Alla testata della Val Grande di Lanzo un’imponente muraglia rocciosa si eleva dai ghiacciai del Mulinet e offre un ambiente dove ancora oggi è possibile praticare un alpinismo di vera avventura in assoluta solitudine.
Luca Enrico (CAAI) ne ricostruisce la storia e indica gli itinerari da riscoprire.
La testata della Val Grande, la più settentrionale delle tre valli di Lanzo, è grosso modo caratterizzata, tralasciando il lungo vallone di Sea, da tre grandi bacini glaciali: quello del Mulinet, diviso in ghiacciaio nord e sud, quello del Martellot e quello della Levanna Orientale.
Il bacino della Gura è quello che comprende i due ghiacciai del Mulinet, divisi dal lungo costone che si origina dalla Uja della Gura; tale anfiteatro parte, a sinistra, dal colle di S.Stefano e termina, a destra, sul crestone della Dent d’Ecot.
Tale zona è orograficamente assai particolare: se infatti dal versante francese il ghiacciaio arriva a lambire le vette, da quello italiano si presenta come una ripida muraglia di circa 500 metri, che affonda le sue radici nei due sopracitati ghiacciai del Mulinet, oggi giorno in forte ritiro.
E’ quindi facile intuire che se il versante transalpino è terreno ideale per lo sci alpinista, quello piemontese lo è per l’alpinista.
E per quest’anfiteatro si deve e si può parlare di alpinismo vero; l’isolamento, dovuto anche al fatto che non vi sono “normali” e, tanto meno, itinerari escursionistici, la scarsissima, se non quasi nulla, frequentazione delle vie, le ritirate difficili e le discese lunghe e complesse conferiscono a questo gruppo un fascino particolare, molte volte difficilmente riscontrabile in altri luoghi ben più blasonati ma, forse, più addomesticati.
La roccia, di tipo granitoide, non è purtroppo della migliore qualità anche se non è raro trovare lunghi tratti di roccia saldissima, soprattutto nella parte alta degli itinerari; il pilastro Castagneri sulla cresta di Mezzenile, a parte l’uscita del primo tiro e le due lunghezze che superano la fascia strapiombante, presenta una roccia buona, ottima sul monolite finale. Questa salita rappresenta forse l’itinerario più elegante e difficile del gruppo.
Oggigiorno l’isolamento di questa porzione di Alpi Graie è acuita dalla mancanza di un bivacco dopo che il Rivero è stato portato via per la terza volta dalla valanga o addirittura dal vento che, in caso di “gonfia”, soffia qui violentissimo. Le partenze si effettuano direttamente dal Daviso, posto più in basso, in posizione un po’ decentrata. Da segnalare la presenza in zona dello storico rifugio Ferreri, che una decina di anni fa è stato oggetto di una ristrutturazione. Questo rifugio, uno dei primi ad essere costruito sulle Alpi, venne eretto nel lontano 1887 e in seguito dedicato a Eugenio Ferreri, precursore nella compilazione delle prime “Guide dei monti d’Italia”.
Storicamente questi luoghi sono assai importanti e il motivo è certamente da ricercarsi nella vicinanza con Torino, cosa che, quando l’automobile era un’utopia per i più, non era certo di importanza trascurabile.
Su queste pareti son quindi passate generazioni di alpinisti, per lo più torinesi: Mellano e poi Motti, Manera per finire con Grassi, solo per ricordarne alcuni. Con la morte di Grassi, grande conoscitore ed estimatore di queste zone, le pareti caddero nell’oblio, schiacciate dalla concorrenza di luoghi famosi e più alla moda.
Bisogna però pensare alle parole scritte, più di un secolo fa, da Corrà, a proposito della sua ascensione all’Uja della Gura: “E se la Valgrande non possiede nel suo distretto punte di grandissima elevazione, ha pur tuttavia per compenso in questo da sola – non per l’altezza, ma per le sue affascinanti difficoltà e pel modo vario ed attraente con cui si presenta – di che largamente supplire alla deficienza di tutte le altre assieme, offrendo la sua salita tutti i caratteri inerenti alle ascensioni di primordine”.
Solo nel 2014 finalmente una nuova via viene tracciata su Punta Corrà, seguita da un'altra nel 2015 sul Campanile di Mezzenile. Opere entrambe di un trio di estimatori ed appassionati di questi luoghi: Luca Brunati e i fratelli Luca e Matteo Enrico.
La storia alpinistica delle grandi montagne delle valli di Lanzo è cosa nota, molte riviste e pubblicazioni specializzate parlano della Ciamarella, della Bessanese o dell’Uja di Mondrone e i personaggi che furono artefici di quelle imprese sono ben conosciuti: la guida Castagneri, Martelli e Vaccarone e l’ingegnere catastale Tonini che, per motivi “lavorativi” scalò per primo le vette più importanti.
Grazie a queste imprese, non ultima la salita invernale della Mondrone (24 dicembre 1874), prima ascensione italiana di questo genere, contribuirono a rendere famose le Valli di Lanzo e, in particolar modo, la Val d’Ala.
Del bacino della Gura invece mai nessuno parla, forse il motivo è da ricercarsi nel fatto che qui non vi sono salite di alpinismo classico medio facile, fruibile da una vasta fetta di alpinisti; se infatti il versante francese è più scialpinistico che alpinistico quello piemontese è riservato al solo arrampicatore.
Una delle prime e documentate esperienze alpinistiche sulla cerchia di monti che chiude la Val Grande risale al 1870. Non riguarda però propriamente il bacino della Gura ma il colle Girard, posto più a destra, tra il bacino del Martellot e la Levanna orientale.
Nell’agosto di quell’anno una comitiva composta, tra gli altri, dal dottor Vallino e dalla sorella, e guidata da un contadino di Groscavallo, certo Girardi Pietro, compì l’allora difficile ascesa al colle Girard con successiva traversata al colle di Sea. Per l’epoca si trattò certo di una salita impegnativa, soprattutto per la sorella del Vallino che “impacciata dalle sue sottane, che offrivano larga presa al soffiar della bufera, fu quella che ne sofferse maggiormente”.
Nel 1878 Lionello Nigra con alcuni parenti della celebre guida Castagneri salì il colle del Martellot, posto sopra l’omonimo ghiacciaio (della compagnia faceva parte anche Leopoldo Barale che, febbricitante, rinunciò alla salita). Anche in questo caso non venne messo piede nel bacino della Gura vero e proprio ma è da notare, nel resoconto del Nigra, il carattere esplorativo dell’ascensione: “Nessun alpinista ch’io mi sappia aveva fin allora percorso questo bellissimo cantuccio delle belle Graie, e noi vi andavamo alla ricerca dell’ignoto ed a lume di naso.”.
Per quanto riguarda invece il più facile versante francese vediamo muoversi, negli ultimi decenni del IXX secolo, Coolidge, per lo più accompagnato dalle guide Ulrich e Christian Almer; questi conquisteranno, almeno “ufficialmente”, alcune delle vette della “Gura” probabilmente già in parte raggiunte da cacciatori di camosci. Non bisogna però dimenticare gli alpinisti italiani e, in particolar modo, Giuseppe Corrà che molto diede all’esplorazione di questi luoghi.
Sarà proprio Corrà, insieme a Luigi Vaccarone e alla guida Michele Ricchiardi, a compiere forse la prima ascensione dal versante Est della Gura.
Il 24 agosto del 1885 i tre salirono a un colle ancora innominato, lo chiamarono di “S.Stefano” avendo corso, durante la salita, un grande rischio di lapidazione.
In realtà questa fu un’ascensione di ripiego, i tre erano infatti partiti alla volta del crestone est dell’Uja della Gura, all’epoca ancora conosciuta con il toponimo di Uja di Molinet. Il 23 agosto, alle ore 23, Vaccarone partì da Chialamberto e grazie a una “vettura” arrivò a Forno circa a mezzanotte, non dopo aver raccolto, a Pialpetta, Corrà e Ricchiardi; normalmente oggigiorno questo tragitto richiede, sì e no, un quarto d’ora di auto! il terzetto si mise subito in marcia e in circa cinque ore di cammino, sferzato da un forte vento, giunse in prossimità della morena. Studiato il percorso decisero di tentare l’attacco dal ghiacciaio nord, nonostante l’accesso allo sperone fosse più facile dal soprastante ghiacciaio sud. Per giungere a questo si sarebbe però dovuta risalire la seraccata, a quell’epoca molto imponente. A tal proposito il Vaccarone scrive: “Deliberammo di salire sulla sponda sinistra del ghiacciaio nord […] si sarebbe potuto girare la posizione, salendo per le seracche, e guadagnare il ghiacciaio sud […] ma c’era di mezzo la questione del tempo grande che ci avrebbe rubato la gradinata”
Nonostante la grande quantità di neve (oggi a fine agosto c’è solo un po’ di ghiaccio sporco) i tre attaccarono finalmente lo sperone: “Arrivati alle 9 sullo sperone […] ci fermammo a pigliare un po’ di riposo […] La costiera si innalzava davanti a noi molto ripida […] Nel caso poi fossimo stati impediti di procedere sulla cresta, non ci sarebbe venuta meno la ritirata, calandoci sul ghiacciaio sud del Molinet. Ed è ciò che accadde.”
Rinunciato all’obiettivo primario, con grande perseveranza, la comitiva si portò verso la zona più debole della muraglia e cominciò la faticosa ed “estrema” salita “alle 1.40 pom. un potente jodel salutava la nostra vittoria. Avevamo raggiunto sulla cresta di confine quella depressione […] alla quale abbiamo dato il nome di Passo di Santo Stefano”. Non paghi però, traversando sul ghiacciaio “savoiardo”, raggiunsero alle 14.30 l’Uja di Molinet.
In quest’occasione venne solamente forzata, nel punto più debole, la muraglia: le pareti e gli speroni aspettavano ancora di essere conquistati.
Quattro anni più tardi, il 14 settembre del 1889, ancora Corrà, questa volta solo con la guida Ricchiardi, ritentò l’ascensione. I due, partiti alle 3.30 dal Rifugio della Gura (l’attuale Ferreri, edificato, nel 1887 e quindi non ancora presente all’epoca del primo tentativo), seguirono inizialmente l’itinerario dell’85 “ma da questo punto conveniva studiare un nuovo piano d’attacco”. Ricchiardi riuscì a trovare il passaggio, Corrà mette in evidenza la dura lotta sostenuta, su delle rocce di qualità non proprio eccelsa: “ogni metro che si sale è una parziale vittoria che si riporta contro il monte riluttante e fiero. I massi sono molto instabili e disgregati ed i passi difficili si succedono con crescente frequenza”. Dopo tre ore di intensa scalata i due raggiunsero la vetta. E’ facile immaginare che, per gli standard moderni, questa scalata non sia arrampicatoriamente appetibile, lo è sicuramente da un punto di vista storico.
Per rivedere una ascensione bisogna aspettare il 30 agosto 1895 quando M. Bouvier con la guida savoiarda Blanc le Graffier realizza la traversata della cresta di Mezzenile, poi più nulla fino al 1909.
Il 30 giugno di quell’anno Brofferio, Gamna, Negri e Sigismondi salirono al colletto posto a sinistra del S.Stefano e comunemente considerato come continuazione di questo. Il colle verrà chiamato Ricchiardi, in onore della grande guida di Pialpetta.
Successivamente, tra gli anni ’20 e il 1981, verranno realizzate tutte le altre ascensioni, poi l’attività si fermerà e queste pareti non conosceranno la nuova era delle aperture a spit, se non fino al nuovo millennio.
Negli anni ’30 furono molto attivi gli alpinisti Michele Rivero, Firmino Palozzi e Mario Gatto che realizzarono alcune prime, dal Campanile di Mezzenile alla P.ta Groscavallo.
Proprio la via del ’35 sulla Groscavallo, portata a termine dalla cordata Gatto-Palozzi, è una delle più belle ascensioni di media difficoltà della zona. A metà percorso il passaggio più difficile, costituito da una larga fessura alta 6 metri, così cita la relazione originale: “larga quel tanto che basta al corpo, incuneatosi dentro, d’innalzarsi con faticosi movimenti da rettile”. Durante la ripetizione di quest’itinerario Gian Carlo Grassi intuì, tra i giochi di ombre e luci, un possibile nuovo itinerario sulla Cresta Mezzenile; così dieci giorni dopo aprì, insieme a Gianni Comino, un nuovo interessante itinerario. Anche se la relazione di Grassi non riporta una data la salita è da porsi probabilmente intorno alla metà-fine degli anni ’70, e sicuramente prima del 1980, anno in cui morì Comino. Pertanto questa via, la Manera-Pessiva (09/09/79), sempre sulla Mezzenile, e la Grassi-Ala sulla Corrà (09/08/1981) sono da ritenersi le ultime “aperture” realizzate in zona per quanto riguarda l’epoca di maggior frequentazione. Bisognerà aspettare ben 33 anni per vedere una nuova linea, la già citata via alla Corrà, aperta dal trio Brunati-fr.lli Enrico. Su questa via, chiamata “via del tetto a sette”, vengono piazzati i primi spit-fix del gruppo, seppur solo alle soste di calata. Sulla successiva via del 2015, la “diretta di lou couars” sulla Mezzenile, comparirà invece anche il primo spit-fix di passaggio.
Da ricordare infine che alla fine degli anni ’50 grande protagonista fu Andrea Mellano, in particolare sua è la bella via sulla P.ta Corrà; sulla stessa parete, otto anni dopo, Ugo Manera tracciò una sua via, più a destra di quella di Mellano.
Il pilastro Castagneri venne invece salito nel 1968 e fu considerato da Gian Piero Motti “le dernier grand probleme della zona” . Nel bell’articolo “Anatomia di una prima” così descrive il pilastro: “il pilastro è lassù: bello, elegante e logico nelle sue forme, svelto e leggero nel suo stacco verso il cielo.” E conclude così: “Qualche giorno dopo […] me ne sto sulla piazzetta di Forno a guardare con il naso in su […] guardando lassù mi sento il più ricco degli uomini”.
Ulteriori notizie sul bel sito VALLIDILANZOINVERTICALE
Vie di salita e discesa
1) Colle Ricchiardi 3226 m:
Brofferio-Gamna-Negri-Sigismondi 28/06/1909
Prima discesa in sci: S.Debenedetti aprile 1980
2) Colle di S. Stefano 3228 m:
G.Corrà-L.Vaccarone-M.Ricchiardi 24/08/1885
Prima discesa in sci: S.Debenedetti aprile 1980
3) Torre di Bramafam 3293 m:
via Mellano-Brignolo 270m VI-
via Migliasso-Alpo 270 m III/IV
4) P.ta Corrà 3337 m:
via Mellano-Tron 13/09/1959 300 m TD+ difficoltà max originale A1/A2, in libera circa 6a+ / 6b
via Manera-Giglio 21/10/1967 300 m TD+
via Del tetto a sette-Brunati/fr.lli Enrico 17/08/2014 250m difficoltà 6b
5) Uja della Gura 3364 m:
via cresta est – G.Corrà-M.Ricchiardi 14/09/1889 350 m III
6) Colle della Gura 3340 m:
canale est – M.Debenedetti-S.Gambini-C.Virando 26/06/1927 400 m max 50° uscita ramo di sx (colle sud). Dall’uscita è possibile salire abbastanza facilmente all’Uja della Gura.
Nell’aprile 1980 Stefano Debenedetti compì la prima discesa in sci sia del ramo sud che di quello nord.
7) Punta di Mezzenile 3429 m:
gli unici itinerari partono dal colletto di Mezzenile, raggiungibile dal versante francese. Non vi sono itinerari sul versante est.
8) Uja di Mezzenile (o Campanile di Mezzenile) 3420 m:
via Cresta est – Rivero-Fava-Gatto 30/06/1935 500 m fino al monolite finale. Roccia marcia nella parte inferiore
Salita integrale (con il monolite finale, esclusi gli ultimi 15 m): L.Fornelli-Miglio 1956 IV – V
Via diretta di lou couars-Brunati/fr.lli Enrico 12/07/2015 350m TD+ diff. 6a+/6b
9) Cresta di Mezzenile (tra le P.te Mezzenile e Groscavallo)
– sviluppo in lunghezza circa 800 m:
traversata: M.Bouvier-Blanc le Graffier 30/08/1895 AD
traversata integrale N-S dal col Girard: Brunati/fr.lli Enrico/Margiotta 09/07/16 D+
via Mellano-Brignolo-Risso-Tron 31/08/1958 500 m TD
via Grassi-Sant’Unione 20/08/1969 500 m D+
via Pilastro est di p.ta Castagneti: Comba-Motti-Manera-Pivano
06/10/1968 500 m TD+
via Manera-Pessiva 09/09/1979 500 m TD (possibile salire la prima parte del
Castagneri, fin dopo i tetti, e all’altezza del canale camino proseguire per questa
via, ne risulta una difficile combinazione)
via Castelli-Palozzi-Rivero-Ronco fine anni ’30 500 m
via Grassi-Comino 400 m D+
10) Punta di Groscavallo 3423 m:
cresta sud-est Gatto-Palozzi 21/07/1935 D
11) Dent d’Ecot 3402 m:
cresta est-sud-est Andreis-Mila 06/08/1948
percorso integrale parte inferiore: G. Migliasso-L.Alpo fino al torrione prima della “Guglietta” – ancora G.Migliasso con la sig.na G.Ermini per il percorso integrale fino in vetta 24-25/08/1963 - 1100 m di dislivello