Se lo è aggiudicato la spedizione Chareze Ri North 2018, formata da un composito gruppo lombardo-friulano-bellunese: Davide Limongi, Federico Martinelli, Enrico Mosetti, Federico Secchi, Luca Vallata e Daniele Castellani.
Il Premio Paolo Consiglio, a partire dagli anni novanta, viene assegnato ogni anno dal CAI, su segnalazione e proposta del CAAI, ad una spedizione italiana che abbia svolto attività extraeuropea di rilievo coerente con quanto previsto dal Regolamento del Premio. Si deve trattare di spedizione extraeuropea che abbia svolto attività di apprezzabile livello tecnico in zone poco conosciute e poco frequentate, deve essere una spedizione leggera, a basso impatto ambientale e deve aver operato secondo criteri tradizionali e leali, con il minor ricorso possibile a mezzi artificiali. I membri devono essere in maggioranza giovani. E proprio questo requisito ha ristretto fortemente la rosa dei possibili concorrenti emersi dall’esame della cronaca alpinistica extraeuropea 2018. A riprova che nel nostro paese l’altissimo livello tecnico che tanti giovani raggiungono soprattutto nell’arrampicata fatica poi ad esprimersi in attività di più ampio respiro e in avventure extraeuropee di alto livello.
Nel corso dell’Assemblea dei Delegati del CAI tenutasi a Milano il 26 maggio si è svolta la cerimonia di premiazione della spedizione, che ha operato nel Ladack Indiano, in una valle laterale dello Zanskar.
La zona è poco conosciuta e ancor meno frequentata e offre molte possibilità di salite anche a cime vergini. La spedizione ha operato nel mese di agosto 2018 e oltre ad attività di esplorazione ha aperto una via di circa mille metri con difficoltà classiche nella prima parte su ghiaccio e nella parte superiore su roccia in stile alpino, con bivacco e con una discesa avventurosa su un versante non conosciuto. I membri della spedizione sono tutti ragazzi giovani e pieni di entusiasmo.
Questa la motivazione ufficiale del riconoscimento:
“Si è voluto premiare un’iniziativa di carattere esplorativo, che è culminata nella salita di una cima inviolata e si pone come esempio significativo di alpinismo di esplorazione e valida alternativa alle mete più gettonate e inflazionate. Al di là delle pur apprezzabili difficoltà tecniche, il significato simbolico di questa salita è importante, proponendo un alpinismo di ricerca e la concreta possibilità, anche per alpinisti giovani, con tempo e budget limitato, di continuare ancora oggi il filone di un alpinismo classico di scoperta e di avventura, sfatando il mito ‘dell’ormai c’è ben poco da fare che non sia iper estremo’”.
Di seguito Luca Vallata sintetizza in una breve relazione l’attività svolta.
"A partire dalla metà di agosto del 2018 per circa un mese il nostro gruppo lombardo-friulano-bellunese ha esplorato la valle del Rangtik, una laterale della valle dello Zanskar nella regione indiana del Ladakh.
Il nostro viaggio ha preso le mosse dall’utilissimo report pubblicato sull’American Alpine Journal da Matija Jošt, obiettivo principale era quello di salire una cima vergine e senza nome di 6080m vicina alla testata della valle.
Dopo la prima fase di acclimatamento e dopo aver valutato le possibili linee di salita il nostro gruppo ha sfruttato la prima bellissima finestra di tempo stabile per salire in due giorni l’evidente spigolo sul lato sinistro della parete nord-est.
La salita si è svolta dapprima su ghiaccio (max 70°) ed in seguito su roccia di ottima qualità (max V+) fino a raggiungere la cima nord del monte a circa 5959m.
Nel tentativo di raggiungere la cima principale e di guadagnare una via di discesa più comoda abbiamo in seguito percorso un’affilatissima cresta, raggiungendo la sommità di una torre a circa 200m in linea d’aria da quota 6080m. A questo punto, considerato il soppraggiungere dell’oscurità abbiamo dovuto ritirarci lungo la parete nord ovest con una avventurosa serie di doppie al buio.
Il brutto tempo che ha caratterizzato la seconda metà della nostra permanenza in Zanskar ha impedito ulteriori tentativi alla cima principale, la quale resta quindi ancora inviolata.
Un po’ di toponomastica: la nostra via si chiama Jullay Temù, ovvero ciao orso in Ladakhi, questo per salutare la discreta famiglia di orsi himalayani che hanno visitato la valle durante la nostra permanenza, lasciandoci impronte e sospetti rumori notturni...
Il nostro cuoco Sonam e l'aiutante Lobsang vorrebbero proporre di nominare la cima Chareze Ri, in quanto, ci spiegano, il chareze sarebbe una tipologia di stupa abbastanza somigliante per forma alla nostra cima.