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Club Alpino Accademico Italiano
Domenica, 03 Febbraio 2019 23:18

Andrea Giorda racconta gli 80 anni di Ugo Manera sulle pagine di Planetmountain

 

Gli 80 anni di Ugo Manera

Lunedì, 28 Gennaio 2019 23:59

 

 

VAL GRANDE IN VERTICALE...e quel “vento dell’Ovest” che torna a soffiare...

Storia di due fortunati raduni nel Vallone di Sea...con l'opzione del terzo

 

Il Vallone di Sea è sempre stato un luogo a torto poco frequentato, ancor meno conosciuto, forse anche negli anni d’oro della sua scoperta ed esplorazione, quando Gian Carlo Grassi ne decantava la bellezza sulle pagine della Rivista della Montagna e in quella del Cai. Erano gli anni ’80, un’epoca infinitamente lontana, almeno alpinisticamente parlando, ma forse già allora l’arrampicata stava virando verso altre tendenze e quelle pareti caddero presto nell’oblio.

1 TRONO DI OSIRIDE UN VIAGGIO METAFISICO NEGLI ANNI 80 FOTO U. MANERA2 GIAN CARLO GRASSI. RE DI SEA FOTO S. STOHR

Trono di Osiride, un "Viaggio metafisico" negli anni '80 (Foto U. Manera)                                                                                                                                                                                            Gian Carlo Grassi, Re di Sea (Foto S. Stohr)

 

Valle dell’Orco, Val di Mello, Valle del Sarca, chi non conosce questi luoghi? E Sea? Per molti è sempre stato un punto interrogativo, una vaga reminiscenza legata più che altro ai sognanti racconti di Grassi, nulla di più. Eppure questo vallone così selvaggio è incredibilmente bello, un vero "Eldorado di granito”, un luogo che lascia a bocca aperta, un vallone che, per certe sue peculiarità, è forse unico sulle nostre Alpi, un concentrato di pareti dove negli anni sono state tracciate circa 250 vie.

3 SPECCHIO E TRONO4 NAVIGANDO NELL ARCIPELAGO AMERICA

Sopra: Specchio e Trono

Sotto: navigando nell' Arcipelago America

Ma allora perché non è mai stato davvero popolare e frequentato? Forse per l’alone di mistero che l’ha sempre avvolto, protetto da altissime guglie e montagne, forse per la mancanza di documentazione aggiornata, forse per l’attrezzatura un po’ “naif”, poco affidabile e soprattutto vetusta.

5 PARETE DEI TITANI RISOLVENDO UN PROBLEMA

                                    Parete dei Titani "Risolvendo un problema"

Era necessario correre ai ripari e ripercorrere quelle vie non solo nell’ottica di “farle” ma di “ripristinarle”. In fondo sarebbe stato bello spendere un po’ di tempo per “lavorare” al “restauro” di quegli itinerari e sarebbe stato altrettanto bello far conoscere questo luogo così magico e ricco di storia. Elaborammo così un progetto e grazie soprattutto all’aiuto del CAAI riuscimmo a procurarci l’attrezzatura che serviva per iniziare i lavori. Lavori che ben pubblicizzati presto iniziarono a stuzzicare la curiosità degli arrampicatori che cominciarono ad arrivare anche da fuori dei confini sabaudi. Venne quindi naturale pensare di organizzare un raduno.

6 VERTICALITA AI TITANI FOTO FR.LLI ENRICO

8 MOMENTI DEL RADUNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra: verticalità ai "Titani"                                                         Sotto: momenti del meeting

Un altro antefatto concorse a creare la spinta per l’organizzazione del primo “Val Grande in Verticale”: la paventata realizzazione di una pista agro-silvo-pastorale da parte del Comune di Groscavallo, una strada che avrebbe portato tanti soldi dalla Comunità Europea, ma che avrebbe inesorabilmente condotto alla distruzione di un luogo così unico ed incontaminato. Tutto il mondo alpinistico si mobilitò per bloccare quell’assurdo progetto, in prima fila il Cai Torino, l’Accademico e Mountain Wilderness. Vinta la battaglia, si dovette in qualche modo dimostrare che attività spesso bistrattate da certe amministrazioni pubbliche, attente solo al ritorno economico immediato, potevano essere di giovamento all’economia della Valle. Anche per questo nacque il primo raduno, nel settembre 2017.

9 VAL GRANDE IN VERTICALE LA SERATA

 10 RIPERCORRENDO LE DOCCE SCOZZESI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Val Grande in verticale - La serata                                                                                                     Ripercorrendo le "Docce Scozzesi"

Tutto si giocava sull’affluenza, su quanto quell’evento potesse essere appetibile non solo agli arrampicatori ma ad un pubblico più vasto. Il meteo si mise immancabilmente di traverso. Le previsioni per il sabato portavano pioggia. Quel giorno arrivarono degli escursionisti tedeschi, zuppi di pioggia si rifugiarono nel gazebo allestito per il giorno seguente. Seppur inconsapevoli dell’evento rimangono un po’ il simbolo di quanto queste valli possano essere valorizzate attraverso attività legate al mondo della montagna. La domenica il sole splendeva e al primo raduno si iscrissero ben 135 partecipanti.

12 PARETE DEI TITANI TRACCIATI

       Parete dei Titani - I tracciati 

Un successo anche la serata con Sergio Martini che seppe trasportare anche i non alpinisti nelle lontane lande himalayane, fatte di gigantesche seraccate e di cime sprofondate nel blu profondo del cielo.

La sera della domenica, svuotati i parcheggi e partiti i partecipanti, la piccola frazione di Forno Alpi Graie tornò silenziosa nella notte settembrina, rotta solo dalle lontane grida di qualche animale. La nostalgia per una bella giornata si trasformò subito nella volontà di riproporre l’evento anche l’anno successivo, il 2018.

I lavori di “restauro” ed apertura ripresero alacremente, tanto che in due stagioni gli scriventi sono arrivati a piazzare circa 800 tasselli fix in tutta la Val Grande. Un numero sicuramente elevato che però non deve far inorridire i paladini del “trad” in quanto tutte le chiodature vengono eseguite nell’ottica di non snaturare l’impegno delle vie. Molto spesso la chiodatura a fix più sistematica è riservata alle grandi placche, magari per aprire qualche nuovo itinerario o per raddrizzare e rendere più lineari e interessanti i vecchi, lasciando “clean” le fessure, eccezion fatta per le soste. Una ricetta che finora ha riscontrato un ottimo successo, mettendo a tacere i potenziali detrattori, sempre pronti in casi come questo a far capolino da dietro qualche spigolo. Sea finalmente è tornata a vivere.

Tutto sembra essere sempre molto lontano eppure un anno passa in fretta e presto è arrivato il settembre 2018 e con esso la seconda edizione di Val Grande in Verticale, evento questa volta arricchito con la prima edizione della gara di corsa “Daviso in Verticale”, da Forno al rifugio Daviso, piccolo ma accogliente avamposto per le grandi salite nel gruppo della Gura Martellot. Il raduno ha visto 250 partecipanti in totale tra gara e arrampicata, 85 presenze alla cena ufficiale del sabato sera e circa 150 spettatori alla serata, dove è stato proiettato il film “Itaca nel Sole” incentrato sulla figura di Gian Piero Motti, a 35 anni esatti dalla scomparsa. Ma il successo di queste due giornate è solo l’epilogo di un’altra grande stagione che ha visto riportare in vita itinerari grandiosi eppure completamente dimenticati. Non è stata tanto una sorpresa iscrivere 250 partecipanti quanto vedere nei giorni festivi di fine agosto diverse cordate impegnate su vie fino ad allora pressoché sconosciute. Linee prima tracciate solo sulle foto, studiate sulla vecchia guida “Sogno di Sea”, binocolate dal basso attendendo la giusta luce e poi riprese, rettificate, create e nuovamente plasmate. Linee che hanno riscosso grande entusiasmo da parte di Richard Nadin dell’ Alpine Club Britannico, invitato da Andrea Giorda.

13 SULLA MUMMIA TESSENDO LA TELA DI PENELOPE

 

15 UN EDEN DI ROCCIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In viaggio sulle placche dello Specchio (Foto I. Tosso)

                                                                                                                                                           Un Eden di roccia

L’ultima avventura di “restauro” datata 2018 è l’Eden di Sea, forse un po’ simbolicamente sta ad indicare che questo è un vero paradiso per l’arrampicatore, un luogo dove il gesto atletico si fonde con incredibili percezioni visive, dagli arcobaleni che si formano sulle cascate polverizzate in milioni di goccioline alle potenti spade di luce, ai tappeti di rododendri in fiore. Un luogo dove finalmente nel sole del mezzogiorno le pareti paiono animarsi nelle fantasiose figure immaginate dagli arrampicatori che hanno segnato la storia alpinistica di questa valle.

Il lettore a questo punto si domanderà se il raduno verrà riproposto nel 2019. La risposta è affermativa, l’interesse intorno a questo evento è cresciuto molto, il Cai Torino, il Cai Venaria, il Cai Uget e non ultimo l’Accademico credono molto in una manifestazione che vorrebbe diventare il simbolo dell’impegno del sodalizio per l’arrampicata, l’alpinismo e l’escursionismo. Il raduno quindi si farà il 7 e 8 settembre, e l’essere supportati da importanti marchi del settore montagna è qualcosa in più che una semplice speranza. Ma tutto questo sarà ancora il volano per far conoscere sempre più questo meraviglioso vallone e per essere da sprone a proseguire l’imponente, faticosa ma soddisfacente opera di ripristino e valorizzazione di queste pareti.

 

Non c’è neanche da dire che siete tutti invitati il 7 e 8 settembre 2019 !  

Luca e Matteo Enrico

C.A.A.I. Gruppo Occidentale

Le foto, salvo diversa indicazione, sono degli autori dell'articolo

Giovedì, 10 Gennaio 2019 22:06

 

 

Commemorazione in ricordo dell'Accademico

GUIDO ROSSA, OPERAIO SINDACALISTA E ALPINISTA

sabato 19 gennaio 2019 ore 9,30 presso il salone UGET in Corso Francia 192 Torino

 

 

Giovedì, 10 Gennaio 2019 20:54

 

Dalla rivista Meridiani Montagne di gennaio 2019, interamente dedicata al Monte Bianco, viene un significativo riconoscimento al lavoro fatto dall’Accademico negli ultimi anni sui bivacchi di proprietà nel Gruppo.

Ad uno dei nostri bivacchi forse meno noti, il bivacco HESS, viene dedicata la copertina e un interessante servizio all’interno (vedi pdf allegato), mentre un articolo a firma Mario Giacherio illustra da dietro le quinte il prezioso e oscuro lavoro del team, guidato dal socio Carlo Barbolini, che si occupa dei lavori di manutenzione straordinaria di queste strutture in quota.

Meridiani Montagne gennaio 2019 COPERTINA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sogni rinnovati 1

Sogni rinnovati 2

I bivacchi costruiti e mantenuti in esercizio dal Club Alpino Accademico sono situati in posizioni strategiche sui versanti più impervi del Monte Bianco e servono come base di appoggio per le grandi salite alpinistiche nel gruppo e rappresentano anche ricoveri di emergenza in caso di necessità.

Sono piccole strutture dotate di materassi e coperte, sono sempre aperti e utilizzabili liberamente e gratuitamente da tutti gli alpinisti. Il loro utilizzo corretto e la cura degli arredi sono affidati alla responsabilità dei frequentatori.

Il CAAI effettua periodicamente la manutenzione straordinaria. Negli ultimi anni si è provveduto alla sistemazione e verniciatura del Bivacco della Brenva, del Bivacco Hess e del Bivacco Canzio, alla messa in sicurezza e sistemazione del Bivacco della Fourche. Nei bivacchi Canzio e Fourche sono state installate radio di emergenza. Sul bivacco della Fourche è stata installata una webcam che trasmette regolarmente immagini in diretta del versante Brenva del Monte Bianco  Webcam Brenva

Mercoledì, 26 Dicembre 2018 01:03

Un corso di alpinismo ed escursionismo eco-compatibile organizzato da Mountain Wilderness e dall’ISMEO con il patrocinio del Club Alpino Accademico Italiano

Foto di Emiliano Olivero e Silvia Mazzani

 

Il 28 agosto 2018 tre istruttori di alpinismo italiani ( Emiliano Olivero, Tommaso Castorina, Omar Scarpellini) sono partiti per il Pakistan, guidati da Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International e socio del Club Alpino Accademico Italiano.

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La meta è lo Swat Kohistan, estrema propaggine meridionale della catena dell’ Hindu Raj. Lo scopo non è stato quello di compiere l’ascensione di una delle affascinanti vette della zona, alte fino a seimila metri, ma di gestire un corso di alpinismo ed escursionismo eco- compatibile organizzato da Mountain Wilderness e dall’ISMEO ( Istituto Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) e riservato a un gruppo di allievi del posto. Sono giovani che abitano in valli montane da molto tempo abbandonate dai visitatori stranieri interessati ad attività outdoors, ma allo stesso tempo esposte al serio rischio di un’ incombente colonizzazione turistica di bassissimo profilo, favorita da progetti di nuove strade di penetrazione. A causa della loro relativa vicinanza ai grandi centri urbani della pianura le alte vallate dello Swat già oggi sono le uniche, in tutta la grande catena himalayana, che possono essere raggiunte e frequentate senza dover necessariamente prevedere l’organizzazione complessa di spedizioni di tipo classico con lunghe marce d’avvicinamento alle vette. Le nuove strade renderebbero ancora più rapido il percorso. Un indubbio vantaggio in cui, purtroppo, si cela un pericolo per l’integrità dell’ambiente. Il corso di Mountain Wilderness ha avuto lo scopo primario di contribuire a neutralizzare per quanto possibile tale pericolo, fornendo agli allievi le competenze tecniche e culturali necessarie per proporre – dal basso - ai visitatori pakistani e stranieri una fruizione alternativa e lungimirante di quegli ambienti ancora incontaminati. Traendone, allo stesso tempo, reali benefici economici. Già durante il mese di giugno Mountain Wilderness aveva portato a termine la selezione dei 25 allievi che hanno poi preso parte al progetto. Quelli che hanno superato il corso hanno ricevuto un Diploma ufficialmente validato dalle autorità del Governo della regione Khyber-Paktunwa e potranno offrirsi come affidabili guide di trekking anche difficili o come facilitatori di spedizioni leggere in stile alpino; privilegiando sempre comportamenti rispettosi verso il valore delle montagne e la conservazione della loro preziosa wilderness. In questa prospettiva si è convinti che il Corso abbia favorito la comparsa di veri e propri presìdi ambientali disseminati sul territorio e sufficienti, si spera, a scoraggiare qualsiasi progetto di rozza manomissione. A questi nuclei di ex-allievi, consapevoli della posta in gioco, verrà anche affidato il compito di realizzare una guida cartacea, alpinistico/escursionistica dello Swat montano in cui saranno inserite, in appendice, le visite agli affascinanti ruderi dei monumenti buddhisti che ancora dominano le creste di molte colline nella parte più bassa della regione. L’idea di collegare in un’ unica esperienza culturale la frequentazione della montagna a piedi e le ricerche archeologiche fu sostenuta più di mezzo secolo fa dal famoso professor Giuseppe Tucci al quale si deve la scoperta e lo scavo dell’eccezionale patrimonio archeologico dello Swat e la sua identificazione con la mitica Uddiyana, da cui Padmasambava (Guru Rimpoché ) partì per convertire il Tibet al Buddhismo. Per queste ultime ragioni a Mountain Wilderness si è associata nel progetto l’associazione ISMEO che ha ereditato e porta avanti ogni anno con grande successo le ricerche iniziate da Tucci.

In prospettiva l’ultimo passo del progetto prevederà uno studio sul terreno, compiuto da un team di esperti, per l’istituzione di un vero e proprio parco nazionale dell’Alto Swat da offrire alle autorità competenti del Paese, come contributo italiano alla tutela di un ambiente naturale di grande valore, intriso di testimonianze storiche e culturali.

Il progetto è stato reso possibile grazie al coinvolgimento finanziario di Mountain Partnership, del Ministero Italiano per i Beni Culturali ( MIBAC), del MIUR, del Club Alpino Accademico Italiano, della sezione di Roma del CAI, di alcune aziende italiane e delle due stesse associazioni leader del progetto.

Testo ricavato dal comunicato stampa ufficiale di MW

 

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Il punto sull'attuazione del progetto è stato fatto in una conferenza stampa a Roma il 15 settembre, con l'intervento di Carlo Alberto Pinelli e la partecipazione di diverse personalità, tra le quali l'Ambasciatore del Pakistan a Roma S.E. Nadeem Riyaz.

Invitati ad intervenire ADRIANO LA REGINA Presidente INASA, GIORGIO MARRAPODI Direttore Generale DGCS MAECI, ADRIANO ROSSI Presidente ISMEO, ROSALAURA ROMEO Direttore Mountain Partnership FOA, LUCA OLIVIERI Direttore della Missione Archeologica Italiana in Pakistan SWAT, FRANCESCO SCOPPOLA Direttore Generale DG-ER MIBAC, EMILIANO OLIVERO Direttore della Scuola Centrale di Alpinismo del CAI e Direttore Tecnico del Corso 2018 in SWATT, ALBERTO RAMPINI Presidente Generale del Club Alpino Accademico Italiano.

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 Carlo Alberto Pinelli,  Direttore  Asian Desk                                                                                    S.E. Nadeem Riyaz Ambasciatore del Pakistan a Roma

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Sabato, 08 Dicembre 2018 22:19

CENTRO STUDI MATERIALI E TECNICHE

 

50 anni di test e sperimentazioni per la sicurezza in montagna

Grande festa sabato 1 dicembre presso la Sezione di Padova del CAI per il 50° anniversario della fondazione della struttura del CAI deputata allo studio dei materiali e delle tecniche. Nata nel 1968 come Commissione Centrale per i materiali e le Tecniche, nel 2009 è diventata Struttura Operativa del CAI prendendo il nome di Centro studi materiali e tecniche.

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                                                                          Massimo Polato attuale Presidente e Giuliano Bressan PastPresident                                                                                                                                                               

Vinicio Stefanello ha condotto l’incontro, presentando le varie autorità e ospiti intervenuti. Giuliano Bressan, presenza storica e per 18 anni Presidente del Centro e Massimo Polato, attuale Presidente, hanno tracciato brevemente la storia di questa importante istituzione e Carlo Zanantoni, per anni collaboratore appassionato, ha illustrato uno degli ultimi studi portati a termine (effetto spigolo e umidità sulle corde da arrampicata).

Infine il figlio di Mario Bisaccia, precursore degli studi sui materiali (e inventore del nodo “mezzo barcaiolo”) ha presentato l’interessante volume appena pubblicato in memoria del padre.

Il Presidente Generale Alberto Rampini ha portato il saluto del CAAI, ricordando come l’Accademico abbia da sempre sostenuto il Centro e contribuito attivamente con l’opera di propri soci, tra cui Mario Bisaccia che fu il primo Presidente, Pietro Gilardoni, Bepi Grazian, Carlo Zanantoni, Giuliano Bressan.

Domenica, 02 Dicembre 2018 23:18

 

Numero chiuso sul Monte Bianco.

Disposizione necessaria o attentato alla libertà?

Di Mauro Penasa

Il Club Alpino Accademico Italiano è costituito da soci che provengono dai luoghi più disparati e che si incontrano per la loro attività lungo il vasto territorio montuoso della nostra penisola. Per sua natura riunisce persone di diversa estrazione e con differenti ambizioni, per quanto accomunate dalla passione per la montagna e, almeno teoricamente, da una visione dell’alpinismo libera dai condizionamenti dettati da fattori economici e da interessi personali.

Non è quindi sempre facile definire una posizione comune: questa dovrebbe tener conto dell’opinione della maggioranza dei componenti dell’Accademico, ed essere collegata direttamente alla storia del Club, che ha coinciso per lungo tempo con la Storia stessa dell’Alpinismo Italiano.

Pertanto, nelle molte situazioni che coinvolgono il mondo dell’alpinismo in cui il Consiglio Direttivo dell’Accademico periodicamente si imbatte, si evita di prendere posizioni immediate, specialmente se ci si confronta su questioni locali.

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Di tanto in tanto però, a fronte di un mondo nel quale sempre più l’apparire è fonte di autoreferenzialità, ci troviamo costretti a esprimere un giudizio ufficiale, come è avvenuto per l’impiego indiscriminato dell’elicottero per attività ludiche in montagna.

L’eventuale silenzio dell’Accademico non va comunque considerato come una sostanziale passività di fronte ai problemi della montagna. Semplicemente, spesso questi vanno al di là del nostro ruolo, che è soprattutto di sorveglianza “etica”. Ci si occupa, e per fortuna sempre meno dopo le iniziative portate avanti in favore del “trad”, delle diatribe sulla chiodatura delle pareti, ci si impegna nel mantenimento di una discreta rete di bivacchi, ci si interroga sul futuro di una disciplina, l’Alpinismo di avventura, che è sempre meno favorita dalle nuove mentalità di frequentazione e sfruttamento dell’ambiente alpinistico.

In realtà il Club è molto interessato a promuovere il dibattito su temi delicati ed è in questa ottica che, ormai molti anni fa, si è iniziata la discussione sulla libertà di frequentazione della montagna. Il risultato è stata l’apertura di un “Osservatorio per le Libertà”, che ha avuto altalenante fortuna fino ad essere recentemente rinvigorito dalla nuova gestione assunta dal CAI stesso.

Neanche su questo punto fondamentale è però semplice definire una posizione ufficiale. Specialmente quando occorra sintetizzarla e scriverla. Perché deve poter essere applicabile in linea generale, tanto da rischiare di svuotarsi di ogni energia…

In quanto territorio non occupato, non sfruttato, e quindi “libero”, la montagna è da sempre sinonimo di libertà, che gli alpinisti interpretano con la possibilità di scalare e salire vette e pareti. Si tratta di un’attività da sempre socialmente apprezzata, bisogna ammetterlo. Per gli appassionati dell’idealismo tanto caro all’alpinismo classico, la montagna è un luogo in cui ci si eleva e differenzia dal resto dell’umanità, facendo qualcosa di assolutamente gratuito ed inutile… qualcosa che è però in grado di guadagnarci un indubbio livello di autorevolezza sociale, e che ci procura una certa sicurezza psicologica nelle situazioni più critiche.

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L’avvento quasi simultaneo della società “sicuritaria” e dell’alpinismo di massa ha però tendenzialmente creato situazioni stridenti. Intanto quella che un tempo era la figura riconosciuta dello scalatore, esploratore e pioniere avventuroso, si sta confondendo sempre più con quella del fruitore di un ambiente, tra l’altro molto più sensibile e delicato di quanto si possa pensare, alla pari del grande numero di frequentatori che più o meno consapevolmente fruisce in modo analogo delle stesse libertà.

Su questa massa si innestano le istanze della società sicuritaria. Il business del tempo libero e i grandi numeri ad esso collegati trasportano i problemi metropolitani nelle zone montane di alta frequentazione. In quanto tali, a chi è chiamato a gestirle piacerebbe tanto poter considerare effettiva l’assenza di rischi. Conseguenza immediata è che anche al di fuori delle aree più battute, l’esistenza del rischio è sempre meno tollerata.

Nessuno di noi ha la pretesa di poter fare ciò che vuole in qualunque situazione. Per quanto la montagna sia vista come terreno rappresentativo della libertà, ci si rende conto di come sia necessario limitarne l’esercizio… Così ci si deve confrontare con chi in montagna ci vive, con chi ne è frequentatore abituale od occasionale, con chi fa della montagna una professione o una missione volontaria, senza pretendere troppo che i galloni guadagnati sul campo possano mettere un buon alpinista in una posizione di preminenza “dovuta”… Questo confronto ha da sempre creato conflitti che gli interessati sono per lo più riusciti a stemperare ed a superare, lasciando alla montagna la sua dimensione di ideale spiritualità a cui tutti ci rivolgiamo.

Peraltro, nel mutamento delle cose, assistiamo ormai da tempo al passaggio dalla “società della vergogna” alla “società della colpa”, per citare formule di successo.

Per quanto trovare territori isolati non sia ancora un problema, scoprire che certi comprensori molto affollati sono ormai gestiti a suon di regole e divieti risulta spesso indigesto a chi alla montagna ha dedicato, se non una vita, una fetta considerevole delle sue energie e tempo libero. Quando ci si accorge poi che regole e divieti sono esportati con gran leggerezza a toccare direttamente la sfera della nostra libertà personale in modo evidentemente miope e ottuso, ecco che i territori isolati diventano sempre più costretti…

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Esiste però la necessità di affermare il diritto di poter rischiare, sempre che tale rischio sia governato dalla consapevolezza di correrlo. In tutte le discussioni in seno all’Accademico appare chiaro che ogni posizione che si richiami al diritto alla libertà di frequentazione della montagna debba essere accompagnata dalla necessità di averne consapevolezza, e dalla responsabilità che viene dall’esercizio di tale libertà. In quest’ottica vengono trattate, in linea generale, tutte le istanze con cui accade di confrontarci in rete, sui social, o di cui veniamo più o meno direttamente a conoscenza.

E’ quindi sempre abbastanza difficile digerire i tentativi di scarico di responsabilità sempre più frequentemente fatti dalle istituzioni demandate alla gestione del territorio, che derogano dalla richiesta di una presa di coscienza per prendere invece la forma di divieti di accesso legati a situazioni di potenziale pericolo, in genere dipendenti da instabilità del manto nevoso o di strati di roccia superficiali.

Queste limitazioni d’accesso sono ovviamente di tipo formale e perlopiù nient’altro che alibi per togliersi il pensiero. Un pericolo generico 5 sul manto nevoso è l’avvertimento di un pericolo serio, che dovrebbe comunque essere mediato dal buon senso e dal giudizio dell’alpinista, buon senso e giudizio che non deve mancare neanche in condizioni di pericolo 1, perché il rischio nullo in montagna è proprio solo una pia illusione e sotto una slavina si può sempre rimanere se non si usa il cervello.

Il problema principale è che le ordinanze su limitazioni e divieti di accesso sono intraprese senza interpellare la comunità degli alpinisti, ma basandosi su valutazioni (ad esempio bollettini meteo e valanghe) che sono per forza di cose generiche, anche quando dedicate al mondo della montagna.

Vietare l’accesso “tout cour” a un territorio è una severa limitazione della libertà personale, specialmente se, una volta emessa un’ordinanza, questa viene mantenuta anche al di fuori della situazione critica, esponendo di fatto un frequentatore “disobbediente” a conseguenze “legali” spropositate e soprattutto ingiustificate in relazione alla reale situazione sul terreno. Le associazioni alpinistiche non vengono quindi interpellate né per decidere la ragionevolezza di un’azione limitatoria né per monitorare la situazione che tale azione vuole gestire. Ciò mette potenzialmente il mondo degli alpinisti nelle mani di Magistrati che non conoscono l’attività in montagna né sono disposti ad “apprezzarne” i rischi, e che si devono basare sulla lettura ed interpretazione di manuali e regolamenti che vorremmo tenere sempre lontani dal terreno della nostra passione.

La limitazione dell’accesso ad aree molto frequentate ha ancora un’altra connotazione, quella della tutela ambientale. La restrizione dell’arrampicata nei siti di nidificazione risponde ad esempio alla sollecitazione dei gruppi ambientalisti interessati alla protezione dell’avifauna. In linea generale si concorda con questo tipo di istanze sempre che dettate da effettive esigenze e non da posizioni ideologiche di preminenza. In genere la risposta è positiva.

Un altro tipo di fenomeno è invece l’aumento del numero di frequentatori in zone delicate che porta a situazioni potenzialmente critiche. In presenza di grandi folle il ricorso al numero chiuso è in genere visto come una tollerabile necessità, ancorchè molto difficile da gestire equamente. Peraltro sulle Alpi non c’erano stati finora eclatanti esempi di restrizioni di questo tipo in alta quota. Finora, appunto…

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L’ordinanza del Prefetto dell’Alta Savoia, emessa il 14 agosto di quest’anno, ha limitato l’accesso al Monte Bianco per la via della Tete Rousse ai soli titolari di prenotazione presso il Refuge du Gouter, per il periodo dal 16 agosto al 17 settembre.

La prima reazione da parte di tutti è stata di disgusto, poi di preoccupazione…

Poi viene voglia di saperne un po’ di più…

Se si va a leggere l’ordinanza (vedi allegato), non è difficile immaginarsi quanto sia successo e le motivazioni che hanno portato a questo punto. E allora non si può che concordare con la decisione del Prefetto, dettata da questioni legate alla sicurezza causate dal sempre meno tollerabile livello di maleducazione che pervade l’uomo dei giorni nostri.

Siamo di fronte ad un’arrogante limitazione della libertà di accesso alla montagna? No, certamente no. Semplicemente la capienza del rifugio è limitata e, sistematicamente, chi in alta stagione non riesce a prenotare un posto fa finta di nulla, si presenta ugualmente e pretende, questa volta si in modo arrogante, che gli sia data assistenza ed un ricovero di fortuna. Un gestore di rifugio è tenuto a seguire regole di sicurezza relative al numero degli ospiti, la cui inosservanza lo espone a potenziali conseguenze “legali” certamente pesanti. Se la situazione si ripete in modo sistematico, si può concludere che alcuni alpinisti non hanno alcun rispetto per chi vive in montagna ed in montagna fornisce dei servizi al pubblico.

E non dobbiamo pensare che si tratti di situazioni solo legate alla affollata via normale al Bianco. Dopo poco tempo da quando il bivacco della Fourche è stato rimesso in ordine con impegno e fatica pochi anni fa, un alpinista spagnolo ne ha scritto paragonandolo ad un immondezzaio, e lamentando decisamente l’incuria dei frequentatori che in quel caso non possono essere che alpinisti, anche se di certo con un profilo etico straordinariamente basso… Anche allora il titolo sulla stampa colpiva – i titoli sono fatti evidentemente per questo – e sembrava suggerire una responsabilità del proprietario, dell’Accademico… Se ci si ferma ai titoli è ovvio che l’idea che ne viene fuori è fuorviata e non rispondente al messaggio reale, ma il mondo di oggi sembra muoversi sempre di più su questa pericolosa china...

Così se vogliamo far passare l’immagine “Numero chiuso sul Monte Bianco” non stiamo facendo un buon servizio alla comunità. La limitazione di accesso è solo colpa della superficialità di tanti alpinisti, che sarebbe ora ritornassero a vedere la montagna come un luogo di esperienza e non di record.

Si può essere certi che l’intervento della Gendarmerie non può che aver migliorato la situazione. Non bisognerebbe dirlo, ma tutti sappiamo che un bel ceffone dato al momento giusto è più efficace di mille parole. Del resto il buon senso ha comunque governato l’ordinanza prefettizia. E’ stata infatti, ovviamente, accordata al gestore la possibilità di deroga per accogliere alpinisti in condizioni di effettivo bisogno (nel nome della mutua solidarietà in montagna) e soprattutto è stato demandato alla Gendarmeria il giudizio sulla capacità dello scalatore di fare a meno dell’alloggio notturno, che sulla via di salita è costituito dal solo Refuge du Gouter.

A meno di eccessi di protagonismo da parte dei gendarmi, e questo è l’unico pericolo (anche se potenzialmente importante) nel momento in cui si dà a qualcuno la possibilità di giudicare l’adeguatezza di uno scalatore, non siamo in realtà di fronte ad una limitazione della libertà, bensì solo ad una regolamentazione pratica, dopo che i tentativi di procedere via avviso si è dimostrata inefficace.

Quindi in realtà non esiste numero chiuso sulla via francese al Bianco. Esiste il richiamo alla civiltà, di cui l’alpinista dovrebbe essere campione. Esiste il richiamo alla consapevolezza di dover salire la vetta più alta delle Alpi, con la preparazione che richiede e con il rispetto che merita. E se è necessario dormire sotto le stelle, bene, quella salita non potrà che essere un ricordo davvero indelebile, e non solo un dato su un curriculum.

 

Martedì, 09 Ottobre 2018 21:37

Stili a confronto.

Il diverso modo di approcciare le grandi montagne da parte dei quattro alpinisti invitati come relatori al Convegno Nazionale CAAI di Barzio sabato 6 ottobre 2018.

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I relatori. Da sinistra: Marcello Sanguineti, Luca Schiera, Fabio Valseschini, Denis Urubko.

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Luca Schiera, Fabio Valseschini, Denis Urubko

 

 

Fabio Valseschini, Luca Schiera, Marcello Sanguineti e Denis Urubko hanno raccontato il loro modo salire le montagne e la filosofia che vi sta dietro.

Un quadro fresco e spontaneo che ha offerto una panoramica di sicuro interesse sulle motivazioni profonde e le aspettative diverse di persone che interpretano quattro ben diversi modi di affrontare le grandi ascensioni e, probabilmente, la vita.

 

 

Mercoledì, 03 Ottobre 2018 18:41

Sabato 6 e domenica 7 ottobre si svolgerà a Barzio/LC il Convegno Nazionale 2018.

In allegato la locandina dell'evento.

Venerdì, 10 Agosto 2018 10:44

Tutti gli arretrati disponibili degli Annuari CAAI sono acquistabili on line con spedizione gratuita sul sito dell'editore IDEAMONTAGNA   

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Giovedì, 12 Luglio 2018 17:13

MAURIZIO GIORDANI vince il Pelmo d'Oro 2018 per l'alpinismo in attività

Ecco le motivazioni della giuria:

"Rientra a pieno titolo tra le eccellenze dell'alpinismo italiano. Affascinato dalla gigantesca parete d'argento della regina delle Dolomiti, la sud della Marmolada, comincia fin dagli albori della sua attività alpinistica a legare ad essa il suo nome. Vi aprirà vie nuove di continuità estenuante e difficoltà estrema, e vi compirà prime ripetizioni invernali e in solitaria di vie simbolo come la via Attraverso il pesce e Tempi moderni. Si afferma anche come il maggior conoscitore di questa parete, ripetendone la maggior parte degli itinerari e dando alle stampe due accurate guide e un libro, Marmolada, sogno di pietra,  impreziositi dalle sue splendide foto"

 

Lunedì, 04 Giugno 2018 23:07

MARIANO FRIZZERA, Accademico del Gruppo Orientale, è stato nominato Socio Onorario del CAI nel corso dell’Assemblea dei Delegati di Trieste del 26-27 maggio 2018.

Grandi imprese, dedizione al lavoro e profonda umanità nei rapporti interpersonali sono le caratteristiche che hanno fatto meritare questo prestigioso riconoscimento, come ha ricordato all’Assemblea il Presidente generale del CAAI Rampini.

A Mariano gli auguri di tutti i soci.

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