MOUNT KENYA - DIAMOND COULOIR
Un grandioso itinerario che ci racconta l’evoluzione dell’alpinismo e le trasformazioni dell’ambiente
Testo e foto di Alberto Rampini e Silvia Mazzani (GISM)
Il Monte Kenya è uno stratovulcano spento che sorge all'interno del Parco Nazionale del Monte Kenya ed è divenuto Patrimonio dell'Umanità Unesco dal 1997. Il parco si trova a circa 150 km a nord-nord-est di Nairobi, la capitale del Kenya.
E’ la seconda cima dell’Africa per altezza ma è sicuramente la prima per interesse alpinistico. In realtà non si tratta di un'unica cima ma di un complesso gruppo montuoso formato da diverse cime, la più alta delle quali è la Punta Batian (5.199 m), circondata da altre tre cime principali, la Punta Nelion (5.188 m), la Punta John (4.883 m) e la Punta Lenana (4.985 m).
A proposito della Punta Lenana ci tengo a ricordare un episodio che ha avuto una amplissima rilevanza mediatica a livello mondiale e che interessa l’alpinista italiano Felice Benuzzi, scomparso nel 1988.
Prigioniero degli Inglesi in Kenya nel 1943 fugge dal campo di detenzione assieme a due compagni al solo scopo di salire il Monte Kenya. In quindici giorni di “latitanza” tentano la salita alla Punta Batian, ma la mancanza di informazioni e di attrezzatura adeguata li costringe a desistere. Riescono però a salire la Punta Lenana, tecnicamente facile, ma comunque a livello personale un’impresa straordinaria per le modalità in cui viene effettuata. Compiuta l’ascensione tornano al campo di prigionia, come avevano promesso!
Leggi qui questa incredibile avventura
Ma torniamo alla cima più alta (la Punta Batian 5.199 m) sulla quale si concentra il maggiore interesse degli scalatori. La via normale si svolge sulla parete Nord ed è una salita su ottima roccia con difficoltà sul quarto grado. Anche altri itinerari sono stati aperti sulla montagna, ma vengono raramente ripetuti. La cosa più notevole, tuttavia, è la presenza al centro della parete Sud di un couloir di ghiaccio lungo oltre 600 metri, divenuto negli anni settanta del secolo scorso una delle mete più ambite per i ghiacciatori di tutto il mondo. Ed è straordinario il fatto che questo nastro di ghiaccio si trovi su una parete posta a meno di 20 km dall’Equatore.
La prima salita del Diamond Couloir venne realizzata da Pete Snyder e Thumbi Mathenge nel 1973, evitando la parte alta più ripida per mezzo di una rampa sulla sinistra; questa imponente sezione superiore, denominata “Headwall”, fu salita per la prima volta nel 1975 da Yvon Chouinard e Michael Covington, che resero famoso il Diamond Couloir come una delle più grandi vie di ghiaccio del mondo per il tempo. AAJ_1976.pdf
Una immensa cascata di ghiaccio proprio al centro dell’Africa. Una cosa da non credere!
Tutto questo era reso possibile dal clima particolare di questa regione, caratterizzato da due stagioni belle e secche (da dicembre a marzo e da luglio a ottobre) inframmezzate da alcuni mesi piovosi e quindi abbastanza nevosi in quota. L’alternarsi di queste diverse fasi permetteva il formarsi di abbondanti cascate di ghiaccio lungo tutto il couloir, sfruttabili al meglio in alcuni periodi delle due stagioni di bel tempo.
Il Monte Kenya ha un tipico clima montano equatoriale e anche nella bella stagione si possono verificare dei cambiamenti improvvisi: al mattino il tempo è in genere buono, mentre nel pomeriggio e in serata si alzano le nebbie e spesso si verificano piovaschi e anche nevicate.
Purtroppo negli ultimi anni un'importante variazione strettamente legata al riscaldamento globale ha cambiato i giochi: il clima attuale sul Monte Kenya è ancora piuttosto umido, ma notevolmente meno che nel secolo scorso e questo ha determinato un calo drastico della copertura glaciale rendendo inscalabile il Diamond Couloir.
La mia esperienza nel gennaio 1989, quando il Diamond Couloir era ancora una lunga striscia bianca
Nei primissimi giorni di gennaio 1989, quando subito dopo le vacanze di Natale volai in Kenya con i miei amici Angelo Pozzi, Massimo Boni, Daniele Pioli e Silvia Mazzani per salire il Diamond Couloir, avevo ben poche notizie: sapevo della mitica prima scalata della Headwall (Yvon Chouinard e Michael Covington nel 1975) e della prima ripetizione italiana ad opera degli Accademici Fausto De Stefani e Italo Bazzani nel 1979. Sapevo anche che il mese di gennaio era un periodo con buone condizioni “meteo”, anche se probabilmente non era il migliore per l'arrampicata su ghiaccio sulla parete sud del Monte Kenya, ma era il periodo che avevamo tutti a disposizione per cui decidemmo di tentare comunque questa magnifica linea. L’idea di piolet traction all’equatore era veramente stimolante.
Anche se un po' ridotta rispetto alle sue condizioni negli anni '70, trovammo ancora questa via come una striscia di ghiaccio bianco, che solcava meravigliosamente la parete sud-ovest del Monte Kenya. Fu per tutti un'esperienza soddisfacente, sia per la bellissima arrampicata su ghiaccio che per il bel tempo e l'ambiente superbo. Le condizioni eccellenti della montagna ci permisero di fare la salita agevolmente in giornata, nonostante le difficoltà incontrate per riuscire a prendere la colata di ghiaccio al suo inizio, sopra la crepaccia terminale.
Un duro tiro in dry-tooling (anche se allora non si chiamava così) ci fece capire che la situazione era ben cambiata nei 14 anni passati dalla data della prima salita, avvenuta lungo uno scivolo ghiacciato fin dal suo inizio.
Arrampicata su ghiaccio, alpinismo e riscaldamento globale.
Il riscaldamento globale sta sciogliendo tutte le superfici ghiacciate della terra, dalla calotta artica ai ghiacciai alpini ai più grandi ghiacciai himalayani a quelli andini e a quelli equatoriali, ovviamente! Purtroppo il riscaldamento globale, al di là delle gravi problematiche che provoca a livello planetario, sta minacciando non solo l'arrampicata su ghiaccio, ma tutte le attività alpinistiche di media e alta montagna. Anche le costruzioni rocciose possono essere danneggiate; infatti negli ultimi decenni, e sempre più frequentemente negli ultimi anni, nelle Alpi si stanno verificando innumerevoli frane, principalmente nelle Alpi Occidentali, ma talvolta anche nelle Dolomiti e nelle Alpi Orientali, causate dal degrado delle zone interne di permafrost, che dovrebbero rimanere permanentemente ghiacciate. Queste invisibili zone di permafrost vengono danneggiate dal susseguirsi di scioglimenti e gelate, dando origine ad una generale instabilità dell'intero edificio roccioso.
Negli ultimi anni, lentamente ma inesorabilmente, anche la bellissima linea di ghiaccio del Diamond Couloir ha iniziato a diventare una delle innumerevoli vittime del riscaldamento globale, fino a quando all'inizio degli anni 2000 è stata ritenuta inscalabile, per l'assenza di ghiaccio nella parte inferiore della via.
Eppure nell'agosto 2005 quattro alpinisti statunitensi riuscirono ancora a salire l'intero Diamond Couloir e dando la notizia sul web affermarono che il Diamond brillava ancora: prima Kitty Calhoun e Jay Smith e il giorno dopo Jim Donini e Brac McMillon. Riferirono che la via si era trasformata in una moderna via di ghiaccio molto difficile con la parte iniziale da percorrere in dry tooling. Notevole anche il pericolo di scariche dall’alto.
Lo stesso anno, in ottobre, anche la guida svizzera Fred Salamin salì il canalone e trovò buone condizioni di ghiaccio su tutta la via. Una possibile spiegazione è che la stagione delle piogge autunnali, fino a quel momento evitata dagli scalatori a causa del maltempo, sia diventata forse la stagione migliore per scalare il Diamond Couloir, avendo fortuna con il meteo. Un'altra possibile spiegazione è che l'anno 2005 sia stato un anno eccezionale per quanto riguarda le condizioni del ghiaccio.
Una successiva salita del Diamond Couloir venne effettuata nel 2006, il 17 gennaio, da Julian Mathias (USA).
Da allora, per 12 anni, non si è avuta notizia di ulteriori ripetizioni. In effetti il Diamond Glacier, situato all'uscita del Diamond Couloir e che lo alimenta, purtroppo ormai non è altro che una macchia di neve: confrontando l'attuale copertura di ghiaccio con quella degli anni '80 la differenza è davvero drammatica.
Qualcuno pensa quindi che il Diamond Couloir sia sulla via di un tramonto definitivo.
Come un imprevedibile colpo di scena, tuttavia, nell’ottobre 2018 il keniota Julian Wright e il sudafricano Trystan Firman in due giorni di dura lotta riescono a salire il Diamond approfittando di condizioni meteorologiche straordinarie e di una stagione insolitamente umida e piovosa.
Leggi qui la loro relazione e lo schema tecnico delle difficoltà incontrate.
E’ chiaro che il Diamond Couloir, se in futuro qualcuno accetterà il rischio di percorrerlo, non sarà più una difficile via di ghiaccio ma una difficilissima via di sottile ghiaccio fantasma e dry tooling, esposta a frequenti cadute di pietre per il generale disgelo.
Anche la salita alla Punta Lenana, effettuata da Silvia Mazzani durante la nostra spedizione del 1989 interamente su ghiaccio, è oggi ridotta ad un pendio di roccette e la salita avviene su tracce nella parte bassa e poi lungo una ferratina nella parte sommitale, dove il ritiro del ghiaccio ha lasciato scoperte rocce più impegnative.
Una ulteriore prova inconfutabile dei cambiamenti climatici che interessano l’intero pianeta.
Leggi qui un interessante articolo sul Diamond Couloir, dal sito americano Summitpost.org