Etica e Tecnica

Club Alpino Accademico Italiano
Venerdì, 13 Settembre 2019 21:06

 

I soci accademici Matteo e Luca Enrico, animatori del Meeting, fanno il punto sulla grande festa della montagna del 7/8 settembre.

L’edizione 2019 del raduno Val Grande in Verticale non ha tradito le aspettative. Dopo la creazione del Gruppo Valli di Lanzo in Verticale (cofondatore l’Accademico insieme alle sezioni Cai di Torino, Venaria e Uget) ci si attendeva infatti un cambio di passo deciso, un raduno meno “casalingo” ma espressione diretta della volontà del Cai di mettere in primo piano la “Montagna”, con la A maiuscola. Con un maggiore coinvolgimento dei soci attraverso attività libere e pianificate, traducendo il puro gesto tecnico della scalata in una festa, rivolta anche ai bambini, nuove leve dell’alpinismo del futuro.

A un certo punto abbiamo anche temuto di aver fatto “il passo più lungo della gamba”, come si suole dire, tante erano le novità e non era affatto scontato che non si traducessero in un flop.

E poi il solito meteo, un po’ ballerino fino all’ultimo, ci ha fatti stare con il fiato sospeso. Venerdì pomeriggio il sole però già illuminava le grandi placconate dello Specchio e con benevola accondiscendenza sembrava invitarci a risalire le pietraie per scalare. Meno poeticamente si può dire che, anche a sto giro, ci è andata bene, ma si sa, al tempo non si comanda e si può solo sperare nella fortuna.

Il sentore che sarebbe stato un grande evento però l’abbiamo avuto il sabato, sin dalle prime battute.

Ma andiamo per ordine.

P1010700Registrazione al Meeting

P1010735Le premiazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

P1070732Ugo Manera racconta la storia di Sea

P1070745Andrea Giorda presenta il film THE WALL

P1070766Momenti di arrampicata nelle Valli di Lanzo

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P1070700Presentazione della nuova guida

 

Il solito gazebo d’accoglienza, montato a monte dello storico Albergo Savoia, ha visto iniziare ad affluire arrampicatori, escursionisti e simpatizzanti anche attratti dalla nuova guida “Val Grande in Verticale”, fresca fresca di stampa e ricolma di utili informazioni per scalare non solo in Sea. Poco alla volta, con grande piacere, abbiamo iniziato a constatare che la situazione dei “pacchi raduno” cominciava a diventare critica. Via uno l’altro, via uno l’altro con un elenco di nomi che, di pari passo, continuava a crescere, come mai era capitato nel primo giorno di manifestazione.

 

Certo la maglietta Ortovox faceva gola, così come i ricchi premi da dividere a manifestazione conclusa.

Due parole bisogna proprio spenderle per questa ditta, la Ortovox, che quest’anno ci ha dato un grandissimo apporto, è stata davvero il “main sponsor” e un grazie va al nostro socio Giovanni Pagnoncelli che si è prodigato affinchè ciò avvenisse e che ha speso due giorni con noi in Val Grande, partecipando anche lui al raduno.

A metà giornata gli iscritti erano già tanti, raggiungendo le 100 presenze. Un numero mai visto.

P1010720Scuola di arrampicata

La grande novità era poi la prova di scalata per bambini, organizzata il sabato sui massi di Cantoira e la domenica su un masso all’inizio di Sea, pulito con la solita certosina precisione dall’infaticabile Gianni Ribotto, vero “local” delle valli di Lanzo. E’ andata benissimo e un grazie va alla Scuola di Alpinismo Giovanile del Cai di Chieri e alla guida alpina “Muyo” Maritano, gestore del rifugio Città di Ciriè al Pian della Mussa, che a sue spese ha mandato, la domenica, il suo collega Coggiola a supportare i volontari. Alla fine nelle due giornate sono transitati 80 bambini circa, un vero successo, molto superiore a quanto pensavamo.

Ma il sabato c’è stata anche la presentazione della nuova guida “Val Grande in Verticale” (autori, oltre agli scriventi, Marco Blatto ed Elio Bonfanti), anche questa un successo, nonostante molti fossero ancora impegnati in parete. Immancabile però Ugo Manera che ci ha raggiunti in tempo per raccontare interessanti aneddoti sui “seani” del passato. E’ stato un incontro molto positivo che ha visto la partecipazione anche del sindaco di Groscavallo in un barlume di distensione dopo la spinosa questione della nostra (e con nostra si vuole intendere del sodalizio tutto) opposizione al progetto della strada in Sea.

La giornata di sabato è proseguita poi con la cena nello storico locale “Cesarin” di Breno, dove i commensali hanno sfiorato quota 100, e poi con la proiezione nel palazzetto polifunzionale di Chialamberto dello stupendo film “Dawn Wall”, incredibile storia di un’ossessione più che di una scalata. Ma anche una bella storia di amicizia tra i due protagonisti. Il film è stato introdotto dal nostro socio Andrea Giorda.

La domenica gli iscritti hanno continuato a crescere e a quelli del raduno si sono affiancati gli atleti della seconda “Daviso in Verticale”, 1100 m e 6 Km da correre in meno di un’ora. Domenica c’è poi stata la seconda grande novità di quest’anno: l’inaugurazione del ripristinato sentiero del Passo dell’Ometto. Un percorso incredibile e selvaggio da anni ormai impraticabile a causa dei rododendri e degli ontani, delle “drose” come si dice qui. Un sentiero che, staccandosi da quello diretto al bivacco Soardi-Fassero, porta alle pendici dell’imponente parete nord dell’Uja di Mondrone, il “Cervino delle Valli di Lanzo”. Anche quest’iniziativa è stata un grande successo grazie all’impegno, sia in fase di pulizia che di organizzazione dell’escursione, del Cai Uget di Torino, della Scuola Mentigazzi della sezione di Torino e della sottosezione Val Grande che, con i suoi volontari pieni di entusiasmo, ha saputo rendere percorribile questo bellissimo sentiero.

Tutti sono stati soddisfatti. Escursionisti, arrampicatori, allievi dell’ormai consolidato “corso trad” della Gervasutti ed anche il gruppetto del corso della Ortovox. E quando tutti i partecipanti ancora presenti (le presenze totali sono state circa 300) e gli atleti della corsa hanno cominciato ad affluire sulla terrazza del Savoia è iniziata l’estrazione dei premi. Tra salami, bottiglie e costosi prodotti delle tante aziende e negozi del settore montagna, della cartografia e dell’editoria tutti sono andati via soddisfatti, nessuno a mani vuote.

In quest’edizione sono stati coinvolti tutti e tre i comuni della valle, tutti hanno concesso il patrocinio e tutti gli esercizi commerciali coinvolti sono stati molto soddisfatti. Questa riteniamo che sia una cosa molto importante in quanto questo raduno deve essere anche da sprone ad appoggiare sempre maggiormente gli sport legati alla montagna, nell’intento di rivalorizzarla.

Infine è doveroso spendere anche due parole sui lavori che abbiamo fatto quest’anno. Sono state ripristinate altre bellissime e dimenticate vie in Sea, sia sullo Specchio che sul Trono, oltre alla via di Grassi sulla nord della Mondrone, grazie alla sponsorizzazione del Cai Ala di Stura. Lavori lunghi e faticosi ma che lasciano una grande soddisfazione, soprattutto quando poi gli scalatori tornano su pareti altrimenti dimenticate. In quest’ottica la nuova pubblicazione non deve essere un punto di arrivo ma un punto di partenza.

Vi aspettiamo al raduno 2020.

 

Foto di M. e L. Enrico e A. Rampini

Venerdì, 30 Agosto 2019 16:20

Riscaldamento globale? Clima che cambia?

Catastrofisti e negazionisti si danno battaglia con argomentazioni a volte eclatanti ma spesso poco convincenti. La confusione è grande e alimenta alla fine disorientamento e prese di posizione istintive se non indifferenza.

Come alpinisti abbiamo la fortuna di poter osservare direttamente situazioni e fenomeni naturali in un ambiente particolarmente sensibile com’è la montagna.

E se sono anni, o meglio ancora decenni, che frequentiamo questi ambienti ci viene naturale fare confronti.

E i confronti non lasciano dubbi. L’esperienza diretta è molto più coinvolgente degli stessi report impressionanti sulla riduzione dei ghiacciai.

La nuova webcam al bivacco della Fourche

 

Le splendide immagini che ci trasmette in diretta la webcam posizionata sul nostro Bivacco Alberico e Borgna al Col de la Fourche (3.765 mt.) ci danno la testimonianza di un cambiamento forse irreversibile nella struttura delle pareti ghiacciate che si affacciano sul bacino della Brenva.

Webcam Col de la Fourche mt. 3.765

Abbiamo installato questa webcam nel 2018 per fornire agli alpinisti immagini in diretta sulle condizioni della montagna per programmare le salite di questo versante ma oggi la situazione delle pareti è talmente degradata da rendere improponibili le salite nella stagione estiva e comunque anche ad inizio stagione difficilmente si ricostituiranno situazioni di sicurezza.

Questo privilegiato punto di osservazione nel cuore del massiccio del Monte Bianco acquista però oggi una valenza straordinaria dal punto di vista del monitoraggio della situazione legata ai cambiamenti climatici in corso.

L’archivio storico testimonierà passo passo i cambiamenti in atto.

Osservando il pendio Nord del Col de la Brenva, fratturato in profondità e con grandi masse di ghiaccio in equilibrio precario, si fa fatica a pensare che fino agli anni ottanta offriva anche in piena estate un uniforme scivolo di neve che salivamo rapidamente per accedere al Pilone Centrale del Freney.

Anche la Nord della Blanche è in una situazione simile, non solo assolutamente impercorribile ma anche con il grande seracco superiore che mostra ormai i segni inquietanti di un distacco profondo e prospettive ineluttabili di crollo futuro.

E crollo importante si è già registrato all’inizio dell’estate nell’imbuto della Brenva (attacchi della Poire e della Major).

Seguiamo con grande interesse l’evolversi della situazione attraverso le immagini della nostra webcam e se non vogliamo essere pessimisti per scelta, poniamoci almeno qualche interrogativo.

Alberto Rampini

Presidente Generale

Domenica, 25 Agosto 2019 17:31

Sulle orme dei visionari che scrissero un capitolo importante nella storia dell’alpinismo e ne lasciarono una traccia potente sulle pareti del Vallone di Sea.

Una storia che parte dalla fine degli anni settanta con l’esplorazione del Vallone e le prime avventurose salite di Giancarlo Grassi e Isidoro Meneghin e arriva ai giorni nostri con nuove vie al livello dei tempi e con la pulizia e sistemazione di decine di vie storiche.

Ma attenzione, Sea non ha mai regalato niente a nessuno e giustamente la ripresa delle vie storiche, al di là della pulizia e della sostituzione dei vecchi chiodi con ancoraggi sicuri, non ne ha sminuito l’impegno.  

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Tutto questo lavoro, nel quale anche il CAAI ha creduto, animato fortemente dai soci Luca e Matteo Enrico, ha creato le premesse per la realizzazione dei meeting di arrampicata del 2017 e 2018, con ottimi risultati di partecipazione.

Nel 2019 viene costituito il Gruppo Valli di Lanzo in Verticale, fondato dagli stessi organizzatori del primo raduno del 2017 assieme ad altri soci del Club Alpino Italiano appartenenti alle Sezioni di Venaria, Torino, Cai Uget Torino e Club Alpino Accademico.

Il nuovo Gruppo nasce con la volontà di promuovere non solo la Val Grande, ma le Valli di Lanzo tutte mediante attività che garantiscano il rispetto della natura e della tradizione alpinistica, salvaguardando le diversità di stili di arrampicata presenti sul territorio.

Nelle Valli di Lanzo esistono oggi oltre 700 itinerari che propongono stili di arrampicata vari, dalle placche alle fessure ad incastro, con sviluppo fino a 10 lunghezze. Le vie del Vallone di Sea, anche quelle risistemate, rimangono avventure di impegno alpinistico e richiedono capacità nell’uso delle protezioni veloci, mentre sulle pareti della Val Grande esistono numerose vie protette integralmente a fix.

 

 

Il meeting viene proposto anche quest’anno, arricchito di numerosi eventi, dalla scuola di arrampicata trad alla prova di arrampicata per ragazzi, al Raduno Boulder a Balma Massiet. Da non perdere anche la proiezione del film “DawnWall”.

In occasione del meeting esce VAL GRANDE IN VERTICALE la nuova guida alle arrampicate nella Val Grande di Lanzo e nel Vallone di Sea a cura di Marco Blatto, Elio Bonfanti, Luca e Matteo Enrico, Editore Idea Montagna.

Val Grande in verticale big

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Di seguito il programma dettagliato del meeting 2019:

Sabato 7 Settembre

h 9:00 > Ritrovo presso l’Albergo Savoia di Forno Alpi Graie: iscrizione al raduno e attività libera di arrampicata sulle pareti della Valle;

a partire dalle h 10:30 > “Prova di arrampicata” presso la località Massi di Cantoria – frazione Balme – rivolta in particolare a bambini e ragazzi. La prova a cura del Cai di Chieri terminerà alle h 16:30. Possibilità di pranzo e merenda presso l’Osteria degli Amici di Cantoira a 5 minuti d’auto;

a partire dalle h 18:00 > Ritrovo presso il ristorante “Cesarin” in località Breno di Chialamberto. h 19:00, cena conviviale;

h 21:15 > Proiezione del film “DawnWall” presso il palazzetto polifunzionale di Chialamberto – località Cossiglia.

Domenica 8 Settembre

A partire dalle h 8:00 > Ritrovo presso l’Albergo Savoia di Forno Alpi Graie: iscrizione al raduno e attività libera di arrampicata sulle pareti del Vallone di Sea;

A partire dalle h 8:00 > Iscrizione alla gara di corsa vertical “Daviso in Verticale” presso l’Albergo Savoia di Forno Alpi Graie;

h 9:30 > partenza della gara di corsa vertical “Daviso in Verticale”;

h 9:30 > Inaugurazione del sentiero numero 309 del “Passo dell’Ometto” con partenza da Forno Alpi Graie a cura di Cai Torino, Cai Lanzo e Cai Venaria – necessaria preiscrizione;

h 16:45 > premiazione della gara “Daviso in Verticale” presso Albergo Savoia di Forno A.G.;

h 17:15 > ritrovo di tutti i partecipanti al raduno –gadget e premio partecipazione;

Nella giornata di domenica verranno inoltre organizzati:

Un’escursione al bivacco Soardi Fassero a cura del Cai Uget – necessaria preiscrizione;

Una “Prova di arrampicata” rivolta in particolare a bambini e ragazzi, in località Forno Alpi Graie;

Un Raduno boulder “Polvere di Stelle” presso il circuito di Balma Massiet;

Corso di “arrampicata trad” a cura della Scuola Nazionale di Alpinismo “Giusto Gervasutti” del Cai Torino – necessaria preiscrizione;

Corso di arrampicata Ortovox “Safety Academy” con accompagnamento di guide alpine.

 

Domenica, 21 Luglio 2019 21:55

 

Gli accademici Samuele Mazzolini e Francesco Piacenza raccontano una delle tante salite strappate al lavoro e alla famiglia in un ritaglio di tempo.

Grande passione, determinazione e preparazione tecnica alla base di tutto. Come sempre, nel puro spirito accademico di chi scala nel tempo libero.

Vedi la via a questo link:

https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/skyluke-for-alex-nuova-via-sulla-cima-canali-per-scarian-e-boninsegna.html

Relazione Tecnica:

https://www.planetmountain.com/rock/vie/itinerari/scheda.php?id_itinerario=903&lang=ita&id_tipologia=38

 

Ore 15:00 di un sabato di Luglio, autostrada bloccata. Decidiamo di uscire ad Affi, prenderci una birra e valutare quale parete scalare in alternativa a quella che avevamo in mente, tanto ormai è troppo tardi per andare dove volevamo.

Succede spesso così quando abiti rispettivamente a Forlì ed Ancona e hai 2gg contati per andare in Dolomiti. Uno slalom tra lavoro, famiglia, traffico e tempo bello, che tengo in piedi ormai da diversi anni, grazie anche all'amicizia fraterna che mi lega con Francesco Piacenza.

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Dopo un paio di birre, forse non più lucidissimi, non notiamo i 1200m di dislivello per raggiungere il Rifugio Pradidali e decidiamo per "SKYLUKE FOR ALEX", alla Torre Gialla di Cima Canali. Non abbiamo mai fatto una via di Scarian e l'idea ci piace.

Alle 18,30 arriviamo al Cant del Gal e realizziamo la "sgroppata" che ci aspetta. L'immensa parete del Sass Maor ci tiene compagnia mentre camminiamo e il tempo passa ricordando i bei momenti passati su quelle placche compatte qualche anno addietro.

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L'indomani perdiamo un po' di tempo per raggiungere la parete: il canale di attacco è zeppo di neve e ci obbliga a qualche passaggio delicato avendo con noi solo le scarpette da ginnastica.

La via è impegnativa, ce lo aspettavamo, ma la roccia delude non poco le nostre aspettative. Eravamo convinti fosse ottima, ma in realtà diversi tratti richiedono attenzione nella scalata se non si vuole fare dei ritorni volanti all'ultimo fix, a causa di qualche tacca che salta via.

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Tutto procede comunque bene e rientrati al Pradidali siamo solo a metà dell'avventura: dobbiamo scendere in valle, prendere la macchina e rientrare a Forlì, perchè lunedì si lavora.

Arriviamo di notte e Francesco come d'abitudine si ferma da me, riposa qualche ora e la mattina seguente, dopo un rigoroso "pasta e capuccino", riparte per Ancona.

Il lunedì è sempre il tiro più duro della via ma portiamo il culo in sosta anche stavolta...tanto di sera buonanotte a tutti, si dorme.

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Tracciato via skyluke da Planetmountain

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovedì, 18 Luglio 2019 23:21

Serate di alpinismo a CAVALESE dal 18 luglio al 22 agosto 2019.

Tra i protagonisti gli Accademici Leri Zilio e Giuliano Bressan, le Guide Alpine Tomas e Silvestro Franchini, l'intramontabile Maurizio Zanolla e per finire Davide Chiesa.

Allegata la locandina della manifestazione.

Lunedì, 03 Giugno 2019 20:02

Se lo è aggiudicato la spedizione Chareze Ri North 2018, formata da un composito gruppo lombardo-friulano-bellunese: Davide Limongi, Federico Martinelli, Enrico Mosetti, Federico Secchi, Luca Vallata e Daniele Castellani.

Il Premio Paolo Consiglio, a partire dagli anni novanta, viene assegnato ogni anno dal CAI, su segnalazione e proposta del CAAI, ad una spedizione italiana che abbia svolto attività extraeuropea di rilievo coerente con quanto previsto dal Regolamento del Premio. Si deve trattare di spedizione extraeuropea che abbia svolto attività di apprezzabile livello tecnico in zone poco conosciute e poco frequentate, deve essere una spedizione leggera, a basso impatto ambientale e deve aver operato secondo criteri tradizionali e leali, con il minor ricorso possibile a mezzi artificiali. I membri devono essere in maggioranza giovani. E proprio questo requisito ha ristretto fortemente la rosa dei possibili concorrenti emersi dall’esame della cronaca alpinistica extraeuropea 2018. A riprova che nel nostro paese l’altissimo livello tecnico che tanti giovani raggiungono soprattutto nell’arrampicata fatica poi ad esprimersi in attività di più ampio respiro e in avventure extraeuropee di alto livello.

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  Nel corso dell’Assemblea dei Delegati del CAI tenutasi a Milano il 26 maggio si è svolta la cerimonia di premiazione della spedizione, che ha operato nel Ladack Indiano, in una valle laterale dello Zanskar.

La zona è poco conosciuta e ancor meno frequentata e offre molte possibilità di salite anche a cime vergini. La spedizione ha operato nel mese di agosto 2018 e oltre ad attività di esplorazione ha aperto una via di circa mille metri con difficoltà classiche nella prima parte su ghiaccio e nella parte superiore su roccia in stile alpino, con bivacco e con una discesa avventurosa su un versante non conosciuto. I membri della spedizione sono tutti ragazzi giovani e pieni di entusiasmo.

 

 

 

 

 

Questa la motivazione ufficiale del riconoscimento:

“Si è voluto premiare un’iniziativa di carattere esplorativo, che è culminata nella salita di una cima inviolata e si pone come esempio significativo di alpinismo di esplorazione e valida alternativa alle mete più gettonate e inflazionate. Al di là delle pur apprezzabili difficoltà tecniche, il significato simbolico di questa salita è importante, proponendo un alpinismo di ricerca e la concreta possibilità, anche per alpinisti giovani, con tempo e budget limitato, di continuare ancora oggi il filone di un alpinismo classico di scoperta e di avventura, sfatando il mito ‘dell’ormai c’è ben poco da fare che non sia iper estremo’”.

Di seguito Luca Vallata sintetizza in una breve relazione l’attività svolta.

1 La parete del Chareze Ri

 

 

 

 

"A partire dalla metà di agosto del 2018 per circa un mese il nostro gruppo lombardo-friulano-bellunese ha esplorato la valle del Rangtik, una laterale della valle dello Zanskar nella regione indiana del Ladakh. 

Il nostro viaggio ha preso le mosse dall’utilissimo report pubblicato sull’American Alpine Journal da Matija Jošt, obiettivo principale era quello di salire una cima vergine e senza nome di 6080m vicina alla testata della valle.
Dopo la prima fase di acclimatamento e dopo aver valutato le possibili linee di salita il nostro gruppo ha sfruttato la prima bellissima finestra di tempo stabile per salire in due giorni l’evidente spigolo sul lato sinistro della parete nord-est.

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La salita si è svolta dapprima su ghiaccio (max 70°) ed in seguito su roccia di ottima qualità (max V+) fino a raggiungere la cima nord del monte a circa 5959m.
Nel tentativo di raggiungere la cima principale e di guadagnare una via di discesa più comoda abbiamo in seguito percorso un’affilatissima cresta, raggiungendo la sommità di una torre a circa 200m in linea d’aria da quota 6080m. A questo punto, considerato il soppraggiungere dell’oscurità abbiamo dovuto ritirarci lungo la parete nord ovest con una avventurosa serie di doppie al buio.

Chereze foto
Il brutto tempo che ha caratterizzato la seconda metà della nostra permanenza in Zanskar ha impedito ulteriori tentativi alla cima principale, la quale resta quindi ancora inviolata.
Un po’ di toponomastica: la nostra via si chiama Jullay Temù, ovvero ciao orso in Ladakhi, questo per salutare la discreta famiglia di orsi himalayani che hanno visitato la valle durante la nostra permanenza, lasciandoci impronte e sospetti rumori notturni...
Il nostro cuoco Sonam e l'aiutante Lobsang vorrebbero proporre di nominare la cima Chareze Ri, in quanto, ci spiegano, il chareze sarebbe una tipologia di stupa abbastanza somigliante per forma alla nostra cima.

1 La parete del Chareze Ri 2

Giovedì, 30 Maggio 2019 11:35

 

 

CENTRO STUDI MATERIALI E TECNICHE

Dalla nascita ad oggi: cinquant’anni di prove, ricerca e studio

Per gentile concessione del CSMT mettiamo a disposizione dei lettori in formato pdf il testo del volume edito in occasione del cinquantesimo di fondazione del Centro Studi (dicembre 2018).

L’opera illustra la storia del Centro e della sua attività e propone una selezione degli studi pubblicati.

Clicca sul seguente link per scaricare la pubblicazione

 

Clicca qui per visitare il sito del Centro Studi Materiali e Tecniche

 

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Martedì, 14 Maggio 2019 11:27

LA MONTAGNA E I SUOI PRIMATI

di Alberto Rampini

Ne abbiamo viste tante, abbiamo combattuto tanto e sinceramente pensavamo che aberrazioni del genere non avrebbero mai trovato spazio nel rapporto tra l’uomo e la natura e men che meno nel rapporto tra la natura e le istituzioni che se ne dovrebbero prefiggere la tutela e la promozione sostenibile.

Cai, nuova sfida da Guiness , portare 10 mila persone sulle Orobie così titolava con enfasi l’Eco di Bergamo portando la notizia dell’iniziativa della Sezione di Bergamo del Cai, sottolineata da una foto a piena pagina di una folla in montagna aggrappata a una corda che saluta festosa un elicottero che sorvola le cime circostanti.

Già nel 2018 le Orobie erano entrate nel Guiness dei primati con oltre 2800 persone convogliate in quota e legate in unica cordata. Ora l’obiettivo è più ambizioso, arrivare a 10 mila persone contemporaneamente nei rifugi del Cai Bergamo dislocati sulle Orobie.

Ma sono questi i record che ricerchiamo in montagna e che ci aspettiamo da essa? Se di primati si vuole parlare in montagna credo si debba parlare del primato della pace, della tranquillità, del rispetto e di una frequentazione in punta di piedi e, anche in prospettiva, sostenibile per l’ambiente.

L’iniziativa del Cai di Bergamo, per quanto denominata “Save the mountains”, sembra muoversi in direzione completamente opposta. Non basta battezzare l’evento come salvifico e cercare di convincere (e forse convincersi) che più persone si portano in montagna più sono le occasioni per insegnare che la montagna va frequentata con rispetto e misura: un ossimoro. Come dire: venite tutti che vi insegno a non venire più in questo modo!

Credo che la montagna vada assolutamente tutelata come bene non fungibile, delicato e difficilissimo da mantenere, figuriamoci da ripristinare dopo l’aggressione di folle immense. In montagna andiamo per ricercare quello che la società moderna ci ha tolto in pianura e nelle città, una naturalezza dove lo spirito trova pace, si ristora ed entra in contato profondo con sé stesso. Portare in montagna le stesse folle vocianti che frequentano la domenica i centri commerciali difficilmente promuoverà la sensibilità ambientale di queste mentre sicuramente toglierà alla montagna una delle sue prerogative più significative. E’ vero, alla sera tutti tornano a valle. Si dice quindi che la montagna ritorna sè stessa e la gente si è arricchita di consapevolezza. Credo invece che le ferite, soprattutto culturali, inferte alla montagna da eventi come questo e come altri del genere (vedi il programmato concerto Jovanotti a Plan de Corones, per citarne uno) siano assolutamente nefaste. Queste manifestazioni di massa anche solo con il parlare che se ne fa e con la ripetizione che ormai si sussegue, fanno diventare quasi “normale” il concetto che in montagna questi eventi sono “ormai” naturali e si affiancano e gradualmente sostituiscono i valori che da sempre sono stati riconosciuti all’ambiente montano. Il consumismo e la massificazione omologatrice avanzano dalle città verso le terre alte e ne compromettono progressivamente e in modo definitivo l’identità.

E la cosa più preoccupante è che ad organizzare l’evento “Orobie” sia una Sezione del Cai con la benedizione di altissime personalità dell’ambiente . Le Sezioni del Cai sono associazioni private autonome e libere nello svolgimento della loro attività, ma non dovrebbero mai andare contro i principi statutari del Cai centrale che ha ad esempio approvato e sempre riconosce le Tavole di Courmayeur, il Bidecalogo e altri infiniti documenti a tutela della montagna, che, tutti, richiamano alla sobrietà e al senso della misura. Abbiamo combattuto per anni le spinte alla mercificazione della montagna da parte dei privati e adesso ci troviamo a dover far i conti con questo tipo di iniziative organizzate dal Cai. Nutriamo la speranza che i promotori si rendano conto di quello che stanno facendo e riconducano l’evento entro l’alveo della ragionevolezza e del decoro.

Se così non fosse vogliamo nutrire un’altra speranza, che cioè la casa madre, il Cai centrale, Ente Pubblico retto da una normativa statutaria chiara e stringente, intervenga direttamente per fermare l’iniziativa o quanto meno per prenderne le distanze in modo chiaro. Leggi qui la posizione ufficiale del CAI: pdfSave_the_Mountains_la_posizione_del_CAI_Centrale_M360_lug_2019.pdf 

Articolo MontagnaTV

Per saperne di più su SAVE THE MOUNTAINS

Le precisazioni del Cai di Bergamo

Foto di copertina da "L'Eco di Bergamo"

Mercoledì, 22 Maggio 2019 12:43

 

A Cividale del Friuli il 18 maggio 2019

CONVEGNO GRUPPO ORIENTALE

La crescente codificazione tecnica di tutti gli aspetti dell’andare in montagna viene assunta come elemento fondamentale per ridurre i rischi

ma riduce anche drasticamente quella libertà di sperimentare autonomamente, talvolta anche sbagliando e rischiando,

che è stata da sempre alla base  della nostra attività.

Hanno dibattutto sull'argomento quattro relatori principali e sono intervenuti con le loro considerazioni soci e non soci.

In allegato la locandina dell’evento e il testo degli interventi tenuti da:

Carlo Zanantoni CAAI

Claudio Rossi CAAI

Mauro Florit CAAI

Antonio Zambon rappresentante CAI nel Club Arc Alpin

 

Un ringraziamento particolare alla Sezione CAI "Monte Nero" per l'ospitalità e l'organizzazione.

20190518 144424Il Presidente del Gruppo Carlo Barbolini presenta il neoaccademico Michele Chinello (a sinistra)

IMG 20190519 WA0010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

20190518 152847L'intervento di Claudio Rossi

20190518 155011Relaziona Mauro Florit

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

  20190518 164919Carlo Zanantoni20190518 160205Antonio Zambon rappresentante CAI nel Club Arc Alpin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                             

20190518 152151 002Interviene il Presidente Generale Alberto Rampini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                         

 

 

 

                                                                                                 

 

 

 

 

Giovedì, 11 Aprile 2019 20:43

 

 

IL GRADO NON E' TUTTO

riflessioni sull’avventura

È considerato l'unità di misura della complessità in montagna, ma non è sempre così: difficoltà ambientali, condizioni della parete, affaticamento soggettivo e molto altro ancora possono compromettere le capacità dell'uomo di superare certe prove

di Domenico Sinapi*

In Italia, negli ultimi anni, parlando di alpinismo la parola più usata e ripetuta è il grado. Non così è per esempio all’estero, in Inghilterra, Spagna, Germania, Francia e USA.

Il grado dovrebbe definire la difficoltà tecnica superata, e quindi in soldoni sembrerebbe che più uno supera una difficoltà alta e più è bravo. Tuttavia esistono situazioni dove la capacità di superare un grado tecnico non basta per superare il passaggio. Ad esempio i fattori ambientali - quota, condizioni della parete, fatica, rischio di caduta ecc - possono compromettere la capacità puramente tecnica di un alpinista di superare il passaggio e uscire dalle difficoltà.

E questo è il succo del discorso, non c’è alpinismo senza rischio, altrimenti chiunque fosse in grado (e già sono in pochissimi) di arrampicare in libera su un 9a potrebbe teoricamente salire qualsiasi parete della terra ed essere considerato l’alpinista più forte al mondo. La pratica dell’alpinismo ci dice che non è così che funzionano le cose.

Un conto è infatti superare un tiro in falesia opportunamente preparato, magari con i rinvii già posizionati, essendo ben riposati e riscaldati, e un altro è superare le stesse difficoltà tecniche in alta montagna magari a 4000 metri di quota e senza spit a proteggere il tiro, anche considerando la roccia pulita, avendo già percorso 500m di parete.

Sono infatti pochi al mondo in grado di fare queste performance, ma anche nel piccolo, c’è una grande differenza tra superare un tiro di 6-7-8 grado UIAA (6a – 6b - 6c -7a scala francese) in montagna sulla nord del Badile o sulla nord del Civetta o sul monte Bianco, senza protezioni o con poche protezioni e un altro è fare un tiro di analoghe difficoltà in falesia o su una piccola parete con gli spits distanziati a un metro.

 

Great roof foto Fausto Tovo

Nose pancake flake foto Fausto tovo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra        Nose,  Great Roof  - Foto Fausto Tovo

A destra    Nose , Pancake flake  - Foto Fausto Tovo

 

AVVENTURA
O ESERCIZIO GINNICO?

La mia è ovviamente una provocazione, nel senso che ritengo che ognuno debba e possa scegliere di fare quello che vuole e che preferisce, ma quando si incomincia a definire come prestazione una scalata in libera di un tiro, anche in falesia, sarebbe bene incominciare a considerare, anche alcuni fattori, prima di definire quella salita come una prestazione.

Infatti magari il tiro riesce dopo un numero di tentavi altissimo, mentre a qualcun altro riesce a vista o dopo pochi “giri”.

Spesso mi è capitato di vedere arrampicatori che hanno salito tiri di 8a, non riuscire a salire a vista tiri di 6c, addirittura fare molti resting su tiri di 7a, ma allora qual è realmente il grado tecnico di questi arrampicatori, seppur sportivi ?

Anche in montagna si vedono cose “strane”, vengono definite prestazioni o prime salite in libera, scalate dove vengono preventivamente preparate tutte le protezioni e poi addirittura allungate con fettucce, anche di due metri, per poter rinviare e proteggere il passaggio con in mano l’appiglio giusto, saranno anche “prestazioni” per qualcuno, ma personalmente non le ritengo tali, almeno non prestazioni assolute.  E di avventura su un tiro preparato a puntino non ce n'è poi molta.

Alla fine diventa quasi un esercizio ginnico, provo e riprovo il tiro fino a conoscerlo a memoria, poi dove potrei avere qualche piccolo "brivido" perchè il moschettonaggio è impegnativo, allungo a dismisura la fettuccia del chiodo successivo per poterla rinviare "comodamente" da sotto, così elimino anche quel poco di ingaggio che mi poteva dare la chiodatura "lunga" ben 2 metri (come in alcune falesie ben protette), ed il gioco è fatto: eliminate tutte le possibile cause di paura, il mitico climber alpinista è adesso pronto per la performance.

Melat monte Qualido 2 rip ottobre 1993 foto Pietro Piccinelli

 MELAT Qualido 31 OTT 93 PRIMA DEL TETTO 2 rip foto Pietro Piccinelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra      Monte Qualido  31 ott 1993  Melat 2a ripetizione - foto Pietro Piccinelli

A destra  Monte Qualido 31 ott 1003 prima del tetto - foto Pietro Piccinelli

 

UN PIZZICO DI NARCISISMO

Finchè il nostro climber-alpinista racconta la performance a voce, si finisce per prenderla per buona, come da tempi antichi, viene presa per buona la parola di un alpinista, ma in tempi recenti, con i potenti mezzi informatici a disposizione e un pizzico di narcisismo, per guadagnare un po' di visibilità, finiscono per farsi filmare o fotografare durante la prestazione, e allora si scoprono gli altarini... Senza nulla togliere a chi ha fatto salite in questo stile, già dire come si è fatta la “prestazione” è un sintomo di onestà verso chi potrebbe poi migliorarla, ovvero passare in libera rinviando i chiodi senza preventiva preparazione, e quindi realizzare la vera prima salita in libera del tiro di corda. In montagna si arrampica praticamente sempre a vista, le protezioni spesso si devono posizionare e anche quando ci sono gli spits i rinvii si devono mettere.

Ma il grado non è tutto!

Pensate per esempio alle salite di Mike Fowler: scala con un compagno, con una manciata di chiodi da roccia e da ghiaccio, un paio di picozze, pareti di migliaia di metri, su cime di 6000-7000 metri in stile alpino, salite che gli sono valse la Piolet d’or, eppure in falesia non è certo uno che scala su gradi "alti". La differenza, rispetto alla massa di scalatori sia professionisti sia della domenica è la sua capacità di farlo in qualunque condizione. Non solo, la differenza è la sua voglia di mettersi in gioco, affrontando una scalata con poche possibilità di ritorno e con situazioni complicate da decifrare in apertura, e quindi con poche possibilità di riuscita, eppure Mike Fowler riesce spesso a portare a termine i suoi progetti, anche quelli molto ambiziosi. Come mai? Forse perché è bravo come alpinista? Eppure non scala su gradi “alti”. Quindi la chiave del successo di Mike e di altri come lui dove risiede? In che cosa si differenzia dagli alpinisti "normali"? Forse nella preparazione, nel non scendere troppo a compromessi?

QUELLA LINEA IMMAGINARIA

Altri esempi sono la scalata negli ultimi anni della nord del Badile in pieno inverno, con la neve spalmata sulla parete, un sottile strato di ghiaccio e neve dura che rivestiva la nord-est, fino a creare una linea non più solo immaginaria che collegava l'attacco con la vetta. Qualcuno, ben preparato, ha visto quella linea e si è ingaggiato sulle placche della nord-est dove per lunghi tratti, seppur tecnicamente non "difficili", non riuscivano a proteggersi adeguatamente durante la progressione, ma la decisione, l'esperienza e non ultima la preparazione fisica e mentale, ha consentito loro di scalare la nord trasformando la linea immaginaria in una linea elegante, in poco tempo, grazie sicuramente ai nuovi materiali (piccozze, ramponi e chiodi da ghiaccio), ma soprattutto alla loro "testa".

In falesia ci sono scalatori che, quando non riescono nel passaggio si calano, si riposano, e poi ripartono e rispettano questo rigoroso cliché. Altri scendono da un tiro su cui sono saliti facendo un resting dietro l'altro, su tutti gli spit e li senti dire all'amico: "quasi lo tengo", non avendo la minima idea di cosa voglia dire saper "scalare" un tiro della difficoltà su cui si sono cimentati. Per costoro è più importante poter dire e raccontare che scalano su quel grado. Una volta si definiva una salita a vista, "on sight", senza averla mai conosciuta prima e mettendo rigorosamente i rinvii, non era considerata valida se i rinvii erano già posizionati. Adesso questa regola si è sfuocata. Lo stesso vale per una salita rotpunkt (punto rosso), ovvero salire il tiro di corda in libera, dopo averlo già provato. Una volta una salita rotpunkt era considerata valida quando si mettevano i rinvii durante la scalata, oggi si danno per salite rotpunkt anche quelle fatte con i rinvii già posizionati.

Ora, è evidente che non intendo comparare chi preferisce fare dell’arrampicata sportiva a chi predilige salite alpinistiche, tuttavia mi piace l’idea di sponsorizzare in maniera sfacciata l’alpinismo. E quindi mi piace stimolare il pensiero verso quelle forme di scalate dove la purezza dello stile e la capacità mentale di creare situazioni dove l’avventura è al centro della salita, con anche un’alta possibilità di non riuscita, siano il punto focale del discorso. Ecco quindi che, in realtà, una prestazione in arrampicata o in montagna non è necessariamente basata sul grado tecnico.

Galattica Qualido sul 9 tiro

 

 

 

 

LE FALSE PRESTAZIONI

Per entrare più specificatamente nell’argomento, vorrei portare altri esempi di “false” prestazioni e “basso” sapore d’avventura.

Ci sono scalatori, anche famosi, che salgono gli Ottomila facendo uso dell’ossigeno, al di là di quella che è e resta una soddisfazione personale, non vedo cosa ci sia di “eccezionale” nella scalata dell’Everest per la via normale, utilizzando le bombole d’ossigeno, quando ormai più di quattromila persone lo hanno già scalato con l'ausilio delle bombole, persino ragazzi di 14 anni e anziani di 64 anni, anche persone che non avevano mai scalato prima di allora, mentre senza ossigeno ci sono riusciti in pochi.

Eccezionale è scalare un Ottomila in inverno, possibilmente senza usare le corde fisse messe da altri e portando con sè tutto quello che è necessario per una salita pulita, o salirlo senza ossigeno o per una via nuova, mentre passare per la normale utilizzando l’ossigeno non è una “prestazione”.  Eppure i giornali, i media danno grande risonanza ad alcune di queste salite, fatte da alpinisti normali. E deve essere considerato normale un alpinista che scala l'Everest usando ossigeno, corde fisse e tende piazzate da altri. Ma la stampa nazionale spesso fraintende, o semplicemente non capisce, queste semplici ed elementari differenze.

Le normali agli Ottomila sono state fatte negli anni Cinquanta, ormai hanno quasi 60 anni e più, considerando anche l’evoluzione dei materiali non ha più senso esaltare una salita a una normale a un Ottomila fatta con l’ossigeno, magari tirando tutte le corde fisse già poste in loco, già Reinhold Messner e Jerzy Kukuczka negli anni Settanta hanno indicato la via, hanno fissato le regole per ingaggiarsi su un Ottomila, prendendo come riferimento lo stile inventato da Hermann Buhl al Broad Peak, cima di 8047 metri raggiunta in prima assoluta il 9 giugno 1957 con Kurt Diemberger (per la verità Kurt è arrivato prima di Hermann sulla vetta), con soli 3 campi tra la base e la vetta, dove è stato coniato per la prima volta il termine "West Alpine Style", in altre parole leggeri senza ossigeno in stile alpino, portando con sè la propria tenda senza aiuti esterni di sherpa e portatori, battendosi la pista, anche sulle grandi montagne himalayane.

Il Broad Peak è l'Ottomila che è stato scalato in prima ascensione con meno campi intermedi e con più alto dislivello tra un campo e l'altro, da un gruppo piccolo di persone (solo 4 alpinisti divisi in due) che si sono portati la loro tenda sulle spalle e tutto l'occorrente per la scalata e, naturalmente, senza usare l'ossigeno.

LE STAGIONI IN QUOTA

Era il 1957. Siamo nel 2018. Sono passati 60 anni, Buhl ci ha indicato, in modo visionario, la strada e, ancora oggi, tanti non capiscono la differenza che passa tra usare l'ossigeno o farne a meno, tra usare le corde fisse posizionate da altri o farne a meno, tra farsi battere la traccia da altri o farsela da soli, tra portare la propria tendina da soli o approfittare di quelle già posizionate ai vari campi ma da altri, e quindi salire con meno peso, ma poi approfittare della fatica che ha fatto qualcun altro. Ha sicuramente senso ascoltare l’entusiasmo di chi ha scalato utilizzando l'ossigeno, perché in questo c’è del romantico e c’è il fascino del racconto e della storia vissuta, ma non è una prestazione. Eppure si sentono anche alpinisti "famosi" sbandierare come imprese la salita di una normale, ma di fatto quando hanno usato l'ossigeno per raggiungere la vetta è come se avessero abbassato la vetta di 2000 metri, quindi una salita all'Everest utilizzando l'ossigeno si ridurrebbe a una salita di un 6000 metri.

Altro discorso aperto e da definire, è la salita degli Ottomila in inverno, teoricamente manca solo la prima salita invernale del K2, ma per alcuni himalaysti puristi non è così.

Sulle Alpi è considerata invernale una scalata compiuta nell'inverno segnato dal calendario astronomico, quindi per l'emisfero boreale dal solstizio d’inverno (indicativamente cade il 20 dicembre) all'equinozio di primavera, che cade indicativamente il 21 marzo. Tuttavia la stagione invernale sugli Ottomila, per esperti himalaysti, inizia a dicembre (dal 1° dicembre) e finisce alla fine di febbraio (il 28 febbraio), questo perché, a detta loro, documentato da foto che parlano da sole, a marzo in Himalaya ci sono i prati verdi e iniziano a sbocciare i fiori, e quindi secondo costoro parlare di salita invernale a un Ottomila fatta nel mese di marzo non ha senso e non viene considerata valida, mentre considerano valida una salita fatta all'inizio di dicembre.

arrampicare a 5000 metri foto Sergio Dalla Longa

arrampicare a 5000m in cima alla Esfinge

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A sinistra    Esfinge del Paron - foto Sergio Dalla Longa

A destra     In vetta all'Esfinge del Paron 

 

INTEGRITÀ ETICA

Secondo queste considerazioni, la storia delle prime salite invernali agli Ottomila sarebbe ancora da scrivere; per alcuni Ottomila che sono stati scalati a marzo e precisamente l'Hidden Peak (il 9 marzo) e il Broad Peak (il 5 marzo), e quindi secondo queste regole, le salite effettuate in quelle date non sarebbero valide. Anche la prima salita invernale allo Shisha Pagma verrebbe riassegnata al fuoriclasse francese Jean-Cristophe Lafaille, che è arrivato in cima in solitaria per una difficile via nuova sulla parete sud della montagna, solo qualche giorno prima del solstizio d’inverno nel 2004, in pieno dicembre con le giornate più corte e fredde dell'anno, anziché a Simone Moro, che l'ha salita il 14 gennaio 2005 salendo per la normale. Un esempio di integrità etica totale in tempi recentissimi è rappresentato da Denis Urubko, che nell'inverno di quest'anno ha cercato la prima salita invernale del K2, nonostante il brutto tempo in arrivo, quando si stava avvicinando la fine di febbraio e, secondo le sue regole, non aveva senso aspettare un miglioramento del tempo che veniva dato ai primi di marzo. Nonostante il meteo fosse pessimo ha tentato il tutto per tutto, anche contro il parere e il volere dei suoi compagni di spedizione, per scalare il K2 entro il 28 febbraio, oltre per lui non avrebbe avuto senso. Accettando il duro responso che gli ha servito la montagna ha dovuto rinunciare, ma restando fedele alle sue regole, peraltro condivise da molti. Merita sicuramente il massimo rispetto. Quando è partito da solo per un tentativo alla vetta in solitaria, ricordava il leggendario Hermann Buhl, quando il 3 luglio 1953, l'Everest era appena stato scalato il 29 maggio da Hillary e Tensing, ma con larghi mezzi e uso dell'ossigeno: Buhl è partito contro il parere del capo spedizione e in solitaria, senza ossigeno ha scalato gli ultimi 1400 metri di dislivello su terreno mai calpestato dall'uomo e raggiunto per primo la vetta del Nanga Parbat. Un'impresa che è rimasta indelebile e irraggiungibile e lo sarà per sempre, per etica, un filo di pazzia, determinazione e coraggio; in una sola parola un'impresa leggendaria.

Con queste considerazioni non intendo per forza sponsorizzare un alpinismo basato sulla prestazione, bensì intendo sponsorizzare un alpinismo basato sull’avventura, se poi questa avventura sarà una prestazione tanto meglio, ma che lo sia veramente e non un trucco, solo per mettersi in evidenza. C'è chi inopinatamente, anche per motivi legati agli sponsor, si accosta a grandi del passato, ma usando scorciatoie come utilizzare le corde fisse piazzate da altri, o seguendo sempre le vie normali quando altri prima hanno sempre cercato di salire su terreno vergine, o usa l'ossigeno dove chi li ha preceduti decine di anni prima non lo ha usato.

MEROI E BENET,

ALPINISMO SENZA COMPROMESSI

Un altro esempio di etica che non scende a compromessi è quello degli accademici Nives Meroi e Romano Benet, che hanno scalato tutti gli Ottomila senza ossigeno spesso per vie diverse dalle normali, senza portatori, trasportando la propria tendina sulle spalle, e soprattutto, Nives ha rinunciato a essere la prima donna a scalare tutti gli Ottomila quando il suo compagno di cordata e nella vita ha dovuto rinunciare sul Kangchenjunga, per problemi gravi di salute e lei è scesa insieme a lui; il discorso è stato chiuso splendidamente quando Romano, dopo alcuni anni, si è ripreso e l'11 maggio 2017 sull'Annapurna, sempre e rigorosamente senza ossigeno, senza portatori e con la tendina sulle spalle, e sempre rigorosamente insieme, sono diventati la prima coppia che ha scalato tutti i quattordici Ottomila.

Per tornare sulle Alpi, mi piace pensare a un amico (Ivo Ferrari), quando un pomeriggio in valle di San Lucano, in campeggio con la moglie, si stava un po’ annoiando e la moglie gli butta lì: «Perché non vai a fare lo spigolo dell’Agner?», almeno così lo racconta lui in un suo scritto pubblico, e lui la prende in parola e lo fa in circa due ore, slegato e di corsa.

Lo spigolo nord dell’Agner (1600 metri di dislivello), è stato salito nel 1932 da Oscar Soravito ed è al massimo 6 grado Uiaa, ma realizzato così di slancio è molto più romantico ed elegante che non una salita a un Ottomila con l’ossigeno e tirando le corde fisse posizionate dagli sherpa. Sicuramente salito in questo modo è una performance assoluta: nessuno, fino a quel giorno, lo aveva scalato in così breve tempo. L’avventura la vive anche chi lo fa in giornata o con un bivacco, e può a buon diritto raccontarla e farla rivivere ad altri. Dopotutto si tratta di una salita molto lunga, dove il senso della ricerca dell’itinerario supera quello della pura capacità tecnica, dove le possibilità di scendere sono poche e complicate e dove non puoi portarti troppo materiale per salirla: in sostanza, è una salita “alpinistica”. Per farla basta avere un buon sesto, ma saper fare il sesto grado non basta per salire questo spigolo interminabile.

C’è avventura nel cimentarsi su una big wall a El Capitan, nella Yosemite Valley, di sicuro si vivono emozioni per diversi giorni appesi ai chiodi in parete, un’eventuale ritirata è complicata e la fatica di più giorni necessita esperienza e determinazione, tuttavia una prestazione è farla in due ore come Dean Potter.

Pizzo Trubinsca foto Maurizio Panseri

 sul muro dellhalf dome foto Fausto Tovo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra            Pizzo Trubinasca - foto Maurizio Panseri

A destra        Sul muro dell'Half Dome - foto Fausto Tovo

Sotto             Aguja Guillaumet, Patagonia Via Coqueginot gennaio 1995

 

 patagonia aiguille guillaumet via coqueginot gennaio 1995 Copia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IMPRESE LEGGENDARIE

Ci sono poi prestazioni che sono così avanti con i tempi in cui vengono compiute che passano inosservate, fino a quando anni dopo, a volte decenni, qualcuno forte e famoso le ripete e scopre il livello reale di quella salita, di esempi in questo senso ce ne sono parecchi, ma per citare casi clamorosi, che ancora oggi non hanno avuto la risonanza che si meritano, sono la salita dello sperone della Great Trango Tower (Grande Torre di Trango), scalata nel 1984 dai norvegesi Hans Christian Doseth e Finn Daehli: partono in quattro, quindi una spedizione leggera, ma quando i viveri sono agli sgoccioli due dei quattro si ritirano, per lasciare qualche chance in un'impresa al limite dell'impossibile alla cordata più forte e determinata. I due "prescelti" tentano il tutto per tutto, e con i pochi viveri rimasti scalano su difficoltà che per l'epoca erano estreme, si parlava di 7a, A4, 90° su ghiaccio spalmato sulla roccia su una parete di 1600 metri di dislivello che raggiunge una vetta di 6200 metri di quota, si tratta probabilmente della prima big wall di grado VII. Durante la discesa i due scompaiono, e la via dei norvegesi al Trango viene chiamata Via del non ritorno, sicuramente un'impresa di valore assoluto che sposta in alto l'asticella delle difficoltà in parete su una grande montagna. Andando a vedere chi erano questi sconosciuti norvegesi, scopri che sul Trollringen, parete alta fino a 1300 m (più di El Capitan), spesso umida per le pessime condizioni meteo, avevano aperto con un'etica ferrea spingendo la libera al massimo (fino al 7a), diverse big wall. E siamo agli inizi degli anni 80.

Ma in Italia compare giusto un trafiletto di due righe su Alp.

Altre imprese del genere ancora irripetute o con una sola ripetizione sono quelle compiute da scalatori leggendari, come fossero i vikinghi delle Alpi, dagli alpinisti sloveni, Franz Knez, Silvo Karo, Janez Jeglic in giro per il mondo: per esempio nell'inverno 1985/1986, in Patagonia, sulla parete est del Cerro Torre aprono la Direttissima dell'inferno, 1100 m di dislivello VIII+, A4 e 95° su ghiaccio, il nome della via parla da solo di quello che hanno incontrato in parete gli sloveni. Tutte le loro salite sono caratterizzate dalle alte difficoltà in libera e in artificiale, su pareti grandi inviolate, con un uso limitato delle protezioni. Anche questa salita viene liquidata con un trafiletto di poche righe sulle riviste specializzate italiane, ma si tratta di scalatori che negli anni Ottanta già scalavano in falesia sull'8a, e in montagna con un'etica ferrea riuscivano in salite al limite dell'impossibile. Si tratta di imprese leggendarie, prestazioni assolute, dove i protagonisti hanno messo in discussione tutto pur di vivere un'avventura senza compromessi.

Per citare un esempio in tempi recenti, una salita con grande sapore di avventura, che ricorda lo stile di alcuni grandi accademici del passato come Walter Bonatti e Carlo Mauri, è la salita di Matteo della Bordella, pure lui accademico del Cai e Ragno di Lecco, che con Silvan Schupbach, fortissimo svizzero, hanno scelto il Cerro Riso Patron, una meta "a la fin del mundo", come si suole dire in Patagonia, isolata, con avvicinamento attraverso parecchi giorni in canoa prima e a piedi poi, tutti soli in completa balia della montagna e delle bizze del tempo, con poche possibilità di riuscita. Eppure, in una piccola finestra di bel tempo, hanno osato e creduto fino in fondo alla loro idea e sono riusciti ad aprire King Kong, una via in stile pulito e veloce su una parete inviolata.

Ma l’avventura la puoi trovare ovunque, basta cercarla con regole chiare, dove lo scalatore si mette in gioco ed è disposto a rischiare qualche cosa, anche la non riuscita. Quando invece si sceglie di salire una parete con tutto preconfezionato, sicuramente ci si diverte, ed è lecito farlo, ma si vive un'avventura un po’ ridimensionata. Di certo ognuno si scelga “l’avventura” che preferisce, in montagna o in falesia, sugli spit o trad, con ossigeno o senza, ma...

Ma abbia l'onestà di raccontare com'è andata.

Domenica, 03 Marzo 2019 22:51

 

CERRO MANGIAFUOCO

Altra bella prima assoluta per Luca Schiera

Hielo Norte 60

Hielo Norte 75

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hielo Norte 111

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luca Schiera, membro del Gruppo Ragni e socio dell’Accademico, ha salito con Luca Marazzi una bella torre vergine sullo Hielo Norte in Patagonia.

400 metri di scalata con difficoltà di 6c in ambiente remoto e in totale autonomia.

Hielo Norte 80

Hielo Norte 9

 

 

 

 

 

 

 

Hielo Norte 35

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un resoconto dettagliato al seguente link:

https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/cerro-mangiafuoco-prima-salita-patagonia-paolo-marazzi-luca-schiera.html

Hielo Norte 120

Hielo Norte 62

Hielo Norte 53 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hielo Norte 92

 

 

 

 

                                                                                                                                           

 

 

Sabato, 16 Febbraio 2019 18:48

 

UP2019

La perla preziosa 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                  La Perla Preziosa

Auf die felsen hir affen 2

Loss lei heb schun 4

Auf die felsen hir affen                                                                                       Loss lei heb schun      

Samuele Mazzolini

L’Annuario di alpinismo europeo Up (Edizioni Versante Sud) è da diversi anni una pubblicazione di grande valore e qualità, che unisce bellissimi articoli su alpinisti e/o vie simbolo ad un report sulle maggiori realizzazioni di arrampicata sportiva, boulder, alpinismo, ghiaccio e misto, dell’anno appena trascorso. Oltre a ciò vi sono poi anche diverse proposte di nuove vie su roccia, ghiaccio e misto.

In particolare, in questo numero vi è un mio articolo del quale vado fiero, la monografia sul Sasso della Croce, completa di storia alpinistica, foto e diverse relazioni. Vi è poi anche una bella intervista a Nicola Tondini, guida alpina e forte arrampicatore, personaggio di spicco proprio sul Sasso della Croce, grazie alle sue realizzazioni estreme.

Samuele Mazzolini

 

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