco e da qui puntano verso l'alto risalendo il canale Sivitilli che al suo vertice si raccorda con la via Jannetta e da qui in vetta. Con la salita del canale Sivitilli è la terza volta che la grande parete viene salita d'inverno dal basso, con uno sviluppo di oltre 1400 metri.
Passano solo cinque giorni: M. Marcheggiani, questa volta insieme a P. Caruso, parte da Roma a mezzanotte con una piccola A 112. Sul passo delle Capannelle un testa coda per via del ghiaccio sulla strada mette già a rischio il progetto dei due. Alle quattro, frontali in testa, lasciano i Prati di Tivo con obiettivo la via “Aquilotti 79” al Quarto Pilastro. Al momento risulta essere salito solo il terzo dei pilastri e fa gola l’idea di mettere le mani sugli altri pilastri dopo la performance di Di Federico. È giorno fatto quando i due alpinisti giungono in vetta all'anticima dell’Orientale; con il sole che inonda di luce dorata l'intera parete cercano e trovano ancora labili tracce lasciate in salita dallo stesso Marcheggiani e Delisi pochi giorni prima e per questo senza difficoltà imboccano la discesa con la massima cautela in quanto slegati. Le poche cordate che hanno affrontato i pilastri d'estate hanno appurato la validità della scelta di raggiungerli dall'alto anziché dal basso, così aveva fatto Di Federico e così farà negli anni a seguire chiunque li andrà a scalare. D'inverno è lo stesso: è solo necessaria più attenzione perché il canale Jannetta in discesa è più difficile che in salita, soprattutto su misto o ghiaccio duro. I due alpinisti hanno con loro una sola corda da 50 metri, chiodi e nuts e per scelta niente sacco a pelo. Un azzardo, considerato il pensiero comune dei quasi scontati bivacchi nelle salite invernali. Marcheggiani conosce la via avendone fatta la prima solitaria due anni prima e senza indugio trovano l'attacco. La salita si svolge come una normale salita, mettono i ramponi quando necessario e a comando alternato superano diedri, camini e pareti e i quattrocentocinquanta metri del quarto Pilastro. Con le ultime luci raggiungono la vetta. Al di là di una lecita apprensione qualora avessero dovuto affrontare un bivacco senza protezioni, la cordata dimostrò la validità della scelta. La velocità di esecuzione fu la chiave di volta e la prima invernale del quarto Pilastro in giornata fece il dovuto scalpore. Alla mezzanotte dello stesso giorno i due veloci alpinisti si infilarono di nuovo nei loro caldi letti delle rispettive case ma non si erano accorti però che non erano proprio soli quel giorno sul paretone; infatti, Andrea Gulli salì in solitaria il canale Jannetta, mentre altri due alpinisti, tra cui il finanziere Benvenuto Laritti, si aggiravano alla base dell’anticima per tentarne la salita, tentativo che naufragò nel giro di poche ore. Mentre i due del quarto Pilastro si infilavano nei loro letti, Tiziano Cantalamessa usciva dal suo di letto. Cantalamessa, tre anni prima, aveva lasciato il suo lavoro da metalmeccanico ed aveva intrapreso un’attività di allevatore con 24 mucche da latte. Queste vanno munte due volte al giorno, ogni santo giorno. Tiziano sbriga quindi prima la sua incombenza liberando le mammelle delle sue amate mucche dal latte, dopodiché preso un caffè sale sulla sua Panda e arriva ai Prati di Tivo che è quasi giorno. Trova tracce di salita e ne è ovviamente contento. Le tracce lo accompagnano fino all'imbocco del canale Jannetta, sono tracce recentissime e si chiede di chi possano essere. Queste terminano alla base del quarto Pilastro, che è il suo obiettivo. Guarda in alto, cerca di sentire qualche voce ma nulla; c'è lui e solo lui in quel grandioso ambiente. Inizia la sua scalata solitaria con la totale attenzione dovuta, ha una moglie e un bambino appena nato e lui non è tipo da fare scemenze: sa esattamente cosa sta facendo. Ha una corda nello zaino e li rimane. Cantalamessa mette sul tavolo tutta la sua classe e supera in meno di tre ore l'intera parete. In vetta fuma una delle sue tante sigarette e con la massima calma torna a casa, in anticipo sulla mungitura serale.
Quello che era successo nel giro di poco più di due anni sulla parete più ostica del Gran Sasso diede il via ad una nuova energia agli alpinisti del centro Italia. Anche in Appennino quindi e con le dovute cautele, ci si può confrontare con il “grande alpinismo”, prerogativa fino allora riservaata alle Alpi. Questo non significa che si vedrà la ressa sulle vie del Paretone, tutt'altro. Come vedremo in seguito i protagonisti di altre grandi scalate invernali saranno praticamente gli stessi nomi, mente le pareti del Corno Piccolo vedranno un incremento notevole di realizzazioni da parte di numerose cordate. La nota “negativa” sarà la quasi totale assenza della storica SUCAI romana. Non dimentichiamo che sta nascendo l'arrampicata sportiva e che tanti scalatori abbandonano la montagna proiettati verso le assolate falesie.
Poco prima del Natale 1982 Cantalamessa si ripete con la solitaria alla “via FIRST” sulla parete est del Corno Piccolo.
Su questa scia evolutiva, la cordata del quarto Pilastro nel gennaio del 1983 si rimette in gioco. Marcheggiani e Caruso, chieste le chiavi del rifugio Franchetti, vi passano la notte sotto una coltre di coperte. Con poco più di un’ora, spettatori di una magnifica alba sul mare, sono di nuovo all'imbocco del canale Jannetta. Lo scendono con i primi raggi del sole di una magnifica giornata con un chiaro e più ambizioso obiettivo: salire il secondo Pilastro in giornata. Questo, più corto del quarto e del terzo è però più lontano; per raggiungerlo i due devono superare, e prima di allora non era mai successo, la “Cengia obliqua” di oltre 150 metri. Questa si trova sopra gli strapiombi della “Farfalla” e il superamento prevede diversi tiri in arrampicata fino alla base del Pilastro. Va da sé che un’eventuale ritirata sarebbe stata piuttosto complicata visto il forte obliquo di questi tiri e il vuoto degli strapiombi sottostanti. I due alpinisti, anche questa volta senza nulla per un eventuale bivacco, scalano con la “sgradevole” sensazione di essersi chiusa una porta alle loro spalle, hanno l'abitudine di non dire a nessuno dove vanno e la percezione della loro potenziale vulnerabilità è forte, ma è forte anche la loro determinazione. Superano l'intero pilastro e la lunga, bellissima cresta terminale fino in vetta ai 2908 metri della Vetta Orientale in appena sette ore dal rifugio.
Questa era la logica prosecuzione di quell'alpinismo di ricerca già messo in pratica da Florio e Calibani nel '63, da Alessandri sulla Nord del Monte Camicia nel '74 e da Di Federico sul Terzo Pilastro solo tre anni prima. Il contorno a tutto ciò saranno le numerose invernali che verranno realizzate sul Pizzo Intermesoli e il Corno Piccolo. Infatti, B. Tribioli e A. Gulli salgono la “Via del Pulcino”, Cantalamessa e P. Mazzanti salgono la via “Amighetti”, P. Caruso e G. Bassanini la via “Simona” sulla est di Pizzo Intermesoli, mentre M. Baiocco e F. Colasi la via “Bachetti-Fanesi”, D. Amore e L. Grazini la via “De Filippo- Adamoli” al Corno Piccolo sono solo alcune delle salite portate a termine fino al dicembre 1983, mentre una parziale salita della Cresta Sud della Vetta Orientale vede protagonisti F. Delisi, G. Bassanini e M. Tacchi.
La vera natura alpinistica dell'ascolano Tiziano Cantalamessa esulava dalla “caccia” alla prima invernale. Il fatto che una qualsiasi salita già compiuta d'inverno venisse poi puntualmente ignorata era praticamente la norma, nessuno ripeteva cose già fatte in un meccanismo mentale quasi perverso, come a dire che compiere la seconda invernale non ha valore o addirittura è “più facile”! Ovviamente niente di più sbagliato, visto che un qualsiasi itinerario invernale non è assolutamente mai uguale al precedente. A differenza della stagione estiva l'inverno trasforma ogni volta in chiave diversa la montagna, che può essere più facile, più difficile o addirittura impossibile oppure più fredda o meno fredda. A conferma di quanto detto, Cantalamessa con G. Mazzanti negli ultimi giorni di marzo 1984, a 21 anni di distanza, affronta e supera con un bivacco i 1150 metri della già salita cresta nord della vetta Orientale compiendone appunto la seconda salita. Come già scritto, gli ascolani Florio e Calibani ne erano stati i primi salitori e nella bella e medioevale città non era un segreto l'antagonismo tra i vari alpinisti, e ripetere le gesta dei predecessori era quasi la norma. I conflitti che si erano creati all'interno del CAI cittadino avevano portato addirittura ad una scissione, ed alcuni soci, al seguito di Florio e Calibani, fondarono il GAP - Gruppo Alpinisti Piceni - che seguirà poi una strada culturale e alpinistica tutta propria.
Come si vedrà in seguito, Cantalamessa si ripeterà ancora con seconde salite invernali su grandi e difficili itinerari. Nello stesso '84 solo altre due salite di stampo classico si realizzano sul primo Scrimone del Corno Grande. Lo Scrimone è lo scosceso versante ovest della vetta massima che precipita ripidamente nella sottostante Valle Maone. Qui gli aquilani D. Alessandri e B. Romano e successivamente i marchigiani M. Cotichelli e B. Anselmi aprono due canali molto interessanti di ghiaccio e misto di circa 250 metri.
La curiosa cordata Marcheggiani-Caruso si riunisce ancora il 30 gennaio del 1985 con un ulteriore progetto che attende ormai soluzione: la ancora inviolata parete est dell'anticima Orientale. Cordata curiosa la loro dal momento che tra una invernale e l'altra i due forti scalatori non hanno abitudine di frequentarsi. Sicuramente non sono amici, ognuno scala per proprio conto, non hanno nulla in comune nella vita quotidiana e sono personalità diametralmente opposte. Perché abbiano dato vita ad una cordata senza dubbio efficiente ed intraprendente è quasi un mistero ma forse è lecito pensare ad un celato opportunismo per risolvere i problemi invernali. Pianificando la scalata che li aspetta si rendono conto che in giornata è pressoché impossibile. Marcheggiani sa quanto è complicato e quanto tempo richiede l'avvicinamento e portano quindi leggero materiale da bivacco: Caruso un sacco piuma, Marcheggiani un Douvet e un Pied d’Elephant.
Come la volta precedente passano la notte al rifugio Franchetti e di buon’ora giungono alla testata della via Jannetta. La novità è un avvicinamento dall'alto anziché dal basso. Mentre scendono il ripido pendio, il duro ghiaccio si colora prima d’argento e poi d'oro; il sole dell'Adriatico li illumina in pieno ed è un momento quasi sublime. Giunti alla base del terzo Pilastro deviano decisamente a sinistra e raggiungono lo sbocco del Canale Sivitilli. Superano brevi salti rocciosi e una corda doppia li deposita sul fondo. Ora è più facile scendere il pendio, ma giunti sotto la verticale della via che vogliono seguire la parete si impenna. Il ghiaccio perfetto permette loro di scalare oltre 150 metri slegati e li porta a fare sosta sotto un breve strapiombo. Lo superano con grosse difficoltà di misto, passaggi in artificiale e la progressione successiva risulta lentissima. L'idea iniziale di aprire una via nuova viene per forza accantonata e grazie all'aiuto di una foto in loro possesso scalano su terreno vergine continuamente in obliquo fino a raggiungere la via Mario-Alletto del 59. Intanto le poche ore diurne sono scivolate via e al tramonto raggiungono il nevaio pensile a metà parete. Qui il freddo bivacco e una luna immensa che sorge dal mare Adriatico sono gli unici elementi che li distraggono dal battito dei denti. Il bello di questa parete è all'alba, quando anche il sole esce dal mare e li inonda di luce e finalmente di un tiepido calore. La scalata continua con ritmo, mettendo e togliendo i ramponi, fino a che, verso le 14 del 31 gennaio, i due mettono fine alla lunga scalata e alla soluzione del grande problema in sospeso. La cordata in seguito non si legherà mai più insieme. Con questa salita ogni singola parete del Gran Sasso è stata salita d'inverno ma si apriranno, come vedremo più avanti, altri interessanti capitoli. Ancora una solitaria per Tiziano Cantalamessa quando il primo di febbraio sale la via “Bachetti- Fanesi” al Pizzo Intermesoli con il suo stile veloce e risolutivo. Per tutto l'inverno a seguire non si vedrà nessuna salita di stampo tecnico, mentre diversi canali verranno saliti sulle montagne minori come il Prena, L'Infornace, il Brancastello o il monte Aquila da parte di abruzzesi e marchigiani, tra cui i già noti Alessandri, Cotichelli o Anselmi.
Quattro giorni prima del Natale '85 Marcheggiani si trova di nuovo sotto il Paretone. È momentaneamente in compagnia del suo amico Roberto Landi che non scala ma lo accompagna fin sotto l'infinita cresta nord della Vetta Orientale. Salutato il suo amico che se ne torna a Frascati, Marcheggiani comincia la sua scalata. Sale inizialmente slegato i 250 metri iniziali di un angusto camino verticale, poi alterna tratti in autoassicurazione ad altri senza, con la corda penzoloni dall'imbrago e zaino in spalla. Una progressione relativamente veloce lo porta alla Cengia dei Fiori che taglia in due la lunga cresta. Da qui il terreno cambia, non più camini ma brevi pareti, risalti, goulottes e creste coperte di ottimo ghiaccio vengono superate con determinazione ma qualcosa si frappone tra la bella scalata e il suo prosieguo. Una forte e improvvisa febbre aggredisce l'alpinista di Frascati che si ritrova improvvisamente esausto (non è nuovo ad improvvise febbri molto alte) e si vede costretto al bivacco quando sarebbe potuto addirittura uscire in giornata visto il buon ritmo tenuto. Alle 14 si chiude nel sacco a pelo, non ha fornello e l'acqua è agli sgoccioli. In preda a violenti brividi e sudorazione fredda dorme un paio d'ore. Preoccupato quanto basta si scuote, lascia il bivacco pronto e scala il difficile muro che lo sovrasta. Lo supera, blocca la corda e quasi al buio torna al bivacco dove l'interminabile notte, dalle 17 fino alle 7 del mattino successivo passa con arsura e freddo. Al mattino la magia della febbre praticamente sparita lo rinfranca, si lega, riparte e benché provato, alle 13 arriva anche lui “...in vetta, finalmente al sole!”. La Cresta Nord è assolutamente all'ombra e il sole viene solo intravisto oltre la parete. Nella discesa, nel Vallone delle Cornacchie, incontra tre ascolani che stanno raggiungendo il bivacco Bafile. Sono P. Mazzanti, M. Ceci e G. Mozzoni che il giorno dopo, Vigilia di Natale, saliranno la via “Pinelli- Ramorino” sulla parete sud della Vetta Orientale. La loro sarà una bellissima realizzazione nello stile ascolano, alpinismo d'avventura con niente di scontato; la via salita è lontana e complicata da raggiungere con un isolamento tipico del Paretone dove cercare aiuto gridando è pressoché impossibile: come vediamo torna il discorso differenza Corno Piccolo/Corno Grande.
Nel mese di gennaio del 1986 sul Corno Piccolo troviamo due interessanti realizzazioni: due cordate romane viaggiano insieme dalla capitale per affrontare la fredda Parete Nord della seconda Spalla del Corno Piccolo. Il gruppetto, molto affiatato, si divide, come da programma, una volta raggiunta la parete: Donatello Amore e Paolo Camplani salgono infatti la lunga ed obliqua via “Antonio Benedetti”, mentre Luca Grazzini e Massimo Nardecchia salgono la verticale via “Amore-Gambini” tranquillamente in giornata. Ancora Grazzini e G. Bassanini il 19 marzo sul Pizzo Intermesoli salgono “Cosi è se vi pare” sul terzo Pilastro mentre il giorno dopo, e siamo di nuovo sul Corno Piccolo, Roberto Rosica e Pio Pompi salgono la difficile “Stefano Tribioli” a ovest della Prima Spalla. Le invernali, probabilmente smitizzate dalle precedenti salite sul Paretone, vengono sempre più sdoganate, si nota una maggiore frequentazione e cordate da mezza Italia si approcciano alle variegate montagne del Gran Sasso. Si hanno salite di ricerca sul Monte Corvo, sul Mozzone, sul Pizzo di Camarda oltre la grande costiera sud del Sentiero del Centenario che a sua volta verrà traversato nei suoi dieci chilometri di sviluppo da L. Di Carmine e G. Perini il 21 dicembre '86 da ovest a est mentre a marzo '87 M. Marcheggiani e Silvia Marone ne faranno la traversata est-ovest con due bivacchi in uno scenario a dir poco patagonico. Una settimana dopo la traversata, Marcheggiani, Silvia Marone e Lorenzo Brunelli tentano di nuovo la Cresta nord della Vetta Orientale ma dopo 200/300 metri di scalata rinunciano per un’improvvisa nevicata.
Sul Primo Scrimone i marchigiani B. Anselmi, M. Cotichelli e V. Rossetti il mese di aprile apriranno gli interessanti canalini di ghiaccio e misto “Top Gun” e successivamente “Il cane e il gatto”, arricchendo questo sconosciuto e molto poco frequentato risalto roccioso della Vetta Occidentale.
Torna alla grande sulle scene Tiziano Cantalamessa: a distanza di tredici anni dalla drammatica ascensione invernale del Monte Camicia del '74 dove P.G. De Paulis perse la vita e “Mimì” Alessandri fu costretto ad uscire in solitaria dalla cupa parete, il forte ascolano si decide a cancellare l'alone di “parete maledetta” che accompagna la Nord del Camicia. È il 22 dicembre quando Tiziano con F. Franceschi si ritrova sul Fondo della Salsa. Con assoluta decisione la cordata, con Cantalamessa costantemente in testa, comincia a macinare metri su metri della brutta e friabile parete. C'è poca neve soprattutto sulle sezioni più ripide e la scalata avviene con gli scarponi rigidi ai piedi, il ché complica ulteriormente la precaria arrampicata. Difficilissimo piantare chiodi che facciano stare tranquilli i due e per questo la loro attenzione è all'ennesima potenza. In una foto si vede Cantalamessa su un traverso con la corda libera per oltre 20 metri; soltanto il suo sangue freddo e la grande classe potevano tenere a bada una situazione così delicata e pericolosa. Proseguono con ritmo, respirano tranquillità quando raggiungono il primo e poi il secondo nevaio dove la progressione è indubbiamente più facile e garantita. Ma i nevai hanno poi termine e la brutta roccia torna ad acuire l'attenzione della cordata. Raggiungono il “Corridoio erboso”, tipica sezione della parete oltre la quale si entra nei canali soprastanti, e sistemano il loro stretto bivacco. Una ottima meteo permette di passare una tranquilla notte anche se fredda; al secondo giorno di ascensione, una volta entrati nei canali superiori, sentono di avere in pugno la intera parete. In vetta trovano un commosso Mimì Alessandri che li abbraccia calorosamente, ringraziandoli per aver finalmente cancellato l'alone di morte che aleggiava su questa grande parete di 1200 metri. Come vedremo in seguito, Tiziano Cantalamessa sarà l'indiscusso protagonista delle grandi scalate invernali. Sul Pizzo Intermesoli la via “Warm's Wall” viene salita da L. Grazzini, R. Vallesi e G. Fornari e ancora Grazzini, a distanza di pochi giorni, si ripete con un compagno sulla Nord del Corno Piccolo sulla via “Kon Tiki”.
Due alpinisti di Castelli, il piccolo e rinomato borgo ai piedi del Monte Camicia famosissimo per le sue ceramiche, affrontano il fianco ovest della montagna che sovrasta il loro paese: due giorni prima del Capodanno '88 D. Di Giosafatte e G. Benedetti trovano una combinazione di pendii e canali e riescono nella lunga salita, che avrà in seguito interesse esclusivamente invernale. Ad oggi non risulta che sia mai stata ripetuta al di là di un tentativo da parte dell'abruzzese di Sulmona Giancarlo Guzzardi con un suo amico. È lo stesso giorno dei castellani che Cantalamessa torna alla carica. In barba al fatto che la difficile Parete Est dell'anticima della vetta Orientale è già stata salita da Marcheggiani e Caruso due anni prima, insieme a F. Franceschi ne compie la seconda ascensione invernale: anche a loro è necessario un bivacco. Confermeranno in seguito la grande difficoltà della salita che, come già detto, comporta un difficile avvicinamento ed un isolamento assoluto oltre ad una conformazione molto diversa dai vicini quattro Pilastri. Questa parete, tendenzialmente concava, raccoglie molta più neve che altre ed ha inoltre una più difficile “lettura” delle vie da seguire e vi si trova una quantità di misto molto superiore ai vicini Pilastri.
Nei primi tre mesi dell'anno 1988 T. Cantalamessa e M. Marcheggiani tentano ripetutamente di salire la lunghissima “via Martina” sul fianco sinistro del Paretone. Non meno di quattro tentativi, attaccando la parete dal basso, naufragano sempre per il repentino cambiamento del tempo. Durante il quarto tentativo Marcheggiani per via di una caduta si distorce il ginocchio destro; impossibilitato a tornare con le sue gambe resta solo mentre Cantalamessa impiega ore per raggiungere Prati di Tivo per allertare il Soccorso Alpino. Torna con loro a notte fonda (elicotteri e cellulari zero) e all'alba Marcheggiani raggiunge finalmente l'ospedale di Teramo.
L'anno nuovo porta finalmente una prima presenza femminile nelle “maschie” salite invernali. Sulla fredda Parete Nord del Corno Piccolo Germana Maiolatesi e L. Grazzini salgono la via “Mairel”. Germana, romana di adozione ma umbra di nascita, troverà la sua giusta collocazione nel mondo ancora troppo maschile compiendo grandi ascensioni sull'intera catena alpina. Una salita per tutte, il Pilone Centrale del Freney a comando alternato, sancirà la figura di Germana tra le più forti in assoluto nell'intera Italia Centrale. Firmerà inoltre da capocordata l'apertura di numerose nuove vie di alta difficoltà. Persona tecnicamente ineccepibile, troverà anche nello sci estremo molte soddisfazioni scendendo da sola o in compagnia canali mai scesi prima. L'anno successivo si distinguerà di nuovo quando, a comando alternato, compirà la prima invernale della via “Le nebbie del Paretone” con un bivacco, insieme a L. Grazzini e P. Abbate. Questa via, della quale Germana aveva compiuta la prima solitaria, pur essendo la più facile (al massimo V° grado nell'ultimo tiro) dell'intera Anticima dell'Orientale, è, come le altre, molto difficile da raggiungere ed una volta usciti dalla via il ritorno passa necessariamente lungo la salita del terzo superiore della cresta nord. Si ha quindi uno sviluppo di 700 metri tutti su terreno misto. Sulla prima Spalla, intanto, Marco Marciano sale in solitaria e prima invernale lo Spigolo delle Guide, una via di quasi 300 metri, difficile e tutta in ombra.
Nei giorni a cavallo tra il Natale '88 e il Capodanno successivo succede quello che quasi nessuno avrebbe mai ipotizzato, e l'attore protagonista è ancora e soltanto Tiziano Cantalamessa. Insieme a Franceschi, Tiziano raggiunge il rifugio Franchetti di cui ha la disponibilità per passarvi la notte. Alle due di notte partono per la loro “Avventura”: salire tutti e quattro i pilastri, concatenandoli in una straordinaria prima assoluta invernale. È l'alba quando raggiungono la base del terzo Pilastro, già salito 8 anni prima da Di Federico. Tiziano, (a volte un po’ distratto) perde quasi subito una delle due scarpette da arrampicata. Forse, chissà, chiunque rinuncerebbe alla salita ma Tiziano Cantalamessa non è affatto chiunque: un piede in uno scarpone, l'altro nella rimanente scarpa da roccia e nel giro di sei ore, grazie anche alla poca neve in parete, raggiungono la vetta del Pilastro. Nello zaino hanno materiale da bivacco, si spostano quindi alla sommità del secondo Pilastro e qui bivaccano. Alle prime luci scendono in corda doppia lungo il Pilastro sottostante già salito da Marcheggiani e Caruso 5 anni prima, raggiungono la Cengia Obliqua e da qui salgono in prima invernale il primo dei Pilastri che è il più corto e più facile dei quattro. Con gli ancoraggi già precedentemente attrezzati scendono di nuovo fin sulla cengia e poco prima del tramonto ne raggiungono la vetta con Tiziano che scala costantemente con uno scarpone ed una scarpetta. Il freddo della notte precedente li aveva “morsi” a sufficienza, e con uno strappo all'etica decidono di raggiungere il rifugio dove passano una notte tranquilla. Una cena calda e una notte di assoluto riposo rimettono in sesto i due ascolani che all'alba sono di nuovo in marcia sulle tracce già marcate. Raggiunta la base del quarto Pilastro in cinque ore ne escono in vetta compiendone la terza salita invernale. Una performance formidabile quella dei due ascolani, dove determinazione e idee assolutamente all'avanguardia (in Centro Italia) hanno dimostrato la validità dell'alpinismo nostrano compiendo un “poker” di grande prestigio. Va da sé che la storia dell'alpinismo invernale al Gran Sasso ha due filoni paralleli. Come scritto in precedenza, qualsiasi salita al Corno Piccolo o sul Pizzo Intermesoli non può tenere il confronto con Il Paretone del Corno Grande. Il rispetto assoluto per qualsiasi forma di alpinismo è ovvio e scontato, ma in una fase di confronto il divario è certamente sotto gli occhi di tutti.
Nei primi 15 giorni del gennaio 1989 ben otto prime invernali vengono compiute tra Corno Piccolo, Torrione Cambi e la Vetta Occidentale: al Corno Piccolo Gino Di Sabatino sale da solo la via della Gola, lo stesso Di Sabatino con Grazzini sale la “ via del Bombardamento” alla Parete Nord, G. Cicconi e A. Gulli salgono “la notte delle streghe” a ovest della Seconda Spalla, R. Vallesi e M. Marciano la “ via delle due generazioni” a nord sempre della stessa spalla; sulla Parete Sud del Torrione Cambi la “ via Asterix” è salita da Luca Bucciarelli 2° (l' omonimo Luca Bucciarelli è la Guida Alpina) e Sandra Bonifazi mentre sulla parete est della Vetta Occidentale ancora Cicconi e Gulli salgono la via “Morandi-Pivetta” e D. Amore e M. Cotogno salgono la via “Graziosi-Alessandri”.
Una parentesi diversa è la salita della “via Martina” sull'estrema sinistra del Paretone. Il 16 e il 17 gennaio T. Cantalamessa e M. Marcheggiani, al loro quinto tentativo, questa volta insieme a Franceschi, finalmente vengono a capo dei 1600 metri di sviluppo della via. Questa sale dalla base lungo ripidi e labirintici pendii di ghiaccio, affronta poi grandi placconate di solida roccia scura sfiorando l'ala sinistra della Farfalla “...con il sedere sempre sospeso in aria per via del grande vuoto creato dagli strapiombi della Farfalla che con le sue ali dorate tiene sospesi tra cielo e terra il primo e il secondo pilastro...” (M. Marcheggiani: Gita al Paretone, Bollettino CAI L'Aquila ottobre 1989). Un successivo lungo traverso di 6° superiore porta ad una serie di fessure dove gli alpinisti nel tardo pomeriggio devono bivaccare. Di nuovo la distrazione di Cantalamessa fa cadere nel baratro sottostante il suo sacco piuma. La temperatura è bassissima; Cantalamessa prova a resistere con le gambe nello zaino e una leggera giacca in piumino ma dopo un paio d'ore il freddo è insopportabile e deve infilarsi alla meno peggio nel sacco piuma di Marcheggiani. Restano scoperti nella parte superiore del corpo, ma lo stretto contatto risolve in parte la situazione. (Furono percepiti 15 gradi sottozero quella notte a Prati di Tivo). Fa giorno, e il sole che spunta dal mare Adriatico scalda quanto basta la cordata dei tre alpinisti che riprendono la infinita salita e nel primo pomeriggio escono finalmente in vetta. La via Martina è probabilmente la salita con il maggior sviluppo dell'intera montagna, sfiorando i 1600 metri.
La straordinaria stabilità meteorologica di quel periodo è un richiamo troppo forte per quanti amano confrontarsi con la montagna invernale: infatti nei rimanenti giorni di gennaio e il mese successivo altre nove prime invernali vengono messe a segno, in una quasi spasmodica ricerca di “ritrovarsi” nella storia delle prime invernali. Tra le più importanti salite ricordiamo la “via del Trapezio” la “ben Hur” e la “Di Federico-De Luca” sulla est del Corno Piccolo; la via “ Bachetti- Calibani” e la via “Che Guevara” a nord del Corno Piccolo. Come sempre però si distingue Cantalamessa, che con M. Marziale e P. Sabbatini sale l'altra sua lunga via a sinistra della Farfalla: la via “Cantalamessa-Tosti” è un articolato dedalo di canalini, camini e fessure non particolarmente difficili d'estate con un andamento a volte discontinuo, ma d'inverno come ben sappiamo è un’altra storia. Chiude l'anno '89 Fabio Lattavo che con la sua compagna Luana Villani sale la difficile “Aficionados” sulla Parete Ovest della Prima Spalla.
L'anno che segue gli alpinisti lasciano a riposo il Paretone poiché non si registra nessuna salita né alcun tentativo. Invece si ha quasi una bagarre sulle pareti minori: sul Corno Piccolo viene salita la Aquilotti 74 da parte di E. De Luca e P. Sabbatini, al Torrione Cambi “Les freak sont Chic” viene salita da B. Vitale, G. Palazzini e R. Amigoni. Sul Pizzo Intermesoli la difficilissima via “Forza 17” viene superata brillantemente da A. Massini e L. Grazzini mentre lo stesso giorno R. Vallesi e M. Sprecacenere salgono “Le nubi di Magellano” ambedue sul secondo Pilastro. La Aquilotti 85 al C. Piccolo viene salita ancora da Vallesi e Sprecacenere. I marchigiani Anselmi, Lampa e Rossetti prendono d'assalto il Monte Corvo salendo la bellezza di quattro itinerari nuovi su canali e goulottes e gli stessi Anselmi e Lampa addirittura sei vie nuove tra la Cima delle Malecoste e il Pizzo di Camarda. Tutti itinerari dalle stesse caratteristiche: pendii, canali o brevi goulottes, ma va dato atto che la loro ricerca spazia su quelle montagne spesso, e a torto, ignorate.
Si chiudono gli Anni ‘80 e con essi una delle stagioni più prolifiche di scalate invernali, tra cui alcune tra le più importanti in assoluto. Complici alcuni inverni avari di neve, gli “invernalisti” hanno giustamente approfittato della situazione e, per esempio nel periodo tra i primi di gennaio e fine marzo 1989, ben 17 vie di roccia sono state salite. Gran parte di queste realizzazioni sono di alpinisti romani, visto che sono senza dubbio più numerosi, poi marchigiani e abruzzesi a seguire hanno dato il loro importante contributo.
Al tramonto sono a due terzi della parete, bivaccano comodamente in una nicchia dove Marcheggiani aveva passato la notte di febbre. È alle 7 e 30 del giorno successivo che riprende la scalata, superando inizialmente quello che è il tratto più verticale dell'intera salita. Sono le tredici quando sbucano al sole, intersecando la rampa della “via ferrata Ricci” che mette fine alla scalata. Poco prima del buio approdano a Prati di Tivo felici dell'apertura della più bella e moderna salita su ghiaccio dell'intera montagna che chiamano “Ice very nice”. Soltanto anni dopo scopriranno che la loro via era già stata salita d'estate ma mai ripetuta. Oggi essa mantiene il nome invernale.
Il primo aprile al Picco dei Caprai i marchigiani Anselmi e Cotichelli aprono la loro ennesima via esplorativa su pareti secondarie ma senza dubbio importanti.
Come la storia fin qui riportata dimostra, in quegli anni era sempre lo stesso manipolo di scalatori che si cimentava con la più grande parete appenninica dove a tutti gli effetti si praticava e si pratica un alpinismo di prim'ordine. Evidentemente il “banco di prova” del Paretone per chi ci si cimenta fu il viatico per imprese più importanti. Non è quindi un caso che gli stessi pochi nomi siano gli autori di importanti realizzazioni extraeuropee soprattutto negli anni '80 e 90: G. Di Federico sale l'inviolato Shia Shis di 7000 metri e successivamente apre una via nuova in solitaria sull'Hidden Peak in Karacorum. I trentini E. Salvaterra, M. Giarolli e A. Sarchi a cui si aggrega P. Caruso salgono in prima invernale il Cerro Torre in Patagonia. Sempre in Patagonia M. Marcheggiani e T. Cantalamessa salgono il Fitz Roy lungo la via “Franco-Argentina” in 26 ore non stop dopo un precedente tentativo sul Pilastro Casarotto e l'anno successivo sempre insieme salgono nell’Himalaya del Garwal l'inviolato Baghirati Karak di 6702 metri in sei giorni di dura scalata. Sono ancora insieme in un tentativo sulla via di Casarotto alla parete nord dell’Huascaran nelle Ande peruviane mentre l’anno successivo tentano la “via Polacca” sulla parete Rupal del Nanga Parbat. Cantalamessa in seguito scalerà la Torre Nord del Paine nella Patagonia cilena e il Monte Kenia per lavoro come Guida Alpina mentre Marcheggiani si dedicherà a numerose spedizioni nell'Himalaya indiano dove negli anni a seguire salirà sette difficili vette inviolate. Bisogna notare che il testimone lasciato dai vari Consiglio, Alletto, Cravino, Jovane e altri della SUCAI anni 50/60, a Roma non viene praticamente raccolto. Ad eccezione di Luca Grazzini, Donatello Amore e forse un altro paio di nomi, nessuno della odierna generazione si distinguerà per un alpinismo di avventura e ricerca.
Torniamo alla nostra montagna.
La penuria di salite del ‘91 viene presto colmata da un 1992 ricco di scalate invernali. Inizia l'anno con una delle salite più importanti e temute: il solito Cantalamessa con Franceschi realizza quella che in seguito dichiarerà essere stata la sua scalata più importante e difficile affrontata fino ad allora. È il 17 gennaio quando Cantalamessa e Franceschi, dopo aver sceso il solito canale Jannetta, attaccano il “Diedro di Mefisto”. Questo, incassato nell'antro che divide il quarto dal terzo Pilastro, non prende mai un raggio di sole. La prima metà è la più difficile con fessure e placche verticali ma di roccia molto buona. Il precedente tentativo era naufragato per via di una frana estiva che aveva depositato terriccio e polvere sulla parete; ora tra piogge estive e nevicate la parete è tornata intonsa. La cordata deve affrontare due bivacchi data la grande difficoltà d'insieme. La scalata si fa più insicura quando la cordata affronta gli ultimi cento metri di rocce molto friabili e poco proteggibili ma la classe di Cantalamessa ne viene a capo e il 19 gennaio i due escono felici in vetta. Dal punto di vista tecnico, molto probabilmente questa è stata la più grande scalata invernale dell'intero massiccio montuoso.
Lo stesso giorno che Cantalamessa e Franceschi escono in vetta, sulla opposta parete ovest della Vetta Orientale Romolo Vallesi e Luca Grazzini salgono i 300 metri della “via dell'Incontro” mentre P. De Laurentis e S. Momigliano superano “Incontro con Camelia” sulla assolata parete ovest della Prima Spalla. Questa via di 180 metri su roccia magnifica supera tratti di settimo grado protetti a spit e data la sua verticalità fu trovata praticamente senza neve in parete, come del resto su quasi tutte le strutture così verticali. Il Picco dei Caprai viene salito di nuovo su un’altra via nuova dai soliti Anselmi, Cotichelli con L. Genovese. Sulla verticale parete est del Corno Piccolo R. Vallesi e M. Sprecacenere salgono la “via del cinquantenario” superando diversi strapiombi in arrampicata mista libera e artificiale. Il torrione Cambi vede in azione P. De Fabis e Luciano Mastracci di cui parleremo molto più avanti. La cordata supera sulla Parete Sud la via “Musica nova” che presenta alcuni passaggi di ottavo grado su placca, protetti da spit messi dal basso. Gli infaticabili Cotichelli e Anselmi continuano la loro ricerca di canali e canalini al monte Corvo e montagne minori. T. Cantalamessa scopre e sale altre due cascate alla base del M. Camicia: la cascata “Valentina” e successivamente l'imponente “Bye Bye Canada”. Anche se non si può parlare di alpinismo classico, tuttavia ci somiglia molto
Il 1993 ha dell'incredibile! Vengono compiute 31 salite invernali. Riportiamo le più interessanti, tralasciando la salita di cascate fuori del Gran Sasso e pareti o itinerari non particolarmente significativi per non tediare con un mero elenco i lettori. Luciano Mastracci inizia il suo percorso di grandi ripetizioni invernali salendo il 16 gennaio “Arrivederci ragazzi” sulla Ovest della Terza Spalla insieme a P. De Fabiis e M. Marziale.
Si rimette in gioco il 23 dello stesso mese, ancora con Marziale, salendo la difficile “Narciso e Placcadoro” alla Seconda Spalla; parliamo ancora di vie tecnicamente molto difficili ma che poco differiscono dalle condizioni estive. Mastracci e Marziale come vedremo si proietteranno in seguito anche su itinerari ben più impegnativi. P. De Fabiis sale “Demetrio Stratos” sulla Parete Est della Vetta Occidentale insieme a G. De Rossi, C. Arbore sale in prima solitaria invernale la “Iskra”. Ancora il mese di gennaio vede L. Grazzini e P. Camplani impegnati sulla bellissima e difficile “Thorin scudo di quercia” alla Parete Sud del T. Cambi. È evidente che ci troviamo in un lungo periodo di alta pressione e quindi scarse precipitazioni nevose, visto l'arrembaggio di molte cordate sulla grande montagna appenninica. L'alpinismo invernale non sarà mai una moda, ma il '93 come vediamo è davvero un anno ricco di scalate. C. Arbore e A. Campanella trovano una bella linea di misto sulla parte alta della Cresta Nord della Vetta Orientale. La via, chiamata “Nunca mas”, svicola astutamente tra risalti rocciosi, pendii, belle goulottes e raggiunge la testata della cresta. È il giorno 31 dell’“estivo” mese di gennaio. L'alta pressione in corso non lascia spazio a perturbazioni, le giornate serene e assolate si susseguono giorno dopo giorno e infatti anche il mese di febbraio vede numerose ascensioni. P. De Laurentis, A. De Crescenzo e P. Sabbatini salgono le difficili placche de “L'olandese volante”. Di nuovo Mastracci e Marziale in grande forma affrontano e superano la strapiombante “Cavalcare la tigre” sulla Est del Corno Piccolo. Nonostante le condizioni quasi estive, la innegabile grande difficoltà della via trasforma la scalata in una bella e valida performance del duo Mastracci-Marziale. Infaticabili come sono, sette giorni dopo salgono la più abbordabile, più corta ma sempre difficile “Farabundo Marti” sulla Parete Sud del Torrione Cambi. Pochissimi giorni dopo la prima invernale, “Cavalcare la tigre” viene salita di nuovo da Roberto Ciato con P. Rocca in seconda invernale (cosa piuttosto rara).
Il Corno Piccolo è ovviamente il soggetto principale di numerose prime invernali: tra le tante si distingue la salita di De Fabiis e G. De Rossi che salgono “Odetamò”, via che svicola astutamente sulla grande placca monolitica della prima spalla tra le vie “Mario-De Filippo” e “Aficionados”. Protetta a spit distanti, presenta difficoltà di VII° grado. Si ripete l'ovvio cliché di questo genere di salite: piccozza e ramponi per l'avvicinamento, pedule da arrampicata su roccia e spesso discese sulla stessa via in corda doppia. D’altra parte, qualsiasi forma di alpinismo ha avuto nei decenni le sue evoluzioni: lo stampo dei decenni passati è prerogativa delle grandi salite dove il misto, l'ubicazione della parete e il suo sviluppo fanno la differenza e sempre meno ci saranno cordate sui grandi itinerari. Come si vedrà negli anni a seguire, le scalate invernali si diraderanno sempre più, fino a pochissime unità negli anni 2000.
Torniamo all'inverno del '93: sul Pizzo Intermesoli viene salita “Sindarin” da parte di M. Sprecacenere e E. Parisi. Gli “infaticabili” tornano di nuovo in azione: Mastracci e Marziale salgono “Senza orario, senza bandiera” sulla Parete Est della vetta Occidentale, mentre ben due cordate si rivolgono dopo anni di silenzio al Paretone: una, guarda caso, è composta da Mastracci e Marziale che dopo aver sceso il canale Jannetta, salgono il difficile quarto Pilastro superando la via “Mario-Caruso”. Questa via è in ambiente freddo, in totale assenza di sole e con un ostico camino-diedro che L. Mario superò con uso di strani chiodi e ganci artigianali. La determinazione e l'intraprendenza dei due romani è un'anomalia rispetto alla media, le loro scelte si rivolgono alle vie tra le più difficili di quegli anni senza badare troppo alle comodità di accesso o di eventuali ritirate. Era questo il testimone da raccogliere per il logico prosieguo dell'alpinismo di Di Federico, Cantalamessa, Marcheggiani o Caruso sul Paretone.
Gli aquilani Roberto Mancini, V. Brancadoro e il romano P. Abbate salgono la via “Alletto-Consiglio” alla Cresta Sud della Vetta Orientale; l'avvicinamento molto lungo e l'isolamento sono molto simili alle altre salite del Paretone, unica nota positiva è l'esposizione al sole che la rende più “umana”. Questa via comunque era già stata salita parzialmente da F. Delisi con due compagni anni prima: non avevano però seguito l'itinerario nella sua interezza, cosa completata da Mancini e compagni. Sempre Mancini con Abbate e Brancadoro sale due brevi ma belle vie, in giorni diversi, sulla Parete Sud della Vetta Centrale. Chiudono l'inverno P. De Fabiis e G. De Rossi con la salita de “Il filo di Arianna” sulla Ovest della Prima Spalla.
Forse la “corsa” alle prime invernali sta stancando gli alpinisti del Centro Italia: La grande e comprensibile crescita dell'arrampicata sportiva con la sua indubbia sicurezza, facilità di gestione, lo scarsissimo impegno mentale se non la dovuta attenzione alle poche manovre di corda, la ricerca esasperata del grado e la indubbia bellezza di giornate prive di ansia, “ruba” alla montagna invernale una grande quantità di scalatori.
Sarà una combinazione, ma guarda caso il 1994 vede un'unica realizzazione di grande impegno, e purtroppo anche una grande tragedia. Romolo Vallesi, Luca Grazzini e Paolo Camplani impiegano un giorno intero per raggiungere la base della parete rocciosa dell'Anticima Nord della Vetta Orientale. È loro intenzione salire in prima invernale la via “Riforma agraria” di T. Cantalamessa. La loro preparazione tecnica è fuori discussione, sono senza dubbio tra i migliori alpinisti della capitale con salite di ogni ordine e grado. Bivaccano probabilmente in una comoda nicchia usata già da Delisi e Marcheggiani durante la prima salita della parete nell'83 a pochi metri dall'attacco della via. Alle prime luci sono pronti: attrezzata una sosta, Vallesi apre la cordata e sale diversi metri della via mettendo alcune protezioni (la via è difficilmente proteggibile, ma loro non ne erano a conoscenza). Vallesi è un ragazzo robusto, alto e nella sfortuna di un suo volo le protezioni saltano, una dopo l'altra, e nella caduta anche la sosta viene strappata via. La tragedia si compie. I tre precipitano per decine di metri nel vuoto sottostante. Una delle due corde fortunosamente si impiglia su rocce affioranti e la rovinosa caduta si arresta. Romolo e Paolo muoiono per i colpi presi, mentre Grazzini è vivo, ferito, ha diverse costole rotte e ha perduto gli occhiali di cui non può fare a meno. Non fosse stato quel grande scalatore che è, Luca non sarebbe stato in grado di tornare indietro. Riesce a risalire fino alla Cengia dei Fiori, la traversa e scende la sottostante parte bassa della Cresta Nord. (non abbiamo informazioni precise, ma si immagina che forse abbia attrezzato corde doppie data la difficoltà del terreno invernale). Ai Prati di Tivo non può fare altro che allertare i soccorsi. Il giorno dopo è Enrico De Luca che coordina il soccorso e opera il recupero tramite elicottero dei corpi di Romolo e Paolo. È la prima volta che si ha un evento così drammatico sul Paretone.
La cordata Mastracci-Marziale molti giorni dopo il tragico evento affronta e risolve la salita di una delle vie tecnicamente più impegnative di quegli anni. La via “Di Federico-De Luca” al Secondo Pilastro del Pizzo Intermesoli fu salita dai due abruzzesi nel 1982 dopo diversi tentativi per venirne a soluzione del tratto chiave, successivamente classificato per la prima volta in Appennino Centrale di ottavo grado. Di Federico, che fu il risolutore del problema, si allenò a secco, costruendo in un garage un fac-simile dello strapiombo poi risolto. La parete del Pizzo Intermesoli come forse già detto, è comodamente raggiungibile dai Prati di Tivo con una camminata di un'ora- un'ora e mezza e l'attacco delle vie molto semplice così come la discesa, ma la salita della via in sé è stato senza dubbio un bell'ingaggio che la classe assodata dei due romani ha risolto brillantemente. Le cronache dell'inverno '94 riportano soltanto altre due salite, con tutto il rispetto, non particolarmente degne di nota e che per evitare un già forse noioso “sterile elenco” trascuriamo di riportare.
Nel 1995 il cliché si ripete: praticamente nessuna prima (e nemmeno seconda o terza) invernale. Si ripetono invece Mastracci e Marziale su “Sentieri grigi” aperta dal forte Sebastiano Labozzetta soltanto l'anno prima. La via, di soli quattro tiri di corda, è su roccia molto verticale con difficoltà di 6C; di invernale c'è solo l'avvicinamento, ma rimane pur sempre la conferma della grande preparazione del duo romano. L'anno seguente si hanno solo due salite: La “Direttissima” al Secondo Pilastro da parte di S. Momigliano e A. Bucciarelli e il “Canalone del Duomo” , che presenta degli impegnativi risalti rocciosi di quinto grado, salito da Silvia Marone, Leone di Vincenzo e Alberto Bettoli. Ambedue le salite si trovano sulla Parete Est del Pizzo Intermesoli e le cronache, abbastanza precise, non riportano assolutamente nient'altro. Le scalate invernali forse stanno perdendo il loro fascino, la penuria di scalatori sulla più bella montagna dell'Appennino Centrale è palese e gli scalatori stanno quasi sparendo quando, quasi come un colpo di coda, il 1997 rivede una discreta frequentazione con circa dieci salite. Delle dieci però è una soltanto che salta agli occhi ed è l'attesa prima salita invernale di cui si vociferava da tempo. Bene, chi poteva tentarla e realizzarla se non Mastracci e Marziale? Nell'orbita Centro Italia non ci sono alpinisti che si stiano distinguendo nelle scalate di grande impegno se non i due su citati romani. Dopo una ricognizione e salita estiva di “Il nagual e la farfalla” insieme a G. De Rossi i tre si portano alla base della Farfalla dove una nicchia si presta perfettamente per un bivacco. All'alba del 16 marzo la piccola nicchia viene invasa dal primo sole, l'esposizione in pieno est scalda subito i tre alpinisti e la strapiombante parete, per questo priva di neve o ghiaccio. Dopo la classica frugale colazione che ci si può permettere in montagna, Mastracci e Marziale a comando alternato attaccano i primi tiri già molto difficili. (Questi erano stati in parte disattrezzati in discesa da Caruso, il perché lo sa solo lui, al termine della sua scalata nell'87. Sono stati Massini e Grazzini durante la loro prima ripetizione della via a provvedere al riposizionamento delle piastrine spit tolte). Con continuità e bravura superano tiro dopo tiro i 270 metri della parete usando tecniche artificiali e tratti in arrampicata libera costantemente difficili, ormai in gran parte attrezzati. Raggiungono il culmine della parete da dove, come ormai consuetudine, scendono in corda doppia su ancoraggi già presenti. Un secondo bivacco è d'obbligo alla base della parete, dalla quale il giorno seguente risalendo il canale Jannetta e la comoda discesa dalla Vetta Orientale i tre se ne tornano a casa con un “bottino” di prim'ordine. Le altre nove salite non presentano segni di ricerca o evoluzione tecnica al di là del revival alpinistico sulla montagna.
L'alpinismo invernale cade nell'oblio, passano anni dove non viene neanche più nominato il termine “invernale”. Salite classicissime con decine di ripetizioni avvengono in sordina, ma qualcosa che faccia “rumore” non sta neanche nell'aria. Le numerosissime falesie laziali, abruzzesi, umbre e marchigiane pullulano di svariate centinaia di arrampicatori, il Gran Sasso d'estate è quasi preso d'assalto sulle sue più belle e classiche vie dalla magnifica roccia calcarea, a volte si creano “file” sulle vie più gettonate del Corno Piccolo, molto meno sul Corno Grande e praticamente mai, ovviamente, sul Paretone. L'inverno diventa di nuovo il padrone assoluto della grande montagna appenninica insieme alla presenza di cordate sui classici e ripetuti itinerari tipo la Direttissima, il Moriggia-Acitelli e canali similari. L'eccezione che conferma la regola è Tiziano Cantalamessa che, come guida, lavora tantissimo. Non compie più exploit perché è subissato di lavoro: è l'unica Guida Alpina che negli anni 90 lavora senza tregua. D'estate e d'inverno, autunno e primavera è frequente incontrarlo al Gran Sasso con i suoi clienti. Questo anche nell'aprile del 1999, quando dà appuntamento a sette suoi clienti per l'ultima uscita del suo corso invernale, dove non “porta” i clienti ma forma cordate autonome a cui insegna come si scalano le montagne da protagonisti. Il gruppo dei sette più Tiziano e un suo aiutante raggiunge il “Forcellino” alla base del Paretone. Salire la via Jannetta è la degna conclusione per quel genere di corso. Dopo il comodo bivacco si formano tre cordate ed inizia la lunga scalata su neve e ghiaccio, condizioni meteo ottime e freddo quanto basta. La comitiva supera brillantemente buona parte della lunga via. All'altezza del Terzo Pilastro, quindi molto in alto, Tiziano esorta i ragazzi ad aumentare l'andatura, la temperatura si è repentinamente alzata e il pendio di neve si sta allentando. È in un solo minuto che si compie una seconda tragedia su questa grande parete: una slavina si stacca dall'alto, le urla di Tiziano incitano i ragazzi a ripararsi e piantare in profondità la propria piccozza ma purtroppo per una cordata di tre non c'è niente da fare: viene travolta in pieno e precipita nel baratro sottostante. Immediatamente Cantalamessa chiede l'intervento del soccorso alpino e, non potendo fare nulla per i ragazzi travolti, si occupa di portare più in alto possibile e fuori tiro da eventuali altre slavine il rimanente gruppo di ragazzi fortemente impauriti e sotto shock. I soccorritori giunti in elicottero da Pescara non possono fare altro che constatare la morte dei tre ragazzi e ne recuperano le salme alla base della grande parete. Un’indagine della magistratura, che viene svolta tramite perizia tecnica dell'accaduto, scagiona Cantalamessa da qualsiasi colpa, ma chi non si scagiona da responsabilità morali e non si perdona è lo stesso Cantalamessa che smette immediatamente la professione di guida. Tredici mesi dopo, lavorando al posizionamento delle reti di protezione su strade, il più forte alpinista di sempre nell'intero Appennino Centrale, oltre la magnifica persona che era, moriva sul lavoro. “Centinaia di cittadini, insieme all'intera comunità di scalatori marchigiani, abruzzesi, laziali, stretti l'uno all'altro, gremiscono l'antica chiesa di Ascoli Piceno per un estremo saluto al nostro Bonatti”. Op. cit. M. Marcheggiani “Tu non conosci Tiziano” ed. Versante Sud.
Nei seguenti nove anni non succede niente che possa essere citato, poi come un fulmine a ciel sereno ecco che compare Andrea di Donato, giovane Guida Alpina, disincantato, allegro e forte scalatore nato a Castelli, ai piedi del Monte Camicia. Il fulmine non è altro che la notizia che rimbalza da ogni parte: Andrea, preparatosi come meglio non poteva, il 28 gennaio del 2008 sale in cinque ore e mezza e in solitaria la Parete Nord del Monte Camicia lungo la classica via di Marsili e Panza del 1934. Sulla parete del Camicia, dove tutto è aleatorio vista la pessima roccia e l'esposizione sfavorevole, Andrea ridà vita ad un alpinismo senza tempo, dove le innovazioni tecniche non servono un gran che quando si affronta la montagna senza trucchi, alla pari e dove non assicurandosi si mette in gioco tutto.
L'alpinismo invernale di punta ora parla solo abruzzese, il resto tace e guarda. A Teramo un giovanissimo Lorenzo Angelozzi già da tempo si distingue su notevoli scalate, amico di Di Donato e di un altro forte scalatore, Andrea Di Pascasio, romano ma teramano di adozione. I tre formano una cordata molto affiatata e di comune accordo decidono di tentare la salita invernale della via “Fulmini e saette” che risulta in quegli anni essere la più difficile dell'intera Parete Est della Anticima Nord della Vetta Orientale: per intenderci il Paretone ed il suo complicato accesso. Testualmente scrive Di Donato “...ventiquattro anni dopo l'apertura mancava ancora un tentativo su questa via. Tutti questi anni indicano il valore della difficoltà e complessità della via, ma anche le visioni di quegli alpinisti che l'hanno saputa vedere ed aprire: insomma, Fulmini e saette è una di quelle vie che lasciano il segno nel tempo...”. Il 10 febbraio 2011 i tre alpinisti superano scalando su misto i 200 metri per raggiungere la Cengia dei Fiori che rappresenta il lungo, difficile e complicato passaggio obbligato per arrivare all'attacco di Fulmini e saette. Nel tardo pomeriggio raggiungono l'attacco della via, attrezzano il primo tiro e poi bivaccano scomodamente alla base, praticamente appesi all'imbrago. Ripartono al mattino con tempo ottimo ma incontrano alte difficoltà, visto il tempo impiegato dai forti scalatori per salire i restanti 500 metri di via. La cordata non riesce ad uscire, sono quindi obbligati ad un secondo, ma questa volta comodo, bivacco a due tiri di corda dall'uscita. Il terzo giorno con un paio di ore escono strafelici in vetta. È la terza via che viene superata sull'intera parete e i tre giovani scalatori, in un articolo molto sentito, dedicano la salita al grande Tiziano Cantalamessa che, giovani come sono, non avevano mai conosciuto di persona ma il cui ricordo è sempre presente.
È passato un anno quando la cordata Di Donato-Di Pascasio è di nuovo in azione sulla stessa grande parete. Vogliono salire la “Riforma Agraria” ma qualcosa va storto e i due alpinisti per ripiego scalano in seconda invernale “Le nebbie del Paretone” già salita nel 1989.
Andrea con il suo disincanto in seguito si proietta su cose fino allora inimmaginabili. L'evoluzione, non solo tecnica ma soprattutto mentale e culturale lo porta a concepire la scalata che ancora oggi è il top raggiunto nell'insieme delle caratteristiche tipiche del Grande Alpinismo al Gran Sasso. Insieme al francese naturalizzato italiano Bertrand Lemaire, fortissimo scalatore su ogni terreno, concepisce appunto “l'inimmaginabile”: la seconda salita invernale della Farfalla, ma dal basso e non scendendo in corda doppia dalla fine via ma uscendo invece in vetta. Inoltre, al di là della salita integrale, il loro intento è salire in libera i tratti aperti in artificiale.
Scende il silenzio sulle pareti più importanti del Gran Sasso, chissà il motivo di fondo quale può essere, sta di fatto che di “eclatante” non si è registrato più nulla. Una nota di alpinismo di grande respiro è stato il concatenamento delle tre spalle ad inizio inverno del 2015: M. Marcheggiani e Lorenzo Trento con un bivacco nel mezzo salgono dalla Val Maone ed in successione superano la Terza, la Seconda e la Prima Spalla; raggiungono poi la vetta del Corno Piccolo dalla quale scendono con una serie di corde doppie dalla Parete Est, completando così la traversata della montagna. Un alpinismo “antico” dove la ricerca è soltanto emozionale e non più concentrata sull’ aspetto tecnico. Su questa linea di pensiero l'anno successivo gli stessi aprono una via nuova e con un bivacco, sul primo sperone ad ovest del Corno Piccolo. Nel gennaio 2023 ancora Marcheggiani, (a 71 anni e da capocordata) insieme a Marco Marrocco, Alessio Pagano e Damiano Fagiolo sale dalla Val Maone la via Sivitilli con un bivacco, trovando in alto condizioni di misto a volte molto impegnativo. I quattro erano convinti di fare una prima, ma così non era. La via, aperta negli anni 30, era stata salita poi in inverno da C. A. Pinelli. Bertrand è un fortissimo arrampicatore e boulderista, ed ha tutte le carte in regola per riuscire. E’ il 14 marzo del 2012 quando la forte cordata lascia il paese di Casale San Nicola, ai piedi del Paretone. Salgono il facile canale Jannetta e raggiunti gli strapiombi della Farfalla bivaccano nella comoda nicchia che ha ospitato le precedenti cordate. La meteo è perfetta, la via “Il Nagual e la Farfalla” è assolutamente asciutta, senza una piccola macchia di neve che tra strapiombi e sole diretto non trova modo di depositarsi. Bertrand riesce nel suo intento, scala in libera tutti i tiri più difficili e artificiali, denotando una potenza e una classe nettamente superiore alla media. La combinazione Lamaire-Di Donato fa faville superando brillantemente i 270 metri della via a cui Bertrand, come sua abitudine non darà il grado ma che possiamo immaginare molto ma molto alto. Una volta usciti dalla via del Nagual, continuano su terreno molto più facile ma con diversi tratti di misto e raggiungono, oltre il Primo Pilastro, la via della Cresta Sud di Alletto e Consiglio. Un secondo bivacco è d'obbligo, hanno sotto il sedere già oltre mille metri di parete molto impegnativa. Il 16 marzo in tarda mattinata i due fuoriclasse raggiungono la Vetta Orientale mettendo fine alla loro straordinaria performance. L'Abruzzo teramano sta sfornando alpinisti di prim'ordine, le performance di Di Donato, di Angelozzi e di Di Pascasio sono sulla bocca di tutti perché al di là delle invernali, ripetono o aprono itinerari di altissima difficoltà. Lorenzo Angelozzi, praticamente quasi un ragazzino, nell'agosto del 2012 ripete in solitaria la via “Orient Express”. Questa è la salita più diretta alla Anticima Est della Vetta Orientale, una via aperta nel 1983 dalla cordata Marcheggiani-Delisi e pochissimo ripetuta per via non solo della difficoltà generale e del difficile accesso, ma anche per l'ultimo tiro di 40 metri pressoché improteggibile e in grandissima esposizione, oggi dato di 6A. Con i suoi fidati amici e compagni di cordata teramani “Lorenzino” Angelozzi ne tenta in seguito la prima invernale, con l'intenzione di salire non-stop, quindi in giornata e senza bivacco. È il 30 dicembre dello stesso anno della “Farfalla” di Di Donato e Lemaire. I tre teramani come treni salgono slegati di notte i tratti più abbordabili dell'avvicinamento, poi si legano quando la via si verticalizza. E' la seconda metà del mattino quando, superato il nevaio pensile, si trovano sui tiri più impegnativi...”E' entusiasmante salire su questa via... dopo un tiro stupendo di ghiaccio e dopo aver visto il sole nascere dal mare, alle 11 di mattina arriviamo sotto il temuto tetto, veramente bastardo anche d'estate e che introduce alla parte finale della via... parte Lorenzino, mette un friend, poi un altro, poi un chiodaccio e un secondo piccolo friend sul quale si fa bloccare in resting per mettere un’altra protezione e... via, giù nell'abisso! In un istante, Lorenzo è caduto e le protezioni non erano protezioni e il volo è stato lungo e assurdo. Giù verso il fondo. L'importanza di saper fare bene le cose si palesa nella sosta che trattiene il volo di 30 metri e noi due in sosta! E la vita continua... scendiamo da Lorenzo, sta apparentemente bene... non chiamiamo il soccorso, proviamo ad uscire lungo la più facile via classica. Lorenzo se la sente anche se pieno di dolori, è un vero duro e dopo tiri ancora duri e pericolosi ci siamo, ecco la vetta!” Il racconto di Andrea Di Pascasio è sobrio e sincero, dice poi: “...siamo una famiglia, ci siamo confortati a vicenda e abbiamo scalato in piena fiducia: Vero calore umano!” Senza dubbio una grande avventura che sposta ancora più in alto l'asticella delle difficoltà ma non è certo questo che fa il grande alpinismo. Il rapporto assolutamente fraterno e di fiducia, di complicità e condivisione è la quinta essenza dell'andare in montagna, a prescindere da ciò che si conclude. Mi piace riportare come termina il racconto di Di Pascasio:”... la sera in ospedale è tutto divertente, il kebab è buono, la gente mi piace... Siamo vivi, e la vita è bella! Ed io, se solo sapessi amare, direi che vi amo.” Op. citata.
Passano meno di due mesi e a fine inverno, inaspettatamente, il Paretone torna il vero protagonista dell’alpinismo invernale. I teramani A. Di Pascasio, D. De Patre ed il romano E. Pontecorvo grazie alla loro classe e determinazione ripetono in giornata (terza ripetizione) i 500 metri di “Ice very nice” trovando condizioni di misto eccezionali. Raggiunta la Cengia dei Fiori dove la via termina, optano per il ritorno scendendo dalla Cresta Nord con alcune corde doppie. A valle sentono il “dovere” di scrivere un messaggio agli apritori della via ringraziandoli per la “perla” trovata 32 anni prima. Il loro entusiasmo è lo spaccato di un modo di vivere l’alpinismo con il dovuto disincanto, senza la ricerca esasperata della “prima” e dove l’ego conta molto, ma molto meno del puro piacere di vivere un’avventura fine a sé stessa.
Il Gran Sasso, muto spettatore di qualsiasi evento trascorso oppure in divenire, non fa altro che continuare ad essere sé stesso, benevolo nell’accogliere tra le sue meravigliose pareti chiunque voglia trascorrere sui suoi fianchi giornate memorabili che l’alpinismo sa regalare. A volte, purtroppo, pagando pedaggi molto cari, ma la vita è così: la vita non è bella in assoluto, è bello viverla!
Massimo Marcheggiani
Frascati 11 gennaio 2024